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Autore: Gem    16/05/2017    1 recensioni
Questa è una raccolta di storie slegate tra loro e scritte per Promptember. Appariranno molti personaggi, ma la maggior parte delle fanfic sono AU e dedicate a Milo e Camus. Moltissimi generi presenti: storico, commedia, fantascienza etc.

«Vedi Cappuccetto?» il cacciatore, vestito interamente di nero, si sistemò un’arma in spalla spostando i lunghi capelli biondi dietro la schiena. Poi si avvicinò verso la creatura senza vita. «Tutti i bambini vogliono diventare cacciatori, non corrieri…»
«Smettila di chiamarmi Cappuccetto, Milo.» sentenziò severamente il corriere. «Non ho tempo per te. Il locandiere mi aspetta a Newark.»
Il bambino sbirciò il cacciatore.
Quel Milo si chinò accanto al corpo e, prese delle funi dalla cinta, iniziò a legare gli arti al corpo. Non si degnò di rispondere.
Il corriere allora avanzò di un passo. «Ci vediamo.»
«Se ti chiamo Camus resti?»
«Quando lavoro sono Corriere Rosso 11.»
«Dai, Cappuccetto è più simpatico.» il cacciatore iniziò a trascinare il corpo della bestia.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Gold Saints, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Sopravvivenza
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, post-apocalittico, drammatico.
Pairing: //
Personaggi: Milo, Camus, Hyoga, Isaac.
Avvertimenti: POV di Milo, AU.
Parole: 1123
Note dell’autore: e anche Isaac arriva!
Prompt:
 
we had a massive fight and we stormed off from each other but only now, hours later, do i realise how much of a stupid choice that was and now i’m desperately trying to find you by @ shittyaus (We met after the world ended/we're the only ones left AUs)
 
 
Con la punta del piede, Milo spostò i vari oggetti e pezzi di plastica che occupavano il pavimento, stando ben attento a non farsi sfuggire eventuali residui di cibo che poteva raccogliere.
Il capannone in cui stava camminando era mezzo divelto, ma sembrava solido abbastanza da non crollare del tutto. O almeno Milo così sperava.
Continuò a guardare per terra, mentre la sua pancia brontolava.
Si portò la mano allo stomaco. Ugh. Da quanto tempo non mangiava qualcosa che non fosse una radice o un frutto mezzo marcio?
Si aiutò anche con le mani quando dovette spostare una lastra più grande che ostruiva il passaggio, ma sfortunatamente non c’era niente al di sotto. Sospirò.
Camminò verso una porta che conduceva a un’altra stanza. Non sperava in alcun miracolo, ma avrebbe dato davvero qualsiasi cosa pur di mangiare una scatoletta di tonno o di fagioli…
Lentamente si affacciò dallo stipite.
Mai e poi mai si sarebbe aspettato di trovare quella scena. Il suo cuore palpitò vistosamente.
Un ragazzo coperto dalla testa ai piedi, in ginocchio per terra, stava gettando quelle che sembravano delle scatolette metalliche dentro una sacca nera.
Milo rimase un attimo immobile, senza sapere bene cosa fare. Era da così tanto che non parlava con qualcuno, ma la sua mente subito gli fece presente quanto pericolosa quella situazione fosse diventata. In situazioni simili… l’istinto di sopravvivenza era fondamentale.
Il ragazzo alzò gli occhi, di scatto, e per qualche motivo Milo mostrò i pugni.
Era naturalmente una cosa che in condizioni normali non sarebbe mai successa, Milo se lo ripeteva, ma in quel momento non poteva fare nient’altro. Se lo ripeté, mentre il ragazzo ricambiava l’assetto di lotta, e se lo ripeté un’altra volta mentre effettivamente si picchiavano per… per qualche scatoletta.
Milo perse per un attimo il senso del tempo e riuscì a riacquistare il senno solo quando, con una spinta più forte, allontanò da sé il ragazzo e lo fece rovinare contro alcune macerie poco distanti.
Tuttavia, quando quello si alzò, anziché tornare a caricare si strinse il braccio e indietreggiò, senza mai far cadere dalla spalla la sua sacca.
Milo abbassò la guardia, ma solo quando vide il ragazzo correre via dalla stanza.
Si guardò le nocche. I pesanti guanti di lana avevano attutito i colpi, ma il sapore metallico in bocca gli ricordò che i segni della lotta erano del tutto tangibili.
Raccolse la terra i pochi barattoli rimasti. Tre. Tre piccole confezioni di carotine, forse anche scadute.
Milo sospirò con rammarico. Per quel poco cibo aveva fatto a botte con l’unico umano che vedeva da settimane.
 
«Senti, lo so che sei qui! Ho trovato una scatoletta davanti al portone.»
Milo alzò la voce sperando di essere sentito, o forse di non essere ignorato. Si sentiva divorato da un senso di colpa quasi impressionante.
«Non dovevamo picchiarci. Ascolta. Vengo… con buone intenzioni.»
Non sapeva nemmeno cosa dire, in realtà. Qualsiasi cosa, pensò, contrastava davvero troppo con la lotta che avevano avuto qualche ora prima.
Quel palazzo in cui era entrato sembrava in condizioni migliori degli altri. Benché crepato, l’intonaco era ancora sulle pareti e i lucernari sul soffitto sopperivano alla mancanza di energia elettrica, almeno in quel momento. Molti divanetti avevano persino i cuscini ancora al loro posto. Milo immaginò che in tempi migliori fosse stato un albergo.
Alzò la mano in cui teneva la scatoletta.
«Te la voglio ridare. Sono sincero.»
In quel momento, da dietro una pianta sbucò la figura di un ragazzo. Milo ebbe un tuffo al cuore: da una parte, la gioia di poter vedere di nuovo un essere umano era difficile da descrivere, ma abbastanza visibile a giudicare dagli occhi lucidi e la bocca dischiusa.
Dall’altra, però, la paura di esser stato troppo incauto lo colse impreparato. La sagoma di fronte a lui, infatti, teneva un braccio in avanti e qualcosa in mano.
«Non sparare.» mormorò algido Milo, alzando le mani. Serviva molto più che autocontrollo in quel momento. «Ascolta. Mi dispiace per quello che è successo prima. Voglio parlare con te.»
Il ragazzo non era più coperto dalla testa ai piedi, anzi, indossava adesso solo dei pantaloni strappati e una canottiera. Milo non poté fare a meno di notare quella che sembrava una steccatura rudimentale sul braccio destro: un pezzo di legno era stato legato con delle bende sporche e in parte insanguinate.
Complimenti Milo, pensò. Gli hai rotto un braccio.
Eppure, realizzando che a essere steccato era il braccio destro, sospirò di sollievo. C’erano molte probabilità che quel ragazzo non fosse mancino e non riuscisse a maneggiare correttamente la pistola… che comunque rimaneva un pericolo immenso.
«Va’ via.» fece quello. «Non mi fido di te.»
«Perché, secondo te io sì?» replicò con un certo sarcasmo Milo. La fiducia non era certo una sua qualità. «Se stiamo insieme abbiamo più possibilità di sopravvivere.»
Con movimenti lenti, Milo mostrò la scatoletta di carote e la fece rotolare per terra, verso il ragazzo. Quello la fermò con un piede.
«Va’ via.» ripeté.
«Camus…»
Una vocina infantile interruppe il dialogo innervosito dei due ragazzi. Milo non riuscì a fare a meno di sussultare.
«Hai un bambino con te?» chiese, comprendendo finalmente il motivo di tanta ostilità.
«Ti sparo!» il ragazzo sembrò molto più deciso e fece un passo in avanti. «Tu sei uno di loro.»
Milo indietreggiò, ma non volle andare via. «Non so di cosa stai parlando.»
Più il ragazzo, Camus, avanzava, più il lucernario illuminava il suo volto. Finalmente Milo riuscì a scorgere la sua espressione gelidamente indignata.
«Voi fate quelle cose…» la voce di Camus ebbe una repentina flessione. Strinse i denti. «E poi ve li mangiate.»
Milo sobbalzò, disgustato. Non sapeva nemmeno come rispondere a quel resoconto di fatti orribili.
Con la coda dell’occhio, però, riuscì a scorgere due bambini affacciarsi da dietro una pianta e guardare verso di lui con terrore, sgomento. Appena incrociò i loro occhi quelli si nascosero di nuovo.
Camus se ne accorse.
«Hyoga! Isaac! State nascosti!» gridò, poi si volse ancora verso Milo. «Se fossi stato solo sarebbe stata un’altra storia. Ma adesso devi andare via.»
Con un respiro pesante, Milo si morse il labbro e indietreggiò. In qualche modo, poteva capire quanto quel ragazzo si stesse adoperando per fornire una protezione a due bambini e non volesse azzardare passi falsi. Benché la sua opinione non fosse cambiata di molto, però, dovette ammettere che tra tutti i possibili sopravvissuti quelli con bambini erano forse i più meritevoli di fiducia, perché ancora portatori di qualche briciolo di umanità.
«Se cambi idea, io resterò in città ancora per qualche giorno.» disse Milo. «Non… non sono uno di loro.»
Riprese a indietreggiare. Non seppe dire se quel braccio steccato che vedeva facesse più male a Camus o alla propria coscienza.



(Continua...)
  
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