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Autore: Makil_    15/05/2017    11 recensioni
In un territorio ostile in cui la terra è colma di intrighi e trame nella stessa quantità con cui lo è dell'erba secca, il giovane ser Bartimore di Fondocupo, vincolato da una promessa fatta al suo miglior confidente, vedrà finalmente il modo per far di sé stesso un cavaliere onorevole. Un torneo, un'opportunità di rivalsa, una guerra ai confini che grava su tutte le regioni di Pantagos. Quale altro momento migliore per mettersi in gioco?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
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Glossario della terminologia relativa alla storia (aggiornamento continuo):

Patres/Matres: esperti, uomini e donne sapienti indottrinati da studi all’Accademia. Ogni regno ne possiede tre, ognuno dei quali utile a tre impieghi governativi.
Accademia: ente di maggiore prestigio politico a Pantagos, vertice supremo di ogni decisione assoluta. Da essa dipendono tutti i regni delle regioni del continente, escluse le Terre Spezzate che, pur facendo parte del territorio di Pantagos geograficamente, non  sono un tutt’uno con la sua politica. Il Supremo Patres è la figura emblematica della politica a Pantagos, al di sopra di tutto e tutti.
Devoti: sacerdoti del culto delle Cinque Grazie (prettamente uomini), indirizzati nello studio delle morali religiose alla Torre dei Fiori, nelle Terre dei Venti.
Fuoco di Ghysa: particolare sostanza incolore e della stessa consistenza dell’acqua, la cui unica particolarità è quella di bruciare se incendiata.
Le Cinque Grazie: principali divinità protettrici del sud-ovest di Pantagos, proprie di molti abitanti delle Terre dei Venti e della Valle del Vespro. Tale culto prevede la venerazione di quattro fanciulle e della loro madre. 
Tanverne: enormi bestie dotate di un corpo simile a quello di giganteschi rettili, abitanti il territorio di Pantagos.
Y’ku: titolo singolare dell’isola di Caantos, nelle Terre Spezzate, il cui significato è letteralmente “il più ricco”. Il termine “y’ku” s’interpone tra il nome e la casata nobiliare di un principe dell’isola, posto a determinare la sua ascendenza nobile.
Incantatori: ordine giurato unico del continente di Pantagos. Si tratta a tutti gli effetti di un gruppo di sapienti  in cui sono raggruppati guaritori, speziali, alchimisti e finanche stregoni – benché in molti, e nel popolino nello specifico, non credano a questo genere di arti. La sede degli incantatori è la Gilda degli Incantatori, altresì detta Tempio Bianco, sulla Collina di Burk, a Fondocupo. 
Castellano: figuro (molto spesso un esperto) incaricato di reggere, in vece del sovrano al quale è subordinato, un altro regno, un piccolo borgo o una cittadina appartenente all'uomo cui giura lealtà. 

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La folla si accaniva con urla e boati contro il campo sterrato ancora vuoto. Per quanto anche gli spalti fossero ancora abbastanza liberi, i vocii della moltitudine di persone già sedute sulle panche lasciavano presagire il peggio per ciò che sarebbe arrivato in seguito.
Esmerelle e Bart avevano preso posto in una lunga panca della terza fila sul lato ovest. Da quel punto, almeno per ora, la visuale sembrava delle migliori.
Bart si era reso conto troppo tardi di quanto potesse fare caldo con tutte quelle protezioni addosso. Aveva lasciato Lenticchia nella stalla che si estendeva dietro e sotto gli spalti del campo, affidandone le redini allo stalliere mezzo ubriaco e stordito da un risveglio caotico. Il cavallo si era separato da lui guardandolo con occhi scuri e profondi, ma senza aggiungere un solo nitrito. “La mia giumenta avrebbe scalciato” pensò ricordandola. “Chissà dov’è ora. Starà galoppando?”
Il campo che era stato innalzato per l’avvenimento era uno dei più grandi che Bart avesse mai visto. C’erano due linee di lizze nell’arena sterrata, ma per il torneo ne avrebbero utilizzata solo una per turno. Lo spazio dedicato al combattimento era delimitato da staccionate di legno scuro, alle cui spalle s’innalzavano le quattro enormi e lunghe file di spalti sorrette da file altrettanto alte di palizzate chiare. Nella zona centrale, sotto agli spalti del lato est, era stato eretto un palchetto di legno su cui erano posizionati tre scranni rifiniti in oro. In quello centrale sedeva il sonnecchiante Wolbert Dorran, per l’occasione vestito di sete variopinte che andavano dal rosso al viola, dal giallo all’arancione. Sul capo calzava un cappello dalla larga visiera con un pennacchio dalle mille gradazioni di colori. Era impossibile non far ricadere gli occhi sul suo abbigliamento stravagante e al tempo stesso lussuoso. Alla sua sinistra, a gambe e braccia incrociate, faceva capolinea Theodas Wadpayn, l’uomo che, a detta di molti, aveva finanziato sfarzosamente il  torneo affinché riuscisse nel migliore dei modi. Il signore di Stonespike aveva un’aria severa e rigida, in perfetto contrasto con i sorrisi distorti che sfoggiava, invece, Wolbert Dorran. La sua fronte era aggrottata e solcata da appena qualche ruga di vecchiaia a simboleggiare la sua profonda saggezza. La zazzera di capelli rossicci sul capo splendeva come oro illuminato dai raggi del sole, allo stesso modo in cui brillava la sua barbetta brizzolata. L’uomo indossava un panciotto di cuoio ed un lungo mantello rosso come il vino che stava sorseggiando. Quello che più lo rendeva fiero era il portamento con cui reggeva al fianco la sua enorme spada. Alla destra del castellano di Roshby sedeva, invece, Elmor Brasengard, il nobile signore di Brasengard, che Bartimore aveva conosciuto qualche anno addietro al torneo indetto da Dalton Kordrum per la nascita di una sua lontana nipote. Egli era un giovane signore, molto abile con la spada e con le parole. I lunghi capelli castani gli cadevano a ciocche sulle guance glabre, in parte sorretti da una coroncina di ferro grezzo. Aveva occhi lunghi e profondi, su un viso bianco e dai lineamenti appuntiti. Il giovane signore vestiva un lungo abito color sabbia, stretto al petto da un’elegante giacca marrone a cui erano abbinati i due lunghi guanti e i due scuri stivaletti. Sull’intero vestiario era ricucita una fantasia a fiori che si attorcigliava con delle spire attorno al suo corpo.
Esmerelle stava cercando di darsi da fare per poter vedere qualcosa oltre l’ammasso di teste e spalle robuste che si erano posizionate davanti a loro. Non appena capì che non c’era modo di vedere nulla, la ragazzina si mise in piedi sulla panca. Bart, invece, riusciva ancora ad avere una buona visuale della scena. Un uomo stava assicurando al terreno le lizze con un martelletto di piombo che le scalfiva ad ogni colpo. “Non sono così robuste come dicevano” notò Bart. Il giovane guardò un po’ in giro per gli spalti ormai gremiti di folla. 
Poco lontano dalla sua postazione, scorse ser Dayn insieme ad un’altra combriccola di cavalieri, tutti ammantati d’acciaio dalla testa ai piedi. Nella parte opposta alla sua, per miracolo delle Grazie, sedeva uno stufo e nervoso Wictor Wyndwat, la spada sporgente dalla spalla e l’armatura più lucida che mai. Accanto al palchetto dei tre nobili signori, Bart poté vedere con piacere anche la presenza del fabbro Garmold, la schiena poggiata alla parete di legno della palizzata, che aveva indossato una camicia di lana sottile e un paio di brache meno logore delle solite. Gli occhi di Bartimore andarono alla ricerca di Ortys Wysler, impossibile da non notare. L’uomo, ovviamente, come aveva predetto ser Konrad, non era presente. Bart sperò almeno che non gli fosse accaduto nulla di male. Per quanto ne sapeva, dal momento che ser Konrad era stato molto vago sui fatti, non poteva affermare nulla con certezza.
In mezzo al clamore della folla, Bart scorse un’imponente ser Mold in armatura d’acciaio consumato, più poderoso e grosso del normale. Negli spalti che si estendevano a sud, invece, una folla di cavalieri si raccoglieva attorno ad un signore dall’aria consumata, i capelli rasati e la barba ispida. Poco distante da quel crocchio, Darrick Sunfall si ergeva con aria ridente tra due signori che stavano discutendo, intento a porgere loro delle parole di conforto ed un fiore dai petali bianchi. Il suo collo era percorso da un colletto d’acciaio che si estendeva in entrambe le spalle possenti ed alte. Sotto a quei pezzi d’armatura ricadeva un abito verde con svariate ricuciture gialle e bianche, ed un mantello più scuro che cascava fin oltre i suoi piedi come uno strascico. Qualche passo più avanti, Bart intravide anche Lemmon Cappa Rossa, incupito nel rosso delle sue vesti sgargianti. Il solito mantello rosso sangue pendeva dalle sue spalle, trattenuto da due fermagli a forma di mano. L’uomo teneva il lungo spadone dal pomolo con un grosso rubino centrale in mezzo alle cosce, immobile dentro il suo fodero di cuoio spesso.
La folla ricominciò a vociare quando Wolbert Dorran si mise in piedi e spostò indietro lo scranno. Al castellano bastò battere tre volte le mani per far sì che gli starnazzi della massa di persone sugli spalti s’interrompessero bruscamente.
Tutti si alzarono in piedi. Al fianco di Bart, Esmerelle prese a fissare con stupore tutta la scena.
«Carissimi signori e carissimi cavalieri del reame» cominciò con la voce strisciante e resa più debole dai continui mormorii della folla. «Se oggi siamo qui riuniti in gioco è per sopperire alla grave mancanza di rispetto che negli anni ci ha portato a combatterci l’un l’altro.»
Bart avrebbe fatto a meno di ascoltare tutte quelle parole vuote e prive di significato, utili solo a conferire teatralità al torneo. Ma non poteva di certo tapparsi le orecchie dinanzi a tutti quegli eleganti uomini che lo circondavano. Wolbert Dorran stava continuando il suo discorso, ormai nuovamente soffocato dai continui vocii.
«…e la pace imposta amorevolmente dall’Accademia. Il mio invito personale è quello di abolire definitivamente ogni nota di contrasto o di disprezzo passato. Il torneo è stato indetto per tale scopo, solo ed unicamente per permetterci di lavare l’onta di dissapori che hanno colmato negli anni i nostri cuori. Per mille anni o forse più, gli eroi delle nostre terre hanno combattuto minacce tanto più grandi porgendosi sempre la mano in forma di cordialità e rispetto. Dov’è finita tutta questa loro cavalleria?»
Sicuramente non nella tua torre, Dorran.” pensò disgustato Bartimore. Nel palchetto, Wolbert Dorran gesticolava nel parlare, chiudendo di tanto in tanto gli occhi, come se quel discorso fosse già stato ripetuto talmente tante volte da conoscerlo a memoria.
«…reciproco e scambievole. Ho lodato, insieme a tutti gli esperti presenti al nostro campo oggi, la volontà di ognuno di voi, buoni uomini. Voi che, richiamati a torneo contro i vostri rivali, avete saputo tralasciare gli antichi dissapori di guerra per dedicarvi alla sana competizione. Ahimè, un gioco che avremmo dovuto proporre prima…». Wolbert Dorran alzò al cielo le braccia e simulò una contorta espressione di dispiacere. «In onore di tutti i caduti nella sanguinosa Guerra Grigia che ci ha distrutti uno ad uno. Le mie condoglianze vanno a coloro che hanno perso qualcuno a causa della vergognosa battaglia scaturita nel nostro suolo per il disprezzo di non essere nati vicini. Spero che i vostri cuori propongano, allo stesso modo, la pace comune. E spero che le mie parole non siano per voi motivo di discussione…»
“Vergognati, uomo da quattro soldi. Con cos’è che ti hanno comprato?”. Bart si fece spazio con le spalle e tornò a sedersi, noncurante delle parole del castellano. Un gesto che non passò inosservato tra gli uomini che lo circondavano.
«…il torneo di bastoni con cui sarete chiamati a confrontarvi vedrà un solo vincitore…»
Quantomeno, la civiltà non era mai stata messa da parte a Pantagos, neppure durante dei giochi in cui si pensava potesse essercene di meno. I tornei dei regni erano garantiti da leggi accademiche che ne regolavano la loro sicurezza. I cavalieri potevano giostrare nelle quintane liberamente, a condizione che brandissero un’asta o un bastone. Era vietato fare uso di spade di qualsiasi genere, forma e materiale, per quanto in molti considerassero quelle di legno innocue e proponibili.
«…un messaggio di pace e fraternità, che possa spingerci ad accertati l’un l’altro, a prescindere dall’età, dalla cultura e dalla provenienza. Nella pace del reame, io, Wolbert Dorran, castellano della cittadina di Roshby, vi do il benvenuto ai tornei». Wolbert fece un profondo inchino «Nella speranza che possano svolgersi con correttezza: che vinca il migliore!»
Non appena l’uomo fu nuovamente seduto sul suo scranno, un piccolo ometto vestito di una lunga tunica si avvicinò alla pedana dei tre nobili reggendo una pergamena tra le mani. L’esperto si fece strada accanto alle lizze, superando con fare confuso i tre uomini seduti. Solo dopo essersi cimentato in una complessa apertura del documento che aveva tra le mani, prese a leggerne il testo.
«Il torneo è torneo» disse con un tono pomposo. «E, per tale ragione, vigono delle regole chiare e dettagliate, elargite con discrezione dall’Accademia sin dall’alba dei tempi. Punto primo: putacaso qualcuno dovesse perdere lo scontro e un arto, lo sfidante che ha causato ciò non è impegnato a risarcire il dolente per mezzo di qualsiasi pagamento che possa essere condotto dall’individuo umano. Punto secondo: non esistono e mai esisteranno principi che consentano l’utilizzo di armi non adatte al torneo. Con la seguente si intende limi…»
Serie di fischi e boati si levarono da tutti gli spalti. I cavalieri seduti nelle panche si alzarono ed iniziarono a vociare in coro. Un pomodoro andò a schiantarsi contro la tunica dell’anziano, che si macchiò non solo di salsa, ma anche di vergogna. L’esperto fu costretto ad avvolgere rapidamente la propria pergamena e a tornare, su consiglio di Wolbert Dorran, al suo padiglione.
Quando l’esplosione di voci e grida terminò, Wolbert Dorran, Theodas Wadpayn ed Elmor Brasengard si alzarono contemporaneamente. I due nobili al fianco del castellano sguainarono simultaneamente le loro spade lucenti e le innalzarono al cielo. Poi annunciarono insieme: «Possa la forza rendere grazie: che vinca il migliore!»
Da un angolo del campo, lo strombettio di un araldo comunicò l’aver udito quella formula e, dopo essersi esibito in un paio di suoni trionfanti, scandì ad alta voce i nomi dei primi due sfidanti: «Sua signoria Ensifer di casa Loodstock, signore di Sala del Falco, e sua signoria Emerard di casa Carwock, signore di Trionfo del Re!»
I due uomini vennero accolti da applausi e schiamazzi incoraggianti. Tutti gli spettatori erano in piedi sulle panche, così Bart fu costretto ad imitarli per riuscire a vedere. I due combattenti fecero trottare i loro destrieri a lungo prima di fermarsi l’uno di fronte all’altro, entrambi coperti dalle loro robuste armature, dritti sul dorso delle bestie. Ensifer Loodstock, il Grifone Dorato, indossava un’armatura nera come la pece dall’elmo possente e buio, sulla cui punta svettava un cimiero di piume bianche. Entrambi i cavalieri trottarono lungo i bordi della palizzata, acclamati dalle voci provenienti dalle tribune. Anche Bart si unì alla folla. Ambedue ghermivano in una mano una lunga asta che mantenevano alta verso il cielo, e nell’altra un vigoroso scudo di legno bordato d’acciaio. Ensifer Loodstock si spostò a sud, dove rimase ad attendere il suo avversario. Egli stava ancora ricevendo l’acclamazione del suo pubblico, intento ad incoraggiarlo e lodarlo. Emerard Carwock calzava un’armatura opaca dalle spalliere possenti e robuste. Il suo stallone nero era furente quasi quanto lui, la bocca macchiata da chiazze di saliva raggrumata. L’uomo fece avanzare il destriero verso nord, dove si posizionò con fermezza. Entrambi i cavalli scalciarono la terra un paio di volte, nervosi tanto quanto i loro padroni. Poi, Emerard Carwock si calò la celata sul capo, nascondendo alla luce il suo volto invecchiato.
Nel campo calò il silenzio, trasportato dall’evidente tensione sul viso di ogni spettatore. Perfino i tre nobili sul palchetto erano chiaramente tesi. L’araldo suonò una sola volta, poi il duello prese vita nelle mosse degli sfidanti.
E, solo allora, il torneo di Roshby ebbe veramente inizio.
Gli avversari partirono in corsa contemporaneamente sollevando dal terreno un ammasso di terra fine e secca. Dopo aver corso l’uno contro l’altro per un paio di passi, calarono le loro aste spuntate tenendole dritte a mezz’aria. Il Grifone Dorato galoppò violentemente verso l’avversario e solo alla fine della corsa avvicinò lo scudo al petto. Emerard non lo emulò. Non appena il suo sfidante raggiunse la metà della lizza, il signore di Trionfo del Re spinse di lato l’asta, illudendo Ensifer che stesse per scansarlo, e poi la riportò in linea con il percorso. L’asta di legno di Emerard s’impennò sull’armatura di Ensifer, che si sforzò dolorosamente per mantenere la presa sulle briglie. Quando il Grifone Dorato venne colpito al petto, il suo cavallo nitrì.
Emerard cavalcò verso sud con una marcia rapidissima e riportò l’asta al cielo, ancora per poco illesa. Il Grifone Dorato lo seguì alle spalle per un lungo tratto, poi raggirò verso nord. I due spinsero ancora le aste verso il basso e si puntarono per la seconda volta. I cavalli ripartirono in carica nitrendo di rabbia e i loro signori strinsero gli speroni sui loro fianchi. Di nuovo, i due avversari si ritrovarono a galoppare l’uno contro l’altro. Emerard mantenne fissa l’asta verso un solo punto dell’armatura di Ensifer: l’elmo. I due diedero di speroni e si scontrano ancora. L’asta di Emerard mancò l’obiettivo e colpì in pieno centro lo scudo del Grifone Dorato, che si frantumò in una pioggia di vernice e schegge di legno. Ensifer Loodstock gettò via lo scudo e tornò al trotto nella sua postazione a sud. Emerard caricò un’altra volta, senza neppure far riposare un attimo il suo destriero nero. In un battito di ciglia, il cavaliere fu di nuovo sul Grifone e la sua asta si infranse sul suo petto. Ensifer caracollò all’indietro e infine perse la presa e cadde da cavallo di schiena.
Ad annunciare la vittoria di Emerard Carwock non fu solo il suono della tromba dell’araldo, ma anche gli immensi boati che si levarono dalla folla. Bart applaudì.
«Non mi è piaciuto per niente» sottolineò Esmerelle voltandosi verso di lui. «Hanno combattuto male.»
Anche Bart aveva notato questo particolare. «Erano tesi» le fece notare. «Vedrai che i prossimi ti faranno saltare dalla panca.»
Emerard Carwock fece trottare il suo cavallo lungo i fianchi della palizzata e si tolse l’elmo dal capo, scuotendo la testa nel farlo. L’uomo, indurito nei lineamenti rovinati dal tempo, portava una barba incolta sul viso e due lunghi baffi grigi. Mentre l’intorpidito signore di Sala del Falco veniva trasportato dal suo scudiero lontano dal campo, Emerard sorrise al suo pubblico e fece avanzare il suo cavallo lontano dalla loro vista, scomparendo accompagnato dalla stessa acclamazione che lo aveva ricevuto.
L’araldo suonò un’altra volta: «Sua signoria Gladwyn di casa Rosenfer, signore  di Capo Lussuria, e sua signoria Adam di casa Weckport, signore di Alta Giornata!»
Entrambi gli uomini furono accolti da grida e frastuoni di ogni genere. Il primo ad attraversare il campo fu Gladwyn Rosenfer, smagliante nella sua armatura dorata. Sul suo capo svettava un’enorme elmo chiaro dalla forma di un secchio capovolto, che non lasciava intravedere neppure il suo naso. Lo stallone che cavalcava era bianco come il latte esposto alla luce: nel complesso, quell’uomo sembrava essere fatto di neve. L’ingresso del corpulento Adam Weckport fu teatrale come pochi. L’uomo diede di speroni col suo cavallo e si fermò proprio dinanzi al palchetto dei nobili prima di fare impennare la bestia sulle due zampe anteriori. Il grosso signore di Alta Giornata vestiva un’armatura di acciaio chiarissimo, quasi bianco, sul cui petto era incisa una corona grigia. L’ammasso di capelli resi bianchi dall’età si mischiava allo splendore della sua armatura, ma non aveva nulla a che vedere con il macchiato che cavalcava. Dopo aver trottato fino alla postazione nord, si fece passare il bacinetto bianco dal suo scudiero e lo calò giù per il capo insieme alla visiera.
Un solo squillo di tromba e i due partirono con più ferocia del previsto. Entrambi spinsero i loro destrieri lungo la lizza ed entrambi abbassarono rapidamente le loro aste. Si mancarono ambedue al primo assalto, e furono costretti a raggirare la lizza per riposizionarsi. Adam Weckport diede di speroni e si mantenne saldo alle briglie del suo macchiato. Quando i due avversarsi si riscontrarono, Weckport puntò l’asta verso il petto di Rosenfer, che ebbe giusto un momento per innalzare lo scudo a protezione della sua armatura e della sua cavalleria. L’asta di Adam Weckport tornò al cielo, e l’uomo trottò questa volta verso sud. I due avversari invertirono i loro sensi di marcia e si scambiarono le postazioni, poi ripreso la corsa. Poco prima di scontrarsi, Gladwyn Rosenfer alzò l’asta al cielo e la portò rapidamente prima sul fianco destro e poi sul fianco sinistro. Il gesto confuse l’anziano Adam Weckport che fu colto alla sprovvista ed ebbe giusto il tempo di innalzare lo scudo sulla prima fiancata che la furia del signore di Capo Lussuria lo colse sulla ginocchiera. Adam fu mandato a rotolare sul terreno, ed il suo cavallo crollò insieme a lui.
«Bravi! Bello scontro! Complimenti!» urlarono gli ammassi di voci. Ma per alcuni anche quella giostra fu insoddisfacente.
La giornata andò avanti molto lentamente, con uno stancante susseguirsi di applausi, incitazioni, grida, urla, cavalli, cavalieri, aste spezzate, scudi distrutti, strombettii e vincitori vari. Ci fu uno scontro degno di nota in cui un certo ser Ullmor della Piana mandò nel fango il valoroso e potente Hallow Obertell, guadagnandosi il riconoscimento di “Ullmor il Distruttore”. Bart ed Esmerelle assistettero con stupore a molte vittorie, tra cui anche a quella che avvenne nello scontro  che fu considerato il più bello della giornata: il duello che vide avversari Dwayne Valoys, detto il Tasso Rosso e Aedon Penflow, la Serpe Verde. I due ingaggiarono un insolito duello con le aste, durato per più di sette minuti, che si concluse con la sconfitta di Aedon Penflow e la vittoria di Dwayne Valoys. Solo alla fine del duello con le lance, il Tasso Rosso riuscì a disarcionare la Serpe Verde assestandogli un pugno ammantato di acciaio sulla piastra pettorale. Un esperto ebbe qualcosa da dire a proposito, ma infine decise di convalidare quel gesto e diede il permesso alle trombe di proclamare Dwayne Valoys vincitore dello scontro.
Un tale ser Clawyn Oller disarcionò ser Dorron il Brutto e i due finirono per acciuffarsi nel fango come bestie, prima di essere separati di forza da Theodas Wadpayn e da Elmor Brasengard. Al termine della disputa il terreno del campo si ritrovò puntellato di schegge di legno, denti frantumati e saliva. Al loro seguì lo scontro tra i fratelli Medgar ed Osgar Rayven, i Corvi Neri, nel quale i due si affrontarono per la prima volta dinanzi ad un pubblico che non fosse la loro famiglia. Medgar dimostrò molto più valore di Osgar nel campo, dandogli non poco filo da torcere. Osgar cavalcò uno stallone forte e robusto che gli diede la possibilità di sostenere a lungo la bravura del fratello. I due si scontrarono per molto tempo, impiegando tanto più di due scontri per abbattersi. Medgar, infatti, sfruttò le capacità che aveva con la spada anche sull’asta e, infine, con ovvia speranza del pubblico, prevalse sul fratello. Il loro scontro fu chiamato presto “Il gioco dei Corvi” e fu l’ultimo gioco interessante della giornata di giostre.
«Non mi sono piaciuti» disse un uomo grasso sulla quarantina al loro fianco. «E voi che dite?»
«Nemmeno a me» rispose Esmerelle.
L’uomo la guardò e le sorrise calorosamente. «E tu che ne sai, ragazzina, dei tornei?»
«Molto più di quanto ne sappia tu». Una risposta che gelò completamente il pover’uomo. Bartimore fece per redarguirla con un’occhiataccia, ma qualcosa lo spinse a dirsi di non farlo. Così, puntò gli occhi sul campo ormai vuoto. Gli spalti, invece, gremiti di pubblico, non erano ancora del tutto quietati.
L’insoddisfazione di molti era palpabile e ben scaturiva dall’osservazione dei loro volti in parte indignati: per i veri giochi del torneo di Roshby, la folla dovette attendere il secondo giorno di sfide.

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Note d'autore
Ciao carissimi! 
Finalmente possiamo annunciare che il torneo di Roshby ha definitivamente avuto inizio: è stata una lunga attesa, non è vero? Un lasso di tempo talmente tanto lungo da aver contribuito a rendere molto più instabile la situazione di sconforto e squilibrio su cui già si affacciava Pantagos all'inizio della storia: una guerra sanguinosa che l'aveva dilaniata. 
Il campo di Roshby ha rimesso in mostra la maggior parte dei personaggi finora incontrati da Bartimore - da Wictor Wyndwat a Darrick Sunfall, da ser Mold a ser Dayn. 
Cosa pensate di queste giostre iniziali? E cosa avete da dire sul discorso d'apertura di Wolbert Dorran? Credete che il castellano sia stato minacciato da qualcuno o che il suo ruolo sia stato acquisito spontaneamente? Cosa pensate possa voler significare la frase finale "per i veri giochi
del torneo di Roshby, la folla dovette attendere il secondo giorno di sfide"? E quali sfide vi aspettate? Con l'inizio del torneo, ci avviciniamo adesso ad una discesa verso il finale del primo romanzo, un tragitto che andrà in picchiata diretta verso la sua conclusione. 
In più, vi preannuncio che, molto probabilmente (e qui mi prendo ogni responsabilità), al raggiungimento di 200 recensioni alla storia, verrà pubblicato uno spin-off molto particolare e non troppo lungo su un personaggio abbastanza emblematico. 
Un grazie di vero cuore a tutti coloro che mi sostengono continuamente. Spero di aver soddisfatto l'attesa per il tanto agognato torneo.
Al prossimo aggiornamento!
Makil_

   
 
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