Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Minga Donquixote    12/05/2017    5 recensioni
«Sei incredibile!» Si lamentò lei, tornando a sedersi sul pavimento e afferrandogli una mano. «Vuoi pure che ti racconti una fiaba per bambini?»
Cutler la guardò minaccioso e strinse forte la mano, facendola gemere di dolore. «Sei insopportabile.» le sibilò.
«Faccio del mio meglio.» ribattè lei, testarda.
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Era sicuramente un incubo il posto in cui era capitata la giovane Eris Gallese. Parrucche incipriate, lotte di pirati, dannati corsetti e no docce saponate.
Quando non si studia la storia, ci si trova impreparati.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Norrington, Lord Cutler Beckett, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9. Sarò il tuo incubo più grande


La mattina seguente Eris non si presentò a colazione. Il suo posto rimase vuoto per tutto il tempo e Cutler, insospettito da tale assenza, incaricò Mercer di cercarla.
L’assassino controllò prima nella sua cabina, confermando la sua assenza e poi prese a setacciare la nave. Sembrava essersi volatilizzata.
Girò per il quarto corridoio, diretto al pontile quando incrociò un marinaio fuori postazione.
«Mr. Smith, cosa ci fate sottocoperta?»
Mr Smith era un ragazzo di poco più di venticinque anni, alto e biondo con due occhi nocciola.  Non molto presente sulla nave ma ben educato e diligente.
«Il vostro posto non è sulla coffa?» domandò, confuso da tale insubordinazione da parte del giovane.
«Oh, si, Mr. Mercer. Sono stato sostituito per un paio d’ore»
«Sostituito?»
Mercer salì i restanti gradini che lo portavano all’aria aperta e si avvicinò all’albero di trinchetto. Sulla coffa non c’era traccia di vita.
Spostò lo sguardo verso la scala e prese a salire silenziosamente.
Una volta in cima sbirciò all’interno e acciambellata intorno al legno del palo vi era niente meno che Eris, gli occhi chiusi e il respiro lento.
Stava dormendo, e anche dolcemente nonostante il rumore incessante al di sotto.
«Miss Gallese…» la chiamò, salendo ancora un paio di gradini e atterrando anch’esso nella coffa. Si piegò a metà e le scostò delicatamente i capelli legati dal viso. Una delicatezza che non pensava di avere. «Miss Gallese, state dormendo sulla coffa.»
Eris, sentendo un improvvisa mancanza di calore dovuta all’ombra fatta dall’assassino, aprì un occhio scuro e lo posò sulla sua figura.
«Mercer? Che ci fai qui?» domandò, la voce impastata di sonno.
«Sono venuto a recuperarvi per la colazione» le rivelò quello, tornando in piedi e tenendo una mano guantata agganciata all’albero. «Come mai vi siete nascosta qui sopra?»
La ragazza si alzò a sedere passandosi una manica nera sugli occhi assonnati e spolverando il cappello a tricorno che le avevano prestato.
«La cabina mi stava facendo venire il mal di mare. Mi hanno suggerito di stare in alto.» disse solo, stiracchiandosi e sporgendosi indietro per tornare al calore del sole.
Mercer le porse una mano che quella accettò di buon grado, aiutandola ad alzarsi finalmente in piedi.
Le sue gambe per un attimo non riuscirono a sostenerla e si aggrappò saldamente sul parapetto della coffa, stringendo i denti per la paura.
«Stare in alto non sembra tanto una soluzione adesso, non è vero?» ridacchiò malignamente l’uomo, posandole una mano sulla spalla per sicurezza. «Inoltre devo chiederle di non far spostare i marinai dalle loro postazioni» concluse.
Eris annuì e sbadigliò sonoramente, guardando giù verso la prua. Gli ufficiali erano un agitarsi continuo nonostante non ci fosse nulla di preciso da fare. Non avevano incontrato nessuna nave per tutti i cinque giorni e la vita sull’Endeavour stava diventando monotona e noiosa.
Vedendo le sartie minacciose e leggermente smosse Eris quasi pensò di rimanere lì sopra. Il vento non sembrava molto accomodante quei giorni.
«Venite» le ordinò l’uomo, dandole le spalle e abbassandosi su un ginocchio.
La giovane non capì finché lui non le segnalò, infastidito, di salirgli sulla schiena.
«N-Non credo sia una buona idea…» sussurrò lei, mordendosi un’unghia.
Mercer le lanciò uno sguardo duro e, afferratola per un braccio, se la issò facilmente sulle spalle.
Eris si aggrappò saldamente a Ian, e quando quello cominciò a scivolare via dalla coffa e aggrapparsi alla scala tirò un gemito al vuoto sotto di se.
«Peso troppo, cercherò di scendere da sola!»
L’uomo ridacchiò e questo la sorprese e imbarazzò allo stesso tempo. Ottimo, anche lui rideva di lei, ora.
«Non è assolutamente vero, Miss. Glielo assicuro.» lasciò che quella si stabilizzasse meglio e poi riprese la discesa. «Si tenga solo forte.»
La discesa non fu né eccessivamente lenta né eccessivamente veloce. Mercer fece molta attenzione a non fare movimenti bruschi che facessero agitare la giovane fanciulla aggrappata saldamente al collo.
Una volta arrivati alla fine della sartie, Eris scivolò giù con un sospiro soddisfatto e liberatorio.
«Grazie, Mercer.»
Mercer accennò un sorriso, anche se non ci assomigliava nemmeno lontanamente, e chinò il capo, rispettoso.
«Pensa di potermi dire il motivo del vostro nascondervi?» chiese, mentre si allontanavano dall’albero e il giovane Smith riprendeva il suo posto.
«Ero soltanto stanca, Ian e la mia cabina non migliorava il mio stato.» gli rivelò, tranquilla seppur colpevole.
Il giorno prima, dopo la lezione estenuante di Beckett sulla postura, aveva obbligato James Norrington a soddisfare la sua richiesta di insegnarle a combattere. L’ammiraglio, abbandonando le sue prediche sul non avere tempo e che sarebbe stato un pericolo per la sua salute fisica, aveva accettato con riluttanza fissando un orario spossante. 
Si sarebbero dovuti incontrare nella stiva alle dieci di sera e li avrebbero praticato un po’.
Quando era scesa, l’uomo le aveva impartito soltanto dure basi teoriche e di sicurezza per poi passare a maneggiare una sciabola a vuoto. Coordinando mente e corpo.
Seppur fosse un esercizio semplice, la rabbia che ancora la assaliva le appesantì il lavoro più di quanto immaginò.
Tornò nella sua stanza alle undici e mezza poiché James osservò con irritazione la sua fiacchezza e le chiese di essere più attenta e riposata la prossima volta.
Quando raggiunsero la sala da pranzo, questa era completamente vuota. Erano stati lasciati soltanto un paio di dolci, una tazzina da tè e della frutta.
«Mercer, come fa la frutta ad essere sempre così perfetta? È una settimana che siamo in mare ormai…» chiese curiosa, prendendo una mela semirossa e portandola vicino al viso.
L’uomo le si avvicinò da dietro e la guardò in modo strano, quasi incredulo che gli fosse stata rivolta una domanda tanto priva di interesse.
«Il cuoco tiene delle piante e le cura nel tragitto.»
«Non si fa proprio mancare niente, la Compagnia delle Indie…» commentò lei, azzannando la mela. Qualche goccia di succo le scivolò lungo i lati della bocca e questo provocò un ghigno da parte del maggiore.
Mancava decisamente di eleganza. Si sbrodolava come i più infimi dei pirati.
«Suppongo di no.» sospirò Ian, distogliendo lo sguardo e dando un’occhiata al suo orologio da taschino. «Beh, vi lascio ai vostri dolci, Miss Gallese. Mi raccomando. Alle tre nell’ufficio di Lord Beckett.»
Si girò verso di lui, pronta a ribattere sull’orario appena imposto, ma prima che potesse solo aprir bocca quello si volatilizzò.
«Decisamente inquietante, Mercer.» rabbrividì per poi tornare alla sua colazione.
 
Avendo fatto colazione alle 12, Eris preferì saltare il pranzo per farsi un’altra sana dormita nel suo alloggio. Che a quell’ora, decisamente soffocante, non faceva che giovare al suo corpo.
Si era talmente appisolata bene che non sentì nemmeno il cagnolino chiamarla più volte quando un rumore incessante prese a tempestarle la porta.
«Miss Gallese, sono le tre e mezza. Lord Beckett richiede la vostra presenza nel suo ufficio in questo istante!»
Ma chi era?
La giovane girò lentamente la testa da un lato, fissando con un occhio la porta chiusa e sbuffò.
«Si,si. Digli che arrivo tra cinque minuti.»
Ma quei 5 minuti diventarono inevitabilmente 20. Il vestito, quella volta rosso, si era impigliato e non riusciva a districarlo. Inoltre aveva evitato di indossare corsetti poiché non riusciva ad allacciarseli da sola.
Corse nella cabina del capitano il più in fretta possibile, le scarpe col tacco in una mano.
«E-eccomi…» ansimò, sedendosi goffamente sulla prima sedia che incontrò sul suo cammino e indossando le scarpe.
Beckett, che nemmeno prese il disturbo di alzare gli occhi, capì che era la ragazza solo dal modo in cui aprì la porta.
Fece un gesto veloce con una mano a Mercer e quello accennò un inchino.
«Miss, può mostrarmi quello che avete imparato ieri?» domandò, cordiale anche se sembrava molto un ordine.
Eris che si era alzata di nuovo in piedi, lanciò uno sguardo a Cutler ma lo trovò ancora piegato sui fogli sulla scrivania. Con una smorfia si rivolse nuovamente a Mercer e si chinò educatamente.
Camminò come il Lord le aveva mostrato, anche se guardò a terra un paio di volte, e fece per sedersi sulla sedia con la stessa eleganza insegnatale.
L’uomo la guardò come aspettandosi qualcos’altro e lei, presa dall’ansia, accavallò le gambe.
«Una Lady non accavalla le gambe.»
La voce di Beckett era tagliente e quando la ragazza incontrò il suo sguardo rabbrividì.
«Mi pare di avervelo insegnato ieri. Le gambe devono rimanere serrate.» e sospirò come se stesse insegnando una lezione ad un bambino.
Eris, più imbarazzata del suo errore che offesa, lasciò scivolare nuovamente le gambe al loro posto e abbassò il capo.
Mercer che aveva notato il disagio di entrambi si permise di intervenire in quello scontro.
«Può incrociare le caviglie, se non riesce a resistere e trova scomoda la posizione, Miss.»
Eris fece come gli era stato detto e si trovò meravigliosamente a suo agio. Alzò il viso verso Ian e gli regalò un sorriso grato.
Fecero ancora qualche minuto di pratica estenuante sul camminare ma poi Mercer accettò di buon grado che fosse ad un livello accettabile. Cutler sembrava essersi di nuovo buttato nei suoi affari.
«Ottimo. Ora possiamo passare ad una buona etichetta.»
L’assassino sistemò su un tavolino più piccolo, poco distante, una serie di posate e piatti.
Le fece cenno di mettersi a sedere e le indicò la tavolata.
«Questa è la sistemazione di una postazione. La prego di mostrarmi la prima cosa da fare.»
Eris osservò le tre forchette a destra e notò che quella più esterna era diversa dalle altre due, apparentemente uguali. Si morse un labbro e fece per prendere la posata nel mezzo quando la risata beffarda di Beckett la congelò sul posto.
«Incredibile, persino un bambino sa che si comincia dalla posata più esterna.» scosse il capo, mantenendo quell’odioso sorrisetto sulle labbra. «Onestamente, dove avete vissuto finora?»
Eris balzò improvvisamente in piedi, facendo strusciare la sedia contro il legno del pavimento e fissò l’uomo alla sua destra con un’espressione incomprensibile.
Era oltre la rabbia. Molto oltre.
Voleva offenderlo. Voleva prenderlo a pugni. Voleva fargli male come lui ne aveva fatto a lei.
Cutler si era fatto serio. La stava stuzzicando per ricevere una sorta di reazione da parte sua e ne aveva avuta una dopo un giorno.
«Cosa? Si esprima pure. Non si è mai trattenuta, perché ora?» premette ancora, guardandola intensamente.
Eris, intuendo il comportamento del Lord, fece un respiro profondo e tornò a sedersi senza una parola.
Allungò un braccio e sistemò nuovamente le posate che si erano scombinate a causa del suo gesto aggressivo.
«Come Lord Beckett vi ha detto, si inizia sempre dalle posate più esterne.» e indicò le tre forchette a sinistra e i due coltelli con un cucchiaio a destra. «Il piatto in cima viene di solito usato per le minestre, se previste nel menù, mentre gli altri due sono sequenzialmente per il piatto piano e il sottopiatto.»
Continuarono per altre 3 ore, praticando anche sul comportamento a tavola e non solo alla sua composizione. Cutler intervenne un paio di volte, giusto per confermare la sua presenza, ma non azzardò più frecciatine minacciose.
Mercer le insegnò a bere decorosamente, portarsi il tovagliolo alla bocca ogni volta che mangiava o beveva qualcosa, alzare il calice e spezzare il pane all’interno del piattino laterale fatto apposta.
Persino a come atteggiarsi circondata da soggetti di alto livello.
«Credo che sia abbastanza per oggi…» l’assistente guardò Cutler per averne la conferma e quello accennò col capo. Continuava a guardare fisso Eris che cercava di camminare dritta con un libro sospeso sulla testa.
«Potete ritirarvi, Miss Gallese.» la richiamò Ian, portando via il volume pesante dalla cima del capo. «Non vogliamo che arrivi stanca stasera…»
La mora gli rivolse uno sguardo colpito e sorpreso ma l’uomo sollevò di poco gli angoli della bocca, con fare cospiratorio.
Fece per girarsi ed andarsene quando ricordò le lezioni impartitole in precedenza. Girò su se stessa, guardò prima Mercer e poi si soffermò su Beckett, che assottigliò lo gli occhi, si inchinò appena con le ginocchia e sollevò l’abito color sangue.
«Con permesso.»
E sparì dalla porta.
Cutler mantenne lo sguardo fermo davanti a sé, rimembrando il viso riverito della giovane e trattenne un sorrisetto.
Quella sfacciata…
«A cosa vi riferite, Mercer?» domandò dopo qualche secondo all’uomo che ora stava riordinando il tavolino utilizzato in precedenza.
«Cosa intendete, signore?» mormorò, continuando il suo lavoro.
«Quell’attenzione su Miss Eris. Cosa ci sarebbe stasera?»
«La cena, presumo.» rispose evasivo, con un sorrisetto benevolo sulle labbra stroncate dalle cicatrici.
«Uhm.» pure il suo fidato cane era riuscita a portare dalla sua parte, quella sfacciata.
 
Sulla nave non c’era poi molto da fare. L’aveva già setacciata a fondo mentre cercava un posticino tranquillo e caldo, quindi non vedeva nulla di nuovo.
Salì sul ponte e guardò davanti a sé, cercando anche solo un lieve spiraglio di isola, ma nulla.
«Finalmente dei vestiti adatti, per tutti i diavoli!»
Eris si girò e incontrò gli occhi verdi di mastro Jeff. Aveva le manone poggiate sui suoi fianchi larghissimi e la guardava da sotto in su. Proprio come giorni prima.
«Che vuoi dire con adatti?!» rise lei, poggiando la schiena contro il legno e guardandolo a braccia incrociate.
«Ora sei proprio una signora.» asserì serio.
«Perché prima non lo ero?» sbottò arrabbiata.
«Decisamente no!»
«Gentile da parte tua, vecchio.»
«Ma quale vecchio! Attenta a te, Miss.» la minacciò, scuotendo in mano una specie di bastone.
Lei semplicemente si lasciò andare in una grande risata. Di quelle che non era riuscita a permettersi più da tempo.
Si sentiva così libera, per un momento che quasi non riuscì a riprendere fiato che qualche risolino ancora usciva fuori. 
«Siete impazzita tutto d’un tratto?» chiese lui, ghignando apertamente.
«Ma voi non dovreste essere un gentiluomo con una Lady?»
L’uomo sobbalzò e prese a girarsi intorno, intontito.
«Una Lady? E dove?»
«Scortese!» Si lamentò lei.
Jeff rise per la prima volta e la guardò con affetto.
«Assomigliate molto a mia figlia, anche lei odiava comportarsi da donna. Era testarda e coraggiosa.»
Eris sgranò gli occhi e una strana tristezza gli invase i sensi. Lo aveva detto in un tono così smorzato che era quasi doloroso.
«Dov'è ora?» chiese, conoscendo già la risposta a quella domanda.
«È morta. Entrò in contatto con dei pirati a Port Royal 5 anni fa.» seppur stesse parlando di sua figlia il suo tono era duro e costante. «Mi sono unito alla Royal Navy subito dopo.»
La Gallese distolse lo sguardo e trattenne con forza le lacrime. Non si sarebbe fatta vedere debole.
«Quanto può cambiare un uomo la pirateria, eh?» sdrammatizzò lui, facendo un lungo e intenso sospiro.
La mora si ritrovò a pensare a Beckett e all’intesa ombra che ormai oscurava il suo passato e il suo futuro. Quanto poteva cambiare un uomo? Tanto. Forse eccessivamente troppo.
Il dolore ti obbliga a costruire barriere per difenderti e a contrattaccare quando ne hai la possibilità.
Eris comprendeva Cutler, lei faceva la stessa cosa, ma questo non riusciva a farla sentire meno peggio quando riceveva le sue occhiate fredde e le sue parole taglienti. Spesso le sue frecciatine venivano accompagnate da uno sguardo ironico e divertito e lei capiva che era soltanto un gioco. Quel giorno però vi aveva visto solo intensa rabbia che era pronto a rilanciarle contro. Aveva colpito il suo orgoglio e glielo aveva fatto vedere.
«Credo che sia ora che mi ritiri per la cena.» Disse soltanto, non completamente pronta ad affrontare nuovamente quella tavolata.
 
Quando entrò nella sala, gli ufficiali stavano chiaramente parlando di donne o proprio di lei perché si bloccarono nell’istante in cui mise piede sulla moquette.
Lei si tese e pensò di sgusciare via di nuovo quando una mano le si poggiò sulla spalla coperta dal stoffa nera della casacca.
Aveva approfittato dei pochi minuti di libertà per togliersi il vestito e indossare nuovamente i suoi abiti abituali.
E per tenersi pronta per la lezione con l'ex Commodoro.
«Buonasera, Miss Eris.»
La voce di Groves era calda e sincera. Aveva sempre adorato quell’uomo per la sua dolcezza involontaria.
«B-Buonasera…» balbettò, prendendo una ciocca di capelli tra le dita e giocandoci, imbarazzata.
Lui le diede una leggera spinta, accompagnandola al posto vacante vicino a Gillette, le scostò la sedia dal tavolo e aspettò che si sedesse.
Eris sorrise a tutti i presenti e poggiò la chiave dorata della sua camera (identificata dalla lettera E) vicino al bicchiere, poiché non aveva spazi dove metterla.
Prima che potesse fare alcuna altra mossa le porte laterali si aprirono e la figura di Beckett, ancora piegato su una pergamena, fece capolino nella stanza.
Sentendosi osservato, si consentì di alzare lo sguardo e incontrò gli occhi fiammeggianti di Eris che, con un sorrisetto, si lasciò scivolare elegantemente sulla sedia mentre Theodore la spostava in avanti per avvicinarla al tavolo.
Il Lord chiuse gli occhi per un attimo, ignorando la vocina nella sua testa che gli comandava di umiliarla di nuovo per la sfida lanciatogli, e tese le carte a Mercer che le afferrò prontamente.
«Passato un buon pomeriggio, My Lady?»
«Decisamente.» rispose tagliente.
Sedettero entrambi, scrutandosi con tanto odio che persino gli ufficiali vedevano scintille minacciose.
Presero a mangiare tutti in completo silenzio. Nemmeno il ronzare di una mosca era permesso.
Eris applicò tutti i suoi insegnamenti, così che l’uomo non avrebbe potuto offenderla nuovamente davanti alla ciurma.
Una volta conclusa, la ragazza aspettò che il capitano finisse la sua cena, poi si alzò di nuovo, salutò garbatamente e uscì dalla stanza.
Cutler la guardò uscire tranquillamente poi il suo sguardo cadde su una piccola chiave abbandonata vicino al piatto della ragazza.
 
La seconda lezione non ci mise molto ad arrivare.
Alle 22, Eris era già in postazione, che spolverava le sue fidate Nike. Aveva passato tutto il tempo sul ponte a guardare l'orizzonte dopo cena e quando si era resa conto che mancava poco alla lezione si era subito recata nella stiva.
«Mi avete anticipato, questa volta.» la voce di James la fece sobbalzare e si girò per incontrare i suoi occhi verdi che brillavano come smeraldi puri alla sola luce delle torce.
La ragazza gli regalò un sorriso grato e si avvicinò a lui, per prendere la spada che aveva stretta nella mano sinistra.
«Prima di iniziare…» L’ammiraglio spostò lontano l’arma e la poggiò contro il muro in legno della stiva. «Non credo che la spada sia adatta a voi.»
La mora lo sguardò stordita e sentì una lieve fitta al petto. Quindi non l’avrebbe aiutata a cavarsela da sola?
«Preferirei insegnarvi a usare una pistola o un’arma più piccola. Non sapete coordinare gambe e braccia. La spada è troppo impegnativa per voi.» James si sfilò il cappello e lo pose sopra l'elsa della spada.
«Ma abbiamo fatto solo una lezione! Ho bisogno di tempo!» obiettò lei, facendo qualche passo in avanti.
«Ma voi non avete tempo, esatto?»
Eris abbassò gli occhi e li posò sulle scarpe. No, non aveva tempo ma non poteva abbandonare la spada. Non poteva.
«Avevate detto di aver usato un coltello, una volta.» riprese l’uomo attirando nuovamente l’attenzione su di sé. «Ne ho portato uno adatto.»
Afferrò un cinturino e lo agitò davanti al viso della ragazza, che incredula lo afferrò saldamente tra le mani.
Era un coltello con lama a filo liscio lunga almeno una ventina di centimetri. Il manico era stato intagliato nel legno e aveva piccoli cerchi solcati ogni due centimetri.
Si girò la fodera tra le mani e sorrise.
«È bello.»
«Non deve essere bello. Deve essere efficace.» la corresse l’altro sfilandoglielo dalle mani e abbassandosi su un ginocchio, vicino alla sue gambe. «Basta agganciarlo alla coscia e il gioco è fatto.»
Risalì con il cinturino alla coscia e fece per fissarlo quando, alzando gli occhi, incontrò quelli maliziosi e divertiti della mora.
«Quanto siamo intraprendenti, stasera.» ridacchiò lei, facendolo imbarazzare.
«Scusatemi. Dimentico a chi sto dando lezioni di combattimento.» Si rialzò e lo porse a lei, così che facesse da se. «Non capita spesso che una donna mi chieda di imparare a uccidere.»
La osservò agganciarsi l’arma dove le aveva indicato e fece un paio di passi per assicurarsi che fosse ben fissata e non scivolasse via.
«Elizabeth ha imparato le basi da Will.» se ne uscì, quasi in un mormorio ma, trovandosi in un luogo privo di qualsiasi rumore, si sentì comunque distintamente.
«Conoscete bene Miss Swann?» chiese l’ammiraglio, non riuscendo a trattenere la curiosità.
Eris arcuò un sopracciglio e fissò dritto James negli occhi, così colmi di emozioni.
«So molto di lei, si. Ma non posso dire di aver avuto il piacere di conoscerla.» tirò fuori il coltello, facendolo rotolare tra le dita come ai vecchi tempi. «È una donna forte. Non mi stupisce che ti sia innamorato di lei.»
L’uomo addolcì lo sguardo e alzò le labbra in sorrisetto talmente impercettibile che Eris non vi fece minimamente caso.
«Sembrate a vostro agio.» osservò indicando il modo in cui la giovane si trovava a girarsi il coltello tra le mani senza prestare troppa attenzione.
«Ne avevo uno a casa. Era un coltello a farfalla e adoravo inventarmi giochetti. Mi sono provocata non pochi tagli ma ne valeva la pena.» provò a far rotolare in aria l’oggetto dandogli una spinta con le due dita centrali ma quello quasi la tagliò. Scostò la mano appena in tempo per farlo cadere con la lama piantata nel legno del pavimento. «Anche se con questo tipo non sembrano funzionare benissimo.» rise, nervosamente.
Puntò la scarpa sotto il manico, a contatto con il dorso della lama, e tirò su così che il coltello volasse in aria. Prima che potesse ricadere lo afferrò al volo ma sfortunatamente strinse la lama e non il manico, come aveva previsto.
«Doveva essere una cosa figa se usciva bene.» Si giustificò all’espressione esasperata del maggiore. «Tranquillo, la lama era ferma a mezz’aria quando l’ho afferrata. Almeno su quello ho un certo tatto.»
Norrington annuì, seppur titubante, e si girò a prendere il bastone posato dietro un barile quel tanto che bastava per consentire ad Eris di portarsi il dito medio alla bocca per pulirlo dal sangue.
 
James non le aveva lasciato scampo quella sera. L’aveva costretta ad attaccarlo, seppur con un bastone simile alla lunghezza del coltello, mentre lui era a mani nude. Non era certo la prima volta che aveva uno scontro simile.
Alla scuola di arti marziali poteva scegliere se usare un coltello (anche se di plastica) e si trovava a confrontarsi non poche volte con persone disarmate.
Certo, l’uomo la bloccò spesso ai primi tentativi ma al quarto lei riuscì a colpirlo ad un fianco, in modo lieve ma efficace.
Muoversi con un’arma diversa dalla spada la fece sentire realizzata. Poteva affinare le tecniche con il coltello e magari le basi per difendersi soltanto con la spada.
James si ritirò sul ponte, nonostante avesse sudato (Eris se ne stava convincendo per una cosa personale), verso mezzanotte. Lei invece rimase a praticare in sua assenza con la sciabola, tentando di coordinare come Norrington le aveva detto.
Quando furono circa le due si ritirò anche lei, sciacquandosi la faccia e il collo nel barile d’acqua sistemato lì sotto.
Era soddisfatta per la prima volta del suo operato e il fatto che James le avesse lasciato il coltello la rendeva solo più orgogliosa di sé.
Arrivata davanti alla sua stanza tastò le tasche alla ricerca della propria chiave ma non sentiva l’inconfondibile rumore del metallo.
Si morse un labbro, pensando a dove potesse averla poggiata e, con terrore, si ricordò di averla lasciata sul tavolo della sala da pranzo.
“E chi dormirà nuovamente sulla coffa se non riuscirà a trovarla?” si domandò mentalmente con ironia.
Ficcò arrabbiata le mani nelle tasche e proseguì per il lungo corridoio quando, passando davanti ad una stanza isolata dalle altre, sentì qualcosa.
Fermò i propri passi e si accostò con le orecchie accanto ad essa.
Un lieve gemere di dolore le fece rizzare i capelli. Qualcuno era salito sulla nave e stava torturando qualcuno?
Tutte le idee più strampalate le riempirono la testa mentre portava il coltello alla serratura e poggiava la mano su una piccola X incisa sotto il chiavistello.
Ringraziò il suo vandalo cugino per averle insegnato una cosa tanto divertente e cercò di forzarla il più silenziosamente possibile.
Quando sentì l’inconfondibile scatto, si mise in piedi, poggiò la mano sinistra sul pomello e con la destra strinse forte il coltello, pronta ad attaccare.
Con un ultimo sospiro la aprì di scatto e si trovò in una stanza completamente buia.
Solo la luna riusciva a illuminare quel poco che bastava e, con la porta aperta, le torce aiutavano l’impresa.
Non vi era traccia di pirati o “altro” all’interno di quella stanza. Solo un fagotto su quello che doveva essere un letto.
Un fagotto che gemeva e tremava.
Si avvicinò con cautela, non abbassando ancora l’arma e, notando un paio di capelli ricci sbucare dalle lenzuola, trattenne il respiro.
Beckett. Ovviamente.
Abbassò finalmente la guardia e rinfoderò il coltello. Era solo Beckett e i suoi incubi. Doveva capirlo.
Girò nuovamente per uscire dalla stanza quando un gemito più forte la costrinse ad arrestarsi.
“Che io sia maledetta!” pensò avvicinandosi al letto e chinandosi sull’uomo.
«Beckett...ehi…» lo scosse un po’, tentando almeno di risvegliarlo dal suo incubo. «Dai...svegliati.»
Il peso della giornata si fece improvvisamente sentire sulle sue spalle e tirò un grosso sbadiglio.
«Non ho tutta la notte! Devo dormire anche io!»
Gli assestò un’altra violenta scossa e quello si alzò a sedere come una molla, ansimando come dopo una maratona.
Eris si tirò indietro, al sicuro da qualche suo improvviso urlaccio, e lo guardò il più teneramente possibile.
«Era solo un incubo. Va tutto bene.»
Cutler si girò a fissarla e lei si meravigliò di trovare tanto terrore in quegli occhi grigi illuminati dalle torce fuori dalla porta.
Quando constatò che non volesse urlarle contro, si permise di sfiorargli la fronte con una mano, togliendogli due o tre ricci. Era incredibilmente sudato.
«Va tutto bene.»
Con la gola secca, lo scrutò con stupore abbandonarsi al tocco quasi come un cucciolo ferito.
Lo fece stendere nuovamente con la testa sul cuscino che sembrava meravigliosamente comodo…
«Jane?»
«Ehm...no. Eris. L’unica fuori di testa da entrare nelle tue stanze.» sdrammatizzò lei. Jane? Le era familiare...chi era Jane per lui? Futura moglie, forse?
Voleva filarsela il più velocemente possibile.
Lui socchiuse gli occhi e sorrise stancamente, sfregando la guancia contro il dorso della mano della ragazza.
«Buonanotte, Becky.»
Si chinò quasi sulle ginocchia e gli lasciò un bacio sulla tempia, sorpresa lei stessa per tanta avventatezza. Era un gesto estremamente intimo e le era venuto così fottutamente volontario.
Si rialzò dritta, tossì per smaltire quel poco di imbarazzo e si allontanò dal letto.
«Volevano sapere del cuore.»
“Ottimo, ora vaneggia pure” Eris alzò gli occhi al cielo e lo guardò da poco sopra la spalla.
«Chi?»
«I pirati della Requin.»
Eris scosse la testa, non capendo appieno quello che l’ormai signore dei mari stava confabulando.
«Christophe-Julien de Rapièr.»
E non ci volle molto affinché la giovane comprendesse a cosa si riferisse quell’anima dannata.
“La Requin, certo. Prima era la Requin, poi la Vipère.” pensò provando un moto di compassione per Cutler.
Conosceva Rapièr. Era stato lui a rapire Beckett poco più di vent’anni anni prima.
«È morto, Beckett. Jack lo ha ucciso.» gli sussurrò, tentando di calmarlo.
«Ma non mi stupirei se tornasse in vita da un momento all’altro.» rise tremante lui.
Eris tirò l’ennesimo sospiro e si dannò per la centesima volta, tornando ai piedi di quel letto e chinandosi in ginocchio.
Afferrò la mano immobile del Lord tra le sue e le portò giunte alla bocca, lasciandogli un bacio leggero.
«Andrà tutto bene.»
Cutler girò la testa di lato ed esaminò il viso stanco ma sereno della moretta.
«Come fai ad esserne così sicura?»
Sembrava aver abbandonato qualsiasi voglia di distacco. Sentiva di essere tornato a dieci anni prima e le stava mostrando il suo lato debole. Proprio a lei, tra tutti i meno raccomandabili.
«Devi solo fidarti. Per una volta.» separò la mano destra dalla stretta e gliela posò nuovamente sul viso in una carezza leggera. «Ti proteggerò io.»
“Ho sempre voluto dirlo a qualcuno.” urlò nella propria testa.
Via via che le carezze diventavano a mano aperta, l’uomo socchiuse gli occhi fino a chiuderli definitivamente, un sorriso beato appena accennato sulla labbra fine.
«Dio, perché non puoi essere sempre così adorabile?» bisbigliò più a sé stessa ma l’uomo riuscì ad udirla lo stesso tanto che il suo sorriso si trasformò nuovamente in un ghigno.
«Non mi ameresti altrimenti.»
La Gallese agitò la testa, cercando di non dargli la soddisfazione di vederla con un sorriso divertito e si alzò in piedi, pronta al ritiro.
«Beeene, sembra che il vostro ego sia tornato. Col vostro permesso mi ritiro nelle mie-»
«Resta.» la bloccò lui, non incrociando però il suo sguardo. «Resta con me.» continuò quando non sentì risposta.
La ventiduenne si morse l’interno della guancia per evitare un commento amaro e prese a picchiare a terra le scarpe, agitata.
«Non credo sia una buona idea. Inoltre sono un po’ stanca e…» e non aveva altre scuse.
L’uomo capì che stava cercando di andarsene dal momento in cui aveva messo piede nella stanza ma, in quell’improvviso momento di debolezza, non riusciva a lasciarla andare.
«Jane è-...era mia sorella.» Disse soltanto.
Eris sbatté le palpebre un paio di volte e inclinò la testa.
«Ah, già. Jane Beckett. Si, ricordo ora.» annuì, ricollegando i pezzi. «Perché suona come una giustificazione?»
Beckett arrossì e ringraziò l’ombra prodotta dalla figura della giovane che lo proteggeva dalla luce.
«Credevi che non rimanessi perché hai chiamato il suo nome?»
E a quanto pare il silenzio aveva parlato al suo posto. Maledetta mocciosa perspicace.
«Non è per questo.» finì lei.
No, ovviamente non era per quello. Cutler l’aveva capito che si stava allontanando per proteggere se stessa e i suoi sentimenti.
Come lui stava facendo da una vita, dopotutto.
«Solo fin quando non mi addormenterò di nuovo.» provò ancora, con un moto di disperazione anche se lieve, quasi invisibile.
Eris chiuse violentemente la porta e tornò da lui per la quinta volta.
«Sei incredibile!» Si lamentò lei, tornando a sedersi sul pavimento e afferrandogli una mano. «Vuoi pure che ti racconti una fiaba per bambini?»
Cutler la guardò minaccioso e strinse forte la mano facendola gemere di dolore. «Sei insopportabile.»
«Faccio del mio meglio.» ribattè lei quando la mano fu nuovamente libera di respirare (?).
L’uomo voltò la testa dall’altro lato, così che non potesse leggere qualcos’altro sul suo viso e chiuse gli occhi.
«Poi puoi anche andartene e far finta che non sia accaduto.» concluse, lasciando la mano chiusa in quella della ragazza molle e senza forze.
La mora lo scrutò ancora. Doveva sempre avere l’ultima parola eh?!
«Dormi, Cutler.»
 
Poco più tardi quella notte Beckett si svegliò con una sensazione di viscido alla mano destra.
Volse la testa verso di essa e trovò la testa di Eris che poggiava comodamente sul materasso e più precisamente sulla sua mano.
La guardò attentamente e quando capì che gli stava sbavando sopra la ritirò con un gemito disgustato.
Lei si agitò un po’ poi tornò a sonnecchiare.
Con un sorriso divertito andò ad asciugarsi la mano con un fazzoletto vicino alla scrivania, mentre qualcosa sotto di esso raschiò lievemente e vide l’orario.
«Eris…» la chiamò, posando la mano pulita sulla sua spalla. Sentendola ancora passiva sotto di essa la avvicinò al suo viso sereno e le scostò capelli randagi come lei aveva fatto con lui pochissime ore prima. Si alzò dal letto e scostò le lenzuola quel tanto che bastava.
La afferrò per la schiena e le gambe e la posò sul materasso, facendo attenzione a non farle sbattere la testa, anche se l’idea era allettante.
Sondando il suo corpo finì inevitabilmente per guardare il pugnale legato alla coscia e, per essere sicuro, lo sfilò e poggiò sul tavolino.
Una volta stesa e sicura tornò anche lui a coricarsi.
Con il peso di entrambi il letto, adatto alla presenza di una sola persona, scricchiolò e Eris girò su se stessa.
Senza poter far nulla l’uomo si ritrovò due tentacoli che gli circondavano la vita e le spalle, stringendolo contro un altro corpo caldo.
Sbiascicò qualcosa in contrario ma non si allontanò dal contatto. Invece sorrise e posò la testa nell’incavo del collo della ragazza, offensivamente più alta di lui.
La luce della luna che stava per lasciar posto al sole illuminò la coppia beata sul letto, un orologio da taschino che segnava le 4:30, un fazzoletto usato e un’inconfondibile chiave dorata con una E incisa sopra.

Nonostante la chiacchierata amichevole. Nonostante gli sfoghi. Nonostante il sostegno, la mattina dopo, quando Cutler Beckett aprì gli occhi, accanto a lui Eris Gallese non c’era più.



Angolo dell'Autrice
EEEE...SI. A quanto pare sono riuscita ad aggiornare nonostante avessi pensato di avere poco tempo. Sono stati 4 giorni di scrittura questi. Avevo tutto in testa, mi sdraiavo a letto, cellulare in mano e non finivo finchè le idee non mi abbandonavano (o anche la stanchezza.)
Passando al capitolo, come avrete notato e capito è Cutler che ha rubacchiato la chiave di Eris. Credo avesse previsto solo un semplice richiamo o aiuto da parte sua per tornare nella sua stanza e invece gli ha fatto compagnia.
Peccato per l'orgoglio smisurato di Eris :3 Non ci ha pensato due volte, una volta sveglia, a filarsela via.
Passerà questa divergenza prima di arrivare a Londra?
Chi lo sa...
Poi ho introdotto un piccolo spoiler sul passato di Cutler e la sua famiglia. Christophe-Julien, che modestamente odio a morte nel libro, e Jane. LA MIA POVERA JANE CHE POTEVA RENDERE MORTALE QUEL NANETTO.
Vi lascio ancora due immagini per quanto riguarda il vestito rosso e il nuovo pugnale di Eris. In caso di estrema curiosità.
Vestito rosso = http://i67.tinypic.com/2yv2ddi.jpg
Pugnale = http://i65.tinypic.com/2wh2jo0.jpg
  
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