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Autore: Always_Always    14/05/2017    2 recensioni
Post 4x11 | Spoiler!
Perché Clarke ha una debolezza, una sola.
(...)"È come hai detto tu, Clarke: non ci sono persone buone. Ci siamo solo noi che facciamo del nostro meglio per andare avanti".
"E se il nostro meglio non fosse abbastanza? Che succederà la prossima volta che dovrò scegliere tra te e gli altri?"(...)
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Home (where is?)'
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P.S: L'ultimo episodio mi ha lasciata in balia di emozioni fortissime che non sono riuscita a controllare e che ho riversato impunemente nella Bellarke - per questo avviso che Bellamy e Clarke potrebbero risultare un po' OOC per alcuni lettori. Non ne sono sicura, in realtà, però è meglio avvisare. Il fatto è che questi due hanno così tanto sottotesto in sospeso che dovevo farli parlare, a un certo punto. 
 




UNSTEADY
(tell me we're gonna be alright)




 
Mama, come here
Approach, appear
Daddy, I'm alone
'Cause this house don't feel like home

If you love me, don't let go
If you love me, don't let go

(X Ambassadors, Unsteady)




 

"È finita", dice Clarke, dritta davanti a lui. "Non posso più stare al comando".

Bellamy Blake non riesce a rispondere subito - troppi pensieri si affollano nella sua testa impedendogli di ragionare con lucidità, poi si sofferma sul volto di Clarke e nota una serietà che lo atterrisce. Bellamy Blake conosce abbastanza Clarke Griffin da saper interpretare ogni suo minimo gesto: arriccia le sopracciglia quando è irritata - "L'unico motivo per cui l'Arca penserà che sono morta, è se sono morta. Capito?"; si morde le labbra quando è sovrappensiero - "Hai mai espresso un desiderio a una stella cadente?"; diventa impassibile quando è fermamente decisa, lucida e apatica come una statua di marmo - "Resterò qui, a Polis. Mi dispiace".
Questa è una di quelle volte. Clarke ha lo sguardo affilato e immobile - Bellamy è quasi schiacciato da quella decisione improvvisa e radicale, tanto che deve sbattere le palpebre più di una volta per ritornare in sé.

"Perché?" le chiede infine - non riesce a pensare di non poter più contare su di lei, di non architettare piani sotto la sua supervisione e di non provvedere al bene comune insieme, soffrendo e sacrificando allo stesso modo; Bellamy sente il petto appesantirsi e trascinarlo verso il basso, allo stesso tempo avverte la terra crollare sotto ai suoi piedi. Non si sentiva così smarrito da quel terribile giorno in cui Echo gli aveva lanciato ai piedi la spada spezzata di Octavia per convincerlo che fosse morta - aveva sperato che l'avrebbero giustiziato, in un primo momento, poi era subentrata la rabbia cieca e deforme che sbraitava dentro di lui graffiando ogni singola parte del suo corpo e alla fine era arrivata la disperazione.

"Non è evidente?" risponde Clarke. C'è qualcosa di stonato nei suoi lineamenti lividi, qualcosa che lo induce a pensare che anche lei, dentro di sè, si senta smarrita almeno quanto lo è lui. Solo che Clarke ha barricato i suoi sentimenti dietro una porta chiusa e ha gettato via la chiave - a volte gli piacerebbe sapere chi diavolo le ha messo in testa l'idea che l'amore è debolezza per poterlo strozzare con le sue stesse mani; perché se c'è una cosa che ha imparato in questo inferno in cui sono costretti a vivere è che l'amore è l'unica cosa che gli impedisce di mollare - perché anche nella tempesta più nera è sempre il volto di Octavia a guidarlo verso la salvezza.
Ma Clarke non ha una sorella. Clarke ha una madre che non la guarda più allo stesso modo e un popolo che le addossa le cause delle sue sventure, come se Clarke si divertisse a scegliere e a farlo male. La verità è che Clarke sbaglia e impara come tutti gli altri, soffrendo più degli altri - ed è una ragazzina, maledizione, una ragazzina che non ha avuto il tempo di esserlo e che non lo sarà mai più.
Bellamy vorrebbe proteggerla anche da questo - dagli altri e da se stessa - ma ci sono cose a cui nemmeno lui può porre rimedio, nemmeno con tutto l'affetto che prova.

Di nuovo, il tono rigido di Clarke lo riporta con i piedi per terra: "Non sono riuscita a spararti", sussurra, con lo sguardo basso.
Bellamy si ghiaccia sul posto. La consapevolezza del significato nascosto di quella frase si arrampica lungo la sua colonna vertebrale fino ad arrivargli all'orecchio. Sa quello che sta per dirgli prima ancora che Clarke continui a parlare - ma lei ormai ha cominciato e non può fermarsi, non ora e non con lui.

"Avrei dovuto fare quello che pensavo fosse meglio per il mio popolo ma non ci sono riuscita. Perché si trattava di te".
"Clarke…"
"A.L.I.E. sosteneva che i miei amici fossero la mia debolezza", Clarke tira su con il naso e piega la testa di lato, "all'inizio credevo che avesse ragione. All'inizio. Poi mi sono resa conto che non era così: ho ucciso Finn, ho sparato a Lincoln, ho lasciato che una bomba colpisse Octavia e ho abbandonato Raven a morire…"
Clarke rialza lo sguardo su di lui, i suoi occhi sono liquidi e pastosi. "Ma non sono riuscita a fermarti. Quando dico che ho bisogno di te, dico sul serio".

Bellamy sente che dovrebbe dire qualcosa ma non riesce a muoversi, attonito, e resta immobile anche quando Clarke abbozza un sorriso stanco e parla con la semplicità di una bambina. "Quindi è finita, non posso più essere una leader. Perché la prossima volta che dovrò chiudere il portello di una navicella, o dovrò tirare una leva per decidere chi vive e chi muore, non lo farò se non sarò certa che sarai al mio fianco".

Bellamy vede in quel preciso istante tutto lo sforzo di Clarke, tutta la sua sofferenza nell'ammettere e riconoscere quella debolezza, ostaggio di quello che prova. Bellamy non sopporta di vederla così. Clarke Griffin non merita di sentirsi così piccola e indifesa, ha sacrificato troppo perché Bellamy possa permetterlo e forse è per l'insicurezza che le vede negli occhi che lui decide di agire. Deve afferrarla prima che cada, deve salvarla come lei ha fatto con lui prima che si perda per sempre - o perdersi con lei nel tentativo. Per questo motivo la afferra per le braccia e la stringe così forte da far sbiancare le nocche.

"Clarke", il suo tono di voce è basso, lento, ma non nasconde l'ansia che gli ribolle nelle vene. "Anche io ho bisogno di te".
Diglielo. Diglielo prima che si lasci andare del tutto.
"Quando Roan ti ha rapita e pensavamo che volesse ucciderti…" la memoria corre veloce a quel bosco e Bellamy ricorda la fatica per trascinarsi avanti senza dar peso alla ferita che bruciava come fuoco vivo; e ricorda di aver ignorato gli sguardi tristi di Kane e Monty e i loro tentativi di fermarlo, perché davanti a lui c'era l'immagine di quel bastardo che trascinava Clarke giù per il fiume, legata e imbavagliata; e ricorda di aver pensato che l'avrebbe persa, che l'avrebbe persa sul serio, perché se non si fosse sbrigato a raggiungerla allora sarebbe morta e sarebbe stata colpa sua e non sarebbe più riuscito ad andare avanti e…
"Ho perso la testa", ammette, guardandola negli occhi. "Ho perso la testa perché pensavo che saresti morta. E quando hai deciso di restare a Polis, io… ho ucciso delle persone, Clarke, perché non c'eri tu a fermarmi".

Clarke sbarra gli occhi giusto un istante, non sembra preoccuparsi della stretta di Bellamy che la arpiona all'altezza delle braccia - forse ha bisogno di quella presa forte, forse ha bisogno di sentire che qualcuno è ancora legato a lei a tal punto da farsi male. Forse quello di cui ha bisogno davvero è sapere che non tutti la odiano, che non ha fatto solo scelte sbagliate e che salvare Bellamy a discapito della sua gente è stata la mossa giusta.

"È come hai detto tu", continua lui, "non ci sono persone buone. Ci siamo solo noi che facciamo del nostro meglio per andare avanti".
"E se il nostro meglio non fosse abbastanza? Che succederà la prossima volta che dovrò scegliere tra te e gli altri?"

Bellamy si slancia verso di lei e la intrappola in un abbraccio soffocante con tutta l'intenzione di non lasciarla andare, respira forte contro il suo petto come se avesse fatto una lunga corsa. Le braccia s'intrecciano dietro la sua schiena e tra i suoi capelli. Bellamy la stringe e Clarke trattiene il fiato.

"Non succederà. Perché saremo insieme".

Clarke ha un singhiozzo. Dai suoi occhi spalancati sfugge prima una lacrima e poi un'altra ancora, finiscono sulla maglia di Bellamy per poi scomparire. Clarke alza le braccia con lentezza, ricambia la stretta di Bellamy e si aggrappa a lui con tutta la forza che ha, si disseta del suo affetto fino ad averne abbastanza; il fatto è: con Bellamy non è mai abbastanza.

"Tu sei la nostra leader, Clarke", continua lui, la spalla poggiata su quella di lei, "ma non sei da sola".

Clarke non regge. La testa nascosta nel petto di Bellamy, si lascia andare a un pianto silenzioso e disperato, si aggrappa alla sua schiena ed è solo tra le sue braccia che riesce di nuovo a respirare, come se per tutto questo tempo fosse stata in un'apnea perenne che ha rischiato più volte di ucciderla. Si chiede se davvero quello che sente sia una debolezza, se l'amore incondizionato che prova per Bellamy Blake sia qualcosa che vale la pena di accettare, lasciando che diventi parte integrante di sé. Forse c'è ancora speranza; forse Lexa aveva torto quando diceva che legarsi a qualcuno fosse la cosa peggiore che si potesse fare.
"L'amore è debolezza, Clarke".
Forse; eppure, tra le braccia calde di Bellamy Blake, Clarke Griffin si sente forte come non lo è mai stata.




But if you love me, don't let go
if you love me, don't let go

Hold on
Hold on to me
'Cause I'm a little unsteady

(X Ambassadors, Unsteady)



Angolo dell'autrice: grazie mille a chiunque sia arrivato alla fine di questa storia. Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, se vi va. 

Always_Always




 
   
 
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