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Autore: Himenoshirotsuki    16/05/2017    7 recensioni
[Seguito di "Fuoco nelle Tenebre"] [La stori è un pausa un mesetto, ma non sospesa. Finisco Fighting Fire e riprendo ad aggiornare!]
Dopo gli ultimi eventi, il destino di Esperya sembra ancora più incerto. Lyssandra muove i fili da dietro le quinte, Mirya e i bambini sono rintanati ad Alabastria, mentre Ledah è stato catturato. Sembra che il ritorno di Aesir e della sua era dell'oscurità sia inevitabile, ma c'è ancora qualcuno che si oppone, qualcuno che ha pagato un prezzo di sangue per diventare ciò che è. Con un nuovo corpo e un solo anno a disposizione, Airis dovrà adempiere al suo compito di Guardiano affinchè i drow e il dio dell'oscurità non facciano di nuovo piombare Esperya in un caos di morte e distruzione.
Battaglia dopo battaglia, incontro dopo incontro, in un lungo viaggio attraverso lande desolate e città e regni meravigliosi, Airis scoprirà così i dettagli di una macchinazione destinata a cambiare le sorti del mondo, ma, soprattutto, la verità sul suo passato, una verità che potrebbe distruggerla.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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Fuoco 2

10

Nei tuoi occhi, il male

Uno scalpiccio nel corridoio strappò Ledah a un sonno breve e inquieto. La luce grigia della mattina non poteva filtrare attraverso la pietra, ma lui sapeva che il sole era sorto: da quando era lì dentro, aveva sviluppato la capacità di misurare lo scorrere del tempo in base alle visite che riceveva e al tipo di silenzio che lo attorniava. Si concentrò quindi sul rumore di passi in avvicinamento, cercando di associare quell'andatura marziale a un viso noto. Tuttavia, la sua attenzione venne presto calamitata, di nuovo, dallo sgocciolio che proveniva da un angolo della cella, ai margini del suo campo visivo. In quell'istante, come accadeva sempre non appena quel suono ipnotico prendeva possesso delle sue orecchie, le voci tornarono a farsi sentire, sussurrando maligne nella sua mente.
Ledah, dove scappi?
Pensi davvero che basti ignorarci per mandarci via?
Ingenuo.
Stupido.
Codardo.
“Perché non state mai zitte?!”
All'improvviso, una voce familiare si insinuò nella sua coscienza e lo riscosse dalla catalessi.
- Buongiorno, corvetto. - lo salutò Brandir, entrando nella stanza.
Sotto un mantello verde scuro, indossava l'armatura nera del loro primo incontro, con le daghe elfiche che tintinnavano contro gli alti schinieri ad ogni passo. All'altezza della gola, dove la lama di Airis lo aveva colpito, biancheggiava la cicatrice che, come una collana di spine, gli deturpava il collo.
- Non mi tratterrò a lungo, sono solo venuto a vedere come stavi. Mi sembri in forma, nonostante tutto. Le guardie mi hanno riferito che sei stato un po' inquieto negli ultimi giorni, addirittura riottoso. Qualcosa non va? -
Ledah sollevò stancamente il capo e fissò lo sguardo in quello del suo vecchio compagno d'armi. Aveva gli occhi di un verde slavato, opachi come quelli di un morto.
- Non hai voglia di parlare un po'? Sei solo da parecchio tempo, rinchiuso in una gabbia di simboli magici e silenzio, lasciato a impazzire, dovresti morire dalla voglia di scambiare due chiacchiere con qualcuno, no? Oppure non ti ricordi più come si fa? -
- Cosa vuoi? - gracchiò Ledah con un fil di voce.
Il sapore acre del sangue gli riempì la gola e l'odore dell'umidità gli permeò il naso, impedendogli di percepirne altri all'infuori di quello del suo corpo, che puzzava di sudore e sporcizia. Si protese verso Brandir, tirando le catene quel poco che bastava per avvicinarsi. Le rune sugli anelli, come si aspettava, non si attivarono.
- Speravo di ottenere una confessione. - rivelò il visitatore.
- Una... confessione? -
- Esatto. Non guardarmi con quell'aria trasognata, corvetto, sai di che cosa parlo. C'è solo una cosa che desidero udire dalle tue labbra e non capisco perché tu non sia stato il primo a chiedere alle guardie di farmi venire a chiamare. A breve finirà tutto, tu smetterai di esistere e il Mondo Nato dal Nulla rinascerà una seconda volta. Il tuo fato è segnato, non c'è nessuna possibilità di salvezza. Non ti resta più niente se non le ceneri ancora calde di ciò che hai distrutto. Perciò confessa e chiedi perdono per tutto il male che hai causato. -
- Ho già pagato per i crimini che ho commesso, ma forse Lysandra non te ne ha reso partecipe: il nostro popolo mi ha esiliato, Aiwen mi ha disconosciuto e ho vissuto a Llanowar come un reietto. -
- Non dovresti pronunciare il suo nome, anche se era tua sorella. Non osare mai più nominarla, hai capito? Non dopo quello che ci hai fatto! - ringhiò ostile, stringendo i pugni e cominciando a girargli attorno come un lupo pronto a balzare sulla sua preda, - Se non fosse stato per te, per la tua codardia, a quest'ora niente di tutto questo sarebbe accaduto: io non sarei morto e la mia bambina, la mia Vyndra, avrebbe un padre! -
- Non potevo consegnarmi a Lysandra! Lei non è la donna che credi, non lo è mai stata. Haldamir non avrebbe mai tentato di eliminare un'innocente. Se non credi alle mie parole, guarda ai fatti. I nostri fratelli del Consiglio... -
- I membri del Consiglio? Loro sono colpevoli tanto quanto te, Ledah. Mi sono sempre domandato come avessero fatto i nostri Anziani a non capire quanto fossi pericoloso. -
- Brandir, non sono io il nemico. Apri gli occhi! -
- Aprire gli occhi? L'ho già fatto, caro il mio corvetto. Sai, da quando sono diventato un Risvegliato, la verità mi è stata svelata in ogni dettaglio. Ora tutto mi appare limpido, chiaro, così semplice. - sospirò sorridendo, passeggiando avanti e indietro di fronte a Ledah, - La corruzione striscia ovunque senza risparmiare nessuno, né elfi né umani, o qualsiasi altra razza. In passato gli Alati, i figli prodighi di Yggrasil, furono puniti per la loro insolenza, per essersi opposti al volere del loro Padre, ma è evidente che la storia, la madre di tutti i mali, non ci ha insegnato nulla. Adesso è il momento che il Caos prevalga sull'Ordine, affinché dalle ceneri di questo mondo ne rinasca uno migliore, più giusto, più equilibrato. -
Mentre lo ascoltava parlare, Ledah si rese conto che Brandir credeva davvero a ciò che diceva. Lo capì dallo sguardo folle che gli aveva acceso lo sguardo e dalla fermezza che gli induriva la voce. Sembrava un pazzo, impressione accentuata dal pallore del suo viso, dalle pupille dilatate e le palpebre cerchiate di rosso.
- Brandir, non capisci che Lysandra ti sta ingannando? Ti ha manipolato e reso suo schiavo. Ascoltami, te ne prego, non darle retta. Qualsiasi cosa ti abbia detto, è stata soltanto per ammansirti e trasformarti in un suo fedele servitore. Il Consiglio non avrebbe mai mandato i loro migliori guerrieri a morire in una missione suicida, non con una guerra in corso. Hanno sempre pensato al bene del nostro popolo, sono sicuro che non fosse loro intenzione... -
- Ti volevano morto, Ledah! - sbottò diretto, esasperato dalla sua cocciutaggine, - Eri considerato un nemico e da tempo avevano pianificato di ucciderti. Non potevano condannarti a morte per il sangue che ti scorreva nelle vene, eri pur sempre il figlio di Elladan e, anche se col matrimonio con Haldamir lei aveva perso il diritto al trono, rimanevi pur sempre un membro della famiglia reale, un discendente diretto della stirpe Arawan. Nessuno avrebbe osato alzare un dito su di te. Per questo era necessario un pretesto valido, qualcosa che ti inchiodasse senza via di scampo. -
Brandir si spinse fino al limitare del cerchio di rune e si piegò appena, scoccandogli dall'alto un'occhiata derisoria e crudele.
- Però non avevano messo in conto una variabile di una certa importanza: tu non sei un elfo normale, sei nato da una donna morta e tuo padre è un dio. Si potrebbe dire che la vita sia stata più che generosa con te, molto più che con gli altri suoi figli. E tu, invece di accogliere questo dono e sacrificarti per un futuro migliore, cosa hai fatto? Sei scappato. Non hai onore, Ledah, tutta la tua vita è uno oltraggio! -
Ledah scoppiò a ridere e la sua voce raschiante sembrò il cupo gracchiare di un corvo.
- Cosa ci trovi di divertente? - sibilò Brandir tra i denti.
- Vuoi davvero saperlo? - strinse i pugni, trattenendosi dallo strattonare le catene, - Rido per non piangere. Perché quello che ho davanti non è più l'elfo che ho conosciuto, il mio più caro amico, un druido costretto a vestire i panni del soldato per servire la patria. No, tu sei un macellaio che si sta facendo manipolare da una Lich, il cui unico obiettivo è mettere in ginocchio il mondo al fine di agevolare un dio a distruggerlo! Non ti chiederò mai perdono. Forse in passato lo avrei fatto, la prima volta che ci siamo rivisti ti ho scongiurato di fermarti, ma ora ho capito: tu non sei Brandir, ma un sacco di carne che di lui ha conservato solo la faccia. Una brutta, cadaverica faccia. -
Trasse un profondo respiro, parlare per tutto quel tempo lo aveva sfiancato, ma i pensieri galoppavano più veloci di qualsiasi sensazione fisica e si riversavano fuori dalle sue labbra come un fiume in piena.
Brandir lo fissò per un lungo momento e Ledah sostenne fieramente quello sguardo: aveva la sensazione che se avesse incanalato tutto il dolore negli occhi, il suo amico avrebbe potuto percepirlo sulla pelle mentre gli scavava nella carne viva, fino ad addentrarsi nelle ossa. Forse allora avrebbe capito che non gli stava mentendo. Entrambi avevano perso qualcuno di caro.
Negli occhi di Brandir, tuttavia, c'era solo furia cieca, che gli distorceva i lineamenti delicati del viso e lo trasfigurava in una bestia. Gli bastò un passo per attraversare il cerchio di rune e arrivargli vicino, tanto che Ledah poté inalare l'odore marcescente che scaturiva dal suo corpo. Brandir gli afferrò violentemente il cuoio capelluto, tirandolo indietro e obbligandolo a mostrare la gola in segno di sottomissione. Poi gli prese il mento e lo costrinse a venire avanti con uno strattone, che fece pulsare i simboli sulle catene.
- Tu non sai cosa vuol dire perdere qualcuno che ami, non hai mai amato nessuno a parte te stesso. - sibilò invelenito a un palmo dal suo naso.
Ledah si contorse quando una scarica di dolore si irradiò in tutta la faccia, una ragnatela ardente che gli fece venire le lacrime agli occhi e gli arroventò le orecchie, mentre il cervello si svuotava.
Cosa poteva dire? Che anche lui aveva amato? Quello che provava per Airis cos'era?
“Non importa, tanto ormai lei non c'è più.”
A quel pensiero, le voci lo aggredirono ancora, sovrapponendosi l'una all'altra in un caos di parole.
Non c'è più motivo di combattere.
Vieni con noi, starai bene.
Il dolore passerà, non sentirai più nulla... avrai pace.
Quell'ultima frase scivolò nelle sue orecchie come miele. Socchiuse le palpebre e si immaginò come sarebbe stato abbandonarsi al torpore, che da un angolo della mente premeva per fagocitare la sua coscienza e la sua volontà. Si rese conto che sarebbe stato semplice, e forse finalmente avrebbe trovato la pace che tanto agognava fin da quando era stato esiliato. Era stanco, stufo di arrancare e trascinarsi su una strada che portava verso il baratro. Arrendersi era una proposta molto allettante.
Non seppe da dove provenne la voce che rispose a Brandir, era la sua e allo stesso tempo non lo era.
- Ti sbagli, c'è stata una persona che ho amato, una donna piena di segreti con la quale non ho passato che poche settimane della mia vita, nient'altro che frazioni di secondo in confronto ai secoli che mi porto sulle spalle. Eppure so di averla amata. Ciononostante, quello che ho perso non è abbastanza per farmi capitolare. La sofferenza non è una scusa sufficiente per lasciarmi schiacciare nel fango e convincermi ad abbandonare ciò per cui ho lottato per tutti questi anni. - puntò gli occhi lucidi di febbre in quelli dell'altro e curvò le labbra in una smorfia amara, - Sono felice che né Aiwen né Vyndra possano vederti adesso, non ti riconoscerebbero. -
Brandir lo fissò, per la prima volta senza parole dall'inizio della conversazione. Poi gli sferrò un pugno che gli strappò il fiato, e con esso i pensieri. Non soddisfatto, si accanì sempre di più, lo colpì ancora e ancora, grugnendo e urlando come un disperato. Non era la metodica crudeltà di un carnefice a guidare il suo corpo, quanto la lacerante consapevolezza di aver perso tutto.
Ledah incassò senza tentare di ribellarsi o schivare, poiché sarebbe bastato un movimento più brusco degli altri per attivare le catene. A dispetto del dolore, mantenne la testa alta e la bocca serrata, in modo tale che il suo aguzzino non venisse premiato nemmeno da un singolo gemito.
Quando le guardie arrivarono richiamate dal trambusto, stava già cedendo all'incoscienza. Però udì fino alla fine le grida di Brandir, lo vide contorcersi nel tentativo di aggredirlo nuovamente da dietro il velo rosso che gli copriva lo sguardo. Prima di svenire, frastornato dalle botte e del panico che si era scatenato nella prigione, Ledah captò un ultimo particolare che lo fece sorridere vittorioso: la linea di sangue del cerchio di rune, quella più esterna, si era rovinata.
 
Era mattina presto quando Ledah si svegliò. I raggi obliqui del sole entravano dalle finestre smerigliate, delineando i contorni del letto e della cassettiera sul muro opposto. L'elfo allungò le braccia stiracchiandosi e si guardò intorno con la vista ancora annebbiata dal sonno.
La notte precedente era tornato relativamente tardi alla Reggia dei Ginepri, ma nessuno sembrava essersi accorto del suo rientro tardivo, anche se sospettava che un paio di guardie avessero scorto quantomeno la sua ombra.
Si mise a sedere e dopo un lungo sbadiglio scese dal letto. I vestiti della sera prima erano appoggiati sulla sedia, impilati ordinatamente gli uni sugli altri, mentre l'armatura luccicava sulla rastrelliera, assieme al mantello verde scuro che aveva indossato durante il viaggio. Aveva il lembo sinistro leggermente strappato: avrebbe dovuto farlo riparare prima di partire in missione a Sheelwood, ma gli era passato di mente.
Sulla scrivania di legno scuro, un bigliettino piegato in quattro era stato infilato sotto il vaso di fiori, in modo che solo un angolo fosse visibile. Con un'espressione corrucciata, lo prese e lo aprì. Riconobbe subito la calligrafia di Brandir, le lettere vergate con una tale eleganza e precisione potevano essere solo che sue.
 
Oggi io e te abbiamo un impegno. Appena finito il colloquio, seguimi.
B.
P.s: nell'armadio troverai ciò che ti serve e non dimenticare di farti la treccia rituale.
 
Ledah inarcò un sopracciglio, perplesso e allo stesso tempo divertito. Quindi andò in bagno e si fermò davanti allo specchio. Osservò con espressione critica e quasi di sfida le ciocche ribelli che gli ricadevano sul viso e rilasciò un sospiro affranto. Dopodiché impugnò il pettine con cipiglio battagliero e arricciò le labbra, pronto a districare un nodo particolarmente tenace sulla nuca.
A Llanowar era usanza portare i capelli lunghi per dimostrare il legame con il Padre della Foresta, e Haldamir aveva sempre preteso che Ledah si adeguasse agli usi e costumi della foresta del Nord, anche se questi odiava dover perdere minuti preziosi ogni mattina per pettinarli. A distanza di anni dalla sua morte, però, nonostante si fosse ripromesso più volte di farlo, non li aveva mai tagliati.
Trovò strano che gli fosse tornato in mente suo padre, da diversi anni non ripensava a lui. Del resto, non avevano mai avuto un bel rapporto, Haldamir era sempre stato molto scostante e Ledah un ribelle. Più di tutto ricordava il suo sguardo severo, che aveva il potere di farlo sentire insignificante come un verme. Eppure non poteva biasimarlo per essersi comportato in quel modo, aveva avuto le sue ragioni. Solo quando era spirato, Ledah si era reso conto del vuoto che aveva lasciato. Non poteva dire di averlo amato, semmai il contrario. A differenza di Aiwen, non aveva versato nemmeno una lacrima mentre i capi tribù lo smembravano. Nei giorni a seguire era tornato spesso al cimitero per osservare i resti del suo corpo e, mentre i corvi e gli animali della foresta banchettavano con ciò che rimaneva del suo cadavere, Ledah aveva osservato la scena in religioso silenzio, finché non erano rimaste che ossa rotte e schizzi di sangue rappreso sull'erba.
Non sapeva se l'anima di Haldamir avesse trovato pace. Forse i corvi lo avevano guidato nel paradiso in cui tanto credeva per aiutarlo a diventare parte della natura, e qualora si fosse perso durante cammino che conduceva all'Elwing Telperiën, avrebbe potuto reincarnarsi e vigilare sul suo popolo.
Spero davvero che alla fine tu abbia trovato la serenità che in vita ti è stata preclusa.”
Prese un cofanetto di noce appoggiato allo specchio e tirò fuori delle piume di falco e un nastro verde muschio, per poi dividere i capelli in varie ciocche e cominciare a intrecciarli fin dalla cute, aggiungendo di tanto in tanto le decorazioni che aveva appoggiato sul ripiano.
Una volta terminata l'acconciatura, rientrò in camera e aprì l'armadio. Dentro c'erano un paio di calzoni scamosciati nei toni del verde e una tunica corta con inserti in seta e ricami sulle maniche svasate. Ad accompagnare il tutto, degli stivali in pelle nera, con un'edera che si arrampicava lungo tutto il polpaccio.
Almeno non è un abito.”
Ricordò con un sorriso il giorno dell'investitura di Aiwen, in cui suo padre costrinse lui e Brandir a indossare una lunga veste dorata e un cerchietto d'argento sulla testa, come si addiceva ai familiari e al promesso sposo di una candidata al Consiglio. A Brandir non era dispiaciuto, anzi, agghindato in quel modo, con i capelli stretti in una coda e la punta delle orecchie adornata con orecchino d'onice, sembrava un druido dei boschi, proprio quello che sarebbe diventato se la guerra non avesse preteso i suoi servigi. Per Ledah, invece, era stato uno strazio: si era sentito ridicolo con gli occhi truccati in modo da farli sembrare ancora più sottili, e per di più la veste gli andava stretta sulle spalle e sulle braccia.
Si avvicinò allo specchio e si sistemò il colletto e la treccia, assicurandosi che qualche ciocca non fosse sfuggita alla costrizione delle piume e del nastro. Infine uscì dalla camera, diretto alla sala dalle udienze.
La Reggia dei Ginepri, così era stata soprannominata la corte del re e della regina di Sheelwood, era una struttura che sorgeva al penultimo piano del Padre della Foresta. Somigliava a un castello principesco. Si estendeva per quattro piani ed era ornato con pinnacoli, balconate, sculture ornamentali e numerose torri che svettavano orgogliose con più di duecentosessanta piedi di pietra bianca. Su quella più alta, sita sul lato ovest, sventolava la bandiera della casata reale, una foglia dorata inscritta in una rosa dei venti. La prima volta che Ledah era andato a Sheelwood, l'aveva vista solo da fuori, ma già all'epoca era rimasto colpito dalla magnificenza delle statue e dei bassorilievi che decoravano le bifore e le trifore dai vetri coloratissimi.
L'interno rispecchiava la stessa spettacolare opulenza dell'esterno. Aveva sentito dire che ci fossero oltre duecento camere, incluse quelle della servitù e dei soldati della guardia personale del re e della regina. Gli alloggi del suo gruppo erano nell'ala est, vicino al cortile interno, con una piccola serra privata dove le dame passavano la maggior parte del tempo a parlare di cose frivole e di poco conto.
Con passo svelto, Ledah si orientò nei corridoi e raggiunse la Sala delle Udienze. Quando si avvicinò alla porta, le due guardie lo squadrarono da capo a piedi.
- Chi va là? -
- Sono uno dei guerrieri di Llanowar. Sono stato convocato dal re. - si annunciò.
L'elfo sulla sinistra, che sfoggiava una cicatrice sul labbro e un occhio glauco, si prese un momento per studiarlo, prima di rivolgere un cenno al suo compagno e farsi da parte. Ledah passò oltre a testa alta.
La Sala delle Udienze era imponente e ampia. Le tre arcate che la circondavano sui tre lati culminavano in un'abside, dove si trovava il trono di rovere. Lo schienale, intagliato nell'effige di un antico albero, si innalzava verso il soffitto, per poi fondersi con esso sfaldandosi in radici nodose che, come una ragnatela, penetravano nella pietra. Merli e cardellini svolazzavano in qua e là, per poi tornare a rifugiarsi nel loro nido, nascosto chissà dove nell'intrico di rami e foglie.
Ledah fissò incantato quella struttura, che sembrava tutto fuorché un semplice sfoggio di opulenza. Se avesse chiuso gli occhi, ne era certo, avrebbe percepito il respiro del legno e l'odore della clorofilla che lo irrorava e vivificava.
I suoi compagni già presenti, tutti vestiti con abiti eleganti, gli rivolsero un cenno di saluto. Brandir gli riservò una smorfia che voleva dire “sei sempre in ritardo”, ma Ledah lo ignorò deliberatamente e si accinse a prendere posto con aria innocente, sapendo che avrebbe fatto arrabbiare l'amico.
Re Meidras e sua moglie, la regina Vedra, sedevano affiancati, lui sul trono intagliato in un albero, lei su uno scranno di legno bianco, con rami esili e penduli che si allungavano verso l'alto intrecciandosi tra loro e con quelli dell'altro trono. Avevano entrambi la pelle ambrata, in un curato contrasto con i capelli corvini e gli occhi finemente truccati. Vedra stringeva la mano del marito, mentre quest'ultimo abbracciava la sala con lo sguardo, vagando da un viso all'altro con un'espressione ansiosa a indurirgli le labbra. Non appena vide che Ledah si era allineato con gli altri, si schiarì la voce e iniziò a parlare.
- Bene, ora ci siete tutti. Benvenuti a Sheelwood, stimati guerrieri. Mi dispiace avervi fatti venire per questioni così poco piacevoli, ma, come di sicuro saprete, la guerra è giunta fin qui. Immagino che il Consiglio vi abbia già edotti sul nemico che ci sta insidiando. -
- Sì, vostra maestà, ho conferito ieri pomeriggio con i vostri Anziani. Non credevo che tra gli uomini ne esistessero anche alcuni capaci di usare la magia e di essere allo stesso tempo così scaltri. Il comandante del manipolo accampato a oriente è molto più furbo di quanto mi aspettassi. - rispose prontamente Brandir.
- Proprio per questo vi abbiamo chiamati. Siamo preoccupati. Sebbene il Padre della Foresta sia celato alla vista dai nostri migliori incantesimi di occultamento, non possiamo escludere che questo mago sia in grado di tracciarne la posizione. Se così fosse, saremmo tutti in pericolo. - il re trasse un profondo respiro e si massaggiò la radice del naso, gli occhi adombrati dall'agitazione e dall'angoscia, - So che al Nord siete riusciti più volte a respingere l'avanzata degli umani e ciò fa di voi i candidati più adatti alla missione. Abbiamo perso fin troppe foreste per permetterci di sottovalutare la minaccia. -
Ledah si stupì a quelle parole. Tra Llanowar e Sheelwood non correva buon sangue da ormai molto tempo: gli abitanti della foresta del Sud reputavano quelli del Nord dei barbari ancora tenacemente attaccati alle tradizioni più antiche del loro popolo. Quando avevano perso le prime foreste, l'Assemblea dei Pari aveva mandato una delegazione da Meidras per offrire loro una mano, ma questi aveva rifiutato, troppo orgoglioso per accettare un'alleanza. Perciò sentirgli pronunciare un discorso del genere che nascondeva una chiara richiesta di aiuto lasciò di stucco tutti, persino la stessa regina.
- Saremmo onorati di assistervi, maestà. Quando i vostri guerrieri torneranno dalla spedizione, parlerò col loro comandante per organizzare un piano efficace. Sappiamo cosa aspettarci, abbiamo combattuto abbastanza per provare a prevedere le mosse dei nemici. Per quello che riguarda il mago, conto di ricevere notizie a breve sulle sue capacità. Sapere se è un Dominatore o un Arcanes ci aiuterebbe molto. - disse Brandir.
Il re annuì con aria affranta, intrecciando le dita con quelle della moglie. Un sorriso affiorò sulle labbra dell'elfo e, quando incrociò gli occhi della sua amata, la paura che li oscurava si dissolse, sostituita da una scintilla di speranza.
- Il ritorno di Baraja è previsto tra poco più di una settimana. Non appena sarà qui, la manderò subito da voi, comandante. Per ora prendetevi del tempo per riposare. Deve essere stato un lungo viaggio. - proferì Meidras.
- Grazie, maestà. -
- Bene, siete congedati. -
Tutti si inchinarono, compreso Ledah. Per tutto il colloquio, la regina non gli aveva staccato gli occhi di dosso, neanche per un istante. Anche mentre si allontanava, gli sembrava di sentire il peso del suo sguardo sulla nuca, come se volesse trafiggerlo da parte a parte. Quando le porte si chiusero alle loro spalle, per Ledah fu un sollievo.
Ad un certo punto, Brandir invitò i commilitoni ad avvicinarsi.
- Avete la giornata libera, ma ricordatevi di non ubriacarvi, sia mai che si lamentino della nostra maleducazione. -
- Non preoccupatevi, siamo dei bravi ragazzi. - gli rispose ridacchiando Gerania, la loro compagna più giovane, - Dai, andiamo, questo incontro mi ha fatto venire sete. -
- Anche a me. - concordò Ràl, - Seguitemi, ho visto una locanda al secondo piano del Padre. Se ci andiamo adesso, forse non troviamo troppa gente. -
Ledah abbozzò un sorriso divertito. Prima che Gerania potesse proporgli di accodarsi a loro, le fece un cenno di diniego con la testa. Aveva già bevuto abbastanza la sera addietro, per quel giorno era a posto.
Rimasti soli, Ledah studiò Brandir di sottecchi, cercando di non farsi notare. L'amico si comportava in modo strano da quando erano arrivati a Sheelwood e il fatto che non avesse voluto condividere con lui i dettagli che gli Anziani gli avevano riferito era solo uno dei suoi numerosi atteggiamenti sospetti. Anche mentre parlava con i sovrani era apparso teso.
Cosa mi stai nascondendo? Cosa ti turba così tanto da farti tenere la bocca chiusa?”
- Corvetto, puoi smetterla di fissarmi? È irritante. -
Brandir gli schioccò le dita davanti al naso per risvegliarlo dai suoi pensieri. Sorrideva come sempre, ma Ledah sapeva che c'era qualcosa che non andava. Si sforzò di ricambiare il sorriso e di mostrarsi disinvolto, nonostante il nervosismo e la tensione.
- Sì, scusami. È che sei così... colorato. Un pavone a confronto è un canarino sgraziato. -
- Lo prenderò come un complimento. - gli diede un pugno sulla spalla e gli fece strada lungo il corridoio, - Forza, cammina, anche noi abbiamo un impegno. -
- E tu odi fare tardi, lo so. - sospirò Ledah, le mani affondate nelle tasche dei calzoni, - Piuttosto, hai intenzione di dirmi di cosa si tratta, oppure devo indovinarlo? -
- Sono quasi tentato di tenertelo nascosto ancora un po' facendoti rodere il fegato, ma credo sia giusto che tu lo sappia. -
- Ecco, adesso sono preoccupato. -
Brandir ridacchiò e dopo un istante di esitazione dichiarò: - Io e Aiwen ci sposiamo oggi e tu ci farai da testimone. -
Ledah lo fissò a bocca aperta, a corto di parole. Sapeva che prima o poi avrebbero compiuto il grande passo, era nell'aria, ma non immaginava che avrebbero compiuto il grande passo proprio quel giorno. Brandir aveva sempre detto che avrebbero aspettato la fine della guerra, così da poter indire una grande festa, sia a Llanowar che a Sheelwood, ma erano passati quasi quarant'anni e Ledah immaginava che fossero stanchi di attendere. Dopo essersi ripreso, lo abbracciò e gli assestò poderose pacche sulla schiena.
- Finalmente! L'idea di avere una sorella zitella mi ha sempre tormentato, ma forse ora potrò mettermi il cuore in pace. -
Brandir scoppiò a ridere, imitato da Ledah, e le loro risate felici rimbalzarono sulle pareti di marmo bianco, richiamando l'attenzione degli elfi che passeggiavano per i corridoi. Essi si girarono a guardarli con disapprovazione, e quando Brandir e Ledah passarono vicino a uno di loro, che se ne stava con il naso arricciato come se ci fosse un cattivo odore nell'aria, l'ilarità crebbe assieme all'entusiasmo e scacciò via i cattivi pensieri.
Corsero fuori dalla reggia e attraversarono i ponti d'ambra continuando a scambiarsi battute, senza che il riso li abbandonasse mai. Incuranti della gente che sbirciava incuriosita nella loro direzione, scesero fino al piano di mezzo e si infilarono nei sentieri che si districavano sui rami dove sorgevano case, funghi variopinti e statue dedicate a divinità elfiche. Giunsero in prossimità di un ramo spesso e robusto, che sembrava invitarli a entrare in un gazebo avvolto da una veste sgargiante di clematidi e ipomee in fiore. Brandir si fermò al centro, mentre Ledah si appoggiò allo steccato, le braccia incrociate sul petto e il cuore in fermento. Di lì a poco, un'elfa agghindata con un semplice abito bianco e una spada di cristallo nero di Valhalla tra le mani arrivò da una stradina laterale, una delle tante che si snodava nei rami periferici del Padre della Foresta. Al suo fianco, nascosta da un mazzo di fiori troppo grande, c'era una bambina con le trecce rosse e gli occhi dello stesso azzurro dei fiumi di montagna, mentre alla sua sinistra avanzava un elfo con i lunghi capelli bianchi e delle leggere rughe ai lati della bocca e sulle mani screpolate.
Ledah e Brandir li fissarono finché non arrivarono ai primi scalini e lo sposo trasse un profondo respiro, prima che Aiwen lo affiancasse. Accarezzò la testa della bambina e, con un sorriso che gli illuminava gli occhi, le sussurrò qualcosa all'orecchio che Ledah non capì, ma che fece sorridere la diretta interessata. Poi, saltellando, quella si appiccicò allo steccato, affondando il viso nel mazzo di fiori.
Non appena anche Ledah si fu avvicinato, il sacerdote diede inizio alla cerimonia. Verso la metà, gli sposi disegnarono con la spada l'Amashta, il cerchio magico che, secondo la tradizione, li avrebbe protetti dagli spiriti maligni. Aiwen percorse la prima metà del cerchio, poi passò la spada a Brandir, gli occhi sprofondati in quelli dell'altro e il sorriso più felice che Ledah avesse mai visto. Nel frattempo, ripetevano le parole del sacerdote a bassa voce, scambiandosi le promesse.
 
Accolgo la tua protezione con la spada di Celebrinda
nel fuoco dell'amore e nei quattro elementi,
sotto le stelle del firmamento e sotto gli dei antichi e nuovi,
e giuro sul sangue che ciò che provo
è più puro della Verità Assoluta.
 
Il sacerdote compì un gesto con la mano e dal legno emersero delle candele. Brandir prese una stecca d'incenso dalle tasche e accese la prima, che per magia si dissolse in un vortice di petali rossi che il vento fece turbinare sul cerchio sacro. Aiwen gli si accostò e intrecciò le dita con le sue, prima di accompagnare la sua mano verso la seconda e la terza candela. Bastò un momento perché anche queste si sparpagliassero ovunque creando un tappeto floreale rosso, blu e giallo.
 
Tuo è il potere di Yggrasil, il sommo Padre,
tua la virtù di Galathien la saggia,
tua la fede di Lash'ar il mite
tue le gesta degli eroi che furono, sono e saranno
tua l’eleganza di Calimie la bella
tua l'indole del paziente Selindrior,
tua l’audacia di Tariel la cacciatrice,
tuo il fascino di Xana l'incantevole.
 
Tu sei la delizia d’ogni giorno,
la luce del sole appena nato,
il focolare acceso nelle notti gelide,
la stella più lucente che guida i marinai,
la prima spiga di grano,
il cervo che danza sui monti,
la grazia della colomba della pace,
il desiderio più profondo e anelato,
l'anima più gentile che il Padre mi ha concesso.
 
A questo punto, il sacerdote prese in custodia la spada e passò agli sposi un pugnale dalla lama ondulata, che catturava la luce come un piccolo sole. Aiwen strinse le dita attorno all'elsa e, dopo momento d'esitazione, si incise il polso destro. Il suo viso non tradì alcun dolore o paura, c'era solo determinazione, fiducia e amore. Brandir, non appena ella gli porse il pugnale, fece lo stesso, lo sguardo fisso in quello della sposa. Quando il sacerdote legò attorno ai loro polsi una striscia di stoffa bianca, che non tardò a macchiarsi di sangue, le loro voci si unirono per cantare un inno.
 
Ora il laccio che ci lega non si spezzerà più.
Imparerò da te ciò che la Vita non mi ha insegnato
e lo stesso sia per te, finché ciò che abbiamo cresca
e ciò che ci manca ci venga concesso.
Quel che ho amato, prometto d'amarlo sempre,
finché il Padre non ci prenderà con sé.
Il mio cuore sarà per te,
la mia anima sarà per te,
il mio amore sarà per te,
ora e per sempre.
 
Quando anche l'ultima nota si spense, Brandir e Aiwen si scrutarono in attesa, impazienti di ricevere dal sacerdote il segnale che la cerimonia si era conclusa. Non appena questi annuì e sorrise, Brandir sollevò Aiwen tra le braccia, affondò le dita tra i suoi capelli e baciò la sua risata.

Angolo Autrice:

Hello folks!
Oggi si è concluso il Giveaway e abbiamo un vincitore, finalmente u.u Nelle prossime due settimane mi impegnerò per mettere online la Os che vi ho promesso. Non vi dico ancora su chi sarà, ma vi assicuro che non appena la leggerete, vi verrà subito l'illuminazione u.u Bon, la prossima pubblicazione di fuoco è spostata all'11 giugno, ci si vede per allora!
Hime

  
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