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Autore: Anthea_    18/05/2017    0 recensioni
Il mondo è fatto di strade. Sono infinite, ognuna diversa dall'altra, ma qualcosa le accomuna tutte: ogni strada prima o poi è destinata ad incrociarne un'altra. Due strade si intersecano tra di loro creando qualcosa di nuovo, insolito, inedito e succede così anche con le persone. Nascono sole, ma sono destinate ad incontrare qualcun altro lungo il loro cammino chiamato vita. A volte si incrociano per stare insieme, altre volte per dividersi dopo poco tempo. Nessuno sa cosa potrebbe succedere. Le persone sono strade e neppure sanno di esserlo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire.
(Alda Merini)

 

Il paesaggio scorre veloce davanti ai miei occhi. Il libro che stavo leggendo ormai non ha più segreti per me, sono arrivata all’ultima pagina con troppa facilità ed ora a farmi compagnia c’è solo il silenzio. Il pullman è quasi vuoto, fatta eccezione per tre signori seduti nei primi posti che hanno sprecato tutto quello che avevano da dirsi nelle prime ore di tragitto. Guardo l’orologio e vedo che non manca ancora molto, tra dieci minuti dovrei raggiungere la destinazione ed in effetti inizio a riconoscere le strade, gli edifici, persino il traffico caotico della stazione mi è familiare. Frugo tra la borsa alla ricerca del cellulare e quando lo trovo, sbloccandolo, vedo che Davide mi ha chiamata un paio di volte e mi ha scritto alcuni messaggi che decido subito di leggere.

“Sono alla stazione, ti aspetto al solito posto.”

“Sono qui da dieci minuti ormai, dove sei?”

“Vado al bar, se non mi trovi cercami lì. Ho bisogno di un caffé!”

        Sorrido nel leggere i suoi messaggi perché come al solito la sua impazienza si fa notare, odia terribilmente aspettare, ma puntualmente arriva in anticipo agli appuntamenti non capendo che questo suo atteggiamento è dettato da del puro masochismo che si riversa, poi, su di me che sono la vittima prediletta delle sue lamentele. Sto per rispondere, quando il pullman svolta nella piazzola di arrivo e così infilo frettolosamente il cellulare in tasca prendendo lo zaino e la borsa prima di scendere.

L’aria è calda, troppo per un pomeriggio di fine settembre, ma ormai so che da questa città posso aspettarmi di tutto, d’altronde l’originalità sembra essere la sua caratteristica fondante. Mi guardo intorno, però di Davide non c’è traccia, così prendo il mio trolley e mi incammino verso il bar della stazione dove sono certa di trovarlo. Cammino tenendo lo sguardo basso per non essere accecata dal sole, tenendo gli occhi fissi a terra per evitare di scontrarmi con qualcuno o, peggio ancora, per evitare, come al solito, di inciampare in qualcosa.

«Andrea», sento urlare. Istintivamente mi fermo e sollevo il capo per capire chi mi sta chiamando, ma quando la voce si ripete capisco subito chi sia. Passano un paio di secondi prima che riesca a individuarlo tra le varie persone e appena i nostri sguardi si incrociano lo vedo sorridermi, mentre mi viene incontro e non riesco a non ricambiare il sorriso. Sono felice di vederlo, mi è mancato tantissimo negli ultimi mesi e non voglio nasconderlo.

Quando mi raggiunge non proferisce parola, si limita ad abbracciarmi con forza; il suo gesto mi spiazza e resto immobile tra le sue braccia, mentre mi stritola con tutta la sua forza. Non sono abituata alla sua mancanza di parole, ma a stupirmi ancora di più sono i gesti d’affetto così evidenti perché sono una vera novità, però vederlo sotto questa nuova luce non mi dispiace affatto.

«Piano», dico cercando di fargli capire che il suo entusiasmo mi sta quasi facendo male. Scioglie l’abbraccio e mi guarda intensamente con i suoi bellissimi occhi nocciola, con la testa leggermente inclinata verso sinistra, lasciando ricadere i suoi capelli scuri su parte della fronte abbronzata. Il suo bellissimo sorriso è contagioso, mi ipnotizza.

«Finalmente sei tornata», rompe il breve silenzio.

«Il dovere chiama», rispondo ironicamente sapendo bene cosa vuole che gli dica, ma non voglio accontentarlo, è troppo abituato a sentirsi dire sempre ciò che vuole e così decido di tenere per me i miei pensieri anche se non sono, in questo momento, poi tanto difficili da scoprire.

«Poche parole, ma efficaci», ripete quello che l’anno scorso era il suo modo fisso per sottolineare con ironia la pragmaticità delle mie risposte e sentirglielo dire nuovamente mi fa capire che sentirò questa frase molto spesso anche quest’anno.

Alzo gli occhi al cielo. «Che ne dici di aiutarmi con le valige invece di prendermi in giro?», domando retoricamente e subito sembra ricordarsi il motivo della sua presenza qui.

«Scusa, hai ragione. Andiamo!»

Prende il mio zaino e il trolley e mi fa strada raccontandomi in modo molto sintetico, ma allo stesso tempo accurato, ciò che ha fatto in questi ultimi mesi. Mi racconta di aver trovato una nuova fidanzata  estremamente bella, ma troppo gelosa per i suoi gusti. Mi spiega cosa dovrà studiare alla scuola di fotografia e dei progetti che ha in ballo per questo nuovo anno accademico, dei nuovi professori che avremo all’università, professori su cui si è già informato. Mi parla perfino delle ultime novità in città un po’ come fossi il suo diario perché riversa su di me un fiume di parole senza aspettarsi nulla in cambio.

«A te invece? Cosa è successo negli ultimi tempi? Non mi hai detto molto quando ci siamo sentiti», dice, infine, mentre le porte della metro, che è appena arrivata, si aprono. Saliamo, ma non ci sono posti liberi così restiamo in piedi con la schiena premuta contro la parete, attenti a non far cadere nulla.

«Non ti ho raccontato nulla perché non c’è nulla da dire. Sono stata via solo un mese e ho trascorso le giornate con la mia famiglia e i miei amici. In pratica mi sono divisa tra casa e mare», spiego stringendomi nelle spalle, come mio solito fare.

«Sei andata tutti i giorni al mare e sei ancora così bianca?», mi prende in giro, ma effettivamente ha ragione. Osservo il mio braccio e vedo che l’unica cosa a dar colore al mio incarnato sono le lentiggini che mi ricoprono interamente in estate a causa del sole.

«Non riesco a stare per troppo tempo al sole. Poi fa male, quindi sei tu piuttosto che dovresti starci attento», ribatto acidamente, sapendo bene quanto lui ami essere abbronzato, ma d’altronde non ha i miei stessi problemi. È il tipico ragazzo meridionale: occhi scuri, capelli scuri e carnagione olivastra, non deve temere come me il sole e sembra saperlo bene.

«La nostra fermata», esclama Davide.

Mi sono distratta e non mi sono accorta che ormai siamo arrivati. Mi affretto a scendere, attenta a non urtare nessuno e per fortuna ci riesco nonostante il vagone sia estremamente affollato.

«Avrai nuove coinquiline quest’anno?», domanda e annuisco.

«Sì, ormai Anna e Martina si sono laureate lo scorso anno».

«Conosci già le ragazze con cui abiterai?»

Scuoto la testa. «No, non so nulla. Se non sbaglio per ora la signora Adele ha trovato solo un’altra ragazza a cui affittare l’appartamento e l’unica cosa che so è che studia biologia».

«Non ci potrà esser d’aiuto», suona quasi sconfitto.

«Eccoci, siamo arrivati», dico entusiasta. Guardo l’imponente palazzo dai colori scuri e tetri e tutto quello che riesco a pensare è solo di esser tornata a casa. Finalmente.

«Che la sfida abbia inizio», scherza Davide parlando con le valige ben consapevole che sarà un’impresa ardua portar su tutta queste cose.

«Coraggio!», lo incito e inizio a salire dopo aver preso lo zaino.

L’affanno si fa sentire più del previsto, sapevo non sarebbe stato semplice, ma sono davvero stanca, però dopo un po’ di sforzi riesco a raggiungere il terzo piano; arrivo di fronte alla porta di casa e frugo nella tasca anteriore dello zaino alla ricerca delle chiavi che trovo facilmente. Apro e la prima cosa che faccio è bere.

«Acqua anche per me», implora Davide che beve avidamente tutta l’acqua rimasta nella bottiglia che avevo con me. «Bene, la fase uno è stata completata, ora passiamo alla fase due.»

«Sarebbe?»

«Andare a pranzo fuori. Ho fame, quindi prendi quello che ti serve e usciamo senza troppe storie».

«Vado in bagno e torno. Due minuti», prometto e mantengo la parola data. Avevo bisogno di questa sosta dopo ore di viaggio. Prendo la borsetta con dentro il cellulare, le chiavi e sono subito pronta a uscire.

«Fatto», esclamo quasi esultando. «Chiudi tu la porta, intanto mando un messaggio ai miei per dirgli che sono arrivata».

Scendiamo le scale in fretta e prima che me ne renda conto sono di nuovo nella città che tanto amo: Napoli. L’anno scorso quando ho deciso di trasferirmi qui non immaginavo che mi sarei potuta innamorare di una città, eppure è successo.

Napoli è vita, Napoli è poesia e lo capisco in ogni istante. Il nuovo che si mischia al vecchio, i colori che si mescolano col grigio dei vecchi palazzi, la storia che incontra il presente, il mare, il sole, il calore della gente. Non è possibile non amare questa città, il suo fascino colpisce tutti e infatti tanta bellezza ha da subito colpito anche me.

Cammino e mi guardo intorno, bramosa di rivedere tutto ciò che mi manca, sono persa nei miei pensieri e non ascolto neppure quello che Davide mi sta dicendo, mi limito a seguirlo perché non ho la minima idea di dove mi stia portando.

«Allora? Davvero non hai nulla da raccontarmi?», borbotta incredulo il mio amico. Sollevo le spalle, davvero non ho nulla da dirgli e sa che è vero perché ormai ha imparato a conoscermi.

Sospira sconsolato e si perde a guardare il cellulare, digitando freneticamente. Lancio uno sguardo fugace al display e vedo che sta parlando con una ragazza, presumibilmente con la sua nuova fidanzata, così decido di lasciargli i suoi spazi. Solo quando torna alla realtà decido di interrompere il lungo silenzio.

«Sai credo che questa sia una delle pochissime volte che ti vedo senza macchina fotografica a seguito» ed è vero, da quando lo conosco l’ha sempre tenuta con sé perché come dice lui “l’ispirazione arriva all’improvviso e non bisogna mai farsi trovare impreparati”.

«Lo so, volevo portarla, ma non mi è sembrato il caso. Non sapevo quante cose ti fossi portata dietro e non volevo rischiare di romperla, ma domani ti devo assolutamente far vedere degli scatti», dice entusiasta.

Gli sorrido e lui prende il mio gesto come incentivo a continuare il suo sproloquio. Mi parla dei progetti che ha realizzato in estate, di quelli che gli erano venuti in mente e cerca persino di convincermi a prendere parte ad alcuni di essi.

«Sai che odio essere fotografata», esclamo decisa.

«Lo so, ma nonostante ciò ho tantissime tue foto e sono fantastiche», esulta vittorioso e nonostante non lo confesserò mai quelle foto sono davvero belle, forse perché spontanee.

Lo scorso anno è nato una sorta di gioco tra di noi, ogni volta che provava a fotografarmi mi nascondevo nel modo in cui potevo. Ero esasperata, ma quando un giorno mi fece vedere le foto rimasi piacevolmente sorpresa.

«Ma dove stiamo andando?», domando esasperata, dato che stiamo camminando da tempo ormai. Sono stanca, il viaggio è stato estenuante, ma non voglio lamentarmi troppo e rischiare di sembrare scortese con lui.

Davide si ferma e dice: «siamo arrivati. Ordino al volo due cose da portare via, così possiamo sederci su quelle panchine», dice indicandole con il dito.

Annuisco e mi vado a sedere in attesa che lui torni, cosa che fa davvero presto. Mangiamo voracemente e nel mentre scambiamo due chiacchiere che hanno per lo più come protagoniste i passanti che ci fanno sorridere.

Stare con Davide mi era mancato, è tutto così semplice quando sono con lui e mentre questo pensiero mi passa per la testa mi viene da sorridere.

«Hai già deciso che corsi seguire questo semestre?», domanda.

Annuisco. «Te seguirai quelli che ho scelto io o hai delle preferenze?», lo stuzzico sapendo che sarebbe capace di seguire qualcosa che non gli piace pur di stare con me e soprattutto pur di potersi poi far prestare i miei appunti.

Solleva gli occhi al cielo esasperato. «Ok, ti dico quelli che pensavo di seguire e vediamo se sono quelli che piacciono anche a te», propone e inizia a elencarmi i vari corsi che hanno stuzzicato il suo interesse con annesse motivazioni. Seguo il suo discorso con interesse perché si lascia sfuggire informazioni anche sui professori, informazioni che sono avida di conoscere.

«In pratica abbiamo scelto le stesse cose, anche se io non penso di voler seguire il corso di gnoseologia. Credo che per ora passerò, nel caso darò quest’esame alla magistrale», spiego e lo vedo riflettere.

«Forse hai ragione, anche perché il professore è uno tosto, ma quest’anno dovrebbe andare in pensione.»

Continuiamo a parlare dell’università finché un suono che si fa sempre più forte non ci interrompe.

«Scusami un attimo», dice Davide prendendo il cellulare, mentre si alza e si allontana di qualche metro.

Mi limito a guardarmi intorno, cercando di evitare di origliare, ma purtroppo non si è allontanato troppo da potermelo impedire. Le parole mi arrivano frammentare, non seguo il filo del discorso, ma riesco lo stesso a capire che sta parlando con la sua ragazza e che presto arriverà qui.

«Era Elisa, voleva sapere dove fossi», spiega e gli sorrido.

«Se hai qualche impegno vai pure, tanto ormai ci vedremo tutti i giorni», dico come se vederlo mi pesasse.

«Sta venendo qui, quindi posso stare con te un altro po’, anche se so che ti libereresti di me volentieri», continua anche lui a punzecchiarmi e la conversazione continua così finché una ragazza dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri come il cielo si avvicina a noi e ci interrompe.

«Finalmente sei arrivata», esordisce Davide.

La ragazza guarda nella mia direzione facendo un piccolo sorriso di circostanza. Mi sento impacciata, non so bene cosa fare e così decido di alzarmi e presentarmi porgendole la mano che lei con riluttanza stringe.

«Andrea è la mia amica di cui ti ho tanto parlato», interviene Davide e non capisco se si stia difendendo da un possibile attacco o stia semplicemente cercando di rompere il ghiaccio dato che in questo momento la tensione è alle stelle senza che io riesca a capire il perché.

«Penso che andrò via, ho delle commissioni da sbrigare», mi affretto a dire un po’ per scappare da lì e un po’ perché è vero; si è fatto tardi e devo passare al supermercato prima di tornare a casa.

«Resta un altro po’ con noi», insiste Davide, mentre la sua ragazza resta muta e si limita ad avvinghiarsi al suo braccio.

Scuoto la testa decisa. «Devo passare al supermercato e poi sono stanca, sarà per la prossima volta», dico poco convinta.

Alla fine Davide si rassegna, mi saluta e prima che possa aggiungere altro vado via giusto in tempo per vedere Elisa avventarsi sulle sue labbra.

Cerco di cancellare questi ultimi avvenimenti dalla mia testa, per allontanare la sensazione strana che quella ragazza mi ha trasmesso e mi perdo nuovamente a osservare con meraviglia la città. Mi perdo così tanto nei miei pensieri che non mi rendo conto di nulla e prima del previsto mi ritrovo al supermercato dove in poco tempo riesco a comprare tutto quello che mi serve.

In pochi minuti arrivo a casa e mentre sto per aprire il portone per accedere all’atrio sento dei forti miagolii, così istintivamente mi volto e vedo che poco distante da me ci sono cinque gattini piccoli che giocano tra di loro. Mi chino e cerco di richiamare la loro attenzione, ma tutti sembrano ignorarmi, così faccio per alzarmi quando vedo uno di loro, l’unico dal manto nero, intento ad avvicinarsi. Resto ferma, continuo a chiamarlo e in men che non si dica è a pochi centimetri da me; lo guardo sorridendo e vedo i suoi occhi gialli fissarmi. Allungo la mano per toccarlo, ma fugge via, così decido di arrendermi e di andare a casa.

          Il tempo scorre in fretta prima che mi ritrovi a letto stremata, ripenso a questa lunga giornata e prima che possa accorgermene
          cado in un sonno profondo.
   
 
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