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Autore: RLandH    13/05/2017    0 recensioni
Ti ricordi dunque di quando teorizzasti la grande cospirazione ghoul?
Esiste.
Si chiama V.
Per me è sempre stato il sinonimo dell'uomo nero, sembra una cosa stupida a pensarci ora, ma è così. "
Fa la brava o V. verrà a prenderti!" lo diceva sempre la mamma.
Forse avrei dovuto farlo, perchè V sta venendo per me.
Perchè V. forse ti starai chiedendo? O Forse no, non ho voglia di pensarci.
Ciò che conta è che questa organizzazione in realtà ha sempre fatto parte della mia vita ... In un certo senso,
io sono in V. o avrei dovuto farne parte.
[TokyoGhoul:RE |Teorie becere su V.| OC| ho dato una ship anche a Tatara |Sicuramente non ci sono cose belle]
Genere: Angst, Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kirishima Tōka, Nuovo personaggio, Takatsuki Sen/Eto, Tatara, Urie Kuki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Caresti
a, portami gioia


Atto I

 – Non canto né fui cantore –


 
 
Capitolo secondo: O frati, i vostri mali …
 
 
“… Voglio parlarti di Kaido, perché … perché in un certo senso questo non è semplicemente un documento, non è semplicemente una denuncia. È il mio biglietto d’addio e le mie memorie, so che dovrei stringere – come stringe il tempo – è parlare di V e spiegare perché Kaido era lì quella notte, cosa lo ha condotto alla morte, però lui non era semplicemente un’altra vittima …”
 
 
Kaido Higurashi era la persona più stupida che Shizune avesse conosciuto. A distanza di anni Mei lo pensava ancora.
Quando aveva incontrato Dente di Fata, lei si faceva chiamare Shizune ed aveva nove anni. Lei voleva stare in pace sull'altalena, l'altro era suo coetaneo ed era già un bambino difficile che mordeva chiunque provasse ad avvicinarsi; con le pietre appuntite scriveva kanji osceni sul legno dei giochi.
Erano stati amici per quasi vent'anni ... Ed adesso Kaido era morto. Era nella sua pancia.
E tutto per colpa sua.
"Non posso dirti che la tua morte non sarà in vano, ma ti giuro Kaido ... Sistemerò tutto”, disse guardando lo specchio, quasi potesse scorgere nel suo riflesso lo spauracchio di Kaido, con i capelli sempre intrecciati e gli occhialini da aviatori con i peli azzurri.
La maschera più brutta che avesse mai visto, che aveva indossato per l'ultima volta la notte prima, prima di farle un occhiolino.
"Stai tranquilla Pesciolino, nessuna rete ti catturerà questa volta", le aveva detto con quel suo tono sempre malizioso. Era andato a darle delle informazioni e si erano ritrovati infilati nel mezzo di una manovra della CCG  verso una qualche disparata parte di Aogiri. Mentre fuggiva, Mei era certa di aver anche riconosciuto qualche maschera troppo sorridente.
...E poi Kaido era morto.
Aveva raccolto il coltello che aveva portato con sé, il quale era di fatto di acciaio quique - era stato difficile da trovare - ed aveva cominciato ad incidere la sua pelle sulle guance, prima la sinistra e poi la destra. Prima che la ferita cominciasse a rimarginarsi, aveva infilato sotto la cute delle protesi di silicone per sollevare gli zigomi e cambiare di poco la struttura del suo viso.
Aveva stretto i capelli scuri sotto una retina ed aveva indossato una lunga parrucca di un castano piuttosto chiaro, ondulati come onde.
C'erano voluti un altro po’ di lavoro ed accorgimenti e poi il viso emaciato di Mei, nota come il Ghoul Lisca, era scomparso dietro il viso sorridente e gli occhiali dalla montatura rossa e quadrata di Sadako Koijima, ghost writer imberbe.
Quel giorno avrebbe dovuto occuparsi di altro, ma non poteva lasciar perdere,  non poteva fare questo a Kaido. Doveva prima chiudere gli affari dell'amico o sarebbe stato capacissimo di ritornare come spettro.
Le sarebbe piaciuto vederlo un'ultima volta anche solo per ringraziarlo di tutto, invece non aveva neanche potuto dare lui un degno saluto. Se fosse stata un po' più coraggiosa avrebbe probabilmente provato a recuperare la valigetta in cui la CCG aveva fatto scempio del suo corpo.
Quando era riemersa dal bagno, di Aizawa erano rimasti solamente i fazzoletti sporchi di sangue che aveva usato per comprimere la ferita e gli aghi da sutura con cui si era ricucito la parte della coscia che lei aveva morso.
Ma non era andato via. Poteva sentire ancora il suo odore in tutto l'appartamento ed il respiro profondo dell'uomo dalla camera da letto.
Ogni volta Mei si chiedeva come fossero arrivati lì, come fosse successo, come un essere umano avesse potuto accompagnarsi ad un ghoul e come lei avesse potuto accompagnarsi a lui.
"Sei un po' come quelli che hanno un coniglio come animale da compagnia ma non hanno il coraggio di metterlo in forno”, quella frase gli fischiava sempre nella testa, la voce carezzevole di Gambit.
Forse aveva ragione, era per quel coniglio che Gambit era morto. E quello stesso uomo aveva aiutato a mutilare il corpo di Kaido. Lei lo aveva lasciato in pace dormire nel suo letto.
No, si rese conto con orrore, che  non era la codardia a frenarla.
Nobunaga, un suo collega alla rivista - o meglio un collega di Shukumei -  l'aveva riempita di chiamate e messaggi sugli avvenimenti che si erano svolti nella quinta circoscrizione quella sera. 
I Completi Bianchi, Dente di Fata e perfino Lisca in una retata. Giusto il materiale di cui Shukumei si occupava. Solo che lei si era messa in malattia un giorno prima. Aveva pensato che forse le cose non sarebbero andata lisce,   non aveva immaginato così male però.
La verità era che non era neanche certa che sarebbe potuto ritornare a scrivere gli articoli come Shukumei, cronaca nera inerente ai ghoul, visto che la sua principale fonte si era beccata da lei una testata la notte prima. Di tutte le maledettissime colombe che avrebbe potuto incontrare, Lisca aveva dovuto fare un frontale con Ito Kuramoto. Era rimasta di ghiaccio, terrorizzata che dopo tutte le volte che si erano parlati lui la potesse riconoscere, per questo non aveva notato la donna con la valigetta, che le aveva infilazato una lama nella pancia. Aiko Masa, aveva detto Aizawa, non l'avrebbe mai dimenticata.
La prima colomba ad averla beccata.
Aveva liquidato Nobunaga dicendo che non si sentiva ancora per nulla bene e quello si era ben prodigato per chiederle se doveva portarle del brodo o delle medicine. Era una personcina incredibilmente buona Nobunaga. Per quando Mei avesse cercato in tutti i modi di non voler stringere il loro legame, si era ritrovata inevitabilmente affezionata a lui. Era tutta colpa di Ivak, prima di lui non era mai capitato che si affezionasse così tanto agli esseri umani, aveva avuto delle simpatie in passato questo era vero, ma un legame così stretto mai prima di lui.
 
 
I suoi tacchi erano risuonati per l'androne dell'ospedale, con i suoi piccoli passi felpati. Doveva impegnarsi in maniera quasi estenuante nell'essere Sadako, molto più di quanto facesse con Shukumei.
Sadako era uno spirito giovane, sempre sorridente con un carattere zuccherino al limite dello stucchevole, Shukumei ... Somigliava in maniera quasi spaventosa a 'Mei'. Forse perchè era l'identità più lunga che avesse mai avuto, o forse perchè l'aveva modellata per essere tale.
La verità era che Mei in un certo senso pensava a Shukumei come la migliore parte di se stessa.
Si era diretta all'ospedale della prima circoscrizione come Sadako e come tale persona avrebbe dovuto agire.
Aveva salutato infermieri, dottori, passanti, chiunque, chinando il capo ed un sorriso con le labbra lucide. Ed era stata ricambiata.
La stanza che aveva cercato era al terzo piano, così aveva preso le scale ed aveva seguito il corridoio, facendo attenzione a non toccare mai con le scarpe rosse le righe delle mattonelle, fino alla camera dove risiedeva il suo amico.
"Buongiorno, raggio di sole!", aveva canticchiato, standosene ancora dirimpetto all'uscio, posando un fianco sullo stipite della porta. Yamada Taro era steso sopra un letto, aveva la nuca rivolta verso di lei, il viso guardava delle vetrate piuttosto ampie che davano su una caotica e macchinosa Tokyo.
L'intera stanza era così pregna dell'odore di fiori da rendere impossibile percepirne qualsiasi altro, anche per un naso buono come quello di un ghoul. Non era stato necessario neanche soffermarsi troppo nell'osservare la camera per poterne scorgere da ogni dove.
Taro si era voltato verso di lei, rimanendo però nella posizione supina, il suo viso era semi nascosto dal lenzuolo che aveva tirato fin sopra il naso, in un gesto che sembrava più vergogna che pudicizia. A Mei non sarebbe importato nulla, vedere quello che Taro aveva nascosto non l'avrebbe impressionata per nulla, ma Sadako era una ragazza che si era sempre mostrata turbata.
Aveva preso posto sulla sedia accanto al letto, mentre Taro la ricambiava con un cenno della mano. "Non posso restare molto oggi", aveva detto con un’espressione triste, mentre tirava fuori dalla borsa quello che era venuta a portargli. 
Di norma non gli dispiaceva passare del tempo con Taro, era un ragazzo piuttosto intelligente con una vera propensione per le teorie del complotto, le scie chimiche e la massoneria; Mei riconosceva che certe fossero probabilmente frutto della costruzione di un personaggio, castelli in aria del lato più indecente di internet, altre ... Un po' meno.
Aveva allungato a Taro un libro di Oneda, o meglio un libro che Sadako aveva battuto al pc, ma che portava la firma dell'esperto di ghoul. Alcune cose scritte lì sopra erano sensate e vere, altre erano molto simili a voli pindarici - anche se dopo aver conosciuto Kimi l'uomo si era dato una certa regolata.
La donna innamorata di un ghoul, quando l'avevano raccontato a lei, aveva ridacchiato, dicendo che era una cosa impossibile. Che ipocrisia, aveva pensato.
La Grande Ruota le piaceva, era lì che aveva conosciuto Oneda, Taro e gli altri. Erano venuti insieme a Sadako, letteralmente lei esisteva per loro.
Aveva sentito parlare di quel gruppo - chiamarla organizzazione sarebbe stato piuttosto eccessivo e pretenzioso - mentre ficcanasava un po' in giro come Shukumei. Avrebbe potuto continuare a tastare il terreno con quella identità. Ed invece si era ritrovata a crearsi un'altra ed era entrata nel La Grande Ruota.
 
Taro le aveva indicato qualcosa al suo fianco e Sadako aveva voltato il capo per vedere che apostrofava il comodino, su cui sopra vi era un vaso di gerani, un libro di Sen Takatsuki - scrittrice encomiabile, troppo lugubre; Nobunaga l'amava - ed il cellulare. Non aveva bisogno che Taro si impegnasse per specificare quale volesse, lei gli aveva passato l'apparecchio e lui aveva alzato un pollice in segno di assenso, prima di prenderlo e mettersi a digitare con una certa fretta. Poi aveva voltato lo schermo verso di lei.
"Oggi sei cupa”, aveva letto. Taro era davvero bravo a capire le persone, lei se n'era accorta subito, anche in una maniera piuttosto preoccupante. Essere Sadako voleva dire mentire sempre, costantemente, al punto che la menzogna diveniva verità. Certe volte Mei era convinta di essere Sadako, ma Taro sembrava essere lì, pungolante, a ricordarle che no non lo era, stava mentendo e che lui lo sapeva. O forse era solo la suggestione paranoica di Mei a farlo. "Ho avuto una brutta nottata”, aveva confermato con una voce spenta, prima di chiedere al ragazzo cosa fosse capitato a lui.
Non era strano che Taro stesse male, aveva diversi problemi fisici che lo portavano a frequentare gli ospedali con una certa frequenza, quasi fastidiosa, al punto che Mei aveva notato cercassero sempre di metterlo nella stessa stanza, come se in un certo senso fosse sua. Il ragazzo non amava affatto parlare di sé  e delle sue debolezze, era uno bravo ad irretire gli altri, leggeva le persone come libri aperti e gli spingeva a raccontare tutto di loro, ma scelse comunque di non svicolare la domanda che gli era stata posta. Ed ebbe anche la grazia di non indagare oltre sul suo malumore.
Questo non rendeva Mei più tranquilla. Si aspettava sempre che da un momento all'altro Taro si sarebbe voltato verso di lei e gli avrebbe detto, o scritto: "So che sei un ghoul”.
Il paziente si era messo a pigiare i tasti del suo telefono, mentre Mei aveva accavallato le gambe osservandolo. Era più giovane di lei, anche se non avrebbe saputo dire di quando, gli occhi però erano vivaci e amichevoli, di questo ne era certa.   La vita era stata impietosa con Taro. Sotto il lenzuolo Mei poteva figurarsi la carne mangiata, le cicatrici e tutto il resto; le aveva viste una volta, durante un incontro con Taro che si era scostato la sciarpa perchè aveva cominciato a dargli prurito.
"Enfisema sotto cutaneo, infezione e sanguinamento", aveva letto Mei le sterile parole che Taro aveva scritto sul suo telefono. “Roba brutta”, aveva aggiunto, mentre con la mano destra girava l'anello che portava sull'anulare della sinistra.
Taro aveva mosso le spalle, azione che forse gli era costata un po' di fatica, mettendosi seduto, con la schiena dritta e tenendo su il lenzuolo con la mano libera, per non farlo cadere. "Sono complicanze minori”, aveva semplicemente digitato. Aveva una flebo collegata ad un braccio, che non aveva notato.
"Ma stai tranquilla, Sacchan, sarò fuori presto, anche perchè inizio a non sopportare più stare qui dentro”, aveva scritto poi. Così incantata a guardare la sacca di liquido trasparente appesa all'uomo morto, Mei non si era accorta che quello avesse riportato altro, finché Taro non aveva provato a richiamare la sua attenzione con la sua voce.
Forse aveva cercato di chiamare il suo nome, era venuto fuori qualcosa di simile ad un risucchio, mischiato ad gorgoglio, per lo più silenziato dal lenzuolo. Qualcosa per cui si era comunque dovuto sforzare molto e per cui lei poi si era sentita in colpa. "Mi dispiace”, aveva detto di prima acchito. “Però sono contenta che sarai agli incontri, la tua mancanza si sente davvero molto" aveva ammesso con un tono dolce, pensando che per quanto fossero confusionari quegli incontri, il battito di mani di Taro che richiamava tutti all'ordine o l'attenzione su di lui sembrava davvero una forte mancanza.
"Però tranquilla, Kikyo mi ha portato tutti i verbali. Sa che siamo un gruppo al pari di un club del libro e non un comitato?", aveva digitato velocemente Taro, se era possibile anche i suoi occhi ghignavano.
"Kikyo prende i ghoul molto seriamente", aveva commentato Mei, con una mezza risatina. 
 
Ad averli interrotti era stato l'ingresso di un'infermiera, che aveva tossicchiato un po' per attirare l'attenzione su di lei. Non era particolarmente attraente come donna e neanche troppo giovane. Era piuttosto alta ed aveva un’espressione seccata sul viso, i capelli neri raccolti e gli occhi sottili. Forse non era neanche del tutto giapponese.
Taro aveva ridacchiato. "La tua fidanzata è qui" aveva detto l'infermiera con un tono molto criptico, che se possibile avevano reso ancora più divertito il ragazzo, il quale aveva anche rinunciato a coprirsi il viso.
Recuperato il suo telefono, Taro aveva digitato velocemente un altro messaggio.
"L'infermiera Zenji mi rimprovererà   sempre di essere uno svergognato”, aveva letto Sadako.  "Dice che ci sono sempre belle donne nella mia camera”, aveva digitato poi Taro, che nel frattempo aveva recuperato il lembo del lenzuolo per tirarlo su e nascondere il viso dal mento in su; Mei era certa d'essersi tradita così presa dagli occhi di fuoco di Zenji e dai messaggi del ragazzo non aveva mostrato alcun orrore per la pelle del viso.
Era in parte anche sospettosa che questi l'avesse fatto apposta. Era un ragazzo sveglio.
Zenji si era chiusa gli occhi dietro il palmo, "Si, sei uno svergognato”, aveva mormorato a mezza bocca con un certo modo esasperato. I due sembravano in una certa confidenza e questo non stupiva Sadako, era abbastanza certa, tenuto conto della costanza delle visite all'ospedale di Taro, che i due si fossero visti molto volte. 
Il ragazzo aveva digitato velocemente un altro messaggio.
"Ma sei tu la mia ragazza preferita”, aveva dovuto leggere Sadako con una risatina e Taro aveva strizzato gli occhi verso l'infermiera. "Non vedo l'ora di raccontarlo alla tua fidanzata”, aveva replicato quest'ultima.
Ancora una volta aveva utilizzato un tono strano e Mei aveva ricevuto l'antifona.  "Allora sarà il caso che io vada”, aveva squittito alzandosi dalla sedia dove era stata fino a quel momento e schioccando un bacio sulla tempia di Taro, "Non vorrei farti fare la figura del Dongiovanni”, aveva aggiunto.
Taro le aveva ricordato che sarebbe uscito entro un paio di giorni.
Lei gli aveva sorriso ed alla stessa maniera aveva ricambiato anche all'infermiera Zenji che non l'aveva prestata di nessun interesse, che invece si era fiondata direttamente su Taro.
Avrebbe potuto aguzzare l'udito ed ascoltare cosa di importate aveva lui da riferirli, ma alla fine aveva lasciato perdere. 
Il Grande Enigma che era Yamada Taro la intrigava, voleva anche risolverlo, ma quando avesse avuto tempo, adesso doveva risolvere le cose con Kaido.
Glielo doveva.
In parte era anche il motivo per cui si era ritrovata lì, il suo incontro con Taro non era stato disinteressato, avrebbe si dovuto incontrare il giovane lo stesso, ma avrebbe potuto rimandare.
Aveva preso le scale quando aveva visto salire la ragazza con i fiori e non aveva accennato a guardarla in faccia. Aveva continuato la sua discesa con il ticchettio dei tacchetti rossi lungo la scalinato.
La ragazzina con i fiori aveva voltato appena il capo, ma lei aveva appena svoltato l'angolo in tempo per evitarla.
Si era ritrovata inchiodata con gli occhi sanguini dell'Associato Classe Speciale Suzuya.
Non era raro trovarlo per l'ospedale, in particolar modo per quel reparto, ma non le era mai capitato di ritrovarsi così vicino a lui, per più di una ragione. La prima era una voce, che si era diffusa fra di loro, riportava che fosse in grado di riconoscere un ghoul semplicemente dall'odore.
"Salve, signorina Khurei”, l'aveva salutata Suzuya con un sorriso piuttosto aperto sul viso. “Agente”, aveva sussurrato Mei, toccando gli occhiali. Indossava il viso di Sadako, non era raro che qualcuno riuscisse a ritrovare somiglianze, ma non aveva mai visto nessuno riconoscerla così nell'immediato, nonostante l'odore diverso, la parrucca ed il viso aggiustato.
Inoltre l'agente che le stava di fronte non era mai stato una in sua compagnia, quindi si era decisamente sorpresa.
Suzuya le aveva sorriso.  "Quel colore di capelli non le sta bene", aveva confessato l'investigatore.  "Però sembrano veri”, aveva soffiato. "Sono sotto copertura”, aveva squillato Mei, passandosi le dita tra i capelli chiari, strizzando l'occhio a Suzuya prima di cercare una via di fuga.
L'agente l'aveva fatta fuggire senza preoccuparsi di fermarla e Mei aveva provato ansia per tutto il tempo. Avrebbe dovuto lasciare l'ospedale, ma prima doveva finire.
Si era diretta nel bar del interno; era sorprendete come la gente fosse abitudinaria.
Aveva trovato chi cercava lì, stava sorseggiando un caffè mentre leggeva un articolo giornalistico. Aveva fatto un po' ridere Mei, perchè da qualche parte tra le pagine di quel quotidiano c'era anche qualcosa scritto da lei.
Si era fiondata su di lui come un avvoltoio, e quello aveva appena sollevato il capo, per fissarla, senza nascondere una certa irritazione.
"Si?” , aveva chiesto il giovane e c'era un riverbero di rimproverò nella sua voce. Aveva un viso pulito da bravo ragazzo, i capelli ramati ed indossava degli occhiali sottili. Non era di certo un brutto uomo.
"Ho bisogno del tuo aiuto, Nishiki", aveva vuotato il sacco Mei.
Quello aveva sbattuto gli occhi per un secondo. "Scusa, chi cazzo sei?", le aveva chiesto senza nessuna remora.
 
"Come stai?"
La voce di Ivak veniva dall'altro capo del telefono, che era agganciato alle cuffiette con cui lo stava ascoltando.
"Quasi nuda ", aveva ridacchiato lei, mentre scalciava via dai piedi il vestito a fiori che aveva indossato come Sadako. "Come piace a me”, si era sentita dire, "Oh, ma per favore”, aveva digrignato lei, passandosi le mani sul ventre. Una leggera cicatrice attraversava l'addome, lì dove la lancia dell'Agente Masa l'aveva passata.
Fino a quel momento era appena un sottile segno scuro sulla pelle, presto sarebbe stato del tutto assorbito. Ci si poteva lamentare di tante cose su chi si nutriva dei propri simili, ma di certo si poteva ammettere che l'ammontare di cellule RC superiore faceva orribilmente comodo. La guarigione, la forza ... Funzionava tutto meglio.
Mei però non ci riusciva, le veniva la nausea, il disgusto ed un'infinita tristezza a pensare di potersi nutrire di un suo simile.
Eppure lo aveva fatto: in passato ed in quel momento.
Ed era stato Kaido, che era stato suo amico, per così tanto tempo.
"Sto praticamente facendo Superman nella cabina telefonica" aveva aggiunto, mentre toglieva anche le scarpe rosse posandole nel ripiano dell'armadietto.
Aveva lasciato il cambio d'abiti lì prima di andare da Taro: una palestra di modeste dimensioni che si occupava di lotta come facciata e combinava di tutto dietro. Nessuno faceva mai domande e Mei aveva costantemente bisogno che nessuno le facesse.
"Come ti vestirai? Shukumei? Lisca? Qualche altra identità che mi manca?”, aveva chiesto allora Aizawa, che questa cosa dei mille nomi sembrava sempre lasciarlo con un certo divertimento.
Mei aveva incontrato molte persone che non lo avevano capita, che forse l'avevano anche giudicata male per questo. Il proprio nome era la propria identità. Non era così che nelle leggende si prendeva il controllo delle creature? Possedendone il vero nome? No?
Beh, Mei sarebbe stata grata se qualcuno gli avesse detto il suo, non ne aveva mai avuto uno che potesse esser considerato tale ed aveva sempre continuato a cambiarlo. Ivak da questo punto di vista la capiva e contemporaneamente non riusciva; anche lui non aveva un nome, ma perchè aveva ripudiato quello che gli era stato dato per crearsene uno nuovo, che lo vestisse meglio.
Onestamente lei pensava ci fosse riuscito.
Invece lei non si riteneva così fortunata. Doveva ammettere però che di tutti i suoi nomi e di tutte le sue identità fossero state tre quelli che più aveva sentito come calzanti.
Forse perchè non li aveva scelti lei. Ed era così che funzionava con i nomi, infondo.
"No, nessuna identità nuova, nessuna identità vecchia”, aveva stabilito, senza mezzi termini, privandosi della parrucca, che aveva a forza ficcato in una vecchia borsa sportiva per indossarne un'altra, di un colore vivace e più finto.
Aveva lasciato il silicone negli zigomi però, ma aveva indossato dei capi d'abbigliamento più neutri e comodi, così come gli anfibi con il carrarmato che di solito utilizzava con lo pseudonimo di Lisca.
Erano sporchi di sangue sulle punte. Il suo. Aizawa aveva respirato appena nella cornetta, poi dopo un lungo sospiro aveva parlato "Senti, Mei, penso che tu non debba farlo e che sia un’immensa cazzata”, aveva detto.
Mei aveva arricciato le labbra, mentre si chiudeva l'impermeabile addosso. "Ne abbiamo già parlato, Ivak”, aveva stabilito.
"Ma è una cosa tipica di voi Ghoul essere così stupidi? Questo spiega perché morite come mosche”, aveva sillabato Ivak. Se sperava di ferirla, farla arrabbiare o distrarla era sulla strada sbagliata.
Aveva abbozzato un sorriso. “Sei, serio? Ascolto le tue cattiverie da anni, puoi fare di meglio, dottor Aizawa", aveva stabilito. "Oh forse è che ti stai preoccupando per me?”, aveva chiesto con un leggero divertimento.
Aizawa aveva detto più e più volte quanto loro fossero una strana combo su cui la natura doveva essersi impuntata e sapeva che all'inizio il dottore era stato guidato a lei per una pura attrazione verso la morte ed il pericolo. Ivak viveva la sua intera vita come una punizione che doveva essere espiata.
E gli aveva anche detto perchè.
"Si, beh sai, dopo tutti questi anni mi infastidirebbe dover addomesticare un altro ghoul", aveva buttato fuori quello, un po' irritato.
Le cose non erano più così da un po'. Ivak non era più il masochista che voleva provare a vedere quanto si potesse avvicinare ad una bestia prima di provocarla. Lei non era più quella affranta, disperata ed involucro di sé stessa.
Non erano più gli stessi.
Mei aveva riso, acre "Hai detto che non hai notizie su Dente di Fata, no?”, aveva chiesto retorica. Il caso era chiuso, perchè il Ghoul era morto e la sua carcassa se l'erano spartita il Carnefice, quel fedifrago traditore dell'investigatore Sasaki e lei. Che gli aveva voluto bene.
Che era stato il fratello che non aveva mai avuto.
Una persona diversa da lei avrebbe cercato la vendetta.
Era un imperativo sociale a cui aggrapparsi, ne era consapevole. Ma di tutte le cose che Mei aveva imparato sbagliate nella sua vita, il non perseguire la vendetta era una delle poche giuste.
Ricordava un giorno di tanto tempo prima in cui aveva cercato di insegnarlo a qualcuno che aveva quell'unico desiderio, quell'unico scopo, a cui aggrapparsi. A volte si chiedeva come sarebbe stata al sua vita se fosse stata più capace  di lottare per le cose che amava, anziché lasciarle andare.
"Ivak, andrà tutto bene”, aveva stabilito poi.
"Mi fai stare in ansia quasi quanto mi ci fa stare Oreo”, aveva sentito la voce di Aizawa. C'era un certo divertimento, "Un giorno mi spiegherai tanto perchè lo ami quell'investigatore”, aveva commentato lei, staccando le cuffie e mettendo direttamente il telefono all'orecchio, mentre si preoccupava di chiudere il resto nell'armadietto.
"Ma perchè lo ho sfornato io”, aveva risposto con un certo divertimento Ivak; "Questa cosa è raccapricciante" era andata dietro Mei.
Kaido Hiwa aveva avuto il suo nascondiglio nella prima circoscrizione, in mezzo gli investigatori, perchè da che ne avesse avuto memoria Mei era un po' un impavido ed un gradasso, gli piaceva vivere così sempre al limite.
Il commento di Mei era stato acido e spento in quel frangente.  "Ma perchè la prossima volta non ti trovi direttamente lo shinigami bianco come dirimpettaio?”, lo aveva provocato, non voleva esserci gioco nella sua voce.
Aveva percorso la strada fino a raggiungere il palazzo dove aveva vissuto il suo amico, fino al giorno prima. 
Il cielo cominciava a tingersi di una sfumatura rossastra, aveva sperato di riuscire a fare tutto in tempo, tutto prima, ma alla fine le ore della giornata erano scappate al suo controllo, senza che riuscisse ad organizzare tutto alla perfezione.
Il favore della notte li avrebbe aiutati, ma Mei sapeva che senza una precisa organizzazione si rischiava di morire.
Nel favore delle tenebre, il nero di certe giacche spariva completamente - no, non doveva pensare a ciò in quella situazione, non c'erano giacche nere da cui guardarsi, solo bianche.
Aveva scavalcato il muretto, quando si era accorta che nessuno aveva preso attenzione a quella zona ed era entrata nel giardino del condominio  e poi si era dovuta arrendere a percorre il piano scavandolo il verticale, premunendosi di non lasciare segni sulla facciata. Saltellando di balcone in balcone, cercando di non entrare mai nel campo visivo della finestra e sperando che con l'imbrunire nessuno notasse la figura oscura che si era seduta sul cornicione di un poggiolo verso gli ultimi piani.
A Kaido erano sempre piaciuti i posti in alto, forse perchè veniva dal basso. Forse non aveva più importanza.
Aveva scavalcato con un movimento fluido atterrando sulle mattonelle della balconata dell'appartamento ed aveva bussato contro il vetro.
Quando non aveva ottenuto risposta aveva forzato la finestra senza il minimo remora, limitandosi ad usare la forza e non altro. Allora si era infilata nell'appartamento, ritrovandosi nel soggiorno.
L'attimo dopo il suo kagune era scivolato letteralmente fuori dalla sua pelle, ponendosi come scudo, tra i denti aguzzi nelle punte aveva potuto distinguere una lama nera ed una mano che era rimasta impalata. Seguendo il polso che per un miracolo non era stato del tutto tranciato aveva trovato un giovane ghoul. I suoi occhi erano pozzi neri senza fondo, dove l'iride rossa non sembrava altro che una fioca scintilla che si andava ad esaurire. Lacrime di sangue cadevano giù come da una ferita, lungo le guance.
"Sono io,  Moryumaru”, aveva detto dolce, mentre le sue appendici si liquefacevano, davanti lo sguardo atterrito del ghoul.
Le sue lacrime si erano fatte cristalline di nuovo, così come i suoi occhi erano tornati nascosti, mostrando quella strana peculiarità delle iridi eterocrome. Moryumaru era crollato in ginocchio tra i singhiozzi, il coltello giaceva sulla moquette e lui con una mano si teneva il polso.
"Ho ... la notizia ... Kaido ....", le sue parole erano state un fiume in piena di uggiolati e Mei si era chinata per terra con lui e l'aveva stretto con forza, facendoli posare la testa sulla spalla.
Se Kaido era così vorace era perchè doveva sfamare due ghoul, lui e Moryumaru.
E solo gli Dei sapevano quanto fosse quest'ultimo incapace di provvedere a se stesso. Adesso sarebbe toccato a Mei prendersi cura dell'amante del suo amico. Era suo dovere.
"Si, Moryumaru, sì”, aveva sussurrato solamente, piangendo anche lei, per la prima volta da quell'infinita giornata. "Ma adesso devi ascoltarmi", aveva detto allontanandosi da lui. Il caso Dente di Fata era chiuso, ma di norma quando si uccideva un ghoul senza che se ne conoscesse l'identità, si facevano dei dovuti accertamenti, per vedere che giro avesse, dove agisse, con chi era in contato, se nascondesse altri ghoul ... Se degli umani lo avessero coperto.
E le colombe non erano stupide: Kaido predava con molta frequenza e di norma di ingordo se ne incontra uno su dieci, di norma un tale caccia voleva dire più bocche da sfamare.
"Non sappiamo cosa stanno cercando le colombe, né se arriveranno mai qui”, aveva sussurrato, "Ma capisci che dobbiamo andare via”, aveva aggiunto. "Prendi tutto quello che ti serve”, aveva impartito.
Moryumaru aveva continuato a fissarla con un certo pallore, senza riuscire a capirla davvero, gli occhi diversi erano sprofondati in un’agonia senza successo, i capelli biondi erano torturati macchiati di sangue e scivolavano sul viso. Avrebbe compiuto vent'anni a marzo dell'anno successivo, era così ...  Piccolo.
Sembrava assurdo, come alla sua età Kaido fosse una bestia che non temeva niente e nessuno.
"Shinra”, aveva sussurrato, "Io ... senza di lui, non vivo”, aveva sussurrato.
"Lo farai, lo so”, aveva mormorato lei, baciandoli la fronte. "Avevo la tua età quando lo shinigami bianco si è preso quella che più amavo”, gli aveva detto.
E ne aveva fatto un'arma. Così come sarebbe capitato a Kaido - ed Aizawa aveva partecipato a quello.
E lei lo aveva mangiato.
Se Kaido era stato lì quella sera era colpa di Mei. Perchè gli voleva bene e gli aveva dato retta sulle sue faccende. Se non fosse stato per lei, sarebbe vivo, avrebbe stretto lui tra le braccia Moryumaru.
 
Moryumaru aveva ficcato pochi vestiti in valigia, si era stretto una maglietta con una frase sconcia al viso ed aveva soffocato un pianto rotto, mentre Mei recuperava tutta la roba di informatica che il ragazzo le aveva detto di prendere.  Era bravo a smanettare con la tecnologia ed aveva aiuto in una maniera più professionale Mei con la creazione delle identità, specie in un mondo tecnologico come si stava rivelando il loro. Sarebbe stato più corretto dire che le faceva sparire; vite create ad hoc che scomparivano dietro codici binari e clik.
Se avesse avuto un nome, Mei pensava che lo Smacchiatore gli sarebbe stato appropriato.
Aveva ritrovato alcuni vecchi album, era assurdo come Kaido tenesse a cose così stupide come le foto, quando anche solo una di queste avrebbe potuto metterli tutti in pericolo.
Avrebbe dovuto bruciarle ed invece le aveva raccolte quasi tutte. Si era fermata a guardarne una, c'era Kaido con la tintura per capelli verdognola che sorrideva verso l'obiettivo ed al suo fianco con l'aspetto inquietante c'era Urameshi, con quel suo dannato rossetto viola. 
La foto, si ricordava Mei, l'aveva scattata lei. Sul retro con i segni sbilenchi, della brutta grafia che era stata di Urameshi, c’era scritto ‘Estate 95’.
Dieci lunghissimi anni prima.
Ed ora erano morti entrambi. Fatti a pezzi.
Kaido era stato ucciso dagli uomini. Urameshi dai Ghoul.
E allora, quale era il loro posto, nel mondo? "Ho fatto”, la voce di Moryumaru era un sussurro. aveva infilato la foto nella tasca dei pantaloni e fatto cadere l'album nella borsa che si era portata, "Dobbiamo far sparire ogni cosa che ti identifichi; DNA, foto ... nomi, qualsiasi cosa”, aveva cominciato a dire, ma appena aveva sollevato lo sguardo aveva trovato Moryumaru tremare sul divano, teneva ancora la maglietta tra le mani e la stritolava. "Shinra, voglio ucciderlo”, aveva sussurrato. E mai ti sparirà questa voglia, mai, neanche per un istante.  "Ci penseremo dopo”, gli aveva detto, accarezzandoli i capelli. "Adesso mi serve il tuo aiuto”, gli aveva confidato.
"Che dobbiamo fare?”, aveva miagolato lui.
"Dar fuoco a tutto”, aveva risposto Mei.
“… Kaido era stato il mio compagno di vita più di qualsiasi amante o amico. Ci siamo conosciuti bambini e siamo rimasti legati per sempre, erano le braccia in cui sempre avrei potuto ritrovare conforto.
Era mio fratello e la mia famiglia, prima e dopo la morte di mia madre, più di chiunque altro; tutti se ne sono andati, onestamente non credevo che avrei vissuto per vedere anche Kaido.
Ci siamo conosciuti da bambini e ci siamo presi cura l’un l’altro.
Dopo la morte di mia madre, dopo quella di Urameshi, di Iguza … non importava cosa Kaido era lì per me. Lì a dirmi che uscire con un clown era una cazzata e che stringere i rapporti con un essere umano era anche più stupido.
Le sue braccia erano sempre un posto sicuro dove trovare rifugio.
Kaido era meraviglioso, aveva un modo suo di essere e di fare, ma si prendeva sempre cura di chi amava ed aveva un gran cuore. Avrei voluto fosse un po’ più egoista, che avesse rifiutato di aiutarmi, che avesse deciso di
fregarsene di far scappare gli altri ghoul da quello scontro e che fosse tornato da Moryumaru.
Ho cercato di sistemare ogni cosa per lui.
Era inutile parlare di questo, ma dovevo, perdonami gli ultimi vaneggi melanconici, prometto di andare avanti.
… Però Kaido se puoi sentirmi: ovunque tu sia, prepara un bicchiere di bile per me”
 


N.B. Eccoci tornati con un delirante capitolo di Nulla; nello scorso capitolo abbiamo visto bene Aizawa ed in questo vediamo Mei. O almeno un po’ di lei.
Oltre a ciò: il capitolo è pieno di Guest Star di Ishida(Suzuya non doveva esserci, ma si è infilato, perché lo amo).
Riguardo a Yamada Taro … il suo nome è il corrispettivo giapponese di Jon Doe, Signor NN e co.
Come sempre ringraziamo Chemical Lady per aver betato questo capitolo (e tutte le maledizioni che mi ha tirato).
Il titolo del capitolo è una citazione del ventitreesimo canto dell’Inferno di Dante: I Fraudolenti.
Oltre ciò vorrei ringraziare chiunque ha letto, grazie di cuore.
Un bacio
RLandH
   
 
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