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Autore: Elena Ungini    16/05/2017    2 recensioni
L’agente speciale Steve Rowling lavora da due anni al Progetto A.I.R.E.S.S., con lo scopo di risolvere casi legati al mondo del paranormale. UFO, streghe, vampiri e affini sono all’ordine del giorno, per lui. Nel bel mezzo di un’indagine, si ritrova fra i piedi la giornalista Livienne Parrish, venticinquenne avvenente e disordinata. Nonostante l’odio atavico che Steve prova nei confronti dei giornalisti, è costretto a collaborare con lei, mentre gli intrighi, intorno a loro, si fanno sempre più fitti e pericolosi. Ma il pericolo più grande, per Steve, sono gli immensi occhi verdi di Livienne…
Genere: Avventura, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Filadelfia, Martedì 30 maggio 2000
 
Steve appoggiò la ventiquattrore e il telefonino sulla scrivania del suo ufficio, poi accese il computer, inserì la password e si sedette sulla morbida poltroncina in pelle; infine si accorse della quantità di messaggi incisi sulla segreteria telefonica. Era stato via solo una settimana ma, a quanto pareva, lo avevano cercato in parecchi. Accese la segreteria e ascoltò tutti i messaggi registrati:
“Ciao, Steve. Sono Bellins, della sezione omicidi. Quando puoi richiamami: devo sottoporti un caso che sembra essere dei "tuoi"”.
“Steve, sono Rembrant. Ho i risultati delle analisi che mi avevi chiesto. Passa a prenderli quando vuoi”.
“Steve, tesoro, sono la mamma. Com'è che a casa non ci sei mai? Non riesco a chiamarti neppure sul cellulare e qui c'è sempre la segreteria. Se non vuoi fare venire un infarto a tua madre, fammi un colpo di telefono, appena puoi”.
“Steve, sono Livienne. Ho fra le mani alcuni articoli di giornale che vorrei farti vedere. Puoi richiamarmi, per favore?”
“Ciao, sono Mattew. Sto ancora aspettando quella rivincita a tennis… chiamami”.
“Ciao, Steve. Sono Louis. Volevo ricordarti che venerdì due giugno si terrà la festa di addio al celibato di Links: spero che vorrai accompagnarmi. La serata si preannuncia molto interessante: so che ha invitato certe ballerine… A proposito di donne… stamattina, in un bar, ne ho conosciuta una sensazionale: ha due tette da spavento e stasera è libera. Non chiamarmi dopo le sette: sarò molto impegnato”.
“Ciao Steve. Sono Annie. Non mi hai più richiamata… fatti sentire”.
Steve ci mise un momento per ricordarsi chi fosse Annie: erano usciti insieme un paio di volte, mesi prima. Chissà perché le aveva dato il suo numero di ufficio. Non aveva nessuna intenzione di richiamarla, comunque.
“Buongiorno, signor Rowling. Sono la segretaria del dottor Liverpool. Volevo avvertirla che l'appuntamento da lei fissato per il giorno 31 maggio 2000, dovrà essere spostato al 3 giugno 2000, alle ore 18.00”.
Steve pensò che dopotutto non gli dispiaceva: non amava gran che andare dal dentista, anche se si trattava di un semplice controllo. L'ultimo messaggio diceva:
“Ciao, sono di nuovo Bellins: ho risolto il caso. Mi ero sbagliato: non era uno dei "tuoi". A ogni modo, grazie per l'aiuto”. Il tono della voce era chiaramente ironico.
Ignorando tutti gli altri messaggi, Steve compose il numero del cellulare di Livienne, ma non ottenne risposta. Provò a chiamarla a casa, ma non ebbe maggior fortuna. Allora telefonò a sua madre e la tranquillizzò, poi confermò l'appuntamento dal dentista.
Decise di passare da Rembrant, per ritirare i risultati delle analisi che aveva commissionato. Non si era ancora alzato dalla sedia, quando sentì bussare insistentemente alla porta.
“Avanti”, disse, convinto che si trattasse di Donald. Strano che si prendesse la briga di bussare. Infatti non era Donald: Steve si trovò di fronte l'agente Dennis Parrish e un altro uomo che non conosceva.
“Tu sei Steve, non è vero?”, chiese l'agente. Steve notò subito il tono ostile di Dennis e il fatto che, pur non conoscendolo, lo avesse chiamato col nome di battesimo.
“Sì. E tu sei Dennis”, rispose, ricambiando la cortesia.
“Già. Sono il fratello di Livienne. E questo è un suo collega di lavoro: Christopher Hocchins”.
Così quello era Christopher, pensò Steve, fissandolo di traverso.
“Che cosa volete da me?”, chiese, un po' seccato.
“Si tratta di Livienne”.
“Le è successo qualcosa?” Il tono di Steve si fece improvvisamente teso.
“Non lo sappiamo: è partita tre giorni fa per il Messico, ha telefonato al giornale quando è arrivata all'aeroporto di Mérida, poi non l'abbiamo più sentita. Al cellulare non risponde”, spiegò Cris.
“A che cosa stava lavorando?”, domandò Steve.
“Non sappiamo nemmeno questo. Da quando lavora con te, Livienne è diventata misteriosa. Non si confida più neppure con me!”, esclamò Dennis, e il tono della sua voce non lasciava dubbi riguardo a quello che pensava di Steve: era chiaro che non lo poteva vedere.
“Qualcuno di voi ha le chiavi del suo appartamento?”, chiese Steve, deciso ormai a indagare.
“Speravamo che le avessi tu!”, esclamò Cris, sorpreso.
“Io? E perché mai dovrei averle?”
Poi capì: evidentemente, Cris e Dennis pensavano che lui e Livienne stessero insieme.
“Beh, io non le ho, però ho questo. È una chiave universale”, disse, estraendo dal cassetto un piccolo arnese appuntito.
“Andiamo”.
Raggiunsero l'appartamento di Livienne, dove Steve riuscì ad aprire la porta con facilità. Appena entrato si guardò intorno: l'appartamento era completamente sottosopra. Ovunque vi erano abiti, calze, giacche gettate sui mobili. Le scarpe erano sparse tutt'intorno, sul pavimento. Il disordine regnava sovrano, tant'è che Steve all'inizio pensò quasi a un rapimento. Ma poi, conoscendo Livienne, capì che doveva essere così che viveva, in mezzo al caos. Si diresse subito verso la scrivania, dove c'erano alcuni giornali, tra i quali una copia di Mistery. Alcuni articoli erano stati ritagliati.
Steve guardò la data dei giornali: era di quattro giorni prima.
“Qualcuno di voi sa dirmi di che cosa parlavano questi articoli?”
“No. Non leggo questa "spazzatura", di solito”, commentò Cris.
“A dire la verità, eravamo venuti da te perché pensavamo che sapessi a cosa stava lavorando Livienne”, lo informò Dennis.
“Sono stato via tutta la settimana: ero in vacanza. Livienne mi ha lasciato un messaggio sulla segreteria, dicendomi di avere strani articoli per le mani, ma ho trovato il messaggio solo stamattina e non ne so più di voi”.
Fece un numero di telefono e chiamò un collega, all'FBI.
“Ciao, Kent. Sono Steve: ho bisogno di un favore. Rintracciami la prima pagina di "Le Monde" del 24 maggio e la seconda pagina di "Mistery" della settimana scorsa, poi mandale per fax allo 02215550169”.
“D'accordo. Dammi solo cinque minuti”.
“Bene”, disse riagganciando e componendo subito dopo il numero dell'aeroporto.
“Quando parte il prossimo aereo per Mérida, nello Yucatàn?”, chiese all'impiegata che rispose al telefono.
“Attenda prego”.
“Prenota per due: vengo anch'io”, lo informò Dennis.
“Per tre”, protestò Cris. “Non vorrete lasciarmi fuori, spero!”
“T'informo che non amo i giornalisti, ma in questo caso potresti essere utile: forse conosci Livi meglio di me…”.
“Livi?”, sbuffò Cris, disgustato dal nomignolo che Steve aveva affibbiato all'amica.
La signorina dell'aeroporto tornò al telefono.
“Il prossimo aereo per Mérida parte fra due ore”.
“Benissimo: prenoto tre posti in seconda classe”.
“Mi dispiace: ci sono solo posti in prima classe”.
“D'accordo, va bene lo stesso”. Steve diede i nominativi e il numero della sua carta di credito, poi diede un'occhiata al fax, che nel frattempo era arrivato.
L'articolo sulla copia di “Le Monde” parlava di cinque francesi, facenti parte della spedizione scientifica "Animaux", partita un mese prima dalla Francia per studiare gli animali dello Yucatàn. I cinque erano stati brutalmente uccisi, apparentemente senza alcun motivo. Il secondo articolo, su "Mistery", parlava di un villaggio indigeno, chiamato Ndala e situato nei pressi di Ticul, sempre nello Yucatàn, e diceva che in quel villaggio alcuni bambini erano morti improvvisamente, senza alcuna ragione apparente.
“Non capisco il collegamento fra questi due articoli, a parte che sono notizie provenienti più o meno dallo stesso luogo”, cominciò Dennis.
“Non "più o meno". Guarda qui: si parla di un villaggio chiamato Ndala in tutti e due gli articoli. Da questo villaggio è partita la spedizione e sempre qui sono morti dei bambini. Probabilmente Livienne ha pensato che ci fosse un collegamento fra le due cose e ha deciso di indagare. Scommetto che se andremo in questo villaggio, la troveremo”, spiegò Steve.
“Sempre sperando che non le sia già successo qualcosa”, sussurrò sinistramente il fratello.
“Preparate le vostre cose per il viaggio: non voglio rischiare di perdere l'aereo”, ordinò, perentorio, Steve.
Due ore dopo erano sull'aereo diretto a Mérida. Poi presero un elicottero che li portò fino a Ticul. Steve si occupò di noleggiare una Jeep e di assoldare una guida che li portasse fino a Ndala, sperduto villaggio nel bel mezzo della giungla. Solo una stretta strada dissestata vi giungeva per poi finire lì, senza portare da nessun'altra parte. Fortunatamente Jarem, la guida, parlava molto bene l'inglese, così Steve gli chiese di fare da interprete con gli indigeni del posto, che parlavano l'antica lingua della zona.
Si fermarono nel centro del villaggio, dove vennero attorniati da un gruppo di bambini. Jarem li salutò. Evidentemente veniva spesso al villaggio, perché li conosceva tutti. Disse a Steve che alcuni di quei bambini erano morti di recente e che gli dispiaceva molto.
“È per questo che siamo qui: una nostra amica è venuta per indagare su questo fatto e sugli uomini della spedizione che sono morti. Ma non abbiamo più sue notizie da giorni. Può chiedere se qualcuno l'ha vista?”, disse, dando all'uomo una foto di Livienne.
“Sì, certo”. Jarem si rivolse a un uomo anziano, seduto davanti alla propria capanna, costruita con tronchi e situata su un rialzo del terreno. Questi gli disse qualcosa nella sua lingua e indicò un'altra capanna, simile alla sua.
“Dice che la vostra amica è arrivata tre giorni fa, con una guida. Quella laggiù è la sua capanna, ma lui non sa dove si trovi adesso: dice che ieri sera è andata a dormire, ma stamane non c'era più e anche la sua guida era sparita”.
“Chieda se sa qualcosa della spedizione partita da qui”.
“D'accordo”. Jarem tradusse per lui e l'anziano indigeno fece uno strano segno: si portò le mani al capo, dicendo parole incomprensibili a Steve.
“Che succede?”, chiese Steve.
“Dice che gli uomini della spedizione sono molto cattivi, che uccidono i loro bambini. Non so cosa voglia dire. Per quanto ne so, i bambini sono morti di malattia”.
“Gli chieda dove si trovano ora i membri restanti della spedizione”. Jarem glielo chiese.
“Dice che erano in dieci. Cinque sono morti nella giungla. Ora gli altri hanno preso il loro posto, nell'accampamento che hanno piazzato nel folto della vegetazione. Lui non sa di preciso dove si trovi, ma dice che è a tre ore di cammino da qui, in quella direzione”. Fece segno verso un punto preciso della giungla.
Si avviarono verso la capanna di Livienne, decisi a scoprire qualche cosa di più. Entrando, notarono subito il portatile della ragazza sul pagliericcio che fungeva da giaciglio. Steve lo accese, ma il computer gli chiese la password.
“Da quando in qua ha una password sul computer?”, chiese Cris, sorpreso.
“Hai idea di cosa potrebbe essere?”, chiese Steve.
“Prova Carey”, propose Dennis.
“Carey? E chi è?”, chiese Steve.
“Il suo ex fidanzato”.
“Non credo che abbia usato questo nome. Comunque proviamo…”. Steve digitò il nome, ma non funzionò.
“Prova con Steve!”, sputò fuori acidamente Cris, alludendo alla loro amicizia, che evidentemente lo seccava parecchio.
“No. Non userebbe mai il mio nome… e neppure il tuo”, rimbeccò, sarcastico.
Cris lo fulminò con lo sguardo.
“Prova con Nathan”, gli suggerì ancora Dennis.
“Nathan?”, chiese Cris.
“È una storia lunga... non posso spiegarvi chi è, ma provate lo stesso”, disse ancora Dennis.
Steve provò, ma neanche questo nome funzionò.
“Altri suggerimenti?”, chiese poi.
“James”, propose Dennis.
“Spero non siano tutti ex fidanzati di Livienne!”, sbottò Steve.
“Ci sei andato vicino...”.
“Abbiamo solo una possibilità, ancora, conviene non sprecarla”, affermò Steve.
“Livienne non è stupida: ha sicuramente usato una parola che non avesse nulla a che fare con persone della sua famiglia o conoscenti… qualcosa che però potesse ricordare facilmente. Hai detto che prima non aveva una password, vero Cris?”, continuò.
“No. Non l'ha mai avuta”.
“Allora deve essere una cosa recente, probabilmente l'ha messa dopo aver scritto il primo articolo importante, dopo essere diventata una "vera" giornalista, come dice lei. Oppure… una giornalista "ficcanaso", come dico io!”, esclamò improvvisamente.
Digitò sulla tastiera il termine "busybody" (in inglese "ficcanaso"). Questa volta, sul video apparve la scritta:
“Buongiorno Livienne”.
Steve diede un'occhiata a tutti gli appunti di Livienne:
24 maggio 2000
Appunti dagli articoli di giornale:
Durante la notte due bambini del villaggio Ndala sono morti. I piccoli erano ancora nei loro giacigli. La sera prima non erano malati, ma solo molto depressi, a detta delle gente del villaggio.
Già la settimana prima altri due bambini erano morti in circostanze strane.
La stessa notte del 24 maggio, cinque uomini della spedizione "Animaux" sono stati uccisi nella giungla, probabilmente da selvaggi. L'autopsia rivela che sono stati avvelenati tramite una freccettina, lanciata loro con una cerbottana. Le autorità locali stanno indagando sul caso, per scoprire i colpevoli. Devo riuscire a  parlare con loro.
26 maggio 2000
Un altro bambino è stato trovato morto, apparentemente soffocato.
27 maggio 2000
Sono giunta al villaggio ieri sera e stamattina un altro bambino è morto, mentre giocava accanto al fiume. Anche questo sembra essere soffocato. Ho potuto vederlo per qualche minuto: sulle sue braccia erano presenti strani ematomi diffusi, e penso che avesse addirittura un braccio rotto. Eppure il bambino giocava da solo, a detta della madre: improvvisamente ha iniziato a dibattersi, gettandosi per terra, e poi è soffocato lentamente. Vani sono stati i tentativi di rianimarlo. Mi sono recata a Ticul e ho richiesto alle autorità che eseguissero un'autopsia sul corpo del bambino, ma questi hanno risposto che non hanno tempo per badare ai bambini dei selvaggi. Sto stilando un articolo per denunciare il netto disinteresse della polizia nei confronti di questa povera gente.
29 maggio 2000
Ho parlato con un uomo della spedizione "Animaux", che era tornato al villaggio per fare rifornimento di cibo. Dice che i colleghi morti erano rimasti nella giungla per un appostamento notturno: volevano seguire un branco di  animali selvaggi per filmarli. Da qualche giorno, altri cinque uomini di "Animaux", tra cui quello con cui ho parlato, stanno continuando l'appostamento. Ho chiesto all'uomo di poter andare con lui nella giungla, ma mi ha risposto che è troppo pericoloso per me.
Gli appunti finivano lì.
“E ora che facciamo?”, chiese Dennis.
“Conoscendo Livienne, è riuscita comunque a seguire la spedizione”, commentò Steve.
“Vuoi dire che è andata nella giungla, di notte, con la sola compagnia di una guida?”, chiese Cris.
“Temo di sì. Livienne non ha certo paura di lanciarsi nelle avventure, anche in quelle più pazze”, commentò Steve.
“Già…”, ammise Dennis.
“Comunque, dobbiamo cercarla e questa è l'unica traccia disponibile, per ora. Jarem, lei può accompagnarci nella giungla?”, domando Steve.
“Sì. Ho l'attrezzatura necessaria nella macchina, anche per voi. Naturalmente vi costerà un po'…”.
“Non ho fatto questione di prezzo”, si alterò Steve.
“Bene. Però partiremo domattina: non mi piace andare nella giungla di notte”.
“Non è proprio possibile partire ora?”, chiese Steve, evidentemente preoccupato per Livienne.
“No. Non voglio mettere a repentaglio la mia vita e la vostra. Scarichiamo l'attrezzatura e andiamo a dormire”.
Mentre trasportavano tutta l'attrezzatura nella capanna di tronchi, Steve notò una strana scena: un uomo del villaggio stava spargendo della sabbia intorno alla propria capanna.
“Che fa quello?”, chiese a Jarem.
“È un'antica usanza popolare: evidentemente quell'uomo ha avuto un figlio, oggi. Il primo animale che lascerà la sua impronta su quella sabbia, sarà lo "spirito guida" del bambino. Da allora, i due saranno uniti per sempre. Se l'animale morrà, allora anche per il bambino sarà la fine, e viceversa”.
“Spiriti guida. Ne ho sentito parlare, ma non pensavo che questi riti fossero ancora in voga!”, esclamò Dennis.
Prepararono tutta l'attrezzatura, poi si addormentarono. Durante la notte Steve venne svegliato da un rumore. Si alzò e guardò fuori dalla finestra. Alla debole luce della Luna vide cinque indigeni dirigersi verso la giungla, nella direzione dell'accampamento francese.
Steve svegliò gli altri e disse loro:
“Preparatevi: ci sono novità”.
“Cosa avresti intenzione di fare?”, chiese Jarem.
“Non so cosa voglia fare lei, ma io seguirò quegli indigeni e ci vedrò chiaro, in questa faccenda”, dichiarò Steve.
In breve furono pronti e scivolarono fuori, nella notte. La guida apriva loro la strada. Seguirono silenziosamente le tracce lasciate dagli indigeni per oltre tre ore, fino a giungere di fronte all'accampamento francese, situato nel cuore della giungla, proprio sulle rive di un piccolo specchio d'acqua. Qui, assistettero a una scena inaspettata: gli uomini della spedizione stavano caricando delle gabbie contenenti splendidi pappagalli e altri piccoli animali su un idrovolante fermo sulla riva.
“Quei bastardi! Invece di limitarsi a fotografare gli animali, li catturano per contrabbandarli di frodo! Ecco perché gli indigeni vogliono ucciderli! Per loro gli animali della giungla sono sacri”, sussurrò Jarem. Un improvviso rumore alla loro destra li fece sussultare. Un istante dopo, uno dei componenti della spedizione gridò, stramazzando a terra. Si sentì parlare in francese, mentre gli altri quattro della spedizione e il pilota dell'aereo mettevano mano alle armi. Ma non servirono a molto: altri due uomini caddero a terra, colpiti da invisibili frecce.
Gli ultimi tre rimasti presero a sparare a raffica, nel buio della giungla, colpendo persino alcuni degli animali che avevano catturato e che ancora attendevano di essere caricati sull'aereo.
“State giù!”, ordinò Jarem, mentre cercavano di ripararsi dai colpi nascondendosi dietro gli alberi più grandi.
D'improvviso si udì un grido provenire dal folto della vegetazione. Era una voce di donna.
"Livienne", pensò subito Steve. Strisciando per terra, si diresse verso il luogo da cui era venuto il grido.
Vagò nel sottofondo della giungla per alcuni minuti, cercandola disperatamente, poi gridò:
“Livienne!”. Sapeva di mettere a repentaglio la propria vita, rivelando la sua posizione, ma doveva trovarla.
“Sono qui!”, urlò la ragazza.
Steve raggiunse una radura e finalmente la vide, illuminata dalla Luna: era distesa per terra e da una ferita che aveva sulla spalla sgorgava sangue. La guida, accovacciata accanto a lei, cercava di fermare l'emorragia.
“Lasci, faccio io. Sono medico”. Steve si inginocchiò accanto a lei, si strappò la camicia e utilizzò i brandelli per fasciarle la spalla.
“Non aver paura: non è niente di grave”, la rassicurò.
Nel frattempo, i francesi avevano smesso di sparare: probabilmente avevano finito le munizioni. Steve sbirciò nella radura e vide che i selvaggi stavano accerchiando i tre, terrorizzati. Jarem, Cris e Dennis spuntarono fuori all'improvviso, puntando le loro armi sui selvaggi e sui francesi.
“Fermi dove siete!”, urlò Jarem, nella lingua degli indigeni. Uno di loro tentò di reagire, ma Jarem sparò un colpo, ferendolo alla mano.
“Gettate le cerbottane”, urlò.
I selvaggi fecero quanto gli era stato ordinato, ma uno di loro disse qualcosa, rivolto alla guida.
“Che ha detto?”, chiese Steve, uscendo dal suo nascondiglio, sorreggendo Livienne. Dennis si precipitò ad aiutarlo e ad abbracciare la sorella.
“Dice che hanno dovuto farlo: questi uomini stavano uccidendo i loro bambini”.
“Ancora con questa storia! Che vuol dire?”, chiese Cris.
“Gli spiriti guida… gli animali. Imprigionando gli animali, provocavano la morte di alcuni di essi; evidentemente gli indigeni sono convinti che le morti dei bambini siano da collegare alle morti dei loro spiriti guida”, spiegò Livienne, con un filo di voce.
“Stai bene?”, chiese il fratello.
“Sì, è tutto a posto”, lo rassicurò.
“Sei ferita!”, esclamò Cris.
“Non è niente, solo un graffio”, rispose lei.
“Forza, liberiamo questi poveri animali e poi torniamocene a casa”.
Lei e Steve aprirono tutte le gabbie e gli animali fuggirono nella giungla, spaventati. In una gabbia, Livienne trovò una splendida ara, che non riuscì a riprendere il volo: un proiettile sparato da uno dei francesi l'aveva colpita a un'ala. Steve la curò come meglio poté e Livienne la prese in braccio, per portarla al villaggio.
“La gente del villaggio la curerà: lo fanno spesso”, la rassicurò Jarem.
“Non ci hai ancora detto cosa ci facevi tu, qui, questa notte”, sbottò Dennis, rivolgendosi alla sorella.
“Mi sono fatta accompagnare qui la notte scorsa dalla mia guida. Ma gli uomini della spedizione non c'erano. Evidentemente erano fuori a cacciare gli animali. Siamo rimasti qui a vedere cosa succedeva fino a questa notte”.
“Sei pazza, Livi”, commentò Steve, circondandole la vita con un braccio. Sapeva che quel gesto avrebbe indispettito sia Cris, sia Dennis, e lo fece di proposito.
“Avrebbe potuto succederti di tutto”, continuò.
“Invece, siete arrivati voi, puntuali come orologi svizzeri”, rise lei.
“Facciamo un patto, Livi: la prossima volta che decidi di partire per qualche strana avventura, assicurati che io faccia parte del tuo "nécessaire" da viaggio, okay?”, scherzò Steve, ammiccandole dolcemente. Livienne arrossì, ridendo, ma non poté fare a meno di chiedersi perché Steve si comportasse in quel modo: fino a qualche giorno prima non era certa che lui gradisse granché la sua presenza, e ora, invece, sembrava persino flirtare con lei.
Raggiunsero il villaggio quando il sole era ormai alto nel cielo. Steve mandò Jarem a chiamare la polizia di Ticul, che giunse di lì a poco con un elicottero. Jarem consegnò loro i cinque selvaggi responsabili degli omicidi e i francesi, colpevoli di aver cacciato di frodo e rivenduto gli animali in paesi stranieri. Livienne, intanto, portò l'uccello ferito da un anziano del villaggio, che promise di curarlo. Stavano per tornare all'aeroporto insieme ai poliziotti, quando una donna li raggiunse con un neonato in braccio, chiedendo loro di portare il bimbo all'ospedale di Ticul.
Jarem gli disse che Steve era un dottore e lei accettò di fargli vedere il piccolo: il bambino era ferito a un braccio. Sembrava lo striscio di una pallottola. Come poteva un bimbo così piccolo essere stato raggiunto da un proiettile?
“Quando è successo?”, chiese Steve.
“Questa notte. La donna dice che non sa come sia capitato. Il piccolo dormiva nella sua culla, quando improvvisamente si è messo a piangere, circa tre ore fa. La madre lo ha fasciato, ma teme che possa morire”, Jarem tradusse per Steve quello che la madre del bambino andava dicendo.
Steve visitò il bambino, lo disinfettò e lo fasciò più stretto. Per fortuna non c'era nulla di rotto.
“Ha fatto una buona fasciatura”, disse alla donna.
“Ha impedito che il bambino perdesse troppo sangue. Non c'è bisogno di portarlo all'ospedale: penso che guarirà molto presto”, disse Steve, rimettendo il piccolo fra le braccia della madre dopo avergli praticato un'iniezione di antibiotico, a scopo preventivo.
“Domattina manderò un dottore a vedere come sta”, disse Jarem.
La donna ringraziò Steve facendogli un grande inchino, poi si diresse verso la propria capanna.  Era la stessa dove, la sera prima, il padre del bambino aveva sparso la sabbia. Incuriosito, Steve si avvicinò alla capanna e controllò la sabbia: c'erano impresse delle impronte di un grosso uccello.
“Jarem, puoi chiedere alla donna qual è lo spirito guida di quel bambino?”, chiese Steve.
“Certo”. Jarem entrò nella capanna e glielo chiese.
“Il suo spirito guida è un'ara. Ha lasciato le impronte questa notte”. Steve e Livienne si guardarono, esterrefatti, poi lui si rivolse al capo della polizia:
“Dia retta a me: se vuole evitare altri guai, controlli che agli animali della giungla non venga fatto alcun male, in futuro”.
Ben presto, Steve, Livienne, Dennis e Cris erano sull'aereo che li avrebbe riportati a Filadelfia. Livienne era seduta accanto a Steve e teneva il suo portatile acceso sulle ginocchia.
“Che fai?”, le chiese.
“Ho cambiato la mia password”.
“Vediamo se la indovino?”.
“Coraggio, prova”, lo incitò lei.
“Prima devi indovinare la mia”.
“Non è così difficile! Te l'ho vista inserire un sacco di volte!”, rise lei.
“Sai, Livi: credo che avrò una bella gatta da pelare, una volta giunto a Filadelfia”, annunciò Steve, controllando la lista di conti che aveva in mano, dopo aver pagato i biglietti aerei e il noleggio dell'elicottero, della jeep, dell'attrezzatura e della guida.
“Cioè?”
“Lascia che presenti questi a Donald, e dovrai scrivere un altro articolo: agente dell'FBI strangolato dal suo capo. Motivazione: aveva speso troppo”.
Livienne si mise a ridere, poi guardò fuori dal finestrino: stavano arrivando all'aeroporto di Filadelfia. La città scorreva viva sotto di loro. La voce della hostess annunciò di prepararsi all'atterraggio.
“Mi dispiace di averti dato tanti guai”, esordì lei.
“Ne è valsa la pena”. Steve le sorrise e lei ricambiò.
“Alla prossima, Steve”.
“Alla prossima”, confermò lui, che ormai si stava abituando alla presenza costante di Livienne, durante le sue indagini.
 
   
 
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