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Autore: JacquelineKeller01    16/05/2017    2 recensioni
[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Lea ha diciassette anni quando torna nella sua città natale in seguito ad alcuni problemi familiari. Tutto ciò che vuole, dopo un anno intero passato a guardarsi le spalle, è recuperare il rapporto con suo padre e un po' di sano relax. Ma sin da subito il destino sembra prendere un'altra piega.
Isaac è l'essere più irritante che Lea abbia mai incontrato nella sua vita, con quella sua arroganza e i repentini cambiamenti di umore, porterà novità e scompiglio nella vita della giovane.
Tra un rapporto che fatica ad instaurarsi, vecchie ferite non ancora del tutto sanate ed un patrigno che sembra darle la caccia, Lea si ritroverà ad affrontare sentimenti che non sapeva essere in grado di provare, specialmente non per uno come Isaac Hall.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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«E non ti spaventa?»
«Cosa?»

«Questo cambiamento, queste sesazioni...»
«Mi terrorizzano.» Ammise Lea, grattandosi il naso.
Isaac era indubbiamente un bravo ragazzo, ma non era di certo il Romeo Montecchi del Ventunesimo Secolo, anzi, lui era più un giovane Heathcliff, naturalmente buono ma sempre in bilico sul baratro del Male e lei ne aveva abbastanza di tutto quel male che sembrava portarsi addosso come un profumo.
«Quindi avevo ragione io...» Azzardò la rossa, chiudendosi il pesante portone alle spalle. «Lui ti piace.»
La giovane si limitò a scrollare le spalle.
Le piaceva? Non le piaceva? Francamente non lo sapeva nemmeno lei.
C'era dell'attrazione, quello era oramai innegabile, ma non avrebbe saputo dire fino a che punto ma non avrebbe saputo dire fino a che punto si spingesse il desiderio e dove avessero inizio i sentimenti, sempre ammesso che ce ne fossero. 
«Non mi è indifferente.»
L'urletto della migliore amica per poco non le perforò un timpano e le braccia, strette al suo collo, quasi non la soffocarono.
Red lo aveva sempre saputo, o meglio, ci aveva sempre sperato.
Dal suo arrivo, non aveva mai visto Lea tanto felice come quando era in compagnia di Isaac, nemmeno quando era con lei. Era come se il ragazzo fosse capace di creare attorno a loro una bolla di sapone dove tutto il suo dolore non era che un ricordo lontano.
La rossa, nonostante la gelosia, non poteva che essere felice e sperare che il giovane Hall non decidesse di rovinare l'ultima, ed unica, cosa bella, e sana, rimasta nella sua vita.
«Ho detto che non mi è indifferente, non che sono follemente innamorata di lui.» Brontolò Lea, aggiustandosi la tracolla sulla spalla. 
«Oh, ma fidati, Bimba, è solo questione di tempo.»



Lea si chiuse la porta alle spalle, lasciando che un sorrisetto le si dipingesse sul volto.
Per la prima volta in tanto tempo era serena, serena e tranquilla, come, probabilmente, non lo era mai stata in tutta la sua vita. Si sentiva pervasa da uno strano torpore, da qualcosa che non le apparteneva più da tempo; decise che non ci avrebbe pensato troppo e che se la sarebbe goduta fin quando sarebbe durata.
Poggiò il chiodo sull'isola della cucina, dirigendosi verso il salotto, dove Carmensa, comodamente seduta sul divano, intenta ad ascoltare un vinile di Annie Lennox, rigorosamento suo, e a frugare tra la posta arrivata.
Lo faceva spesso e sbuffava ad ogni bolletta o qualsiasi volta non si ritrovasse davanti qualcosa di interessante. Come gli assegni che Nonna Wilson inviava mensilmente alla nipote...

«Che hai da sorridere?» Bofonchiò non appena la vide. «Hanno trovato una cura per il cancro?»
Lea, non appena si risvegliò dal suo stato di trance, rivolse alla sorellastra uno sguardo confuso. «Cosa?»
«Ho detto: hanno trovato una cura per il cancro?»
«No...»
«Allora smettila di sorridere, mi stai irritando.»
Trattenersi dal prenderla per i capelli ed infilarle la testa nel water si rivelò pi difficile del previsto.

Quella bambina doveva essere il suo Karma; accidenti a lei e alla stupida decisione di sputare la gomma da masticare tra i capelli di Bobby Lee...
«Dove sono i nostri genitori?» Domandò, dopo qualche istante di silenzio, prendendo posto sul divano, il più lontano possibile dal braccio destro di satana.
«Sono usciti a fare un Pic Nic romantico, torneranno in serata.» Mormorò in risposta Carmensa, lanciando all'indietro l'ennesima bolletta. «Ne stanno facedo molti, ultimamente.» Constatò.

Aveva ragione. Peccato solo non sapesse che quella delle scampagnate da fidanzatini non fosse che l'ennesima scusa atta a coprire le sedute di chemio di suo padre.
Peter Wilson non ne aveva ancora parlato con nessuno. Marìa Elèna le aveva detto di portare pazienza, che gliene avrebbe parlato quando avrebbe riteuto fosse il momento più giusto. Lea lo stava facendo, stava portando pazienza, ma il momento giusto sembrava non arrivare mai. 

«Già.» Replicò in risposta, spostando lo sguardo fuori dalla finestra aperta.
Norman Hall, seduto sulla veranda, stava guardando nella sua direzione.
Sul volto uno sguardo sconfitto. Scosse il capo ed, emettendo un sospiro rassegnato, entrò in casa. 
Quell'uomo aveva un vero e proprio odio ingiustificato nei suoi confronti. Isaac le aveva detto di non preoccuparsene, che era solo un uomo burbero ed annoiato, il cui unico e vero proposito rimasto era quello di ubriacarsi fino a cadere addormentato, per i successivi due giorni, sul divano, ma lei non ne era troppo convinta.
Lo squillo del cellulare, la fece sobbalzare pericolosamente.
Si era di nuovo incantata, succedeva spesso ultimamente.
Estrasse il cellulare dalla tasca, e fissò con aria stranita l'immagine di suo fratello sullo schermo. Se lo portò all'orecchio.
«Ho fatto un casino, Lea...»



-New York, Il giorno prima-
«Non credevo saresti venuto.» Mormorò Aiden, spingendo il bicchiere di Whisky che gli aveva ordinato.
Dorian prese posto al tavolo, scandando con il dorso della mano la bibita, indicando, solo qualche istante dopo, il distintivo della cintura.
Ovviamente. Era in servizio.
«L'idea mi ha sfiorato la mente, ma poi mi sono detto che doveva essere successo qualcosa di davvero grosso, se ti sei deciso a chiamarmi dopo quasi tre mesi.»
Aiden gli rivolse un'occhiataccia di traverso, intimandogli con lo sguardo che quello non era né il luogo né il momento per trattare quel genere di discorso.
I due si erano conosciuti a fine agosto, entrambi di ritorno da un viaggio in California. Erano vicini di posto e si erano tenuti compagnia fino allo scalo a Minneapolis, dove le lunghe chiacchierate si erano trasformate in un amplesso memorabile. 
Era stata una meravigliosa parentesi, ma gli era bastato scendere da quell'aereo, per farlo rendere conto della necessità di troncare, qualsiasi cosa ci fosse stata, già da subito.
«Va bene, ho capito che non sei in vena di chiacchiere.» Esclamò sbrigativo l'agente, facendo passare un dito sul bordo del bicchiere di finto cristallo. «Allora muoviamoci, ho un appuntamento con qualcuno di decisamete più simpatico di te.»
«Apputamento galante?»
«Non immagini quanto.»
«Lui come si chiama?»
«Lavoro.»
Aiden nascose un sorrisetto soddisfatto dietro il bicchiere, distogliendo lo sguardo.
Quel senso di sollievo non era affatto normale, almeno non in quel momento.
Poggiò nuovamente il bicchiere sul tavolo, prima di infilare una mano all'interno della tasca dell'impermeabile. Ne estrasse una busta bianca e la spinse sotto il viso dell'uomo.
«Non credo di capire...» Mormorò Dorian, una volta finito di leggere la lettera. «E' solo una lettera ad un ex fidanzato in carcere, perché mai dovrebbe essere così scandalosa?»

Il giovane Wilson alzò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore.
Si fidava di Dorian, era un agente dell'FBI, era sicuramente la persona più adatta per gestire quella situazione, ma d'altra parte sarebbe stato come tradire sua sorella.
Era ad un bivio.
Si era trascinato in quella situazione, senza sapere bene come gestirla.

«Ti ricordi quando ti raccontai della famiglia? Ti dissi che avevo una sorella ed un fratello...»
«Me lo ricordo.» Affermò l'agente, annuendo piano. «Ricordo anche che hai parlato più nel dettaglio solamente di tua sorella.»

Aiden prese un profondo respiro. «Mio fratello Dean, è morto dieci anni fa. Lui non era esattamente mio fratello, lo era solo da parte di madre. Non ha mai voluto rivelarci chi fosse il padre, fin quando, a inizio dicembre, un uomo, Gabe, si è trasferito a casa nostra...»
«Ma in questa lettera l'uomo a cui lei si rivolge si chiama Robert...» Concluse Dorian. «Qualcosa mi dice che la storia che stai per raccontarmi non mi piacerà per niente...»
«Lo penso anche io!»


«Sei un dannato incoscente, Aiden.» Tuonò Dorian, chiudendosi la porta di casa sua alle spalle. «Mi spieghi come diavolo ti è ventuo in mente di voler giocare al supereroe?»
Era furente.
La storia che gli era stata raccontata si era rivelata persino peggiore di quello che si era immaginato e tutto perché il giovane Wilson aveva deciso di voler gestire la situazione da solo. Si poteva essere più stupidi? Andiamo, neache non avesse mai visto un film poliziesco o più semplicemente la signora in giallo...
«Non stavo giocando a fare il supereroe, è che non ho trovato nessun aiuto, ho dovuto per forza prendere in mano la situazione.» Si giustificò l'altro, improvvisamente sulla difensiva. 
Non stava mentendo. Più di una volta, lui e sua sorella, avevano tentato di far emanare un ordine restrittivo o una semplice denuncia, ma ogni volta i loro tentativi si erano rivelati inefficaci. Il verbale scompariva ancora prima che finissero di compilarlo.
«Avresti dovuto rivolgerti a qualcuno più in alto...»
«Non credevo all'FBI interessassero certi casi minori.»
«Gli interessano se ci sono di mezzo poliziotti corrotti!»
Aiden rimase in silenzio, non sapendo come replicare oltre. Aveva fatto uno sbaglio, ma lo aveva fatto in buona fede, non credeva che la sua azione potesse portare a delle conseguenze tanto grandi.
Quando aveva fatto scappare Lea, non aveva certo immaginato di aver dato inizio alla caccia...
«Dove hai trovato questa lettera?» Domandò l'agente, sbloccando lo schermo del Mac.
Il giovane prese posto sulla sedia libera al suo fianco. «Nella sua borsa della pesca.»
«Quando?»
«Stasera.»
«C'era dell'altro?»
«Una macchina fotografica, una cartina e le chiavi di una Chevrolet Montecarlo.»
«Pensi che si sia accorto del furto?»
«Dubito.» 
Solo sua madre lo aveva visto con le mani infilate in quel borsone ed era riuscita ad intortarle una scusa plausibile, urlandole contro di dire a quell'idiota di suo marito di non lasciare la sua roba per strada. Effettivamente non le aveva neanche mentito, quella roba era davvero in mezzo alla strada, il fatto che si fosse messo a curiosare, poiché stranito da questo improvviso interesse da parte di Gabe per la pesca, beh... era un'altra storia.
«Più o meno, quanto tempo fa sarebbe stato arrestato?» Domandò Dorian, risvegliandolo dal suo momentaneo stato di trance.
Aiden fece un breve calcolo mentale, che, data la sua incapacità con i numeri, gli portò via più tempo del previsto. «Ventisei anni fa, forse ventisette...»
Ci vollero meno di venti minuti buoni, poi finalmente i primi risultati apparvero sul database.
«Credo che questo sia il nostro uomo.» Esclamò l'uomo, girando lo schermo verso di lui.
Un conato di vomito salì su per la gola di Aiden, quando, fissando la foto, riconobbe il ghigno malefico del patrigno, sicuramente più giovane, ma ugualmente viscido. Dovette trattenersi con tutte le sue forze per non vomitargli sul parquet.
«E' lui...» Sussurrò sconfitto, facendo passare lo sguardo sulla scheda di notificazione.
Diceva che era stato arrestato per aggressione su minore. Tre ragazze erano morte per mano sua. Tutte con lo stesso canone di ''bellezza'', alte, more e dagli occhi scuri. Come sua madre... come Lea.
«C'è solo un problema, Aiden.» 
«Dimmi.»
«Robert Andrews è morto in una rissa tra detenuti circa dieci anni fa.»
Di bene in meglio, pensò sarcasticamente, portandosi una mano sugli occhi.
Si chiese se sua madre avesse sempre saputo tutto. Se il suo accettare di buon grado il trasferimento a Philadelphia ed il successivo ad Harpool Bay non fosse dovuto solamente alla sua coscienza sporca.
Se possibile gli veniva ancora più da vomitare.
Si portò i palmi delle mani sugli occhi, facendoli poi scivolare lungo tutto il viso.
«Che faccio adesso?» Pigolò tristemente.
Dorian prese un profondo respiro. «Adesso chiamerai tua sorella e le dirai tutto ciò che abbiamo scoperto, glielo devi, poi prenderai il primo aereo per la California e le starai accanto.»
«E che ne sarà di Gabe? Finisce semplicemente qui? Sappiamo cosa ha fatto e ce ne infischiamo?»
«Io resterò qui e prenderò in mano la situazione.»
Sapeva che quello di mandarlo via era solo un modo come un altro per evitare che scoppiasse di rabbia e facesse qualcosa di cui poi si sarebbe pentito, e generalmente si sarebbe sentito offeso da un trattamento del genere, ma quella volta si sentì solamente sollevato. Per la prima volta in vita sua sapeva di aver messo la vita di sua sorella nelle mani di qualcuno degno di fiducia.
«Grazie.» Sussurrò, non trovando, però, il coraggio di guardarlo negli occhi.
«Giuro, Aiden Wilson, che se questa è stata solo una scusa per rivedermi, ti arresto.»


Harpool Bay, 22 Ottobre, 2016.

«Ho capito.» Sussurrò Lea, trattenendosi dal tirare su con il naso.
Aveva ascoltato il racconto del fratello in religioso silenzio, rinchiusa nella sua stanza per evitare che Carmensa carpisse qualche informazione. 
«Ti aspetto...» Aggiunse, prima di chiudere la telefonata.
Aveva l'amaro in bocca. Si sentiva male anche solo a muovere un muscolo.
Quindi allontanarsi, scappare, non era servito a niente, aveva solamente fatto si che sentisse maggiormente l'odore della caccia, che la desiderasse di più. 
Questo stava a significare che chiunque le fosse accanto, adesso, era in pericolo e che tutta la bella vita che aveva vissuto fino a quel momento non era che l'ennesimo castello campato per aria.
Cristo, come aveva fatto ad essere tanto stupida e pensare che potesse sopravvivere normalmente?
Pensò a quelle povere ragazze, quelle tre giovani che non avevano avuto un Aiden a prendersi cura di loro e che erano state ritrovate riverse in qualche vicolo. Strappate alla vita troppo presto. 
...Probabilmente, presto sarebbe successo anche a lei.
Se avesse avuto qualcosa nello stomaco probabilmente avrebbe vomitato.
Si alzò da terra, prendendo posto alla scrivania. Doveva assolutamente parlarne con qualcuno o tutte quelle sensazioni l'avrebbero portata alla pazzia. Ma chi?
Il suo sguardo si spostò istintivamente nella camera di fronte.
Isaac era appena rientrato dal locale e si stava cambiando la maglietta prima di doversi trasferire al suo turno in officina.
Non poteva parlarne con lui, avrebbe sicuramente dato di matto. Avrebbe fatto qualcosa di stupido, come partire per andare a cercare Gabe e si sarebbe fatto male...
Nina? Infondo lei già sapeva parte della storia, sarebbe stato più facile aprirsi. Ma per quanto fossero amiche, non si erano mai lasciate andare a confidenze senza che ci fosse un vero e proprio momento di mezzo e poi lei sarebbe sicuramente corsa da Isaac...
Forse Red... ma Red era Red, avrebbe sicuramente dato di matto e lei sarebbe andata in panico.
Tristemente Lea si rese conto di quanto misera e povera fosse la sua lista di amici. 
Sospirò, evitando di temporeggiare oltre, aveva bisogno di parlarne, poco importavano le conseguenze. Senza ulteriore indugio avviò la chiamata e si portò il cellulare all'orecchio.
«Ho bisogno di te.»

 
   
 
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