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Autore: FatSalad    16/05/2017    5 recensioni
Spartaco è giovane, bello, spiritoso, laureato, con un contratto a tempo indeterminato e con un “superpotere”: quello di far cadere ai suoi piedi qualsiasi donna senza fare assolutamente niente.
Il rovescio della medaglia di una capacità del genere, però, è che Spartaco è incapace di costruire rapporti di amicizia con le ragazze e, soprattutto, quando si scoprirà completamente e perdutamente innamorato si renderà conto di una cosa: non ha assolutamente idea di come si conquista una donna.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dall'altra parte dello schermo'
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Il cielo era limpido, solo una nuvola sfilacciata ne sporcava l'azzurro, il sole scaldava i corpi sudati e accaldati, il terreno, poco curato in un paio di zone, giocava dei brutti tiri ai calciatori meno attenti.
Spartaco aveva il fiatone, ma cercava di ripetersi “Un ultimo sforzo, un ultimo sforzo!”. Alzò lo sguardo sui compagni e li trovò demoralizzati e abbattuti, allora, con più foga e rabbia del solito, gridò qualche incoraggiamento dal centrocampo. Non fu abbastanza e negli ultimi minuti la sua squadra non riuscì a totalizzare alcun punto.
La partita finì in pareggio, tra gli scarsi applausi del magro pubblico, ma Spartaco, seppur insoddisfatto, si sentiva almeno più tranquillo di prima: era riuscito a scaricare un po' la tensione.
Fece una doccia, si cambiò in abiti comodi e guardandosi un attimo allo specchio gli venne quasi da ridere. Di solito la gente conservava il vestito migliore per la domenica, lui invece, costretto a vestirsi in abiti semi-formali quotidianamente, amava rimanere in tuta da ginnastica almeno nei giorni festivi.
«Ehi, Spartano, ci sei?» chiese una voce petulante che riconobbe come quella di Michele.
D'altronde era l'unico individuo a chiamarlo con quell'odioso soprannome.
«Mh» si limitò a rispondere.
«Che rabbia! Potevamo vincere!»
“Certo,” pensò Spartaco, aspettandosi quel commento più che usuale “come tutte le volte”.
«Hai visto com'è entrato a gamba tesa il numero 9? E l'arbitro ha fatto finta di niente! Hai visto? E quello stronzo del mister...»
«Carli!» proruppe un vocione autoritario alle loro spalle.
«Sì, mister? Non ho detto nulla, mister! Buona domenica, mister!»
«Sarà meglio...» grugnì l'uomo di mezza età che aveva incrociato le braccia abbronzate e fissava il giocatore con sguardo severo.
«Quello è un mostro...» disse Michele a bassa voce, in modo che potesse sentire solo Spartaco, mentre uscivano dagli spogliatoi uno di fianco all'altro.
«Comunque, che è successo? Mi sembri un po' sotto tono, oggi.»
«Ma no, niente...» si decise a rispondere Spartaco in modo vago.
«Uh... nuova ragazza?» chiese l'attaccante curioso con lo sguardo affamato di un predatore, vedendo una brunetta minuta che stava sorridendo nella loro direzione.
«Non ci pensare nemmeno, mio sorella è occupata.»
«Sorella?» chiese con gli occhi sgranati guardando alternativamente lui e la ragazza.
«Ed è occupata, hai detto? …occupata occupta?»
«Occupatissima! E anche se non lo fosse non la lascerei certo a un coglione come te!» disse dando una gomitata al compagno di squadra per sottolineare il concetto.
Non si aspettava di trovare la sorellina alla partita e, d'altra parte, si sarebbero visti comunque quel giorno, non potevano mancare al tradizionale pranzo della domenica da mamma e papà.
«Sei arrivata ora?» le chiese con un sorriso, appena fu abbastanza vicino.
«No, ho visto tutta la partita! Peccato che non abbiate vinto.»
«Non far finta che te ne importi!» scherzò lui, pizzicandole un fianco e facendole fare un balzello.
Si gustò la risata che seguì, pensando che davvero c'era qualcosa di bello al mondo, dopo tutto, ed erano le persone che lo amavano di più, come sua sorella che compariva e gli regalava i suoi sorrisi più belli proprio quando ne aveva un inconsapevole bisogno.
«Piacere, Michele.» si intromise il ragazzo tendendo la mano verso di lei con un sorriso.
«Giulia.» disse semplicemente la ragazza.
«Non dargli troppa confidenza, a questo cetriolo!» scherzò Spartaco stringendo il collo del compagno di squadra con un braccio, recuperando improvvisamente tutte le sue energie.
«Ahi, ehi! Ma che dici?!» si lamentò il ragazzo, si rivolse poi a Giulia, contorcendosi sotto le braccia di Spartaco per riuscire a guardarla negli occhi il meglio possibile.
«Come mai tuo fratello è così cretino? Ah, Giulia, vieni anche tu stasera? Andiamo a un pub con tuo fratello e...»
«Carli!»
La voce dell'allenatore tuonò dal ciglio della porta degli spogliatoi.
«Sì, mister!» disse subito Michele scattando sull'attenti e perdendo ogni brio.
«Hai lasciato anche le meningi insieme ai tuoi calzettoni puzzolenti?» urlò l'uomo, mostrando un paio di appariscenti scarpe coi tacchetti, in cui erano appallottolati dei calzettoni sporchi.
«No, mister, mi scusi, mister!» rispose meccanico il ragazzo, correndo poi dall'uomo e beccandosi uno scappellotto e una ramanzina.
Spartaco scosse la testa, divertito, poi spostò lo sguado su sua sorella, specchiandosi in quegli occhi verdi quasi quanto i propri.
«Allora, sorellina? Qual buon vento ti porta ad uno stadio di calcio?» chiese, intuendo qualcosa.
«Dovevo dirti una cosa.» rispose lei vaga, distogliendo lo sguardo.
«Dimmi tutto.»
«No, non c'è fretta, possiamo fare, per esempio, che tu lasci la macchina qui e guidi la mia fino a casa, così parliamo durante il tragitto. Che ne dici?» propose Giulia con un sorriso esageratamente largo e finto.
«L'hai fatto apposta, vero? Hai pianificato tutto perché ancora non ti piace guidare.»
«Ma che dici?!» fece lei, mentre i suoi occhi rivelavano che suo fratello aveva totalmente ragione. Spartaco sospirò.
«E va bene, vieni.» disse incamminandosi verso il parcheggio e frugandosi in tasca alla ricerca della chiavi.
«Oh-oh... mi sa che invece mi tocca guidare..»
A quell'affermazione Spartaco alzò gli occhi e per un frammento di secondo i suoi piedi si bloccarono, poi riprese a camminare verso la figura che lo aspettava all'ingresso dello stadio. La prima cosa che saltava agli occhi di quella ragazza, ancor prima del taglio di capelli cortissimo; degli orecchini appariscenti; dei vestiti completamente neri nonostante fosse un maggio piuttosto caldo; della linea spessa di eyeliner; erano le sue labbra dipinte di un rosso acceso, labbra piene, ben disegnate, sensuali. Non passava inosservata neppure per la sua figura slanciata, sottolineata da un paio di stivaletti con tacco a spillo e dei pantaloni attillati ai cui passati erano aggrappati i pollici della ragazza, in una posa di spavalda sicurezza.
«Ma no, Giuli, posso dirle...» fece Spartaco col tono più disinvolto che riuscì a trovare, prima di essere interrotto dalla sorella.
«Non le dici proprio niente, invece! Non mi userai come scusa per non parlare con la tua ragazza!»
Come faceva a sapere sempre esattamente cosa passava per la sua testa?
«Io fiuto la tua paura!» disse lei ridacchiando, leggendogli ancora una volta nella mente.
Bah... le donne e il loro sesto senso!
«Ci vediamo a casa, allora.» lo salutò Giulia prima di entrare a malincuore in auto e fare manovra con qualche difficoltà.
Spartaco scosse la testa divertito nel vedere le scarse doti della sorella al volante, poi, non potendo rimandare oltre, si avvicinò alla sua ragazza: doveva affrontarla.
«Ciao.» disse sistemandosi meglio il borsone a tracolla, grato di avere le mani occupate.
«Riguardo all'altra sera...»
Cosa gli aveva detto Kilowatt? Che probabilmente Barbara volendo entrare in casa sua cercava delle sicurezze, delle dimostrazioni dei suoi sentimenti. L'avrebbe rassicurata a tal proposito, se lei non l'avesse interrotto andondogli incontro.
«Ti voglio.» gli bisbigliò a pochi centimetri dalla bocca. Non lo stava nemmeno sfiorando, se non con il respiro, ma bastarono quelle due parole sussurrate per farlo eccitare, soprattutto perché le sentiva dopo lunghe ore di silenzio e di conflitto, come se stessero chiudendo la questione.
Barbara era rimasta a quella distanza, con il volto inclinato e le bocca rossa socchiusa per alitargli il proprio desiderio direttamente sulla labbra. Era dannatamente sensuale ed era persa per lui. Bastò questo per fargli dimenticare i propri propositi di parlare e fargli venire invece voglia di provocarla.
«Devo andare a pranzo dai miei.» disse senza muoversi di un centimetro, guardandola dall'alto del suo metro e ottanta, abbassando le palpebre senza nemmeno inclinare il viso.
«Allora facciamo in fretta!» disse lei, raccogliendo la provocazione.
Fece guizzare la lingua verso le labbra del ragazzo e, senza concedergli altro che un tocco veloce, si allontanò prendendolo per una mano e conducendolo a grandi passi verso la propria jeep.
Cosa diceva Kilowatt? Sicurezze, prove dei propri sentimenti... oh, sì, gli avrebbe dato tutto quello che voleva, anziché dirglielo.
«Ricordati di stasera!» urlò Michele nel vedere il compagno di squadra andare via trascinato in quel modo.
«Se la pantera ti lascia in vita...» aggiunse poi più piano, ridacchiando e invidiando un po' il bell'amico.


Spartaco si osservò qualche istante allo specchietto retrovisore, prima di scendere dall'auto. Guardò i propri occhi verdi, il naso dal profilo dritto e tentò un sorriso rivelando dei denti regolari, poi si ravvivò i capelli passandoci una mano in mezzo. I capelli erano sempre stati il suo orgoglio, più degli addominali scolpiti e del proprio amichetto chiuso tra i pantaloni. Non li portava più lunghi come ai tempi del liceo, quando gli ricadevano sugli occhi in un modo vezzoso e, ora lo ammetteva, fastidioso, però erano ancora foltissimi e completamente mori, motivo per cui gli sembrava un delitto impedire loro di continuare ad arricciarsi con un taglio più corto.
Dopo essersi riconciliato con Barbara si sentiva rinato e anche il proprio viso gli parve migliorato, più disteso, così, soddisfatto del proprio aspetto, si decise a scendere dalla Mini Cooper, retaggio delle scuole superiori, e dirigersi verso il palazzo che ospitava la casa dei suoi, la sua vecchia casa.
«Ma'!» urlò mentre apriva il portone.
«Eccolo, Enrico, è arrivato!»
Sentì sua madre che urlava di rimando dalla cucina, richiamando suo padre a tavola.
«Ciao pa'.» salutò scorgendolo.
Era tutto così rassicurante là dentro. I suoi genitori che invecchiavano lentamente, la stessa tovaglia di sempre che continuava a resistere a nuovi lavaggi, lo stesso sapore delle lasagne di sua madre, gli stessi sguardi felici e orgogliosi dei suoi famigliari.
«Allora, Spartaco? Ancora non ci vuoi presentare la tua fidanzata?» chiese mamma Sara con un'improvvisa scintilla di curiosità negli occhi, mentre mangiavano.
A lui già la parola “fidanzata” suonava strana.
«Non vi basta conoscere il fidanzato di Giulietta? - chiese lui, eludendo la risposta. - Un così bravo ragazzo, poi! Serio, intelligente, affidabile...» continuò prendendo in giro la sorella, che gli diede un calcio da sotto la tavola.
«Non volevo parlare di Giulia, in questo momento.» lo richiamò sua madre.
«Anche perché con lei possiamo parlarci tutti i giorni, dato che abita con noi, con te no.»
«Ah, mamma, ti ho portato il piumone da lavare.»
«Ah, bravo, hai fatto bene. Per il resto ti serve altro? Ti ho lasciato un po' di ragù in un vasetto, così ci condisci la pasta quando torni a casa...»
Una delle cose belle di sua madre era che, anche quando la sua naturale curiosità femminile si risvegliava, durava pochissimo, dopodichè tornava a lusingarlo e fargli arrivare tutti i suoi apprezzamenti per ogni cosa che lo riguardasse, dall'abbigliamento, al lavoro, fino ai suoi risultati in quella squadruccia di provincia. Suo padre, da bravo marito, concordava con la moglie e rincarava la dose.
“Serve un po' di autostima? Venite da mamma Sara, che ci pensa lei!” rimuginò Spartaco, divertito.
Dopo primo secondo contorno e dolce, Spartaco preparò il caffè per tutti. Era il suo vecchio ruolo quando viveva ancora con i suoi e così era rimasto anche adesso, per cui Spartaco prendeva la moka in mano come se si trattasse di un antico rituale. Suo padre beveva la sua tazzina soddisfatto e, seguendo il solito copione schioccava la lingua sul palato.
«Quando lo fa tua madre non viene così buono!» commentava ogni volta con piccole variazioni al tema.
Prima di tornare a casa, nel pomeriggio inoltrato, Spartaco si metteva sul divano a guardare la televisione con suo padre, commentavano le varie partite sportive (tennis, rugby, ciclismo... non era importante di quale disciplina di trattasse), oppure dava fastidio a Giulia o si rendeva utile nel pulire l'auto di suo padre o buttare la spazzatura. Poche volte saliva fino alla mansarda dove, da adolescente, aveva costruito la propria tana, ovvero una camera da letto in cui batteva i denti d'inverno e si scioglieva d'estate. Però era l'unico spazio della casa che fosse solamente suo, solo qualche amico intimo ci era entrato, non ci portava nemmeno le sue ragazze, tranne quelle che reputava davvero importanti e non erano state molte. Quella domenica, invece, volle salire le scale per entrare nella sua vecchia tana, come a controllare che fosse tutto in ordine. Accese la luce e sfiorò con una mano lo scaffale basso su cui aveva disteso libri e dvd, fumetti e cd, con un ordine maniacale. Si gettò sul letto e guardò il soffitto bianco inclinato. Per fortuna non soffriva di claustrofobia, altrimenti si sarebbe sentito soffocare in quella stanza angusta, senza contare che lo spazio delle pareti era quasi interamente occupato da scaffali, una sottospecie di poltrona informe e una scrivania minuscola su cui poggiava il portatile, che adesso aveva portato nel nuovo appartamento.
Avrebbe mai fatto entrare Barbara lì dentro? Si chiese. Una vocina nella sua testa gli rispose di no, rattristandolo e infastidendolo, perché Barbara gli piaceva e anche parecchio, era intraprendente, decisa, con un fisico da urlo, però, si rese conto con un certo disagio, non era il tipo che avrebbe presentato volentieri alla famiglia, o con cui avrebbe voluto costruirne un'altra. Non era “da famiglia”, insomma.
A ventisei anni si poteva già avere progetti così importanti? Per il momento Spartaco non aveva voglia di qualcosa di tanto serio, decise, e con Barbara stava più che bene.
Tornò in salotto scendendo le scale al trotto, come da adolescente e sorrise come quando aveva diciott'anni e la testa piena solo di calcio.
Recuperò tutte le sue cose e si lasciò convincere dalla madre a prendere anche una quantità industriale di cibo che gli aveva preparato. Ogni settimana gli pareva che le dosi aumentassero, ma in fondo non gli dispiaceva.
«Ehi, allora che fai stasera? Vieni con me?» chiese a Giulia quando era già sulla soglia, riferendosi all'invito di Michele a sua sorella.
«Può venire anche la tua dolce metà con te, ovviamente.»
Giulia spiegò che aveva altro da fare, ma ringranziò ugualmente il fratello e il suo compagno di squadra per l'invito. Spartaco, distratto dai propri pensieri, non si accorse nemmeno di come la sorella distoglieva lo sguardo.




Ore 23:54
- Kilo, hai altre rivelazioni shock da farmi, oltre al fatto che hai cambiato sesso?
- Io non ho cambiato un bel niente!
- Va bene, va bene, come vuoi. Non ti arrabbiare, però. Ora dimmi la verità: vai ancora a scuola?
- Ah, stai cercando di estorcermi informazioni personali, quindi?
- Esatto.
- Ho sentito dire che è bene non rivelare troppi dati su internet
- Quindi niente profili reali sui social?
- Niente social, in effetti.
- Bene, possiamo anche andare avanti così: tu dici una frase e mi lasci indovinare qualcosa su di te...
- Non avrai altro da me!
- Acc... speravo di farti spifferare il pin del bancomat...
- Ahahah!
- Oppure... posso iniziare io... non vado più a scuola, ho smesso da tempo... ma da meno di 10 anni!
- Ehi, anche io!
- Menomale! A volte ho davvero temuto di parlare con un'undicenne!



Il mio angolino:
Vedere quanta fiducia mi state dando all'esordio di Falaso Contatto mi sta mettendo una discreta ansia da prestazione (a me e al povero Spartaco...), ma vi prego di non smettere! Grazie per le recensioni e per l'amore che state dimostrando per questa storia, è bello ritrovare tanti vecchi lettori e conoscerne di nuovi! :)
FatSalad
   
 
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