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Autore: giusycchi    17/05/2017    5 recensioni
[Fa parte della serie "Di Rosa e di Blu"]
Aomine Daiki aveva sempre fatto casini sin da piccolo e la maggior parte di questi erano stati fatti ai danni di Satsuki: la faceva piangere, le faceva sempre i dispetti come l’averle gettato una rana in testa o alzarle la gonna per vedere cosa ci fosse sotto, ma non ricordava un singolo momento della sua vita che non avesse condiviso con lei o un giorno durante il quale non si erano visti, - anche se avevano litigato – a meno che uno dei due non fosse malato. Perciò, quando il giorno dopo, domenica, la ragazza non era venuta a casa sua a trovare i suoi genitori o almeno a rimproverarlo sullo studio come faceva di solito, capì di essere davvero nei guai e di averla fatta grossa.
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Se per la prima ora era stato divertente vederlo barcollare e cantare ‘Girl on fire’ prendendolo in giro perché una volta aveva ammesso che il lavoro del pompiere era interessante, ora Kagami ne aveva abbastanza [...]. La situazione era degenerata di nuovo quando il blu aveva incominciato a rincorrere Tetsu per abbracciarlo e prenderlo in braccio, perché aveva quasi la stessa altezza di Satsuki.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daiki Aomine, Kiseki No Sedai, Satsuki Momoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di Rosa e di Blu'
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"Satsuki, tesoro, sei tu?" Domandò la donna dal salone, intenta a mettere velocemente le cose che le servivano per il lavoro in borsa.
"Si zietta, buongiorno" salutò la ragazza con un sorriso, sedendosi sul divano senza stropicciare la divisa e attendendo l'amico di infanzia come ogni mattina. "Scusami tanto, sono di fretta" la donna le passò una mano sui capelli e si diresse verso la porta "faresti meglio a chiamarlo di nuovo" le suggerì poi uscendo di casa e lasciandola da sola nell'arduo compito.
Si diresse al piano superiore, arrivò alla fine del corridoio e bussò alla porta, invano: decise allora di entrare senza permesso - come se poi ne avesse davvero bisogno - e lo trovò che dormiva ancora. Era steso a pancia in su, con una gamba a penzoloni e col piede che toccava quasi a terra mentre l'altra era piegata, col ginocchio che toccava la parete contro il quale era attaccato il lato sinistro del letto; una mano copriva gli occhi dalla luce che filtrava dalla finestra mentre l'altra era sotto la canotta che usava come pigiama e poggiata sul petto.
La posizione doveva essere molto scomoda: era tutto scomposto e scoperto e... così tenero.
Scosse la testa velocemente, toccandosi le guance e trovandole rosse e accaldate: si diete degli schiaffetti, intimandosi di calmarsi, sebbene nell'ultimo periodo le succedeva di continuo. Non riusciva a dare un inizio preciso a quando tutto quello era cominciato ma, semplicemente, un giorno Daiki si era tolto la maglia sudata dell'allenamento davanti a lei - come sempre - ed era rimasta incantata ad osservare gli addominali e poi i muscoli della schiena finché non era scomparso negli spogliatoi; forse era il caldo, dato che stavano per arrivare le vacanze estive del loro secondo anno di scuole superiori, o forse erano i continui commenti sul giocatore da parte delle ragazze sempre più numerose che venivano a vedere l’allenamento e che quindi l'avevano condizionata. Fatto sta che non riusciva più a smettere di continuare a fissarlo e ad arrossire come una stupida.
Fissò l'orologio al muro e vide che era abbastanza tardi: si avvicinò al letto e picchiettò una mano sul braccio, chiamandolo più volte ma senza successo. Sbuffò, poggiandogli le mani su tutte e due le spalle e scuotendolo più forte. "Mmm..." fu il suo lamento e socchiuse gli occhi osservando il viso della ragazza.
“Dai-chan! Finalmente ti sei svegliato! Forza che facciaAAAH" urlò leggermente quando le cinse i fianchi e la alzò facendola stendere sul letto fra il suo petto e il muro, cingendola la vita con un braccio.
"M-ma Dai-chan, che stai fac-"
"Sssssh" le sussurrò stringendosela di più contro, con il viso così vicino al suo che il respiro del ragazzo si infrangeva sul suo naso. Poggiò le mani sul petto, sentendosi accaldata: Daiki era una stufa. "Dai, altri cinque minuti Mayo-chan"
Momoi si sentì gelare e, in un impeto di rabbia, lo colpi forte districandosi dalla presa e finendo per farlo cadere a terra.
"Sei uno stupido! E non ti aspetto oggi!" Uscì come una furia dalla stanza, lasciando un intontito e confuso Aomine che si massaggiava il sedere.
"E ora che cavolo ho fatto?"
 
 
"Stupido, stupido, stupido! È il più stupido del mondo. Baka al cubo!" continuava a borbottare a bassa voce mentre si dirigeva a grandi passi verso la scuola "non capisce niente!" Sbuffò, sedendosi di botto su una panchina: aveva quasi corso senza rendersene conto e mancava ancora un quarto d'ora abbondante al suono della prima campanella, così si mise ad aspettare poco lontano dal cancello.
Per un attimo - uno solo - aveva pensato che quello fosse stato un gesto consapevole del ragazzo e che l'avesse abbracciata per... cosa? Amicizia? Fratellanza? Amore...? Momoi non era stupida, sebbene forse delle volte le tornava utile fare finta di esserlo, perciò aveva capito quasi subito che qualcosa era cambiato nei confronti dell'amico - o almeno da parte sua. Essendo un tipo molto preciso, aveva cercato di analizzare a fondo la situazione: parlarne con lui era fuori discussione, così come lo era parlarne con qualche sua coetanea, avendo con le ragazze della sua classe un rapporto abbastanza superficiale; con i ragazzi della generazione dei miracoli?
Dio, sarebbe stato davvero imbarazzante.
Aveva quindi buttato giù qualche idea, insieme a piccole ricerche fatte sui blog femminili trovati in giro sul web: la maggior parte delle donne sosteneva che era naturale innamorarsi del loro amico di infanzia o del miglior amico, essendo questi perfetti per la propria personalità visto che erano stati scelti per quel ruolo; il problema però era che Dai-chan era tutto tranne che perfetto.
Era dunque arrivata al secondo punto della sua analisi, gli schemi: erano molto più semplice rispetto a quelli che usava per raccogliere informazioni sul basket. Aveva semplicemente diviso il foglio in due colonne nella quale avrebbe scritto pro e contro della persona: inevitabilmente quasi tutta la colonna dei contro si era riempita subito, a partire dal suo essere pigro fino ad arrivare alle prese in giro. Ovviamente aveva dei pregi - come la passione per il basket o il fatto che offrisse sempre lui nonostante i lamenti - ma nonostante tutto non riusciva a capire le ragioni dietro la conclusione dell'indagine: a Momoi Satsuki piaceva Aomine Daiki.
Non era razionale, non era vantaggioso, lui era solo un pervertito idiota che pensava a Mayo-chan, la ragazza del terzo anno che aveva incominciato a seguire gli allenamenti di basket e che andava in giro sempre con la camicia sbottonata fino al terzo bottone senza maglioncino - che fosse estate, inverno, primavera - solo per mostrare le sue tette. Momoi non era gelosa delle due tette, lei le aveva anche più grandi, ma passava sempre in secondo piano poiché non le metteva in mostra così tanto.
Si massaggiò le tempie con le dita, per alleviare il leggero mal di testa che le era venuto a furia di ragionare su quello stupido: Kagamin faceva davvero bene a chiamarlo Ahomine.
"Ti senti bene?" Alzò la testa di scatto, trovandosi il viso di un ragazzo vicino al suo e si allontanò per la sorpresa e lui ridacchiò. "Scusa se ti ho spaventato. Pensavo stessi male"
"Oh io.. si, cioè no sto bene! Ti ringrazio"
"Per fortuna, così sono più contento" le sorrise, raddrizzandosi "allora ciao" la salutò osservandolo superare poi il cancello della scuola e cercando di ricordare dove lo avesse già visto: veniva a scuola con loro e sembrava essere più grande di lei, forse del terzo anno.
Distolse lo sguardo quando un'altra voce chiamò il suo nome "ohi Satsuki, che hai oggi?"
"Niente, niente" Alzò gli occhi al cielo, mettendosi la borsa in spalla e aspettandolo per entrare a scuola. Il blu alzò le spalle, chiudendo lì la questione, pensando che forse era uno di quei suoi momenti storti.
"Sono stanchissimo" sbadigliò coprendosi con la mano "sono stato alzati fino a tardi per vedere la partita in streaming. Non mi va proprio di allenarAHIO" si mise la mano sul fianco dove la ragazza l'aveva colpito con la stessa mossa che le aveva insegnato quel bastardo di Tetsu.
"Non. Ti. Permettere" lo fulminò con lo sguardo "ti vengo a prendere fino in aul-"
"... aula e ti farò rimpiangere di essere nato. Si si, dici sempre così"
"Bene, almeno qualcosa ti rimane in testa" lo prese in giro facendolo sbuffare.
"Ti odio, lo sai?" Disse continuando a camminare e poi fermandosi all'improvviso quando si accorse che la ragazza si era fermata "ohi Satsuki?"
"Non mi interessa se mi odi" sussurrò con la testa bassa "io lo faccio per te, perché altrimenti ti lasceresti andare di nuovo e... non voglio" C'era qualcosa che non andava in Satsuki e quelle ultime frasi non avevano fatto altro che confermare i suoi dubbi; non le capiva le donne, lo ammetteva, ma lei la conosceva da una vita e sapeva riconoscere una giornata no, una di quelle in cui doveva misurare bene le sue parole e che solo Tetsu era in grado di cambiare in positivo. "Scherzo, lo sai?" Si avvicinò a lei posandole una mano sulla testa "non ti odio, baka. E poi mi devo allenare per battere Bakagami" le sorrise alzandole la testa e scompigliandole i capelli. "E ora muoviamoci o i prof ci fanno il culo" le diede una piccola spinta.
"Dai-chan! Devi essere sempre così volgare?!" sbuffò riprendendo a camminare e nascondendo il sorriso che le era nato in volto.
 
 
Alla fine decise che non poteva farci niente; le piaceva il suo amico di infanzia e, a quanto poteva vedere, il sentimento non era ricambiato. Le voleva bene, certo, ma non nel modo in cui intendeva lei e quindi era inutile infuriarsi con lui. Eppure non poteva fare a meno di arrabbiarsi quando quella Mayori veniva a vedere gli allenamenti, complimentandosi con i giocatori e, ovviamente, lo sguardo di Daiki finiva automaticamente nella scollatura della ragazza.
L'unica cosa positiva che le era successo in quel paio di settimane era conoscere il ragazzo della panchina, Tsutomu; inizialmente si salutavano semplicemente con la mano quando si incontravano nei corridoi, poi lui prese coraggio e un giorno si presentò. Incominciarono a fermarsi più spesso a parlare e un paio di volte avevano pranzato anche insieme nell'aula: era un tipo simpatico, intelligente e - come aveva previsto - era del terzo anno e faceva parte della squadra di baseball. Lui ammise di conoscerla già di fama: dopotutto non era una semplice manager per la squadra di basket, ma una vera e propria salvezza.
 
"Chi è quello?" Chiese Daiki riferendosi al ragazzo che era venuto a trovarla e che era appena andato via: le aveva chiesto se dopo la scuola voleva tornare a casa con lui, dato che aveva scoperto che un pezzo di strada era in comune ma lei aveva dovuto rifiutare perché tornava sempre a casa con Dai-chan. Quest'ultimo si sedette vicino a lei durante la pausa dell'allenamento mentre si asciugava il sudore con l'asciugamano e beveva dalla bottiglia che le aveva passato. "Si chiama Tsutomu. È un ragazzo che ho conosciuto per caso"
"Mmm.. non ti ho mai visto parlare con lui"
"Ovvio. È del terzo anno e ci incontriamo solo durante la pausa pranzo quando tu vai a dormire"
"Quello è del terzo anno?! Pff" rise mentre continuava a bere.
"Che vuoi dire?"
"Niente, niente. A prima vista sembra un idiota"
"Non è vero!" Lo difese chiudendo il suo quadernino di scatto "gioca a baseball e mi ha anche detto qualche esercizio utile per rafforzare le braccia da poter farvi utilizzare. E inoltre è anche simpatico e molto intelligente"
"Ma per favore. È un damerino del cavolo lui e quel sorrisetto"
"Sei invidioso di lui, Dai-chan?" Gli chiese con un sopracciglio alzato.
"Io invidioso di lui? Ma per favore" sbuffò irritato alzandosi dalla panchina e gettandole l'asciugamano in viso.
"Sei solo uno scimmione idiota!" Gli urlò contro arricciando il naso e passandosi le mani sul viso per togliersi il sudore di dosso.
Ora era un po' incazzato; si ok, sapeva di non essere il massimo dell'intelligenza e che forse i suoi modi non erano così delicati, ma non avrebbe mai potuto perdere il confronto con quello. Prese la palla in mano e con uno scatto improvviso dribblò tutti i compagni di squadra, andando a canestro da solo; la cosa positiva della rabbia? È che lo faceva giocare dannatamente bene da solo.
Finito l'allenamento andarono tutti negli spogliatoi per fare la doccia. "Che diavolo ti è preso oggi?" Sbuffò uno dei suoi compagni di squadra.
"Infatti, idiota. Lo sappiamo tutti che sei bravo ma qui si gioca in squadra" lo riprese Wakamatsu togliendosi la maglia e mettendola in borsa.
"Ehm... può essere perché ha litigato con Momoi-san?"
"Oooooh ecco! Ha litigato con la ragazza" Aomine sbuffò sedendosi sulla panca
"Per l'ennesima volta, Satsuki non è la mia ragazza!"
"Ma se la chiami anche per nome!"
"E grazie tante, la conosco da quindici anni!"
"Ma allora che diavolo aspetti a metterti con lei?" Li ignorò tutti, gettandosi sotto la doccia e chiudendo gli occhi per rilassarsi: quando parlavano così sembrava di sentire sua madre.
"Cazzo ma l'hai guardata bene?! Quando abbiamo festeggiato con la squadra e insieme alle altre manager nessuno le staccava gli occhi di dosso" annuirono tutti, dando ragione al primino che aveva parlato. Ken... Kan... no, niente, proprio non ricordava i nomi delle persone di cui non gli interessava niente.
"Quel vestito, poi. Le scopriva tutte le gam-" il commento fu bloccato dal blu che, si avvicinò a lui con solo l'asciugamano in vita e lo gettò contro l'armadietto spingendolo indietro col braccio. "Non esagerare" gli disse solamente, lasciandolo solo quando distolse lo sguardo. Tutti si zittirono alla scena e si rivestirono senza più parlarne.
"E comunque" riprese Wakamatsu uscendo dallo spogliatoio insieme agli altri "se la difendi così tanto, vuol dire che qualcosa c'è sotto" Gettò la borsa a terra, girandosi verso di loro e allargando le braccia.
"Per l'ultima volta: io e Satsuki non stiamo insieme, ok? È una mia amica di infanzia, è normale incazzarsi se si fanno certi commenti su di lei ma ciò non significa che stiamo insieme! Andiamo, mi ci vedete?! Litighiamo sempre, e siamo solo amici, immaginate se c'era qualcosa di più" qualcuno si schiarì la voce, ma il blu li ignorò "parliamoci chiaro, le voglio bene, ma fare coppia con lei? Solo un pazzo suicida potrebbe farl..." si girò quando la maggior parte dei ragazzi fece segno di smetterla di parlare. Lei era lì in piedi, col telefono in mano e che lo fissava. Merda.
"Satsuki, ehi, io st..."
"Tua madre mi ha chiamato perché non rispondevi al telefono" lo interruppe con un tono strano, diverso dal suo solito tono allegro e squillante "ha detto che ti devi fermare al supermercato per ritirare la spesa"
"Oh.. ehm ok, un attimo e ti raggiungo"
"No, io ho già con chi tornare a casa”
“Eh? E con chi?”
Un pazzo suicida. Ci vediamo domani, ragazzi" salutò con la mano, dirigendosi all’esterno. Trovò Tsutomu poco lontano dall'uscita e gli sorrise. "Il mio amico ha avuto un contrattempo all'ultimo" gli spiegò "andiamo?"
 
 
Aomine Daiki aveva sempre fatto casini sin da piccolo e la maggior parte di questi erano stati fatti ai danni di Satsuki: la faceva piangere, le faceva sempre i dispetti come l’averle gettato una rana in testa o alzarle la gonna per vedere cosa ci fosse sotto, ma non ricordava un singolo momento della sua vita che non avesse condiviso con lei o un giorno durante il quale non si erano visti, - anche se avevano litigato – a meno che uno dei due non fosse malato. Perciò, quando il giorno dopo, domenica, la ragazza non era venuta a casa sua a trovare i suoi genitori o almeno a rimproverarlo sullo studio come faceva di solito, capì di essere davvero nei guai e di averla fatta grossa.
Il suo primo pensiero era stato quello di chiamare Tetsu e spiegargli la situazione ma poi aveva preso il telefono e si era arrabbiato, gettandolo sul letto; che cavolo, era lui il suo amico di infanzia, la conosceva meglio di tutti e quindi era compito suo risolvere la questione. Perciò mise cinque sveglie sul telefono per il giorno dopo, in modo da svegliarsi presto e raggiungerla a casa.
Fu inutile: la porta gli fu aperta dal signor Momoi, il quale lo informò che la figlia era già uscita di casa perché doveva incontrarsi con un amico all’incrocio più avanti.
“Hai detto qualche stronzata, vero?” domandò il padre della ragazza guardandolo a metà tra l’irritato e il divertito. Il blu si passò una mano dietro la testa, imbarazzato “Quanto è grave?” chiese ancora.
“Ieri non è venuta nemmeno a casa per rimproverarmi di studiare”
“Ahia”
“Già”
“Vedi di rimediare” gli puntò un dito contro “perché mia figlia così non la voglio vedere” Aomine fece un saluto militare che fece sorridere l’uomo e si salutarono mentre lui si diresse a scuola. Non la vide, molto probabilmente si trovava già in aula e quindi le mandò un messaggio.
 
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To: Satsuki
From: Dai-chan ⛹
“Vedi di farti trovare sul tetto durante la pausa pranzo. Non provare ad ignorarmi perché vengo e ti porto di peso. E lo sai che lo farò”
 
Sbuffò non appena lesse il messaggio. Si, ne era capace e lei non voleva fare la figura della stupida; rispose mandandogli semplicemente l’immagine di un pollice alzato per fargli capire di aver recepito il messaggio.
Sperò che la pausa pranzo non arrivasse mai ma, secondo la legge inversa dei desideri, le ore sembrarono volare. Prese il suo bentou e si diresse al piano di sopra, trovandolo steso a terra ad occhi chiusi e col pranzo ancora intatto.
Si avvicinò piano, senza far rumore e gli diede un calcetto al fianco destro. Sobbalzò, alzando il busto mentre lei si mise a sedere più lontano da lui, attendendo: dopotutto era stato lui a chiamarla.
“Stamattina ero venuto a casa tua. Ho messo cinque sveglie per alzarmi presto e tu eri già scomparsa!”
“Oh, mi dispiace tanto se per una volta nella tua vita ti sei svegliato presto. E comunque ti avevo mandato un messaggio”
“Si, l’ho letto dopo”
Rimasero in silenzio, ognuno occupato a mangiare il proprio pranzo.
“E quindi oggi sei andata a scuola con quel Tsu…?”
“Tsutomu” gli ricordò lei, annuendo.
“Che tipo è allora?”
“Non lo so, dimmelo tu” si girò a guardarlo con gli occhi ardenti di rabbia ma con un tono basso “Com’è il mio tipo di ragazzo? Un pazzo suicida, giusto? Non ho sentito tutto il discorso, quindi può darsi che qualche altro aggettivo mi sia scappato” il ragazzo sospirò, distogliendo lo sguardo.
“Non intendevo dire questo. I ragazzi avevano incominciato a dire stronzate su te e me, mi sono alterato e ho detto così per scollarmeli di dosso”
“E per farlo dovevi per forza offendere me?” chiese indicandosi “solo perché tu pensi questo di me, non significa che altre persone ci credano”
“Lo sai che non lo penso! Semplicemente non ho collegato la bocca al cervello”
“Come sempre” la ignorò.
“Insomma, di sicuro piacerai a qualcuno che non sia io. Cioè dai, io e te? Ci sarebbe da ridere” cosa che fece in effetti e che servì solo a farla arrabbiare di più. In tutti questi anni aveva capito che Daiki non era una persona cattiva, ma il suo carattere un po’ menefreghista e schietto lo faceva apparire come tale: non badava molto a cosa diceva, come lo diceva e soprattutto a chi lo diceva. Era un aspetto che aveva sempre sopportato di lui, perciò aveva sempre lasciato correre, sperando che passasse col tempo. Adesso si era stancata: fra un paio di mesi avrebbe compiuto diciotto anni ed era tempo di crescere.
“Lo sai qual è la cosa che mi fa davvero incazzare? È che ancora non mi hai chiesto scusa, ma ti stai semplicemente giustificando”
“Dai, era ovvio che mi stessi scusando, non l’hai capito?” Momoi si alzò in piedi, rischiando di rovesciare tutto il suo pranzo che non aveva quasi toccato.
“Appunto! Io l’ho capito, io ti ho sempre capito ma tu non lo fai mai! Ti ho sempre giustificato, ti ho sempre difeso e mi sono scocciata di essere fraintesa e trattata una schifezza solo perché hai problemi di comunicazione tra cervello e bocca” gli urlò contro con gli occhi lucidi. Non doveva piangere, non se lo meritava.
“Quindi ok, va bene, sei scusato. Ma ora perdonami se non ti starò sempre tra i piedi, perché ho capito che anche io merito una vita” raccolse le sue cose e si diresse verso la porta, informandolo che anche oggi e per le settimane a venire sarebbe tornata a scuola con Tsutomu.
 
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“Sacchin non c’è?” chiese Murasakibara posando la borsa sulla panchina e scartando una caramella.
“Ecco perché ancora non mi fanno male le orecchie” sbuffò Midorima.
“Ha detto che arrivava un po’ più tardi” li informò distrattamente il blu prendendo a palleggiare in mezzo al campo. Tutti i miracoli più Kagami si erano ritrovati a Tokyo per fare una piccola partitella fra loro, un’abitudine che avevano preso da poco e si incontravano almeno una volta ogni due mesi; quella volta l’incontro era stato a Tokyo e Akashi e Murasakibara avrebbero dormito poi a casa di Kagami.
“È strano non sentirla” affermò Akashi indossando la pettorina di colore verde.
“Non l’avrei mai detto ma mi manca essere soffocato” confermò Kuroko, poiché anche se ormai tutti sapevano della sua relazione con Kagami iniziata un paio di mesi fa, non aveva perso l’abitudine di stritolarlo in uno di quei famosi abbracci.
“Io forse lo so perché fa tardi” gongolò Kise avvicinandosi agli altri “l’altro giorno stavo in centro e… l’ho vista passeggiare con un ragazzo. Sembrava si divertisse e non l’ho interrotta”
“Davvero?!” esclamarono tutti girandosi poi verso Aomine per chiedere conferma.
“Avete finito di fare le comare? Sono venuto qui per giocare e non spettegolare” i ragazzi si guardarono in viso, confusi dal comportamento del ragazzo ma non dissero niente, dirigendosi verso il campo per cominciare a giocare.
 
Sinceramente, cosa avrebbe dovuto dire ai ragazzi? ‘Non lo so, da due settimane non riesco a parlare decentemente con Satsuki, la mia amica di infanzia che vive di fronte casa mia’? Sarebbe stato davvero ridicolo. Il fatto era che lei sembrava comportarsi normalmente: lo avvisava sempre degli allenamenti, gli ricordava di farsi i compiti e, quando l’altro giorno non aveva fatto gli esercizi di grammatica inglese, aveva persino preso il suo quaderno per farglieli copiare.
Ad un occhio esterno sembrava la solita routine, ma in realtà era cambiato tutto: non lo rimproverava più se faceva tardi o se non faceva i compiti – sebbene lo aiutasse – così come durante le pause dell’allenamento non gli portava più l’acqua e l’asciugamano ma glieli poggiava sulla panchina mentre era intenta a scrivere qualcosa sul quaderno e, soprattutto, non facevano più la strada di casa insieme, anche se abitavano uno di fronte all’altro.
Era sempre intorno a lui ma allo stesso tempo non l’aveva sentita mai così lontana.
Sbuffò, dribblando velocemente Midorima e saltando a canestro dove c’era Kise a difendere. Forse ci mise troppa forza e lo fece cadere a terra: sicuramente se fosse stata una partita vera, l’arbitro avrebbe chiamato fallo. Si abbassò, scusandosi e gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi.
“Ho bisogno di una pausa” disse sorprendendo gli altri; fra tutti era lui quello con una resistenza incredibile capace di giocare anche ore intere senza mai fermarsi, figurarsi dopo neanche dieci minuti. Si diede il cambio con Kagami che era rimasto momentaneamente in panchina essendo dispari e si mise seduto con l’asciugamano al collo.
 
Presero una pausa venti minuti dopo, proprio quando Momoi entrò nel campo con una busta della spesa in mano, salutando tutti allegramente e con un sorriso in volto, di quelli che Aomine non vedeva da parecchio.
“Eccola qui, stavamo parlando proprio di te prima” ghignò Kagami insieme al biondo.
“Già, ci stavamo chiedendo chi era il ragazzo con cui ti ho vista l’altro pomeriggio” la rosa arrossì leggermente facendo spallucce.
“Non lo so di cosa stai parlando” Murasakibara pungolò le guance rosate con un dito “bugiardaaa”.
“Per pensare a questo ragazzo nuovo, stai trascurando Aominecchi. Ha giocato solo dieci minuti ed è già stanco”
“Lo vedo” sussurrò osservandolo. Cos’era quel tono? Con gli altri rideva e scherzava mentre con lui sembrava un cadavere?
“Aomine-kun non ci ha detto niente di questo nuovo ragazzo”
“Ma non c’è niente da dire! Siamo solo usciti una volta e ci incontriamo a scuola ogni tanto” si difese la ragazza tornando a ridacchiare seguita dagli altri. Perché cazzo con lui non rideva?
“Non ne so niente. Non è una persona importante, non vedo perché me ne debba fregare qualcosa” sbottò il blu guardandola fisso negli occhi.
“Ovvio che te ne deve fregare, Nanodayo. E se fosse un malintenzionato?”
“Midorimacchi, come sei carino quando ti preoccupi”
“In tal caso dopo verrai a piangere da me, Satsuki. Per ora mi godo il momento”
“Il momento?” chiese lei con le braccia incrociate e un sopracciglio alzato.
“Già, mi sto godendo la libertà. Finalmente hai qualcun altro da asfissiare con le tue attenzioni” disse stendendosi sulla panchina e guardando il cielo “Ora non c’è più nessuno che mi rompe su cosa devo fare o no, per i compiti, per come mi comporto. Posso andare a casa in silenzio, senza dover ascoltare chiacchiere stupide in continuazione o andare a fare shopping con te e portare tutte quelle borse. Ma la cosa migliore è che non devo mangiare quella schifezza di pranzo che ogni tanto mi prep…”
“Daiki, basta” lo richiamò duramente Akashi che non stava guardando lui. Si mise a sedere seguendo il suo sguardo che era concentrato sulla figura della ragazza, come quello di tutti. Aveva ancora le braccia incrociate ma le dita premevano forte sulle braccia, forse per cercare di fermare il loro tremore, causato dai singhiozzi che stava trattenendo. Non piangeva, anche se non sapeva ancora per quanto tempo sarebbe stata in grado di trattenere le lacrime a giudicare dagli occhi lucidi. Non era in grado di reggere ancora a quella visione e distolse lo sguardo.
“L’altro giorno hai rotto la maglia di ricambio vicino la rete del campetto” si schiarì la voce che le tremava, cercando qualcosa nella borsa e posandola di fianco a lui “mi sono fermata un attimo a casa tua e te ne ho preso una nuova”.
Guardò la maglia al suo fianco; ovvio che si fosse dimenticato, non ci pensava mai a queste cose. Deglutì quando venne aggiunto anche il bagnoschiuma “Ieri ti sei lamentato che era finito, dubito tu ti sia ricordato così mi sono fermata al supermercato venendo qua e ne ho comprato una confezione”
Erano rimasti tutti in silenzio durante la scena, maledicendo quello stupido del loro compagno.
“Mi dispiace se per tutto questo tempo ti ho dato fastidio e se sono stata appiccicosa. Da oggi cercherò di trattarti semplicemente come un giocatore del Touou e tu mi tratterai come una semplice manager. Ci vediamo dopodomani all’allenamento, Aomine.” Si rivolse poi ai ragazzi cercando di sorridere “Scusatemi, sono rimasta un po’ indietro con lo studio. Ci vediamo la prossima volta” li salutò dirigendosi verso l’uscita del campetto.
Non ebbe la forza di alzarsi e di rincorrerla – sebbene sapesse per certo che Tetsu l’aveva fatto – ancora scosso dal modo in cui l’aveva chiamato: era così strano sentire il suo cognome tra le labbra della ragazza, abituato a sentirsi chiamare in continuazione Dai-chan.
Kuroko tornò un quarto d’ora più tardi, tempo durante il quale il blu non aveva parlato e non si era mosso di un millimetro, come se fosse diventato una statua. A distoglierlo dalla sua immobilità fu proprio il celeste che, sorprendendo tutti quanti, si avvicinò velocemente al blu colpendolo con un pugno.
Aomine cadde dalla panchina ma non reagì al colpo appena ricevuto, sapendo di meritarselo in pieno.
Solo un pazzo suicida potrebbe stare con lei? Dimmi che non sei stato davvero così stupido da dire queste cose. Dimmi che ho sbagliato a capire e che non sei una tale pezzo di merda” chiese Kuroko guardandolo dall’alto verso il basso.
I compagni non avevano reagito a quell’atto di violenza chiedendosi quale fosse la cosa per la quale dovevano essere più scioccati, se per le stronzate che aveva detto Aomine, Kuroko che tirava un pugno, che urlava o che avesse appena detto ‘merda’.
“Quegli idioti non smettevano di dire che stavamo insieme. Non volevo dirlo così, ma ho sbagliato” sospirarono tutti per la stupida giustificazione usata dal blu.
“Cos’ha di male Momoicchi? Chiese il biondo sedendosi vicino a lui.
“Che cosa?”
“Si, intendo cos’ha di male secondo te per dire che solo un pazzo starebbe con lei?”
“Pazzo suicida” lo corresse Midorima, facendolo sentire ancora di più una merda.
“Non lo so, l’ho detto tanto per togliermeli dalle scatole” sbuffò tirandosi su e massaggiandosi la guancia dolorante; non che la forza di Tetsu fosse eccessiva, ma rimaneva comunque un bel pugno.
“Allora ti riformulo la domanda: cosa ti piace nelle ragazze? Non hai mai avuto una ragazza, sebbene tu sia di bell’aspetto e dubito che qualcuna non sia mai venuta al club di Basket”
Ci rifletté sopra, cercando di ricordare tutte le ragazze con le quali aveva parlato fra una pausa e l’altra.
Al primo anno era tornato a casa con una ragazza per un paio di giorni, dato che l’amica aveva la febbre e, puntualmente, arrivava a destinazione con un enorme mal di testa; era vero che anche Satsuki parlava davvero tanto, ma almeno erano tutti argomenti ai quali poteva partecipare e non si trattava di trucchi o roba da donne.
Un’altra ancora, non faceva che lamentarsi di tutto il tempo che dedicava al Basket. Nonostante anche lui si lamentasse dei troppi allenamenti, aveva pensato che ciò che la ragazza stesse dicendo fosse sbagliata: insomma, se ti piaceva una persona non avresti dovuto spronarla e supportarla nella sua passione? Cavolo, Satsuki non faceva altro che ripetergli che l’allenamento era importante e che non si finiva mai di diventare forti.
Ultimamente c’era anche quella Mayori – si faceva chiamare da tutti Mayo-chan – che aveva delle belle tette, anche se non grandi come quelle dell’amica, ma che faceva la smorfiosa con tutti e proprio non riusciva a sopportarla.
Tutto quello lo disse ai ragazzi di fronte a lui che si guardarono in viso esasperati prima di guardarlo male.
“Daiki, ti rendi conto di quello che hai detto?” Akashi fu il primo a parlare, guardandolo come se fosse un bambino al quale dovevano spiegare una cosa ‘da adulti’ e che non riusciva a capire.
“Ricapitoliamo: vorresti una ragazza con la quale parlare di cose che ti piacciono, giusto Nanodayo?” annuì, sebbene faticasse ancora a centrare il filo del discorso.
“Che ti sproni nelle tue passioni” continuò Kagami. Confermò di nuovo.
“E che abbia belle tette?” terminò Murasakibara.
“Sarebbe perfetto” annuì. Con una sincronizzazione ed una velocità pazzesca, gli vennero gettate in viso tutte gli asciugamani – più un Maiubo.
“Ma allora sei proprio coglione!”
“Che cazzo state dicendo?!” si alterò quest’ultimo perdendo la pazienza e scattando in piedi.
“Ti rendi conto che hai descritto Momoi?”
Non era vero. Cioè, la sua ragazza ideale e la sua amica di infanzia non erano la stessa persona. Assolutamente. Infatti provò a spiegarglielo ma nessun suono usciva dalla sua bocca aperta; la richiuse e la riaprì per riprovarci ma con scarsi risultati.
“Quindi a me piacerebbe Satsuki?” domandò infine più a se stesso che a loro. Possibile che fino a quel momento non avesse avuto una ragazza solo perché le piaceva lei?
“È come se mettessi a paragone ogni ragazza che conosci con lei” gli spiegò Kuroko, calmatosi di fronte all’espressione di smarrimento di questo “solo tu puoi saperlo con certezza, ma da come dici e da come ti comporti dai l’impressione che ti piaccia”
Se la difendi così tanto, vuol dire che qualcosa c'è sotto’. Le parole di Wakamatsu gli tornarono in mente; quel commento del primino gli aveva dato così fastidio! Perché cavolo l’aveva osservata così bene? Sapeva quanto l’amica fosse bella, li sentiva i commenti dei ragazzi nello spogliatoio – sebbene si trattenessero di fronte a lui – ma ciò non significava che avessero il diritto di guardarla in un determinato modo.
Aveva davvero delle belle gambe, se ne accorgeva sempre quando rimaneva a guardare qualche film a casa sua e lei, per stare più comoda alzava le gambe poggiandole sulle sue ed era davvero morbida, perciò la usava sempre come cuscino quando erano belle giornate e andava a dormire sul tetto. Si lamentava sempre, ma poi gli carezzava comunque i capelli e lui puntualmente si appisolava.
Pensare che adesso quelle cose non avrebbe potuto più farle con lei gli mandò quasi un’ondata di panico. Ridacchiò istericamente.
“Andiamo, non scherziamo. È Satsuki, no? La faccio sempre arrabbiare ma poi ritorna tutto come prima” si rivolse a Tetsuya “Lo sai, giusto? È sempre ritornata ogni volta che facevo una stronzata e ora non sarà diverso”
“Mine-chin, non sembrava una stronzata semplice. Non ho mai visto Sac-chin così triste nemmeno al primo anno”
“Sta zitto!” urlò nella direzione del viola, guardandoli poi uno ad uno “State parlando in continuazione ma intanto non sapete un cazzo! Sono io il suo amico d’infanzia con la quale è cresciuta! Sono io quello che la conosce meglio di tutti voi messi insieme” prese tutta la sua roba gettandola malamente in borsa.
Lei è un affare mio e di nessun altro” chiarì prima uscire dal campetto e lasciarli lì da soli.
‘Che cavolo, finalmente l’ha capito!’ fu il pensiero di tutti i ragazzi della generazione dei miracoli.
 
Fu la sera stessa alle undici di sera, dopo che aveva rinunciato a dormire, che si ritrovò a bussare alla porta di Kagami dove quattro paia di occhi lo osservarono con compatimento.
“Preparo un futon in più” Kuroko.
“Prendo da bere” Akashi.
“Io i dolci” Murasakibara.
“Benvenuto alla terapia di gruppo” Kagami si fece da parte, lasciandolo entrare.
 
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Dire che la terapia di gruppo aveva trovato una soluzione ai suoi problemi era un’eresia, ma si può dire che avesse aiutato a scartare qualche idea come ad esempio quella di prendere con la forza Momoi e trascinarla da qualche parte per parlare: era vero che ormai lei non voleva sentir parlare di lui, ma non per questo poteva costringerla contro la sua volontà. Non era passata nemmeno una settimana da quando Satsuki aveva freddato i rapporti con lui e già non ce la faceva più.
Lunedì era arrivato in ritardo a lezione perché non aveva sentito la sveglia e non c’era nessuno a svegliarlo.
Martedì aveva dimenticato che l’allenamento mattutino era stato cancellato perché nessuno gliel’aveva ricordato, così si era ritrovato come un idiota in una palestra circondato dal club di pallavolo femminile.
Mercoledì aveva ricevuto una lavata di testa dall’insegnante di matematica, perché non aveva fatto i compiti: non che se ne fosse dimenticato, ma non ne aveva proprio avuto voglia; aveva aperto i quaderni e aveva trovato tutte le annotazioni a margine della rosa e quindi provare a fare qualcosa di costruttivo si era rivelato impossibile.
Era giovedì e si trovava semi nascosto nel giardino, all’ombra di un pino a riposare; non riusciva nemmeno più ad andare sul tetto senza riuscire a non pensare alla ragazza.
Il suo sonno fu interrotto da un paio di ragazzi che passavano di lì. Ecco perché amava il tetto, almeno là sopra nessuno ci veniva e poteva dormire in santa pace soprattutto in questi giorni nei quali non aveva fatto altro che pensare, pensare e pensare, soprattutto la notte.
“Di solito le conquisti più velocemente le ragazze. Che problema hai con questa?”
“Aaah che diavolo ne so. È fissata con l’amico, anche se ora hanno litigato” allora lui non era l’unico che litigava con qualcuno.
“Quindi è la tua occasione!”
“Lo spero” sbuffò il ragazzo scocciato “è davvero carina, ma se alla fine di questa settimana non ci combino niente allora non vale il gioco. Oggi le chiedo di uscire” quasi provava pena per la ragazza di cui parlava: se lui era stato un pezzo di merda con Satsuki questo era ancora peggio.
“Sei durato più delle altre volte” rise l’amico “come mai?”
“Diciamo che è una sfida. Mi sono rotto di sentire sempre le lodi di quel cavolo di club di Basket. Voglio proprio sbattergli in faccia l’essermi fatto la loro manager” rise, battendo il cinque all’amico mentre le voci si allontanavano.
Prima di alzarsi in piedi e commettere qualche gesto per il quale si sarebbe pentito a vita si costrinse a rimanere seduto, stringendo forte la giacca della divisa, fin quasi a romperla.
E se fosse un malintenzionato?’ Quanto cavolo avrebbe voluto ascoltare meglio il consiglio di Midorima e stare più attento alle persone che frequentava. Si fidava talmente tanto di Satsuki e aveva pensato che se lei decideva di uscire con quel ragazzo allora voleva dire che era davvero un tipo affidabile; a questo punto o aveva sopravvalutato il sesto senso dell’amica o questo stronzo era stato davvero bravo.
 
Si diresse all’allenamento e a quanto pareva non c’era traccia della ragazza, che si trovava in riunione: si avvicinava l’Inter-high e spesse volte si ritrovavano lei e l’allenatore nella stanza del club a vedere video di partite precedenze, strategie e vari punti deboli da dover eliminare. In questo era un’ottima osservatrice e più volte tutta la squadra aveva ammesso di essere davvero fortunata ad avere Momoi dalla loro parte e non contro.
La vide solo più tardi, alla fine dell’allenamento mentre parlava con le altre due manager che si occupavano della squadra – sebbene in modo completamente diverso dal suo.
Aspettò che le altre due ragazze se ne andassero prima di andarle incontro; aveva già pensato a cosa dirle: avrebbe semplicemente chiesto di parlare da persona matura quale era e discutere del problema, accennandole anche la conversazione che aveva origliato per caso.
“Tu non puoi uscire con quel tipo” Bravo Aomine-kun, davvero! Nella sua mente poteva benissimo immaginare la figura di Kuroko battere sarcasticamente le mani, complimentando del tono del cazzo che aveva usato.
“Scusami?” esclamò la rosa alzando un sopracciglio e voltandosi a malapena verso di lui.
“Non è un tipo affidabile”
“Detto da te non è molto credibile” sbuffò ridacchiando.
“Dio, per un attimo non puoi smettere di fare la bambina e starmi a sentire?” non dovette essere proprio la cosa giusta da dire perché non fece che peggiorare la situazione.
“Ti ho ascoltato per quindici anni. Ora mi sono scocciata, Aomine
“Smettila di chiamarmi così” gli urlò contro, avvicinandosi all’improvviso “Non l’hai mai fatto, quindi non incominciare adesso. A questo punto preferisco non sentirmi proprio chiamare da te”
Forse una coltellata sarebbe stata il peggiore dei mali in confronto al potere che ebbero quelle parole.
“Ti posso accontentare se vuoi” sussurrò la ragazza prima di voltarsi ed allontanarsi da lui, lasciandolo da solo.
 
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Se per la prima ora era stato divertente vederlo barcollare e cantare ‘Girl on fire’ prendendolo in giro perché una volta aveva ammesso che il lavoro del pompiere era interessante, ora Kagami ne aveva abbastanza. Non sapeva come Aomine si fosse procurato una confezione da sei di birra e né come avesse fatto a berle tutte in una volta, ma non poteva rischiare di avere la casa distrutta a causa di quello stupido e perciò aveva chiamato Kuroko.
In un primo momento, quando aveva visto il volto alterato dell’amico si era calmato e aveva ridacchiato.
“Ho fatto arrabbiare Tetsu due volte in una settimana! Qual è il mio premio?”
“Decidi fra un pugno, un calcio o una testata”
“Che cattivo che sei!” rise stendendosi sul divano e allargando le braccia “Non è una bella nottata per ubriacarsi?”
“Aomine-kun, sono solo le sette di sera” il ragazzo si alzò di scatto, barcollando e puntandogli un dito contro con fare minaccioso.
“Smettila di chiamarmi così”
“Come dovremmo chiamarti?” chiese confuso il rosso mentre l’altro si stese di nuovo sul divano, coprendosi gli occhi.
Dai-chan. Il mio nome è Dai-can”
 
La situazione era degenerata di nuovo quando il blu aveva incominciato a rincorrere Tetsu per abbracciarlo e prenderlo in braccio, perché aveva quasi la stessa altezza di Satsuki. A quel punto, messo a sedere con una tazza bollente di caffè in mano, non c’era altra soluzione che chiamare la diretta interessata.
Fu il celeste a chiamarla e a chiederle di venire a casa di Kagami per un’emergenza; non le disse precisamente di cosa si trattava, per paura di un eventuale rifiuto e per questo le spiegò la situazione solo quando si trovò di fronte la porta dell’appartamento. Irritata ma allo stesso tempo preoccupata, decise di entrare, trovando il blu seduto a terra con la schiena contro il divano e Kagami piegato sui talloni di fronte a lui che lo incitava a bere dalla tazza.
“Dai, bevi! Non vorrai farti vedere da Momoi in questo stato, giusto?”
“Satsuki non viene” Il rosso alzò lo sguardo verso di lei, notandola “e perché non dovrebbe venire?”
“È uscita con quel ragazzo, quel Tsu.. Tso… Tum… vabbe, quello! Ma perché è così cieca? Non la merita, lui è solo un deficiente, stupido, cretino e… deficiente!”
“L’hai detto due volte”
“Deficiente!” ribadì di nuovo. Momoi si fece avanti, sedendosi a terra vicino a lui e toccandogli una spalla. Dopo il pomeriggio appena passato a casa, non aveva proprio voglia di litigare ancora con lui, ben che meno da ubriaco.
“Non sono più uscita con lui” gli disse appena si girò verso di lei, sobbalzando dalla sorpresa. Vide Kuroko tirare Kagami per un braccio e trascinarlo in cucina per lasciarli da soli.
“Perché non sei uscita con il tuo amichetto?”
“Prima bevi e fatti passare un po’ di sbornia” gli suggerì prendendo la tazza e passandogliela; solo quando ebbe bevuto tutta la tazza cominciò a parlare.
“Mi ha chiesto di uscire e volevo quasi accettare, sai? Però poi ho pensato che non lo volevo davvero e che se l’avessi fatto era per fare un dispetto a te” spiegò cercando di usare parole più semplici possibili, non sapendo quanto Daiki da ubriaco fosse in grado di recepire. Annuì, facendole cenno di continuare.
“Così gli ho detto che non potevo e ho cercato di spiegare la situazione il più delicatamente possibile e cioè che non provavo i suoi stessi sentimenti”
“Quello stronzo non è così carino come sembra” sussurrò.
“Lo so. Infatti non l’ha presa molto bene”
“Che ha fatto?”
“Niente. Ha solo detto qualche cosa poco carina” sbuffò mettendogli le mani sulle spalle per tirarlo di nuovo a sedere quando provò ad alzarsi “Ma dove vai che non ti reggi in piedi?”
“Vado a picchiarlo, ovvio” Momoi ridacchiò, tenendolo fermo fin quando non lo sentì di nuovo rilassato.
“Nessuno può fare lo stronzo con te” aggiunse girando il viso per guardarla “Nemmeno io”
La ragazza gli sorrise, poggiando la testa sulla sua. Gli era mancato da morire: non tanto lui e le sue uscite stupide, ma la pace che provava quando stavano insieme. Era talmente abituata a stare vicino a lui che quella lontananza che si era auto-imposta era stata davvero dolorosa; adesso invece le sembrava tutto così naturale.
“E quindi ti volevo dire che mi dispiace. Te lo ripeterò anche dopo, da completamente sobrio perché ora lo sono a metà”
“Va bene, accetto le tue scuse da mezzo sobrio”
“Scusa, scusa, scusa, scusa, scus…” alzò la testa e mise una mano sulla sua bocca per fermarlo.
“Ok, ho capito, ti ho già scusato”
“Non hai capito. Queste sono per tutte le prossime volte che ti farò incazzare” scoppiò a ridere, mentre il ragazzo si appisolò sorridendo, ascoltando la sua risata, uno dei suoi suoni preferiti.
 
Un’oretta dopo, Aomine era abbastanza sobrio da reggersi in piedi e, per il sollievo di tutti, uscì dalla casa del povero Kagami dirigendosi alla sua e accompagnato dalla ragazza proprio come ai vecchi tempi. A metà strada ebbe una ricaduta e allora si appoggiò quasi interamente con un braccio intorno alle spalle della rosa che lo trasportò a casa faticosamente.
Si vide costretta a trasportarlo persino in camera e per fortuna i genitori di lui non si accorsero dello stato in cui servava il figlio, essendo contenti del fatto che i due avessero fatto pace dato che non la vedevano da un sacco di tempo. Arrivati a destinazione, gettò il ragazzo di peso sul letto e gli aggiusto le coperte, coprendolo.
Gli augurò la buonanotte e fece per allontanarsi quando si svegliò e le afferrò un braccio.
“Domani mi verrai a svegliare, vero? E anche dopodomani, fra due giorni, fra tre…”
“Ovviamente! Dai-chan, senza di me arriveresti in ritardo tutti i giorni” sorrise lasciandole il braccio, non potendo fare a meno di pensare quanto fosse stupendo il suo nome fra le labbra di lei, una cosa che aveva dato sempre per scontato.
 
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“Così impari! La prossima volta non sarai così stupido e ci penserai due volte prima di ubriacarti!”
“Satsuki, ti prego! Solo per oggi non parlare” sussurrò massaggiandosi le tempie. L’aspirina che le aveva portato la ragazza ancora non aveva fatto effetto e la testa sembrava scoppiargli anche al minimo suono o movimento. La rosa gonfiò le guance ma di fatto zittendosi.
Quella mattina era andata a casa sua con la medicina, svegliandolo come al solito e attendendo che si muovesse a prepararsi; ricordava tutto quello che era successo, ne era certa perché l’aveva visto arrossire leggermente appena l’aveva notata e per certi versi era meglio così. Le cose sembravano essere le stesse, ma in realtà era cambiato qualcosa.
Proprio perché ricordava tutto ciò che aveva detto, quando vide Tsutomu vicino al cancello della scuola, cercò di passare inosservata e velocemente all’interno della scuola ma sfortunatamente il metro e novantadue del ragazzo di fianco a sé l’aveva tradita.
“Quindi ecco la vera ragione per la quale non volevi uscire con me” il ragazzo le si parò di fronte guardandola con disprezzo “Sei tornata a scodinzolare intorno al tuo padrone?”
Daiki reagì velocemente per i canoni di uno che stava attraversando un post-sbronza e lo spinse contro il muro, tenendolo fermo per il colletto della maglia mentre intorno a loro si riunì una piccola folla. “Che cazzo hai detto?”
“Ho detto che il tuo cagnolino è stato fedele, vanne fiero” Aomine caricò il pugno, prontamente fermato dall’amica che si aggrappò al braccio cercando di farlo ragionare; si sarebbe giocato il club di basket e non ne valeva la pena. Lasciò ricadere l’arto e appena Momoi si staccò da questo lo caricò di nuovo ma colpendo il muro, a pochi millimetri dal viso del ragazzo che aveva perso quasi tutta la sua spavalderia.
“Se ti vedo a meno di dieci metri da lei, giuro che ti spacco la faccia. E me ne frego di essere espulso” si allontanò, lasciandolo andare via, girandosi verso la ragazza che lo fissava arrabbiato, indicando la mano.
Lo portò subito in infermeria e si fece dare un impacco di ghiaccio per posarlo sulle dita: non usciva sangue, non aveva colpito il muro così forte, ma voleva evitare che la mano si gonfiasse o che si formassero dei lividi.
“Perché non parli?” le chiese dopo i primi cinque minuti di silenzio. L’aveva fatto sedere su un lettino mentre lei le manteneva l’impacco sulla mano, togliendolo di tanto in tanto e osservandone gli sviluppi. Aveva i capelli che le coprivano il viso e non riusciva a vedere l’espressione che aveva in viso.
Con la mano libera le prese una cioccia e gliela portò dietro l’orecchio, sfiorandole una guancia umida.
“Stai piangendo?” chiese allarmato e alzandole il viso con la forza.
“No” sussurrò nonostante i singhiozzi e le lacrime che continuavano a scorrere. Scoppiò a ridere di fronte alla sua testardaggine e lei prese a colpirlo sulle gambe con dei piccoli pugni, fin quando non le mise la mano buona dietro la testa e premette la testa contro il suo petto.
“Ti potevi fare male sul serio” continuò a singhiozzare.
“Non mi interessa. Quel tizio non si doveva permettere di parlarti in quel modo”
“Ma aveva ragione, sai?” si allontanò un po’ controvoglia dal suo petto “Dopo tutto per certi versi l’ho usato”
“Cosa?”
Momoi deglutì, prendendo coraggio. Era inutile essere arrivati fino a questo punto per poi lasciare tutto così com’era.
“Mi piaci” sussurrò abbassando lo sguardo e arrossendo “non so né quando e né come l’ho capito ma mi piaci. Ero arrabbiata a causa tua e delle tette di Mayo-chan che continuavi a fissare e poi ho conosciuto questo ragazzo. Sembravo piacergli e quindi ho pensato che avrei potuto provarci, forse col tempo sarei riuscita a farmelo piacere ma non è andata così e l’altro giorno gli ho detto che mi dispiaceva ma non riuscivo a pensarlo come a qualcosa di più di un amico… così si è arrabbiato”
Alzò lo sguardo, trovandolo ad occhi sgranati; l’aveva immaginato che fosse all’oscuro di tutto.
“Mi dispiace, ti ho causato solo problemi” disse indicando la mano “e alla fine abbiamo solo sofferto entrambi come due cret-“ la frase fu interrotta bruscamente dalle labbra del ragazzo che si posarono sulle sue e dal palmo della mano premuto sulla sua guancia. Si staccò dopo pochi secondi, fissandola intensamente. Le sue labbra sono davvero morbide come avevo sempre immaginato.
“Non dire mai più che vuoi dimenticarmi. Non smettere mai più di essere asfissiante, di starmi addosso, di rimproverarmi, di punirmi con estenuanti sessioni di shopping e, soprattutto non ti permettere mai più di chiamarmi col cognome”
“Hai sempre detto che odiavi il mio soprannome”
“Appunto, è il tuo soprannome e non smettere mai di dirlo” sorrise, poggiando di nuovo la testa sul suo petto, questa volta senza piangere.
“Va bene, Dai-chan
 
 
 
GIusycchi’s corner
Eh, si. Ci ritroviamo di nuovo qui.
Anche questa volta con una het, sebbene questa volta i personaggi li conosciamo tutti e due, nessun originale.
Non ho molto da dire questa volta: so solo che da una semplice immagine nella quale Aomine consolava Momo sono uscite tredici pagine di Word e più di ottomila parole.
Non credo ci sia molto da chiarire e, come sempre, vi auguro che questa piccola storia possa piacervi e vi invito a recensire per farmelo sapere 😊
Al prossimo :*
   
 
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