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Autore: Dakota Blood    13/05/2017    0 recensioni
Una serie di storie che vi toglierà il sonno.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Racconto: ‘La figura innominabile’ -Quindi, lei non riesce proprio a vederla?- Erano sul primo gradino della grande scala che portava al secondo piano, dove avrebbero dovuto cambiare le imposte della camera da letto. Alfred era il proprietario e aveva chiesto aiuto al suo vicino, il vecchio Dawson. -Cosa dovrei vedere di strano? Io vedo una scala imponente e nient’altro.- Certo, gli mancavano quasi quattro gradi, aveva superato la soglia degli ottant’anni e l’anno precedente non era riuscito a vedere nemmeno un ladro che era entrato dalla finestra e gli era passato davanti al naso rubandogli cinquecento dollari. Poi si era scoperto essere un ragazzino di tredici anni che aveva un bisogno incredibile di quei pochi soldi, solo per rovinarsi la vita. Droga era la parola che gli frullava in quella tasta bacata da adolescente disastrato e incompreso dai genitori che se la spassavano allegramente invece di occuparsi di lui e del suo viziaccio che infatti, all’età di ventiquattro anni se lo portò via all’altro mondo, lasciando solo un mucchietto di cenere e debiti di gioco. Nient’altro. Facile andarsene via, lasciando allo stesso tempo un piede sulla terra, come a dire.. Io me ne vado ma lascio agli altri i miei problemi, così non vi scorderete più di me. I genitori, infatti non se n’erano mai dimenticati, ed erano morti d’infarto tre anni dopo la sua scomparsa, causa la forte delusione, i troppi debiti da pagare e i troppi pochi soldi a disposizione. Ma quella era roba che apparteneva al passato, e non pesava quasi più. Adesso, il presente era quella scala che li avrebbe portati su, nella camera in cui si sarebbero dovuti sorbire il duro lavoraccio. E tutto perché i vecchi proprietari, i coniugi Mac Dawel, se n’erano infischiati come quasi tutti i venditori o affittuari di questo mondo schifoso. Se n’erano andati, o peggio ancora, erano vissuti in un mare di immondizia per oltre trent’anni, senza curarsi minimamente di cambiare le porte che erano quasi inesistenti, di sostituire le finestre che quasi crollavano e da cui entrava il gelo di Gennaio e il sole cocente di Agosto. Alfred non poteva attribuirsi tutto il lavoro, e Dawson sapeva essere così gentile e utile, perciò erano l’accoppiata vincente. All’inizio aveva seriamente dubitato delle forze del vecchio, ma quando l’aveva visto, appena la settimana precedente, accaparrarsi un carico massiccio di legna sul suo pick-up allontanandosi nel bel mezzo del bosco senza aver paura di orsi e altre bestie selvatiche, aveva capito che faceva al caso suo. Si, quello era l’uomo che lo avrebbe aiutato. Aveva fegato da vendere, nonostante l’età. Non era certo un pivellino come quell’idiota morto per la droga, no, qua si parlava di un ultraottantenne che non aveva paura di togliere i morti da sotto la terra, come si suol dire. Era l’uomo perfetto per quell’occasione, come l’uomo giusto al momento giusto. Ancora fermi a fissare il pianerottolo del piano superiore, l’anziano si tolse gli occhiali, premette gli occhi come per cercare di mettere a fuoco, e strofinò le lenti sulla maglietta consumata e bucata. Faceva caldo certo, ma accidenti, quell’uomo era quasi nudo, se non fosse stato per un paio di pantaloni verde militare e delle scarpe bucate. Il massimo dell’esagerazione! Quell’uomo era un genio del menefreghismo, lui faceva quel che voleva e fanculo pregiudizi e regole del mondo. Inforcò nuovamente gli occhiali, e solo allora aprì la bocca e fece una smorfia come di sorpresa mista a disgusto, ma non disse assolutamente nulla. -Allora, adesso l’ha vista o no? Mi vuole far credere che non abbia notato niente di strano lassù?- Dawson teneva le braccia conserte con un leggero sorriso fievole sulle labbra, come a dire.. Io non sono più spaventato perché ne ho già viste delle belle in quel piano della casa, ora tocca a lei. Il vecchio continuò a guardare in quella stessa direzione, ora chiudendo gli occhi per poi riaprirli in un secondo momento, giusto dopo un battito leggero di ciglia. Sospirò come se dovesse ammettere l’amara verità e parlò senza quasi farsi sentire del tutto, come se stesse parlando con il suo Io più interiore. -Qualcosa c’è senza dubbio, ma non saprei dire COSA. Mi sembra piuttosto una macchia o una sorta di muffa, un fungo apparso sul muro? Ma, forse sarebbe consono salire di sopra per avere la certezza che sia qualcosa di naturale, no?- Sorrise tristemente voltandosi verso il giovane uomo, come se da solo si fosse dato in pasto ai leoni,come se si fosse buttato dentro la bocca di un coccodrillo ammettendo che la sua vita non aveva più senso. In poche parole, sapeva di essersela appena cercata, volendo o non volendo. Alfred spalancò le braccia come per dire ‘ Se vuole, io sono pronto, sono qui tutto per lei, per esaudire il suo desiderio’ e non fiatò. Entrambi puntarono lo sguardo verso il muro, che appariva stranamente grigio.. Non aveva certo un aspetto sano, non era la classica casa accogliente in cui appena entri ti trovi a tuo agio. No, già dall’esterno sembrava la casa di un antico stregone o di un assassino che non si curava della pulizia ma solo di uccidere e ancora uccidere. I muri sembravano puzzare di umido e di qualcos’altro.. Sangue, forse? L’anziano salì i primi tre gradini, e Dawson gli fu dietro. -è sicuro di volermi aiutare per quel lavoro?- Il vecchio sorrise e i suoi denti erano storti, non tutti, ma solo quelli che si vedevano meglio, gli incisivi. Sembrava un roditore, uno scoiattolo che avesse avuto un qualche incidente e si fosse appena rotto i denti che gli sarebbero serviti per aprire le nocciole. - Certo, sono venuto qua per questo- -Nonostante…- -Si, nonostante…- Alfred fece un cenno di consenso, come a dire.. contento lei, contenti tutti e salì altri tre gradini, questa volta precedendo l’anziano che camminava curvo e la sua andatura era lenta e pigra. In quell’istante l’immagine che vide Alfred fu quella di una lumaca enorme che cercava invano di salire al piano superiore, una lumaca grassa con le antenne enormi e gelatinose, come una sorta di.. Fungo? Era fungo la parola che gli era venuta in mente? Si, probabilmente si, ma la scacciò via. Salendo i gradini, ora quasi in cima, vide che la stessa lumaca stava sorridendo, che il suo ghigno ai allargava quasi fino a dilatarsi alla follia, raggiungendo le pareti della stanza, della camera da letto, del pianerottolo. Ad un certo punto, sputò due denti, belli grossi, erano i molari ovviamente, e finirono sul pavimento provocando un suono sinistro, come di due biglie che erano rotolate giù per le scale. Niente di tutto ciò che aveva visto era reale, è ovvio, e questo lo sapeva bene anche lui, ma ciò che gli mostrarono i suoi occhi, proprio accanto alla soglia della camera in cui dovevano completare la ristrutturazione, quello invece era vero, senz’ombra di dubbio. La figura nera era proprio di fronte a lui, accanto all’armadio a muro, come se fosse scivolata al di fuori in cerca di cibo o incuriosita dalle voci. Non ebbe paura, d’altra parte la stava aspettando, sapeva che sarebbe stata li e che sarebbe uscita al momento opportuno. Il rumore l’aveva svegliata da quel sonno primordiale in cui era caduta anni, se non addirittura secoli fa. Adesso era arrivata l’ora della cena diciamo così, e ovviamente non si può andare a letto senza aver prima mangiato qualcosa di sostanzioso. L’anziano nel frattempo lo aveva raggiunto e appariva piuttosto tranquillo, la calma lo aveva sempre caratterizzato, non c’era dubbio, ma stavolta nemmeno il silenzio più totale e assurdo lo avevano insospettito o reso nervoso. Non una sola emozione trapelava da quel volto fisso e rigido, che sembrava una sorta di luna piena, con tanto di maree che erano i profondi solchi tutt’ attorno alla pelle decadente. -Vogliamo proseguire, giovanotto?- L’uomo non poteva certo vedere la faccia dell’uomo, e soprattutto non poteva capire che a meno di tre metri da lui, c’era qualcosa di anomalo e strano. Alfred si voltò lentamente, per paura di ruzzolare giù dalla scala, finendo addosso all’anziano. -Glielo chiedo per l’ultima volta, davvero vuole entrare in quella stanza?.- Il vecchio sorrise, come aveva fatto la prima volta, e Alfred questa volta ignorò la sua benevolenza e si distrasse con un cumulo di polvere insidiatasi sopra il terzo gradino, calciandolo via con la scarpa. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di non rivedere quella lumaca-roditore. Per un attimo, giusto una frazione di secondo, lo sguardo si spostò leggermente verso l’anziano, e colto dal disgusto, vide che gli colava della bava proprio agli angoli della bocca. Come.. No, niente. E invece si, proprio come una lumaca. Quell’uomo era forse il più atletico che si fosse mai visto, ma era anche così maledettamente disgustoso e viscido, come un verme solitario che striscia via, verso il piano anteriore. Poi, finalmente, quel sorriso si spense, ridivenne serio e composto, e parlò. -Ma certo, cosa vuole che possa succederci? Non c’è niente qua sopra, e adesso andiamo, o mi perderò la partita di baseball alla radio- Alfred capì che era arrivato all’ultimo inning proprio quando sentì quelle parole, la sicurezza del vecchio che era sconcertante e subdola. -Ha mai sentito parlare della vecchia figura?.- Il vecchio lo guardò, inforcando meglio gli occhiali, come se avessero un legame con le orecchie, come se avesse amplificato il suo udito e avesse eliminato ogni sorta di dubbio, come se avesse detto al mondo intero ‘ Adesso che ho addosso il mio scudo, niente può ferirmi, questi sono gli occhiali che mi proteggeranno dalla figura mostruosa, capite’? E invece non c’era niente di sicuro in quel posto, e soprattutto non stando vicino ad Alfred Grent. -La figura della bambina, intende?- E socchiuse gli occhi come per dire che era una storia già sentita, forse vecchia quanto lui, che nessuno ne parlava più ormai, perché nessuno credeva ai fantasmi in quella cittadina, nessuno in campeggio si sedeva attorno al fuoco e raccontava la storia della bambina che viveva nella vecchia casa abbandonata da tempo. Alfred rispose quasi ridendo -No, accidenti, quella era semplicemente una leggenda, la bambina di cui parla lei non è mai esistita. Sono stronzate che raccontava la nonna della bambina che abitava qua per far terrorizzare tutti i ragazzini delle vicinanze. Vede,qui prima la vecchia vedova Nathalie Ferner aveva degli animali, c’era una sorta di fattoria, e ogni tanto di notte quelli più maldestri si avvicinavano per da fastidio ai maiali della vedova, e beh, lei aveva raccontato in giro che ilo fantasma di sua nipote alloggiava li da anni, e che se si fossero avvicinati di nuovo, lei li avrebbe puniti, perché quelli erano gli animali della sua nipotina, erano affezionati soprattutto a lei. Ma non è una storia vera.- L’anziano rimase quasi stupito, come se avesse appena scoperto di esser rimasto da solo al mondo, l’unico deficiente che ancora non sapeva la verità. Forse il giorno prima aveva raccontato quella storia a qualcuno, credendo che fosse vera, e beh, oggi scopriva che era tutta una messinscena creata per degli stupidi ragazzini “ Allora, di che figura mi sta parlando?” Stavolta aveva quasi perso la ragione, aveva gridato, provocando un eco sonoro e profondo in quello spazio vuoto, in quelle camere senza mobilio e arredamento. Alfred si sedette sullo scalino e lo guardò dal basso, come fa un padre con il proprio figlio mentre deve dargli una brutta notizia. -Quella figura che lei non vede, appartiene a questa casa, c’è sempre stata. Non esce mai, non la vede nessuno a parte chi riesce a credere in lei. Io ci ho sempre creduto, e infatti l’ho sempre scorta tra quelle finestre logore dal tempo, svolazza dietro le tende e si siede anche sul vecchio materasso spesso. Ma, in ogni caso, il suo posto preferito è sempre stato il pianerottolo. Sta sempre accanto alle scale, forse in cerca di un rifugio, o forse perché è prossima alla fuga, prima o poi se ne andrà me lo sento. Adesso, mi crede?.- L’uomo deglutì e rimase paralizzato, con le mani sudate e le gambe che iniziavano a cedergli. -Ma, a chi appartiene?- Alfred lo guardò come se la sua domanda fosse scontata o inutile. -A nessuno, non appartiene proprio a nessuno, appartiene solo a se stessa. Io lo so perché una volta l’ho guardata negli occhi, e ci ho visto il buio. Ed il buio, non appartiene a nessuno, si sa. Non appartiene ne al cielo e ne alla terra, è li e ti guarda dentro, e se non stai attento c’è il rischio che ti renda cieco o folle. Adesso, mi crede? – Non riuscì a rispondergli e rimase impietrito, come un uomo privo di conoscenza. Poi quasi per magia, la lingua gli si sciolse e la voce gli fuoriuscì chiara ma lieve, come in un sussurro impercettibile, -Si, la credo, Ora vogliamo finire il nostro lavoro?- E Alfred fece cenno di si con la testa, fece entrare il vecchio nella camera, vide che la figura era li, pronta a fuggire non appena avesse trovato qualcuno che non temeva a quella storia, ma nel frattempo moriva dal desiderio di afferrare le paure dei più superstiziosi e deboli. L’anziano si voltò, in cerca di aiuto, proprio mentre si rese conto che un ombra nera si era gettata su di lui, divorandolo. Riuscì a malapena a parlare.. -Alfred… Il lavoro…- Ma Alfred stava già ridiscendendo le scale, decidendo di non tornare mai più in quella maledetta casa. Il lavoro, si il lavoro era stato fatto e quelle finestre in realtà non avevano mai avuto bisogno di essere state cambiate, almeno non adesso. Il fatto era un altro, che quella figura aveva bisogno di essere creduta, non poteva starsene li priva di vita per l’eternità. Alfred si chiuse la porta alle spalle senza girarsi indietro a dare un’ultima occhiata, sapendo che non avrebbe fatto salire più nessuno al secondo piano. -La figura innominabile ha mietuto un’altra vittima stanotte- E così dicendo, voltò l’angolo per addentrarsi in View Street, mente il buio lo inghiottiva completamente, un po’ come stava facendo la figura innominabile con il vecchio John Dawson. Bisogna stare attenti a ciò a cui si crede.
   
 
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