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Autore: FRAMAR    14/05/2017    28 recensioni
Sono rimasto deluso di Marco un uomo sposato che mi ha illuso, ma poi abbandonato Ho cercato di arrivare a lui attraverso il figlio Federico, ma purtroppo mi sono innamorato del figlio... ho deciso: meglio restare soli non è giusto usare i sentimenti di questo ventenne. La cosa giusta è lasciarlo.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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UN ANNO E’ TROPPO LUNGO



 
Dovrei congratularmi con me stesso per essere riuscito a ottenere ciò che volevo, invece provo una sensazione di angoscia, come se non sapessi più gestire la mia vita. Sono confuso, devo riflettere. Devo capire quali sono i miei veri sentimenti.

Digito un sms a mio fratello Francesco, solo poche parole: «Scusa, ma non possiamo vederci, ti telefonerò».

Prendo il Trolley ed esco. Sono le otto del mattino ed è una domenica gelida. In lontananza scorgo le cime innevate. Salgo in macchina, metto in moto e parto.

La casa della nonna è circondata dagli alberi, oltre i quali si estendono i frutteti ormai abbandonati, da quando lei non c’è più.

Una volta arrivato, parcheggio, scendo e mi avvio in fretta alla porta. Appena entro sento il freddo pungente, tipico delle case disabitate, e penso che per prima cosa devo mettere in funzione la caldaia.
In  attesa che la casa si riscaldi vado in paese ad acquistare provviste alimentari per alcuni giorni, ancora non so per quanti. Al ritorno accenderò anche il camino, Non vedo l’ora di sedermi nella vecchia poltrona della nonna a guardare la fiamma, lasciando liberi i miei pensieri.

Non ci sono distrazioni in questa casa, il televisore non funziona, non ho portato il computer. Ho con me solo il cellulare. Ma ho deciso che terrò rigorosamente spento. Mi siedo guardando le fiamme. E subito arrivano i ricordi.

«Andrea, io sono sposato.»

Marco me lo disse dopo tre mesi che ci frequentavamo, troppo tardi perché potessi smettere di amarlo. Fu come ricevere una pugnalata al cuore.

«E allora perché sei qui con me?»

«Perché sono innamorato di te,» rispose, abbassando lo sguardo.

Avevo ventisei anni. Marco più di cinquanta, avrei dovuto interrompere allora il nostro rapporto, ma ero già troppo innamorato di lui e mi illudevo che ci fosse un futuro per noi. Non  mi importava della nostra differenza di età, lui mi amava, ne ero sicuro.

«Divorzierò da mia moglie, il nostro rapporto è ormai solo un’abitudine. Dammi tempo,  però, è un momento delicato. Nostro figlio è in Inghilterra a studiare e non posso lasciarla proprio ora.»

Volli credergli.

Per alcuni mesi continuammo a incontrarci in un albergo in collina,  poi andai a vivere da solo e la mia piccola casa divenne il nostro angolo segreto. Marco mi aiutò ad arredarla e ricordo ancora la sensazione meravigliosa che provai: sembravamo una coppia vera. A volte immaginavo: chissà avremmo potuto adottare un bambino ed in un momento di esaltazione glielo dissi. Mi guardò esterrefatto.

«Andrea, sarebbe una follia!» esclamò.

In quel momento intuii, forse per la prima volta, la fragilità del nostro rapporto.

Quando una sera mi disse che aveva raccontato tutto a sua moglie e che lei aveva reagito malissimo, supplicandolo di restare ancora per qualche tempo, la paura di perderlo mi gettò nella disperazione più cupa.

«Ci ho provato, ma non posso lasciare mia moglie, non ora», mi disse. «Potrebbe fare una pazzia cerca di capirmi.»

«Questo significa che tra noi è finita. Che non ci vedremo più?»

«No, questo mai! Ti amo troppo per lasciarti.»

Mi strinse forte a se e facemmo l’amore. E in quel momento, tra le sue braccia, pensai a quanto il mio ruolo di amante, in fondo, avesse aspetti positivi rispetto a quello di una moglie. Marco stava con me perché lo  desiderava, facevamo l’amore con passione, perché ci amavamo, vivevamo  come fosse l’ultimo, in una simbiosi inebriante.

Mi convinsi di essere comunque al primo posto nel suo cuore.

Non conoscevo sua moglie, ma da quel poco che Marco mi raccontava, mi ero fatto l’dea di una donna priva  di spessore, legata a lui più per senso del dovere, e per abitudine, che per amore.

Ne parlai un giorno con mio Fratello Francesco, l’unico tra parenti e amici, a conoscenza della mia relazione con un uomo sposati e che ero gay.

«Non hai mai pensato di andare a parlare con sua moglie?»  Mi chiese, dopo avermi ascoltato?.
Lo guardai sbalordito da quella domanda, a cui neanche risposi.

«Io se fossi in te, ci andrei,» insistette lui. «Tanto sa della tua esistenza…  no?»

Già lo sapeva o no? A volte dubitavo che Marco le avesse davvero chiesto la separazione. Forse per lui, come per la maggior parte degli uomini, era comodo che nulla cambiasse nella sua vita. Aveva la sicurezza della famiglia e per la passione c’ero io. Bastava inventare qualche scusa, di tanto in tanto.
«Certo che lo sa, » risposi, invece, più per convincere me stesso che mio fratello. Ma è la tipica donna disposta a tutto pur di non perdere il suo ruolo di moglie.

«Be’ prova a metterti nei suoi panni» disse Francesco. «Io sono sposato e anche io ci tengo a non perdere il mio ruolo, perché amo mia moglie.»

«Sai benissimo che non ho cercato un uomo sposato. E’ successo e basta. E la nostra è una vera storia d’amore.»

Possibile che mio fratello non capisse?

Se non mi era  mai passato per la testa di incontrare  la moglie, avevo però sempre cercato di carpire informazioni  da Marco su di lei e suo figlio Federico. Ma solo  perché ero curioso e quello era un modo per comprendere lui.

«Domenica festeggiamo il compleanno di Federico,» mi aveva detto Marco una sera, mentre eravamo a casa mia. «Ha già venti anni, non mi sembra vero.»

«Insomma sei meno di me. Non ho mai visto una sua foto, ti assomiglia?»

Marco, allora aveva prontamente armeggiato sul suo smartphone , con orgoglio. Federico era un bel ragazzo e gli assomigliava, in particolar modo nello sguardo.

Mi ero stretto a lui istintivamente, quasi a voler condividere quella parte della sua esistenza che non mi apparteneva e mai mi sarebbe appartenuta.

In momenti come quello mi sentivo irrimediabilmente fragile. Non volevo perderlo e non so cosa avrei dato per diventare il suo unico amore.

Ma un giorno, qualche settimana dopo la chiacchierata con mio fratello, tutto fra noi finì.

«Non riesco più a vivere nella finzione,» mi disse Marco una sera, mentre eravamo a casa mia.

Avevamo appena cenato in un strano e inusuale silenzio, che mi aveva fatto presagire il peggio. Ma fino a quel momento avevo fatto di tutto per allontanare quella brutta sensazione.

«Ti capisco, sarà difficile, ma devi lasciare tua moglie. Parlale ancora, vedrai che capirà.»

«Non è con lei che devo parlare, ma con te», rispose lui. «Ho preso una decisione e non sai quanto mi costi. Andrea, questa è l’ultima sera che ci vediamo.

No non poteva essere!

Scoppiai a piangere e lui mi strinse a sé, ripetendo più volte che mi amava tanto. Ero distrutto dal dolore, sapevo che ci stavamo dicendo addio per sempre.

Nonostante tutto accettai che si fermassi a dormire da me, e fu una notte di grande passione. Dentro di me speravo ancora che ci ripensasse.

Ma quando la mattina dopo Marco uscì da casa mia, ebbi la certezza che tra noi era davvero finita.

«Cerca di farti forza», mi disse Francesco il giorno dopo, quando gli raccontai quello che era successo. «Era una storia senza futuro, lo sapevi fin dall’inizio.»

«No, non può essere finita, non posso vivere senza di lui, non posso!», gridai, tra le lacrime.

«Calmato Andrea, ti prego. Sei un bel ragazzo, perché vuoi rovinare la tua vita per un uomo che ti può dare solo dolore? Sei giovane, guardati attorno, dimentica questa storia e ricomincia da capo».

Sapevo che aveva ragione, ma come spiegarlo al mio cuore?

Cominciai a trascorrere gran parte delle mie notti sveglio e quando mi addormentavo ero  tormentato da sogni uguali: Marco che si allontanava da me.

«Mi basterebbe potergli stare vicino, vederlo almeno ogni tanto. Mi aiuterebbe a vivere», dissi a Francesco un sabato mattina che era passato da me.  «Devo fare assolutamente qualcosa. Sentirlo. Rivederlo.»

Erano quasi due mesi che Marco mi aveva lasciato, ma il dolore, anziché attenuarsi, diventava ogni giorno più violento. Non riuscivo a rassegnarmi alla sua assenza.


«Andrea, comincio a essere preoccupato per te, stai rasentando la follia», esclamò mio fratello. «Ti sei chiuso in casa, esci solo per andare in ufficio, non vedi più gli amici. Non puoi continuare in questo modo, ti stai facendo ancora più male.»

Probabilmente era cos’. Ma il mio cuore non voleva sentire ragiono. Marco era un pensiero fisso, non mi interessava nient’altro. Ogni sera, prima di andare a dormire, trascorrevo un po’ di tempo al computer a controllare la posta elettronica, sperando invano in una sua mail. Poi aprivo Facebook, a volte scambiavo commenti con i miei amici virtuali. Ormai mi erano rimasto solo loro.

 
Sapevo che Marco non era iscritto a nessun social network, ma cliccavo spesso il nome, nell’assurda speranza di poterlo incontrare, almeno lì.

E un sabato sera, solitario e monotono come ultimamente lo erano tutti i miei sabato, mi balzò il cuore in gola nel leggere il nome di suo figlio,  che riconobbi nell’immagine del profilo.

Fu in quel preciso momento che mi balenò nella testa un’idea: attraversi lui sarei potuto arrivare a suo padre. Rivederlo, parlargli, stargli vicino…

Subito andai a sbirciare nella pagina di Federico, lessi le sue preferenze in fatto di musica, letteratura e cinema e non riuscii a resistere alla tentazione di entrare in una conversazione aperta, per esprimere il mio parere su una cantante di successo. Non mi restava che attendere una sua reazione al mio post e, chissà, magari una sua richiesta di amicizia.

Attesi fino a mezzanotte, ma non accadde nulla, così andai a dormire, pensando che mio fratello Francesco avrebbe disapprovato il mio gioco, se avesse saputo.

Trovai la risposta di Federico il mattino seguente e, come avevo sperato, anche la sua richiesta di amicizia. Iniziò così, tra noi, uno scambio quotidiano di post che, dopo alcuni giorni, si trasformò in uno scambio di messaggi personali. Andammo avanti per quasi tre mesi, finche lui fece il primo passo.
«Abitiamo nella stessa città, perché non ci incontriamo? Domani sera sono invitato a una festa, vieni con me?», mi scrisse.

«Amici o parenti?», mi informai.

Volevo essere certo che non si trattasse di una festa in famiglia. Ma solo perché non ero pronto a incontrare Marco e sua moglie. Non ancora almeno.

«Amici tranquillo. Sono appena riuscito a sfuggire al controllo di mia madre e non ho alcuna voglia di partecipare a feste di famiglia. Donna stupenda, mia madre, ma un po’ troppo chioccia», rispose.

«E tuo padre che tipo è?», azzardai.

«Contrariamente a quel che si dice sui rapporti padre-figlio, io e lui andiamo alla grande! E’ un padre perfetto. Allora vieni?»

«Sì, volentieri.»

La sera dopo mi preparai con cura e quando ci incontrammo mi resi conto immediatamente di piacergli.

Federico era un ragazzo simpatico e decisamente bello. Certo non aveva lo stesso fascino del padre, ma mi sentii subito a mio  agio con lui. Mi trasmetteva un senso di familiarità, e mentre ballavamo  e i nostri volti si sfioravano, mi abbandonai a quella dolce sensazione.

Fu una bella serata, la compagnia di Federico era piacevole, anche se lo trovavo troppo giovane per me.

Forse avevo  esagerato con il vino, o più probabilmente era stato il mio eccessivo sognare di essere con Marco, fatto sta che al momento dei saluti, Federico mi strinse  a sé avvicinandosi fino a sfiorarmi il volto, ricambiai il suo bacio.

«Quando ci rivediamo?», mi sussurrò. «Sei fantastico.»

Mi piacque il suo entusiasmo e ci incontrammo ancora, diverse volte. Tra noi ci furono baci e scambi di tenerezze, ma nulla di più. Provavo trasporto per Federico, mi piaceva stare ad ascoltarlo quando mi raccontava della sua vita, della sua famiglia soprattutto, ma non ero guarito dal mio amore per Marco. Anzi, più che mai volevo arrivare a lui, entrare nella sua casa, scoprire com’era la sua vita insieme alla moglie. Volevo guardarlo negli occhi per capire se mi amava ancora. Federico era solo un mezzo per me.

«Sei molto legato ai tuoi genitori», osservai una sera, dopo che mi aveva raccontato un episodio familiare accaduto anni prima.

«Forse perché sono speciale. Te li farò conoscere, vedrai, ti piaceranno. Sono simpatici e poi sono tenerissimi. Si amano ancora. Io ogni tanto li prendo in giro.»

 
Mi prese un colpo. Provai un senso di angoscia fortissimo, sarei voluto fuggire e forse Federico notò il mio cambiamento di umore, perché mi strinse la mano con forza.

«Scusa, Andrea, ti sto annoiando, parlo, parlo sempre di loro.»

Mi abbracciò teneramente e rimanemmo a lungo così,  mentre io mi sentivo terribilmente in colpa: stavo usando questi ragazzo dolcissimo, stavo giocando con i suoi sentimenti. Ma nonostante fossi consapevole di ciò che stavo facendo, non seppi fermarmi.

Da quella sera sono trascorsi sette mesi in cui non fatto altro che evitare mio fratello. Che però l’altro giorno mi ha dato un ultimatum.

«Andrea, non accetto un altro rifiuto, sabato sera vieni a cena da me».

«Veramente avrei un impegno…», ho provato a ribattere.

Ma lui ha insistito talmente tanto che sono stato costretto ad accettare.

Francesco è bravo a cucinare e la cena sabato è stata deliziosa. Sua moglie, poi è una donna cordiale e simpatica, a tavola abbiamo conversato piacevolmente. Ma mio fratello non vedeva l’ora di farmi il terzo grado. L’ho capito da come mi guardava.

«Allora, cosa mi racconti? Ho la sensazione che tu e Marco abbiate ricominciato a frequentarvi», mi ha chiesto, infatti, mentre l’aiutavo a sistemare la cucina.

«No, assolutamente!» ho detto, facendo di tutto per non incrociare il suo sguardo. «Esco con un ragazzo da un po’, ma nulla di importante.

«Mm, ho come l’impressione che ti sia di nuovo innamorato».

«Figurati ormai sono vaccinato contro l’amore».

«Ah sì? Ma il richiamo l’hai fatto?», mi ha chiesto ridendo. «A parte gli scherzi,  non fare pazzie, mi raccomando».

Mi ha guardato dritto negli occhi, con quel suo modo da fratello maggiore, e per un attimo sono stato sul punto a cedere e raccontargli tutto. Ma non l’ho fatto.

«Per favore, Francesco, smettila di preoccuparti per me», ho detto invece.

Per fortuna non ha insistito.

Appena uscito da casa di Francesco ho controllato il cellulare. C’era un sms di Federico: «Pe favore chiamami, non importa a che ora». Erano le undici e mezzo, cosa voleva? Arrivato a casa l’ho chiamato.

«Che c’è, Federico? Sono appena rientrato dalla cena da mio fratello».

«Scusa, non volevo farti preoccupare. Avevo solo bisogno di sentirti. Ci vediamo domani, vero?», mi ha chiesto con ansia.

«Si, eravamo già d’accordo mi pare».

Ho provato un’improvvisa tenerezza per lui.

«Ok, allora a domani. Dormi bene», mi ha detto.

Ho intuito che avrebbe voluto aggiungere qualcosa, forse continuare la conversazione, ma non l’ho incoraggiato.

«Grazie Federico, buona notte a te.»

Sono rimasto per qualche istante con il telefono in mano a fissare il vuoto. Il tono della sua voce, colmo di dolcezza e allo stesso tempo bisognoso di conferme, mi ha spaventato. Perché ha toccato il mio cuore e per la prima volta mi sono chiesto che cosa provassi veramente per lui. Lo amavo? No, non era possibile, io amavo Marco.

Guardo il camino. I pezzi di legno sono ormai brace.

Sto bene qui, mi sento in pace con me stesso. La casa si è scaldata e mi sembra quasi di sentire il profumo dell’arrosto di nonna Valentina. L’immaginazione mi fa rivivere i momenti felici trascorsi con lei, mi sembra quasi di vederla sfaccendare in cucina. Quanti mi manca! A lei raccontavo tutto e quante volte i suoi consigli, i suoi abbracci mi  hanno aiutato. Se tu sapessi, nonna Valentina, in che ginepraio mi sono cacciato.

E’ buio ormai, e la fame si fa sentire. Scaldo il pollo arrosto comprato alla rosticceria del paese.
«Ci vediamo domani, vero’»: La domanda di ieri di Federico mi balza improvvisa alla mente, mi sembra di vedere il suo sguardo e, per la prima volta, non è la somiglianza con quello di Marco a farmi battere il cuore, ma sono i suoi occhi innamorati.

 
Lo notte trascorre lentamente, tra continui risvegli, finché i primi bagliori del mattino filtrano dalla finestra. Mi alzo e guardo attraverso i vetri: un pallido sole illumina la campagna e gli alberi spogli del bosco e del frutteto. E’ lunedì, devo avvertire in ufficio della mia assenza. Oggi rimango ancora qui, ne ho bisogno.»

Accendo il cellulare, e ci sono tre messaggi di Federico:

“Non capisco il tuo sms, aspetto una telefonata”.

“Intendi dire che non ci vediamo più?»

“Chiamami per favore. Non faccio che pensare a te!”

Come posso dirgli che la nostra breve storia è già finita?

Mi sto innamorando di lui, ora lo so, ma non posso raccontargli la verità. Non posso dirgli che quel messaggio si su Facebook non è stato casuale. Non posso confessargli quali erano le mie vere intenzioni? Non posso rivelargli che sono stato l’amante di suo padre.

Ci sarà un modo per uscirne? Intanto, devo chiamarlo. Non posso lasciarlo così, non se lo merita.
«Ciao Federico, devo parlarti» gli dico appena risponde al telefono. Ora non sono in città, ma  se preferisci possiamo incontrarci questa sera.

«Ho già capito Andrea, ti risparmio di guardarmi negli occhi» risponde con voce piatta.

Vorrei gridargli che lo amo, ma mi trattengo.

«Ho paura che non potrebbe funzionare tra noi, almeno per ora,» dico «Sono reduce da una storia complicata, ho bisogno di riflettere.»

«Se hai bisogno di tempo io posso aspettare, sai sono ancora giovane», dice con una nota di speranza nella voce. «Perché ti amo, Andrea. Ti amo moltissimo».

Devo fare uno sforzo enorme per non rivelargli i miei sentimenti. Mi invade una grande tenerezza, vorrei essere lì con lui e abbracciarlo forte.

«Non dipende da me. Vivi la tua vita, Federico, non voglio trattenerti, non posso farti aspettare.»

«Ma di quanto tempo hai bisogno.»

«Federico, non lo so.»

«Io sono disposto ad aspettarti. Ti basta un anno? Diamoci appuntamento fra un anno, scegli tu il posto. Ti prego, Andrea , dimmi di sì.»

Mi fa sorridere il pensiero di fissare la data e il luogo, sembra quasi un gioco da ragazzi. Ma Federico merita di essere accontentato.

«D’accordo. Ci vedremo tra un anno. Va bene per te?»

«Si, certo . Io ci sarò, puoi scommetterci, ti amo, Andrea, e ti amerò anche allora!»

Ci salutammo così, con una strana, romantica promessa.

Un anno per riflettere.

E’ un dolce modo di dirsi addio. Quante cose possono cambiare in un anno. Auguro a Federico di innamorarsi di nuovo.  E magari, chissà, potremmo incontrarci davvero tra un anno, ma come due amici speciali.

Spengo il cellulare e sento le lacrime scivolarmi sul volto. In qualunque modo finirà resterai nel mio cuore, Federico carissimo.

Presto tornerò a casa. Con la consapevolezza che questa non è una fine, per me, ma l’inizio di una nuova vita.

O dio, squilla di nuovo il cellulare, chi sarà a quest’ora?

«Ci ho pensato. Un anno è troppo lungo, vengo subito. Pronto… pronto. Ci sei? Ci sei ancora? Hai capito? Vengo subito».

Non riesco a rispondere, sto piangendo… piango di gioia… lo amo.

"Ti aspetto Federico, ti amo anche io…"

   
 
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