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Autore: crazy lion    14/05/2017    6 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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82. E DOPO UN PO', FINALMENTE, LA QUIETE
 
Andrew correva a perdifiato per le strade di Los Angeles, senza sapere dove stava andando. In realtà nemmeno gli importava. Tutto ciò che voleva era scaricare la tensione e lasciare che la rabbia scemasse. Si impose di non pensare a niente, almeno per un po'. Si concentrò, invece, sul suo respiro, che era sempre più affannoso a causa della corsa, sul rumore dei propri piedi che calpestavano il terreno, sul vento che gli sferzava il viso, sulle voci delle persone che gli passavano accanto, chi camminando, chi invece correndo anche più veloce di lui. Questa era una cosa che gli aveva insegnato la psicologa, qualche tempo prima. Gli aveva fatto fare degli esercizi di respirazione, simili a quelli dello Yoga e detto poi di stare attento, per strada o in qualsiasi posto si trovasse, a ciò che c'era attorno a lui.
"Fallo in particolare quando ti accorgi che qualche cattivo pensiero ti provoca dolore, che riguardi Carlie, o il tuo tentato suicidio, o qualunque altra cosa" aveva continuato. "Ascoltando i suoni e, perché no, sentendo gli odori ei rumori di ciò che ti circonda e facendo caso, quindi, alle sensazioni fisiche che provi in quei momenti, imparerai a farti condizionare meno dai ricordi. Sarai più attaccato al presente. So che ora ti sembra una sciocchezza, ma credimi, alla lunga ti farà stare meglio."
Dopo alcuni minuti iniziò a sentire la testa più leggera. Si sedette dunque su un muretto vicino alla strada e tirò fuori dal marsupio che portava a tracolla una bottiglietta d'acqua. Non era abituato a correre per un quarto d'ora senza mai fermarsi. Dopo aver bevuto a piccoli sorsi, fece qualche respiro profondo e poi ricominciò a pensare. Sì, Demi aveva sbagliato di grosso, ma in fondo era stato solo un errore. Lei non avrebbe dovuto dire quelle cose, ma Andrew era consapevole del fatto che in alcuni momenti, purtroppo, non si riesce a mantenere il controllo. È allora che si commettono gli errori più grandi, che si fa del male a chi non si vorrebbe ferire per nulla al mondo. Mackenzie era rimasta sconvolta. Del resto, come avrebbe potuto non essersi sentita così? In ogni caso Demi la amava con tutta se stessa. Era certo che non avrebbe voluto ferirla. Si decise: non le avrebbe lasciate da sole in quel momento. Sarebbe tornato da Demi per tranquillizzarla. Le aveva detto tante brutte cose, facendole capire ancora di più dove aveva sbagliato. Adesso era il momento di smetterla con la rabbia. Il giorno dopo avrebbero parlato con Mac per chiarire la situazione, o fatto qualcosa di divertente per distrarsi. Si disse che le sue parole erano state troppo dure. Aveva seriamente rischiato di dire di peggio e si sentì sollevato nel constatare che era riuscito a darsi un contegno. Chissà, forse, se si fosse trovato nella stessa situazione di Demi, lui avrebbe parlato del suo tentato suicidio, facendo stare male Mackenzie. C'era poi un altro fatto importantissimo da considerare: la ragazza aveva detto tutto ciò perché erano stati i giornalisti a portarla all'esasperazione con quei commenti tanto sgradevoli e orribili. La colpa era soprattutto loro, o meglio, più in particolare della giornalista che le aveva detto che non capiva come mai le bambine non le fossero state tolte. Come diavolo si era permessa?
"Sono un coglione" disse Andrew ad alta voce.
Si era comportato malissimo. Non solo aveva detto cose che non pensava, ma soprattutto aveva accusato Demi quando, in realtà, non era lei che avrebbe dovuto condannare, bensì la giornalista che l'aveva aggredita in quel modo.
Stava per alzarsi e tornare dalla fidanzata, quando vide una piccola figura correre a gran velocità verso di lui. Era un bambino, ma Andrew non seppe dire quanti anni avesse. Il piccolo attraversò proprio mentre una macchina stava passando.
"Dio mio!" urlò l'uomo, gettandosi in strada per salvarlo.
L'auto, che sfrecciava come un bolide, passò oltre e il conducente non si fermò. Probabilmente era ubriaco.
"Vai a farti fottere, stronzo" sussurrò Andrew rivolto al guidatore. Non aveva capito se fosse un uomo o una donna, ma non era importante. Il bambino, ora, era a pochi centimetri da lui e lo guardava impaurito. "Come stai, tesoro?"
"Mmm" rispose il piccolo.
Avrà avuto circa sei anni.
"Non aver paura" gli disse ancora Andrew, con tutta la dolcezza possibile. Il bambino lo guardava, ancora spaventato. Forse aveva paura di lui, ma sicuramente si sentiva molto scosso da quanto appena accaduto. "Spostiamoci da qui" proseguì l'uomo, indicandogli il muretto sul quale si sedettero. Rimasero per qualche secondo in silenzio, poi il bambino lo guardò negli occhi per la prima volta e gli sorrise timidamente. "Lo so, la mamma ti avrà sicuramente detto di non parlare con gli sconosciuti, ma ti assicuro che di me ti puoi fidare. Io ho due figlie e una ha più o meno la tua età. Non mi vuoi nemmeno dire come ti chiami?"
"Blake" disse finalmente il piccolo, con una vocina dolce e appena udibile.
"È un nome bellissimo! Io sono Andrew."
"Anche il tuo è bello" commentò Blake.
Aveva i capelli castani e gli occhi verdi e vivaci, che scrutavano l'uomo non più con paura, bensì con curiosità.
"Cosa ci fai qui da solo?"
Una smorfia di dolore si dipinse sul volto del bimbo.
"Che c'è? Cos'hai?"
Andrew ora era preoccupato. Temeva di averlo ferito, ma subito dopo Blake alzò la gamba destra e gli mostrò il ginocchio sbucciato.
"Sei caduto?"
Lui annuì.
"Stavo correndo. Volevo fare uno scherzo alla mia mamma, ma mi sono perso" spiegò in tono triste.
"Sta' tranquillo. Vedrai che arriverà subito. Altrimenti, in qualche modo la cercheremo insieme, okay?"
"Sì, grazie" rispose il bambino.
"Posso medicarti il ginocchio?" Andrew non glielo disse, ma aveva notato che perdeva un po' di sangue dalla ferita. "Ti prometto che non ti farò male. Brucerà solo un po'. Una volta anch'io curavo le ferite ad una mia amica, sai?"
Di nuovo, le immagini di Demi con i polsi insanguinati gli attraversarono la mente. Erano ricordi bruttissimi, parevano nuvole nere e minacciose che oscuravano il cielo. Un brivido percorse tutto il corpo di Andrew, che sperò in cuor suo che Blake non l'avesse notato.
"Davvero?" chiese il bimbo.
No, non si era accorto di niente, altrimenti non l'avrebbe domandato con un tono così innocente.
"Sì, certo!"
"Allora va bene."
Andrew tirò fuori dal marsupio una piccola bottiglia di disinfettante e un fazzoletto. Non indossava quasi mai quell'oggetto e si domandò quando vi avesse messo dentro tali cose. Fece appoggiare a Blake la gamba sul muretto, mise il disinfettante sul fazzoletto e cominciò a tamponare, il più delicatamente possibile.
"Ti faccio male?"
"No. Ora la tua amica come sta?"
Andrew sorrise.
"Bene, grazie. Adesso siamo fidanzati."
"Allora è fortunata: tu devi volerle davvero molto bene. I miei genitori sono sposati da tantissimi anni. Voi vi sposerete?"
Quella domanda colpì molto Andrew. Fino ad allora non aveva quasi mai pensato al matrimonio, pur avendone parlato con Demi. Eppure non negava che sì, gli sarebbe piaciuto tantissimo sposarla e anche avere dei bambini con lei. In ogni caso, era ancora troppo presto per pensarci.
"Sì, può essere" rispose, poi disse al bambino che avrebbe potuto rimettersi comodo e che la ferita sarebbe guarita in breve tempo. Sarebbe bastato che la sua mamma gliel'avesse tenuta controllata e che gli avesse messo il disinfettante anche solo una volta.
"Blake!"
Una donna stava correndo verso di loro. Aveva i capelli scompigliati e i vestiti in disordine. Evidentemente lo cercava da molto e si poteva leggere sul suo viso una forte angoscia.
"Mamma!"
Il bambino si alzò e le andò incontro.
"Oh amore, perché sei scappato in questo modo?"
"Scusa, non lo farò più" disse il bambino, abbracciandola.
La madre ricambiò, stringendoselo forte al petto.
"Mamma, questo signore tanto gentile mi ha curato una ferita che mi sono fatto al ginocchio mentre correvo."
La donna guardò davanti a sé e vide Andrew. Iniziò ad osservarlo, sospettosa, mentre i suoi lineamenti si facevano sempre più tesi. L'uomo le sorrise e si alzò.
"Il bambino è corso qui, signora e io ho cercato di aiutarlo. Stavamo per venirla a cercare. Mi sono accorto della sua ferita e così gliel'ho curata. Le assicuro che non gli avrei mai fatto del male."
Immaginava le preoccupazioni della donna. Probabilmente si domandava chi fosse quell'uomo e se aveva provato a fare qualcosa al suo bambino, a rapirlo o peggio.
"Mi chiamo Andrew Marwell" continuò. "Sono un avvocato. Mi trovavo da queste parti per caso."
Non sapeva perché aveva parlato della sua professione; forse, semplicemente, per dare più credibilità alle proprie parole.
"La ringrazio tantissimo" gli disse lei dopo qualche secondo, rilassandosi. "Blake mi è sfuggito mentre stavamo camminando. Mi sono fermata a salutare una mia amica, mi sono girata un momento e lui era scomparso. Grazie davvero, per tutto!"
"Non si preoccupi! Ora, però, devo andare. Ciao Blake" disse infine Andrew. Diede la mano alla donna e anche al bambino, il quale sussurrò:
"Mi raccomando, sposa la tua fidanzata. Se vi volete così bene, continuerete ad amarvi per sempre."
Mentre tornava verso casa di Demi, Andrew non poté fare a meno di pensare che le parole del piccolo erano davvero molto mature, un po' come quelle che, spesso, scriveva Mackenzie. Forse Blake era stato un segno. Sì, perché incontrarlo l'aveva fatto calmare, sorridere e intenerire. Gli aveva ricordato Demi nei momenti più brutti della sua vita, ma gliel'aveva anche fatta venire in mente mentre, da bambina, giocava con lui e gli si rivolgeva con quella vocina dolce che Andrew tanto adorava. Senza volerlo, inconsapevolmente, il piccolo Blake aveva fatto sì che Andrew non si sentisse più in collera con Demi. Già prima di incontrarlo la rabbia stava cominciando a scemare, ma grazie a lui era completamente sparita. Anzi, ora il suo unico desiderio era aiutare lei e Mackenzie a stare meglio.
 
 
 
Andrew era via da più di mezz'ora. Dov'era finito?
"Se n'è andato per colpa mia" continuava a ripetere la ragazza sottovoce.
Le pareva di stare dicendo e pensando le stesse cose da ore. Odiava auto-commiserarsi in quel modo, ma la discussione con lui l'aveva profondamente scossa.
Non seppe perché, né come le fosse venuto in mente, ma in quel momento Demi si ritrovò a pensare a qualcosa che si era detta spesso, eppure ogni volta aveva sempre scacciato quei pensieri. Rifletté sul fatto che, se il mondo e la vita fossero stati, con tutti, meno crudeli e più giusti, non avrebbero dovuto esserci tanti bambini che soffrivano, che stavano anni in affidamento, o nelle case famiglia, che venivano sballottati di qua e di là per quei maledetti adoption parties. Ripensò alla piccola Elizabeth, domandandosi dove fosse adesso e pregò che avesse trovato una famiglia che la amava. Guardando Hope e rivolgendo poi la sua attenzione alle scale, pensando anche a Mackenzie, si disse che la vita era stata troppo crudele con loro. Non avrebbero dovuto soffrire tanto. Le immaginò, per un momento, con i loro genitori naturali. Le vide felici e si figurò nella mente l'immagine della loro madre, sorridente, che le abbracciava.
"Se quel maledetto killer non avesse commesso tale terribile omicidio, ora Mackenzie starebbe bene" disse.
Si domandò dove fosse stato Dio, in quei momenti; ma poi si dette dell'idiota. Sapeva che c'era una ragione per tutto, che le cose, per quanto ingiustamente fossero andate, non erano di certo accadute per caso. Credeva in Dio e non voleva che la sua fede vacillasse. Inoltre lo ringraziava ogni giorno: era stato lui a mandarle i suoi tesori ed era fortunata ad avere adottato quelle bambine meravigliose! Ricordò che più di una volta si era posta la stessa domanda riguardo Dio, anni prima, quando si tagliava ed era vittima di bullismo. Le risposte che si era data erano state le stesse.
La sua mente, che in quel momento saltava da una parte all'altra senza una ragione, ritornò a Mackenzie. Forse era lei a non fare abbastanza per stare accanto alla figlia, per aiutarla. Da giorni provava la sensazione di sentirsi inadeguata, sbagliata, una madre meno presente di quanto avrebbe voluto.
Santo cielo, avrebbe desiderato con tutta se stessa che ci fosse stata una medicina per spegnere i pensieri! In quel momento erano troppi e la stavano sconvolgendo.
"Mamma?"
Di nuovo, la vocina di Hope interruppe quel turbinio infernale, come aveva fatto prima che Andrew arrivasse.
La bambina era seduta sul tappeto, davanti alla madre e la guardava sorridendo.
"Ehi piccina, che c'è? Vuoi giocare ancora?" le chiese, con dolcezza.
"No" rispose la bimba e poi allungò le braccia in alto.
"Ho capito" disse Demi, prendendola in braccio.
Hope, felice, le sorrise.
Rimasero entrambe in silenzio per un po', poi la bambina cominciò a sbadigliare.
"Okay signorina, direi che è ora di fare la nanna. Dovresti essere già a letto da un pezzo" commentò Demi, alzandosi. "Prima, però, ti cambio" aggiunse, dato che la piccola cominciava a lamentarsi.
Non voleva che restasse bagnata durante la notte e le metteva sempre un pannolino pulito prima di addormentarla. Quando la bimba avrebbe avuto due anni, o poco più, Demi avrebbe voluto iniziare a toglierlo, ma si era detta che sarebbe stato meglio chiedere consiglio alla pediatra. Ogni bimbo era unico e aveva bisogno dei suoi tempi per queste cose.
Hope fu molto brava durante il cambio: rimase quasi sempre ferma.
Una volta arrivate in camera, Demi la mise nel lettino e rimase con lei. Le piaceva immensamente addormentarla in braccio, ma voleva anche che la bambina si abituasse a prendere sonno nel suo letto. Le tenne la manina e, dopo qualche minuto, la piccola si addormentò.
"Eri proprio stanca!" sussurrò la ragazza, poi uscì, cercando di fare meno rumore possibile.
Prima di scendere passò di nuovo di fronte alla camera di Mac, ma non udendo niente immaginò che stesse dormendo.
Tornò in salotto e si sedette di nuovo sul divano. Aspettò in silenzio per quelle che le parvero ore, ma che in realtà furono solo dieci minuti.
"Finalmente!" esclamò, quando vide arrivare Andrew.
Gli aprì la porta e il cancello e poi restò dentro, non sapendo cosa aspettarsi. Quando lui entrò e la abbracciò con trasporto, la ragazza rimase basita.
"Andrew…"
"Shhh."
Rimasero abbracciati per diversi minuti, che ad entrambi parvero una stupenda eternità. Non parlarono. Restarono semplicemente così, stretti l'uno all'altra, ritrovando attraverso i gesti l'affetto che, a causa della loro discussione, avevano temporaneamente perduto.
"Hai fatto bene a dirmi quelle cose" sussurrò Demi, staccandosi piano da lui. "Mi serviva una scossa del genere. Ho pianto tanto, non lo negherò, ma anche questo mi è servito."
"Demi, è stata quella giornalista ad istigare la tua rabbia. La colpa non è tua. Hai sbagliato, è vero, ma non ti saresti mai comportata così se lei non ti avesse fatta scoppiare."
"Cosa ti ha fatto cambiare idea?"
Era così diverso da quando se n'era andato! Di nuovo, non sembrava più lo stesso Andrew. Ogni traccia di collera era svanita, come per magia.
Lui le raccontò ogni cosa, anche di Blake e infine disse:
"Tutti commettiamo degli errori. Sbagli come il tuo meritano di essere perdonati. So che non avresti mai voluto fare del male a Mackenzie, quindi ora cerchiamo di dimenticare tutto. Tu ti devi rilassare un po'; e domani mattina vedrai che troveremo un modo per far sentire meglio anche lei. In questi giorni siamo stati tutti travolti da una tempesta di emozioni, sensazioni e sentimenti poco piacevoli. Ora è il momento di pensare a noi e di goderci la quiete che meritiamo, almeno per domani."
Demi sorrise.
"Hai ragione" sussurrò. "Davvero quel bambino ti ha detto che mi dovresti sposare?"
"Sì, te lo giuro!"
"E tu cosa gli hai risposto?"
"Non gli ho detto niente, a parte che siamo solo fidanzati, per ora."
"Per ora?"
"Sì, insomma… Demi, io…" Andrew era in difficoltà. Aveva forse detto qualcosa di sbagliato? La fidanzata non aveva mai sorriso durante quello scambio di battute. L'aveva offesa in qualche modo? "Un giorno mi piacerebbe sposarti" disse infine, tutto d'un fiato.
"Anche a me, amore!" esclamò lei, abbracciandolo di nuovo e sorridendo. "Non ci sono rimasta male per quel:
"Per ora".
Nemmeno io sarei pronta a fare un passo del genere, adesso. Voglio vedere il nostro amore crescere. Inoltre, non ci corre dietro nessuno. È giusto che ci prendiamo i nostri tempi."
"Sì, lo credo anch'io. Temevo di aver detto qualcosa di sbagliato."
"No, anzi! Sei stato dolcissimo! Allora è tutto a posto? Per prima, intendo."
"Ti avevo detto che non ne volevo parlare più" le ricordò, sorridendo e scompigliandole affettuosamente i capelli, come faceva quando erano piccoli.
"Ti amo!" gli rispose lei, non sapendo cosa dire.
"Anch'io ti amo!"
Demi lo baciò con passione, poi esclamò:
"Grazie per tutto!"
"Non mi devi ringraziare. Io ti amo e tu mi ami. Le nostre figlie sono la cosa più importante che abbiamo. Solo questo conta. La cosa fondamentale è che stiamo uniti."
La ragazza si commosse nel sentire quelle parole tanto semplici, ma al contempo così profonde e vere. Era molto fortunata ad avere un uomo come Andrew accanto.
"Dammi le mani" le disse il fidanzato. Lei lo fece, senza chiedere niente. "Dio, sono congelate!" L'uomo iniziò a scaldargliele tenendole nelle sue e Demi cominciò a stare subito meglio. Aveva sentito freddo fino a poco prima, ma adesso, grazie ad un semplice gesto come scaldarle le mani, Andrew glielo stava facendo passare. "In questo periodo ti sei presa cura di tua figlia dandole ancora più amore e attenzione" riprese l'uomo, ma lei lo interruppe.
"E se non stessi facendo abbastanza? Magari sono una pessima madre! Insomma, quello che ho fatto stasera…" disse, abbassando lo sguardo. Quando lo rialzò era di nuovo triste. Stava tirando fuori un'altra volta quel discorso. Sembrava che i sensi di colpa che ancora provava la volessero perseguitare. "Oddio! Scusa, è che non riesco a dimenticare tutto questo."
Andrew la fece sedere su una sedia della cucina.
"Tieni la schiena staccata dallo schienale." Le fece un massaggio. Partì dal collo, muovendo piano i palmi e le dita. "Hai i nervi tesi come una corda di violino" commentò. "Non sei una pessima madre, Demi. Sei una mamma meravigliosa! Mackenzie lo sa" proseguì, con una voce sempre più calda e dolce. "State solo passando un brutto momento, ma sono sicuro che presto andrà meglio. Non devi sentirti inadeguata. Ti assicuro che non lo sei; e non c'è nulla di sbagliato in te. Non c'è mai stato."
"Lo dici perché mi ami?" gli chiese.
"Perché pensi che sia per questo?"
"Beh, chi ama un'altra persona tende a vedere soprattutto i suoi pregi, o, a volte, a pensare che i difetti che ha siano buone qualità."
"Io ti accetto così come sei e tu fai lo stesso con me. Non lo dico perché ti amo, bensì perché è quello che credo e penso di te. Da quando hai adottato Mackenzie e Hope sei diventata ancora più matura e sei cambiata in meglio."
Rimasero in silenzio mentre lui continuava il massaggio. Quando lo finì, dopo alcuni minuti, lei gli assicurò di sentirsi meglio.
"Mi fa piacere. Comunque, in questi giorni ti sei occupata di Mackenzie, ma forse io non ho fatto la stessa cosa con te. Se è così mi dispiace."
"Non ho mai avuto questa sensazione, amore. Se fosse stato così te l'avrei detto!"
"Mi fa felice sentirti dire questo. In ogni caso, credo che anche tu abbia bisogno di un po' più di attenzioni e di coccole."
"Me le hai appena fatte e sono state estremamente piacevoli."
"Okay, ma ho in mente qualcos'altro."
"Stupiscimi!"
Poco dopo Andrew preparò per tutti e due una tazza di latte caldo con il cacao. La sorseggiarono con calma, sul divano. Lui avrebbe voluto rimanere con lei a coccolarla, ma la ragazza era stanchissima.
"Ti va se dormo con te, stanotte? Lo faccio volentieri! I miei gatti a casa hanno tutto ciò che serve loro, potranno stare senza di me ancora per qualche ora."
Si sentì molto stupido. In pratica si era auto-invitato, ma a Demi non dispiacque per nulla.
Sorrise ed esclamò:
"Grazie, ne sarei felice!"
Quella sera Demetria non parlava molto, ma non perché non gli fosse grata o perché fosse arrabbiata, anzi! Era tutto il contrario. In quel momento, però, era davvero troppo sfinita per parlare. Quel giorno sia lei, che Andrew, che Mackenzie avevano provato tante emozioni diverse e molto intense, cosa che toglierebbe energia a chiunque. Fu così che, quando i due scivolarono sotto le coperte e si abbracciarono, ci volle solamente un minuto perché entrambi cadessero in un sonno profondo.
 
 
 
Il giorno dopo Mackenzie si alzò dal letto di cattivo umore. Non che la sera precedente si fosse sentita diversamente, ma quel giorno le pareva di stare peggio. Probabilmente aver dormito poco non aveva fatto altro che peggiorare la situazione, si disse mentre rifaceva il letto. Si vestì, aprì le imposte e si diresse verso le scale. Mentre scendeva,  sentiva i suoi passi stranamente pesanti. Le gambe erano deboli e rischiavano di cederle. Avvertiva quella stanchezza in ogni parte del suo corpo, ma sapeva che tutto proveniva da dentro, dalla testa, dai pensieri che le affollavano la mente e la mandavano in confusione. Sospirò e si diresse a passo lento in cucina. La mamma era seduta al tavolo e stava facendo colazione. Il papà era accanto a lei. Mackenzie non guardò nessuno dei due e si sedette controvoglia. Demi le aveva preparato i il latte con i cereali al cioccolato. Sapeva che le piacevano moltissimo.
"Mangia, tesoro" le disse Andrew, dolcemente.
Lei mise qualche cereale nel latte e lo tirò su con il cucchiaio, poi prese la tazza e la lanciò per terra. Il liquido schizzò ovunque e la ceramica andò in frantumi. In una situazione normale Andrew e Demi si sarebbero arrabbiati e l'avrebbero sgridata. In quel momento, però, non se la sentirono. Sapevano che, molto probabilmente, avrebbero solo peggiorato la situazione. Mackenzie abbassò lo sguardo verso il pavimento. Aveva combinato un disastro! Alzò gli occhi su Demi e poi su Andrew, guardandoli colpevole. Le guance le si rigarono di lacrime.
Perdonatemi! scrisse, mentre la manina le tremava. Non so che cos'ho oggi.
"Non ti preoccupare, Mac" le disse la mamma, mentre iniziava a pulire.
Non sei arrabbiata?
La bambina era stupita. Come poteva, la mamma, non prendersela per una cosa del genere? Lei si era comportata malissimo!
"So che in questo momento non stai molto bene e non mi sembra il caso di sgridarti" le spiegò, poi le sorrise per farle capire che era tutto a posto. Andrew fece lo stesso e le chiese se volesse altro latte.
No, grazie.
Il fatto che la bambina non volesse mangiare nemmeno quella mattina, come era successo giorni addietro, preoccupava non poco i genitori. Alla sua età, poi, era un fatto gravissimo. Demi decise che ne avrebbe parlato con Catherine, anche se in seguito Mackenzie avesse ricominciato a mangiare normalmente. Nel caso in cui non fosse successo, l'avrebbe portata dalla pediatra.
"Almeno mangia i cereali, per favore" la pregò.
La piccola in realtà aveva molta fame, ma non se la sentiva di mangiare perché era ancora troppo triste, arrabbiata, sconvolta e Dio solo sapeva cos'altro. Tuttavia si sentiva molto debole, quindi capì che la mamma aveva ragione e mangiò una scodella piena di cereali. I genitori ne furono sollevati.
Quando Demi finì di pulire e dopo che ebbe lavato il pavimento, si sedette accanto alla figlia.
"Sappi che io e papà siamo qui. Quando avrai bisogno di parlare, ci saremo."
"Sì," continuò Andrew, "non vogliamo costringerti a farlo, se ora non te la senti. Vorremmo, però, dirti che io e la mamma siamo ben consapevoli di aver fatto tanti sbagli nella nostra vita, errori dei quali ci pentiamo. Quindi, quando vorrai farci domande a riguardo, o dirci cosa provi, sfogarti, continuare a ripetere che sei arrabbiata con noi, o qualsiasi altra cosa, ti ascolteremo e ti daremo una mano, d'accordo?"
Mac capì che i genitori volevano starle accanto. Credeva di averli feriti con il suo comportamento del giorno precedente e che si sarebbero allontanati, come del resto lei stessa stava facendo nei loro confronti; ma i due non si erano comportati così, anzi. In realtà, sia Demi che Andrew pensavano che Mackenzie non fosse quasi mai stata tanto fredda con loro. Questo li faceva soffrire immensamente, ma si stavano sforzando di non darlo a vedere.
"Volevo chiederti" riprese la donna, "a cosa ti piacerebbe giocare oggi. Vorresti fare qualcosa di particolare o di divertente? Se non ti va di giocare, potremo inventarci qualcos'altro. Ti assicuro che, se potremo, io e papà ti accontenteremo volentieri!"
Perché? chiese, confusa. Ieri io e te, mamma, abbiamo discusso. Ho scoperto delle cose brutte su entrambi; ed ora mi dite tutto questo. Come mai? Non capisco!
"Semplicemente perché ti amo, Mac e papà prova la stessa cosa. Non ti lasceremo da sola solo perché stiamo attraversando un momento di crisi."
E se io non volessi parlare? Se non volessi stare con voi? Se non mi andasse di fare niente?
I due adulti si scambiarono uno sguardo d'intesa. Si aspettavano una reazione del genere.
"Beh," disse Andrew, "se non vuoi, non importa. Possiamo farlo un altro giorno, quando te la sentirai."
Non lo so… Ci devo pensare. Forse sarebbe bello. È che sono tanto stanca! Sono giorni che dormo malissimo.
"Io devo andare a casa a vedere come stanno i gatti," riprese l'uomo, "ma tra poco tornerò, promesso."
"Tranquillo" gli disse Demi.
Quando le due rimasero sole, finalmente Mackenzie guardò la mamma negli occhi.
Davvero hai fatto tutte quelle cose? le domandò.
"Sì. Sai cosa significano le parole "anoressia" e "bulimia"?"
Mi sembra di averle sentite in un programma. L'anoressia si ha quando una persona ha dei problemi e non vuole mangiare per dimagrire e perché così si sente meglio. L'altra quando mangia troppo perché sta male dentro e il cibo è l'unica cosa che la aiuta, giusto?
"Sì, in sintesi è così."
Perché l'hai fatto? Stavi tanto male?
Mackenzie non se n'era nemmeno resa conto, ma aveva cominciato a parlarne e a voler sapere alcune cose, anche se fino a poco prima aveva detto più volte che non era pronta. Demi rispondeva senza problemi, cercando però le parole giuste. Mac era solo una bambina, in fondo.
"Eh sì, stavo malissimo. Vedi…"
Fu interrotta da Hope che, se possibile, iniziò a piangere ancora più forte della sera precedente.
"Eccomi!" esclamò la ragazza.
Mackenzie la seguì. Arrivate in camera trovarono Hope seduta nel lettino. Strillava, ma appena vide la mamma e la sorella si tranquillizzò. Mackenzie le si avvicinò e si chinò, in modo che la bambina potesse toccarla. Infatti, Hope allungò subito le manine verso il suo viso e la accarezzò, sorridendo. Mackenzie ricambiò il sorriso e la strinse a sé. Avrebbe tanto voluto dirle che le voleva bene. Ancora una volta, com'era successo giorni prima per la preghiera, il fatto di non poter pronunciare nessuna parola ad alta voce, nemmeno per dimostrare affetto a chi amava, la fece sentire malissimo. Si alzò e guardò la madre, la quale rimase perplessa davanti a quell'improvvisa tristezza.
"Sei triste per quello che è successo ieri, vero?" le chiese.
La bambina fece segno di no.
"Allora… per come stai in questi giorni?"
A quel secondo cenno di diniego, Demi non seppe cosa dire. Come mai la sua bambina si sentiva così male? Aveva cambiato espressione talmente all'improvviso! Stava per chiederglielo, quando la piccola corse via.
No, pensò, stavolta non ti lascerò da sola!
Non voleva che Mackenzie si chiudesse di nuovo in se stessa. Desiderava aiutarla. Magari questo non avrebbe fatto tornare tutto come prima, ma forse, con la sua presenza, Mac si sarebbe sentita meglio, almeno un po'. Prese Hope in braccio e si diresse in cucina. Aveva sentito la bimba scendere le scale, quindi presumeva che si trovasse lì. Mackenzie era seduta al tavolo, con un'altra ciotola di cereali davanti a sé. Demi sorrise nel vedere come la figlia li divorava, ma capì che non stava mangiando perché aveva fame, bensì perché era triste e forse anche nervosa. Tuttavia non si preoccupò. Mackenzie aveva solo sei anni, non avrebbe potuto iniziare ad abbuffarsi senza controllo alla sua età. Avendo avuto molti problemi in passato, Demi pregò per l'ennesima volta affinché le sue figlie non vivessero mai la stessa cosa. Non augurava a nessuno di fare un'esperienza simile. Stava per dire qualcosa, quando suonò il campanello. Era Andrew il quale, una volta entrato, notò che lo sguardo di Mackenzie era, se possibile, ancora più triste di prima.
Sono una stupida scrisse la piccola. A volte penso che vorrei tanto parlare; e quando mi ricordo che non ci riesco mi sento malissimo. Forse non ce la farò mai.
Quando i genitori lessero quelle parole, provarono una terribile stretta al cuore. Fu Demi la prima a parlare.
"Dunque è per questo che ti sei rattristata così, poco fa."
Sì.
"Non è stupido pensarla in tal modo, tesoro" continuò "e non dire questo di te. Non sei affatto stupida! Anzi, sei una bambina molto brava, buona, intelligente e soprattutto sensibile."
"La mamma ha ragione" disse Andrew. "Inoltre, a volte è bello dimenticare. Tutti lo facciamo. Pensiamo a quello che potremmo e vorremmo fare se non avessimo certi problemi."
"Cosa ti piacerebbe dire se in questo momento potessi parlare?" le domandò Demetria.
Vorrei dire a tutti voi che vi voglio bene; e poi mi piacerebbe cantare. Non ricordo se lo facevo, prima che i miei genitori morissero. Non rammento nemmeno come fosse la mia voce quando parlavo.
"Sono sicura che hai una voce bellissima, Mac; e ti prometto che io e papà faremo tutto il possibile perché tu ritorni a parlare. Anche se ci fosse solo una possibilità di guarigione su mille, tenteremo, ma sei tu la prima che deve volerlo."
Nonostante si sentisse stanca e confusa, nel profondo del suo cuore Mackenzie sapeva che desiderava tornare a parlare più di ogni altra cosa al mondo. Quindi, dopo aver preso un respiro profondo, fece cenno di sì e poi scrisse:
Lo voglio!
"Anche noi ti vogliamo bene, piccola!" esclamarono i genitori, abbracciandola.
Lei si lasciò coccolare, dimenticando quanto successo il giorno precedente. Le era mancato quel meraviglioso calore che solo una mamma e un papà sanno dare ai propri figli. Non li abbracciava da poco tempo, eppure le sembrava che fossero passati secoli dall'ultima volta.
Quando si sciolsero dall'abbraccio, Mac chiese alla mamma di cantarle qualcosa.
"Che canzone vuoi sentire?" le chiese, mentre preparava un biberon di latte e biscotti per Hope.
Nel frattempo la piccola stava giocando con una bambola, lì in cucina. Ogni tanto li guardava, ma era troppo presa dal suo gioco per prestare loro attenzione.
Non lo so, quella che desideri scrisse mackenzie.
Andrew lesse ad alta voce quella risposta e Demi cominciò a pensare. Ripercorrendo a memoria le parole di alcune delle sue canzoni, all'inizio credette che non ce ne fosse nessuna adatta. Avrebbe voluto cantarne una che trasmettesse a tutti un po' di positività, eppure pensava solo a quelle più tristi: "Father", "For the Love Of a Daughter", "Mistake", "Shouldn't Come Back", "Without The Love", "Nightingale"… Ad un tratto gliene venne in mente una. Sorrise, si avvicinò ad Andrew e gli sussurrò all'orecchio il titolo, poi gli domandò:
"La cantiamo insieme?"
"Certo!" le rispose.
I due si misero l'uno accanto all'altra, di fronte alle bambine e cominciarono la loro esibizione.
"I've always been the kind of girl
That hid my face
So afraid to tell the world
What I've got to say
But I had this dream
Right inside of me
I'm going to let it show
It's time
To let you know
To let you know
 
This is real, this is me
I'm exactly where I'm supposed to be now
Gonna let the light
Shine on me
Now I found
Who I am
There's no way to hold it in
No more hiding who I want to be
This is me
 
Do you know what it's like to feel so in the dark
To dream about a life where you're the shining star?
Even though it seems
Like it's too far away
I have to believe in myself
It's the only way
[…]<"br /> La canzone continuò, mentre le loro voci riempivano la stanza. Si univano in un'armonia perfetta, in particolare nel ritornello nel quale, mentre Demi cantava con una voce molto acuta, Andrew rimaneva più basso di alcune ottave. Questo, però, rese la canzone ancora più bella.
Mackenzie era rimasta incantata ed ora che tutto era finito, guardava i genitori a bocca aperta. Hope, invece, rideva e batteva le manine. Poco dopo Demi la prese in braccio per darle la colazione.
Mackenzie non era solo rimasta affascinata dalla bellezza delle voci dei genitori. Quella canzone l'aveva finalmente tranquillizzata. Sorrideva quasi senza rendersene conto, adesso e si sentiva rilassata. Una sensazione, quella, che non provava da giorni. Andrew e Demi non dissero niente riguardo tale, stupendo cambiamento, ma furono sollevati nel vedere che la bambina sembrava molto più calma.
Va bene, scrisse la piccola quando Hope finì di mangiare, facciamo qualcosa insieme!
"Che cosa?" le chiese Andrew, accarezzandole una
guancia.
Poco dopo i quattro erano sul tappeto del salotto, vicino al quale Demi aveva appoggiato uno stereo. L'aveva collegato ad una presa e aveva messo un CD di musica jazz che non ricordava neppure di avere. Quel genere non le piaceva molto, ma le era parso l'unico, tra i dischi che aveva, che contenesse musica che si poteva ballare. Mackenzie aveva detto che le sarebbe piaciuto farlo tutti insieme.
"A quanto pare dovrò danzare, a turno, con queste bellissime donne!" esclamò Andrew guardandole, poi si avvicinò a Mackenzie e le chiese: "Mademoiselle, mi concedete questo ballo?"
La bambina sorrise. Conosceva il significato di quella parola francese e fu contenta che suo papà l'avesse detta proprio a lei. La faceva sentire grande. Andrew la strinse piano e cercò di insegnarle qualche passo, ma alla fine i due si mossero come volevano e i loro movimenti risultarono, comunque, piuttosto fluidi e armoniosi. Mackenzie era alta per la sua età, ma Andrew si chinò per stare alla sua altezza, cosa che lo faceva apparire piuttosto buffo e strappò un sorriso a Demi. Mac non aveva mai ballato con qualcuno prima d'allora, o almeno non che lei ricordasse e doveva ammettere che era una sensazione piuttosto strana. Era come andare in giostra, una specie di altalena che si muoveva a destra e a sinistra, con movimenti delicati anche se un po' veloci, e la sensazione le piaceva. Ciò che adorava più di tutto, però, era sentire che Andrew la stringeva a sé, Quella sì che era una sensazione meravigliosa! La faceva sentire protetta e al sicuro, così tanto che, ben presto, non fece nemmeno più caso alla musica, ma si concentrò solamente sul calore e la dolcezza di quella stretta.
Hope, che era troppo piccola per far caso al ritmo della musica, correva e saltava in giro per la stanza ridendo felice.
Demi guardava le tre persone che amava di più al mondo con occhi colmi di adorazione e le filmava con la videocamera. Era riuscita a mettersi in una posizione grazie alla quale li inquadrava benissimo tutti e tre. Inoltre, la luce quel giorno era perfetta. L'immagine sarebbe venuta bene. Si rese conto che non aveva molti video delle sue figlie, né di loro quattro insieme. Avrebbe dovuto farne più spesso. Aveva alcune foto, ma anche i video erano importanti, perché non solo facevano vedere le persone, ma soprattutto sentire le loro voci.
Quando Andrew finì di ballare con Mackenzie, prese Hope sulle spalle e cominciò a portarla in giro per la stanza avanzando a passo di marcia, nonostante la musica in sottofondo non fosse affatto adatta per quel genere di passo. Del resto, però, che importava? Mackenzie ora aveva un sorriso che andava da un orecchio all'altro, Hope lanciava gridolini di gioia e i genitori non potevano far altro che essere felicissimi per questo.
"Ora è il vostro turno, Madame" disse Andrew, mettendo giù Hope e avvicinandosi a Demi. La ragazza diede la videocamera a Mackenzie e le spiegò come tenerla per filmarli.
Andrew cambiò CD e cercò un lento. Quando lo trovò sorrise: gli pareva una melodia perfetta e molto romantica. Mise le mani dietro la schiena della fidanzata e Demetria si tenne a lui, lasciando comunque tra loro una certa distanza per potersi muovere. La ragazza era molto più brava del fidanzato a ballare, lo sapevano entrambi. Infatti, ai concerti, si muoveva con estrema grazia sul palco. Quel giorno, però, decise di non dare troppa importanza ai passi, anche perché nella sua vita aveva ballato così pochi lenti che non ricordava nemmeno come si facesse. Neanche Andrew lo rammentava, così cominciarono a muoversi come capitava. Tutti volevano semplicemente divertirsi e poi erano a casa loro, nessuno li avrebbe visti, perciò potevano fare quel che desideravano.
Come sono romantici! pensò Mackenzie, sorridendo, mentre guardava i genitori.
Si domandò se anche lei, un giorno, si sarebbe innamorata e avrebbe trovato qualcuno da amare e che avrebbe ricambiato i suoi sentimenti, così com'era stato per Demi ed Andrew e anche per i suoi genitori naturali, Tessa e John. Quella fu l'unica volta nella quale ricordarli non le fece male. Era troppo rilassata e contenta perché i ricordi la ferissero e se ne sentì sollevata. Hope adesso le stava vicino e guardava anche lei. Pareva molto interessata e sorrideva.
Mentre ballavano, Demi ed Andrew ricordarono la sera in cui l'avevano fatto ascoltando la musica del vento, nel giardino di Selena; e, anche se sapevano che le bambine li stavano guardando, per un po' si sentirono come se fossero stati da soli. Non c'era nessuno intorno. Esistevano solo loro e la musica. Era bello sentirsi estraniati da tutto, non provare più alcuna sensazione di pesantezza, né fisica né mentale, non essere ansiosi, né preoccupati, né pieni di pensieri.
Hope intanto si era rimessa a giocare, ma stavolta con una bambola. Mackenzie la guardava, ora e aveva distolto l'attenzione dai genitori. Aveva capito che quello era un momento tutto loro e preferiva non osservarli continuamente.
"Mac Mac!" la chiamò la sorellina.
La bambina sorrise, spense la videocamera e le si sedette accanto, mentre Demi ed Andrew si spostavano sul pavimento per continuare il loro ballo, lasciando alle figlie più spazio per
giocare.
In realtà Hope non voleva fare questo. Si avvinghiò alle gambe della sorella per farle capire di voler essere presa in braccio e Mackenzie la tirò su, dopo essersi seduta sul divano. Era sempre bellissimo, per lei, tenere la sorellina in braccio. Quando la musica terminò, Mackenzie mise giù la sorellina che protestò e poi si avvicinò ai genitori.
Grazie, mamma e papà scrisse, visibilmente commossa.
"Per cosa, tesoro?" le chiese la madre, che non si aspettava un ringraziamento.
In fondo lei, così come Andrew, non avevano fatto altro che esaudire un desiderio della figlia.
Tante volte, quando sto male, mi sembra di essere così grande! Questo mi fa paura. Un anno e mezzo fa, quando i miei genitori sono morti, pensavo di dover essere forte per Hope e che fosse solo mio dovere prendermi cura di lei. Per questo non lasciavo che i miei genitori affidatari se ne occupassero o, se lo facevo, era perché loro mi costringevano. Anche se in questo periodo sto male e mi sento così spaventata, ti devo ringraziare, mamma e dico grazie anche a te, papà, perché ogni volta che mi coccolate, o che mi fate giocare, io ricordo che sono ancora una bambina. Questa è una sensazione bellissima!
I due, ora, non sapevano davvero cosa dire. Non si sarebbero di certo aspettati una dichiarazione del genere, con parole così sincere e profonde. Poche volte Mackenzie era stata tanto espansiva come in quel momento.
"Oh, amore!" esclamò Andrew e la abbracciò.
Demi era troppo emozionata per poter dire qualcosa, ma la strinse a sua volta.
Hope, gelosa, arrivò correndo.
"Io! Io!" esclamò.
I genitori risero e Mackenzie sorrise, poi si unirono in un bellissimo abbraccio di gruppo.
Poco dopo giocarono a prendersi. Uno di loro, a turno, scappava e gli altri dovevano provare ad acchiapparlo. Andrew e Demi cercavano sempre di correre piano per farsi prendere dalle bimbe e le piccole, quando riuscivano a farlo, ridevano un sacco. Nonostante le ripetute raccomandazioni della mamma, che le diceva di non correre così veloce, Hope non la ascoltava e anzi, cercava di andare sempre più in fretta, tanto che diverse volte rischiò di cadere a terra.
"Ora io acchiappo tutte e due!" esclamò ad un certo punto Demi, cominciando a rincorrere le bambine.
Le piccole corsero il più velocemente possibile e Hope, ogni tanto, lanciava gridolini più forti.
Demi riuscì a prendere prima Mackenzie. La sollevò fra le braccia e non le fu difficile fare lo stesso con Hope. Tenendole entrambe e stando attenta a non farle cadere, cominciò a camminare per la stanza cantando a squarciagola le parole di una canzone di non ricordava che gruppo. Tra l'altro, non rammentava molto bene le parole. Le bimbe ridevano e Andrew, intanto, le filmava. Dopo un po' Demi si avvicinò al divano e, senza volerlo, si sbilanciò in avanti, così tutte e tre vi caddero sopra, iniziando poi a ridere ancora più forte. Le risate delle sue figlie erano la musica più bella che Demi avesse mai sentito nella sua intera vita. Quella che componeva o che ascoltava alla radio non era nulla in confronto.
"Bambine, ho il cuore che… mi scoppia" disse, mentre Mackenzie le appoggiava una mano sul petto per sentirlo.
Era vero: batteva come un tamburo.
Dopo pranzo uscirono in giardino e ricominciarono a rincorrersi. In fondo era una bella giornata, il sole splendeva alto nel cielo e sarebbe stato un peccato non approfittarne.
Dopo qualche ora di giochi, risate e rincorse, si fermarono per fare merenda. Demi preparò per tutti un panino alla nutella e un bicchiere di latte caldo. Si accomodarono attorno ad un tavolo che Demetria aveva in giardino, sotto una grande tettoia.
Ci vorrebbe un dondolo, qui disse Mackenzie, prima di cominciare a mangiare.
"Intendi un'amaca?" le chiese la mamma.
No no, proprio un dondolo, ma non un'altalena. Mi riferisco a un dondolo di quelli grandi, dove ci si possono sedere anche più persone e si va avanti e indietro molto lentamente. Mi sarebbe sempre piaciuto averne uno!
"Io ce l'avevo, da piccola" disse Demi. "Era in giardino, poi non ricordo perché si è rotto."
"Potremmo andare a  comprarne uno, nei prossimi giorni, sempre che la mamma sia d'accordo" propose Andrew.
"Beh, costerà un po'" cominciò Demi. Certo, lei non aveva problemi di soldi, ma nonostante fosse famosa cercava di comportarsi, per quanto possibile, come una persona semplice e, tra le altre cose che faceva per riuscirci, non spendeva mai troppo. "Tuttavia," riprese, "potremmo farci questo regalo! Ci penserò."
Mac sorrise e Hope esclamò:
"Sì, ndolo, ndolo!"
"Secondo me se ne innamorerà quando capirà cos'è" disse Andrew "e sarà difficile portarla via da lì."
"È molto probabile" convenne la ragazza, che poi pulì la bocca di Hope, tutta sporca di cioccolato. Le aveva diviso il panino in pezzettini piccoli, ma la bimba era riuscita lo stesso a sbrodolarsi. Quando finirono di mangiare, Demetria raccontò a Mackenzie qualcosa che non le aveva mai detto, ovvero che lei non era nata a Los Angeles, bensì ad Albuquerque, in New Mexico. "I genitori di Andrew conoscevano già i miei" continuò, "quindi loro ci sono venuti a trovare quando io ero molto piccola."
Quando sei venuta a vivere a Los Angeles?  le chiese la bambina.
"Poche settimane dopo la mia nascita, dato che i miei genitori si sono trasferiti qui per lavoro."
"Già ed è stata una fortuna!" commentò Andrew. "Da allora io e vostra madre ci siamo visti sempre più spesso. Quando è diventata un po' più grande abbiamo cominciato a giocare insieme."
Era bella da piccola?
"Oh sì, bellissima!"
In realtà Andrew non ricordava moltissimo Demi appena nata. I suoi ricordi si facevano più vividi da quando la bimba aveva circa tre anni e lui nove. Di quelli prima rammentava solo alcuni momenti, ma sì, aveva bene in mente quel fagottino, vestito con una tutina rosa, che dormiva nella carrozzina. Aveva chiesto a Dianna se avrebbe potuto toccare la piccola e lei gli aveva risposto di sì, ma di fare piano. Demi aveva solo pochi giorni ed Andrew non aveva mai visto unbambino così piccolo in vita sua. Si era emozionato guardandola. Sembrava un angioletto! Si era avvicinato e le aveva accarezzato dolcemente la testolina, poi le aveva toccato le manine e ne aveva presa una nelle sue. Era così minuscola! In quel momento Demi aveva aperto gli occhietti e gli aveva stretto un dito. Il cuore di Andrew aveva cominciato a fare le capriole. Aveva creduto che gli sarebbe uscito dal petto, tanta era stata la felicità che aveva provato in quel
momento.
Mentre ricordava tutte quelle cose, le raccontava. Demi, con Hope in braccio, sorrideva ed era anche emozionata. Andrew non le aveva quasi mai parlato di quei momenti e sapere che le aveva voluto bene fin da subito era qualcosa che la commoveva oltre ogni dire.
Dal canto suo Mackenzie era felice di sentire quei racconti, come lo è ogni bambino quando i genitori gli parlano di loro da piccoli.
Il resto del pomeriggio passò tranquillamente. I quattro rimasero in giardino, si sedettero sull'erba e restarono lì, a godersi il sole settembrino e ad ascoltare il canto degli uccellini, cosa che li fece sentire ancora più rilassati.
Poco prima di cena Andrew disse che doveva tornare a casa e promise alle figlie e alla fidanzata che sarebbe venuto a trovarle il pomeriggio seguente, dopo il lavoro. Le salutò con baci, abbracci e tante
Quando se ne fu andato, Demi guardò Mackenzie ancora più intensamente di quanto aveva fatto per tutto il resto della giornata. La vedeva tranquilla, rilassata e, forse, anche serena. Quel giorno, in cui avevano fatto cose così semplici, era stato importantissimo per tutti e quattro. Avevano ritrovato quell'armonia che, ultimamente, si era andata perdendo e Demi era sicura che ora, uniti come prima, avrebbero affrontato meglio tutte le difficoltà.
Mamma? scrisse Mackenzie.
"Dimmi."
Mi sono divertita tanto, oggi; ma sono ancora molto triste per quello che è successo ieri. Ora non mi va di parlarne, ma prima o poi, quando mi sentirò pronta, vorrei che tu e papà mi spiegaste un po' di cose.
Non era sua intenzione rompere quell'equilibrio che si era creato, ma solo far capire alla madre che, di certo, una giornata bella come quella non aveva cancellato tutto il resto.
"Sì tesoro, lo faremo. Parleremo quando vorrai. Sei ancora arrabbiata con me?"
Un po'; scusa mamma, ma è quello che provo.
"A me fa piacere che tu mi dica ciò che senti, amore" le disse, cercando di nascondere la tristezza che, se si fosse lasciata andare, sarebbe trasparsa dalla sua voce.
La tenne dentro di lei, sapendo che, forse quella sera, o il giorno dopo, avrebbe pianto per sfogarla.
Mi direte tutto? Intendo, proprio tutto quello che vi chiederò?
"Io ti posso assicurare di sì, Mac e credo che anche per papà valga lo stesso."
Lei sorrise, soddisfatta di quella risposta. Non sapeva quando avrebbe voluto avere quella conversazione con i suoi, ma di una cosa era certa: non sarebbe avvenuto tanto presto. Aveva bisogno di tempo per calmarsi. Se solo ci pensava… No, non voleva farlo, almeno non quella sera. Per una volta, decise, non si sarebbe lasciata rovinare la giornata dai cattivi
pensieri.
Quella notte, ognuno nel proprio letto, Mackenzie, Demi ed Andrew ripensarono alla bellissima giornata trascorsa insieme e si addormentarono con il sorriso sulle labbra.
 
 
 
credits:
Demi Lovato, This Is Me
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Ancora una volta, scusatemi per il ritardo. Mi dispiace così
tanto!
Mi sono accorta di un'incongruenza, che ho provveduto a correggere. Nel capitolo 52 avevo scritto che Demi vive a Los Angeles da almeno dieci anni, ma parlando di lei ed Andrew avevo detto (non ricordo in che capitolo) che da piccoli giocavano sotto il sole della California, pensando però a quella specifica città. Quindi, anche se, documentandomi, ho scoperto che la vera Demi è nata ad Albuquerque, poi si è trasferita in Texas e abita a Los Angeles dal 2004, nella storia ho deciso di cambiare tale dettaglio e di fare in modo che, invece, ci abitasse da quando era piccolissima. In questa maniera, lei ed Andrew hanno potuto vedersi spesso. Avrei anche potuto scrivere che l'uomo viveva in New Mexico da piccolo, ma non mi andava di cambiare le cose.
Sapete quanto io tenga al realismo, ma diciamo che, per questo elemento, ho deciso di fare un'eccezione, funzionale alla storia. Per cui, nel capitolo 52 ho scritto che Demi vive in quella città da, testuali parole, "tantissimo tempo".
Il prossimo capitolo sarà probabilmente più corto. Devo ancora finire di scriverlo perché avevo perso alcune pagine anche di quello, quindi non ho idea di quante saranno, ma non credo tante come in questo.
   
 
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