Capitolo
13
“Io
continuerò a credere in te”
La
mia vita da
liceale è iniziata ufficialmente dieci giorni fa con una
sorpresa, invero non
molto gradita: ho infatti scoperto che tra i miei compagni di classe
c’è anche
Kuroko. L’idea di trascorrere il resto dell’anno
insieme a lui non mi
entusiasma affatto, al contrario mi preoccupa. L’essermi
riunita ad uno dei
miei vecchi amici della Teikō mi ha costretta fin da subito ad alzare
le mie
difese e rinforzarle. Eppure qualcosa mi infastidisce. Dopo
l’ultimo tentativo
da parte sua di iniziare una conversazione e il mio consequenziale
rifiuto,
Kuroko non ha più cercato di avvicinarsi a me. Non
l’ha presa bene quando gli
ho detto di non ricordare chi fosse, ma non sembrava arrabbiato,
piuttosto
dispiaciuto. La cosa positiva è che, almeno per ora, sono
riuscita a
convincerlo a starmi lontano. Ho dovuto calcare un po’ la
mano e confesso che
non è stato facile fingere di trovare la sua presenza
inquietante e ordinargli
di lasciarmi in pace. Ma non mi pento affatto di quello che gli ho
detto. Sono
tuttavia contenta che si tratti di Kuroko. Per fortuna è un
ragazzo che passa
facilmente inosservato e che non ama spettegolare, perciò
non devo preoccuparmi
che racconti a qualcuno del mio passato. Inoltre non è una
persona invadente e
questo significa che non proverà a riallacciare i rapporti
con me contro la mia
volontà. Come avevo previsto, è entrato nella
squadra di basket. Era
inevitabile, del resto.
«Kiseki
no Sedai?».
«Che
cosa hai
detto?», chiedo a Haruka.
Anche
oggi siamo
insieme sul terrazzo della scuola per la pausa pranzo. Questo
è il terzo giorno
consecutivo che veniamo qui per sfuggire alle ragazze della squadra di
pallavolo: a quanto pare mi hanno eletta mascotte ufficiale a mia
insaputa.
Spero che cambino presto idea perché non ho intenzione di
unirmi al loro club.
Riporto
le mie
attenzioni su Haruka. Sono diversi minuti che sfoglia una rivista
sportiva,
senza troppo interesse, a dire il vero. Ma la sua espressione sembra
ora
cambiata. Forse ha finalmente trovato un articolo degno della sua
attenzione.
Incuriosita mi sporgo sul giornale per dare un’occhiata.
«Non
si può dire
che non si siano dati da fare nel frattempo», commenta mia
cugina, osservando l’immagine
in primo piano.
Immortalati
nella
fotografia che accompagna l’articolo, i volti dei miei vecchi
amici. Akashi,
Midorima, Aomine, Kise, Murasakibara e, infine, Kuroko posano davanti
all’obiettivo.
«L’articolo
si
riferisce ai campionati nazionali dell’anno scorso. A quanto
pare la Teikō si è
riconfermata come la scuola migliore del torneo», commenta
Haruka con
sufficienza. «Chiunque abbia scritto il pezzo, non poteva
scegliere un titolo
più stupido di questo. Kiseki no Sedai? La Generazione dei
Miracoli? Che
idiozia! È chiaro che si tratta solo di un altro squallido
tentativo di fare
pubblicità alla scuola».
Haruka
chiude la
rivista e con un gesto annoiato la getta ai suoi piedi per riprendere a
mangiare. Avendo terminato il mio pranzo, la raccolgo e inizio a
sfogliarla
fino ad arrivare alla pagina che mi interessa. Ancora una volta i miei
occhi si
concentrano sui volti dei sei ragazzi. Questa foto è stata
scattata solo
qualche mese dopo il mio trasferimento dalla Teikō, eppure tutti loro
sembrano
così diversi. Nei loro sguardi non c’è
la gioia di chi ha vinto un importante
campionato. Non c’è passione. Al contrario,
sembrano tutti pallidi come fiori
appassiti. L’espressione nei loro occhi si è
indurita, maturando prima del
tempo. Ha perso la sua freschezza. Ma fra tutti quanti, Aomine sembra
particolarmente infelice. La sua luce si è affievolita.
Ricordo bene il sorriso
che mostrava sempre quando giocava, lo scintillio nei suoi occhi
entusiasti. Ma
in questa foto, nonostante i colori con cui è stata
scattata, la sua figura
appare sbiadita, opaca. Non voglio essere tanto presuntuosa da credere
che
questo cambiamento sia stato provocato dalla mia improvvisa scomparsa.
Sono
invece sicura che sia successo qualcosa che ha costretto tutti loro a
cambiare
così profondamente. Se anche dovessi incontrali, non
sarebbero le stesse
persone che ricordo. Forse è un bene che le nostre strade si
siano separate.
«Ho
sentito che
sono stati ingaggiati da scuole differenti», pronuncia Haruka
alzando lo
sguardo sul cielo terso. «Questo vuol dire che presto
dovranno giocare sullo
stesso campo come rivali. Sei preoccupata per loro?».
«Non
saprei»,
rispondo abbassando la rivista sulle mie gambe distese. «Fino
adesso l’idea che
potessero diventare avversari e giocare gli uni contro gli altri non mi
era mai
passata per la testa. Ma se devo essere onesta, non è questo
a preoccuparmi.
Credo che sia successo qualcosa dopo il mio trasferimento dalla Teikō.
Qualcosa
che ha cambiato profondamente tutti loro. Ovunque siano, spero solo che
continuino a divertirsi giocando a basket», anche se i volti
in questa
fotografia sembrano tutta’altro che gioiosi.
«Forse
non è vero
che sono tutti cambiati», continua Haruka, portando lo
sguardo sul giornale.
Seguendo
i suoi
occhi, le mie pupille si soffermano sulla figura minuta di Kuroko. Non
sono
sicura che Haruka abbia ragione. Almeno in questa fotografia, anche
l’espressione sul suo volto sembra in qualche modo avvilita,
piena di
rimpianti. Da quando è iniziato il nuovo anno qui alla
Seirin, però, e
soprattutto da quando è entrato nel club di basket, Kuroko
sembra più sereno,
quasi avesse trovato un nuovo proposito per cui lottare. E non penso
che il suo
incontro con il ragazzo venuto dall’America sia del tutto
casuale. Se ricordo
bene il suo nome è Kagami. Non conosco il suo modo di
giocare ma pare andare
molto d’accordo con Kuroko. A volte, guardandoli insieme, mi
torna in mente
l’affiatamento che c’era con Aomine. Forse lo stile
di gioco di Kagami è più
simile a quello di Aomine di quanto possa apparire. In ogni caso non
voglio
lasciarmi coinvolgere. Se dicessi di non essere nemmeno un pochino
curiosa su
quei due mentirei, ma incrociare ancora una volta il mio cammino con
quello di
Kuroko renderebbe solo più difficile la mia guarigione.
«Uffa,
è già ora
di tornare».
Con
uno sbuffo
Haruka di solleva dal pavimento raccogliendo alla rinfusa la scatola
del
pranzo. Ora che la pausa è terminata dobbiamo rientrare per
le attività del
pomeriggio. Le restituisco quindi la rivista e mi incammino al suo
fianco verso
la prossima lezione.
***
Haruka
è ancora
impegnata con gli allenamenti ma ha detto che dovrebbe finire fra
un’ora. Dopo
averle promesso che l’avrei aspettata per tornare a casa
insieme, decido infine
di passare il tempo che resta al Maji Burger. È un fast-food
a pochi passi
dalla scuola, dove si radunano spesso anche altri studenti della
Seirin.
Personalmente non ci sono mai stata prima di questa sera, ma dovendo
aspettare
Haruka e avendo un po’ di fame ho alla fine deciso di
entrare, accompagnata da
Arthur.
Una
folla di
studenti e famiglie attende di avvicinarsi alla cassa per ordinare. Mi
aggrego
alla coda e inganno la lunga attesa scorrendo la lista dei vari
menù riportata
su alcuni tabelloni. Non posso dire di essere un’amante dei
fast-food dal
momento che preferisco cibi più salutari, quindi decido di
ordinare solo una
porzione di bocconcini di pollo fritto e un piccolo toast al
prosciutto. Arthur
invece rifiuta di prendere qualsiasi cosa e si limita a seguirmi da
vicino
mentre prendo posto ad un tavolo davanti a una delle finestre.
«Yo!».
Un
ragazzo dalla
statura imponente mi rivolge il saluto e mi basta una rapida occhiata
alle sue
sopracciglia biforcute per capire che si tratta di Kagami, il ragazzo
venuto
dall’America.
«Ciao,
Kagami,
anche tu qui?», rispondo spalancando subito dopo gli occhi
alla vista della
montagna di hamburger sul suo vassoio. Non dovrei sorprendermi: dato il
suo
fisico è piuttosto normale che il suo appetito sia
proporzionato alla sua
corporatura.
«Non
ti ho mai
vista da queste parti», continua alzando un sopracciglio,
perplesso.
«In
effetti non
amo molto i fast-food ma oggi ho deciso di fare un’eccezione.
Sto aspettando
mia cugina», spiego brevemente.
Notando
quindi lo
sguardo diffidente di Arthur mi affretto nelle presentazioni.
«Questo
ragazzo è
un mio compagno di classe. Si chiama Kagami Taiga».
«Sei
un amico della
signorina Eiko?», lo interroga Arthur con aria poco
amichevole.
«Non
direi»,
risponde Kagami con naturalezza. «Questa è la
terza volta che parliamo».
Se
Kagami non
fosse intervenuto probabilmente avrei risposto io al suo posto e avrei
usato le
stesse parole. Tuttavia sentire quella frase uscire dalla sua bocca con
tanta
spontaneità, come fosse la cosa più ovvia del
mondo, mi ha in qualche modo
infastidita. Non che mi aspettassi una reazione diversa, ma avrebbe
almeno
potuto esitare un po’.
«Beh,
non credo
che lei mi consideri suo amico, almeno», pronuncia subito
dopo, portando una
mano dietro la testa per nascondere l’imbarazzo.
«Il fatto è che non abbiamo
avuto molte occasioni per parlare
perciò…»
«In
effetti non
sono molto socievole. Perdonami».
«No-non
devi
scusarti. Non è colpa sua se sei timida. Credo».
«Credo?».
Il
tono di Arthur
è improvvisamente ostile e la sua guardia è
chiaramente alta in questo momento.
Sono quasi certa che percepisca Kagami come una minaccia o, se non
altro, come
un individuo poco affidabile.
«A-Arthur,
non
fare quella faccia, in fondo Kagami non ha tutti i torti. E comunque
sono
sicura che non volesse offendermi. È stato solo molto
sincero, giusto?».
Kagami
annuisce
alla mia domanda.
«Se
sei da solo,
perché non ti siedi con noi», propongo infine.
La
prima
impressione che ho avuto di Kagami non è stata la migliore,
lo ammetto, ma
guardandolo adesso non riesco a credere ai pettegolezzi che giravano
sul suo
conto fino a qualche giorno fa. Non sembra affatto una persona
pericolosa e
terribile. Certo ha uno sguardo sempre corrucciato, troppo maturo per
la sua
età, e la sua statura incute un po’ di paura, ma
parlando con lui è facile
intuire che tipo di ragazzo sia in realtà. Questa potrebbe
essere un’occasione
per chiacchierare e conoscerci meglio, dopotutto ho promesso ad Haruka
che
avrei provato a farmi dei nuovi amici.
«Ehi,
Kuroko, a te
sta bene?».
Al
nome del mio
vecchio compagno un brivido percorre la mia schiena, facendomi
irrigidire sulla
sedia.
«Hai
detto
Kuroko?», le mie labbra si muovono a stento mentre i miei
occhi si spostano
sulla piccola figura giunta ora al fianco di Kagami.
«Salve,
Eiko-san».
Il
nuovo arrivato
mi rivolge un breve inchino. La mia risposta al suo saluto è
puramente
istintiva: con uno scatto abbasso la testa interrompendo il contatto
visivo.
Non mi aspettavo un confronto diretto con Kuroko così
presto. Sono stata
ingenua. Avrei dovuto prendere in considerazione la
possibilità che Kagami
fosse venuto qui con qualche membro della squadra di basket, ma fra
tutti i
possibili candidati doveva trattarsi proprio di Kuroko.
«C’è
qualche
problema?».
Notando
forse la
tensione fra me e Kuroko, Kagami interviene ad interrompere
l’improvviso
silenzio.
«N-No,
nessun
problema», balbetto io, cercando di controllare
l’ansia.
«Forse
dovremmo
sederci da un’altra parte».
La
proposta di
Kuroko è troppo invitante perché io la respinga.
Non sono ancora pronta ad
affrontarlo. Se ora sedesse al mio tavolo non sarei in grado di
iniziare alcun
tipo di conversazione e l’atmosfera diventerebbe presto
insostenibile, non solo
per me.
«Potete
sedervi
qui, tanto io e Arthur stavamo per andare. A quest’ora mia
cugina avrà finito
con gli allenamenti».
Con
evidente
fretta mi alzo dalla sedia e mi allontano dai due ragazzi senza
preoccuparmi di
salutarli. Kagami penserà sicuramente che sono una ragazza
strana e non avrà
una buona opinione di me, ma in questo momento non
c’è altro che possa fare.
Purtroppo ho perso la mia occasione di rafforzare la mia relazione con
lui ma
ho troppa paura dell’influenza che potrebbe avere su di me la
presenza di
Kuroko. Sono una codarda, ma non me ne vergogno. Non ancora almeno.
Scuoto la
testa per scacciare ogni ripensamento dalla mia mente mentre,
dall’altro lato
della strada, Haruka, libera di tornare finalmente a casa, agita il
braccio in
aria chiamando il mio nome.
***
La
scorsa notte ho
sognato Kagami. Non ricordo esattamente il sogno, ma so per certo di
aver visto
il suo volto. Quando mi sono svegliata ho provato una strana delusione.
Ultimamente mi sta succedendo qualcosa di strano e poco piacevole. Non
saprei
dire quando è iniziato, né per quale assurdo
motivo, ma mi capita sempre più
spesso di pensare a lui. Anche a scuola, prima che me ne renda conto, i
miei
occhi cercano la sua figura e le mie orecchie reagiscono alla sua voce.
Di una
cosa però sono assolutamente sicura: non mi sono innamorata
di lui! Sono giunta
a questa conclusione poiché parlare con lui non mi fa
sentire imbarazzata;
quando i nostri sguardi si incrociano non sento la necessità
di fuggire; ma
soprattutto quando mi è vicino il mio cuore non batte
all’impazzata, il respiro
non mi muore in gola e non sento le farfalle nello stomaco. Qualunque
sia la
natura del mio interesse nei suoi confronti, dunque, non ha nulla a che
fare
con il romanticismo. Semplicemente, c’è qualcosa
in lui che mi attira e mi
incuriosisce. Qualcosa di famigliare, il che è assurdo. Come
potrebbe essermi
famigliare un ragazzo che ho incontrato per la prima volta poche
settimane fa?
Eppure non riesco a reprimere questa curiosità che sta ormai
diventando
un’ossessione, a tal punto da farmi incontrare Kagami perfino
nei miei sogni.
Oggi
Haruka non è
venuta a scuola. Ieri sera abbiamo deciso di vedere un film insieme a
Shizuka e
Naoko – una serata tra sole ragazze – e abbiamo
ordinato del cibo da un
ristorante tailandese che conosce Haruka. Il problema è che
ha finito col
mangiare quasi tutto lei e questa mattina non riusciva neanche ad
alzarsi dal
letto a causa dei crampi allo stomaco che l’hanno tenuta in
bagno tutta la
notte. Di conseguenza sono venuta a scuola da sola e ho dovuto
avvertire i
professori e il capitano della squadra di pallavolo al suo posto. Le
mie
lezioni sono appena terminate ma il giorno è ancora luminoso
e non mi va di
tornare a casa.
Il
mio pensiero
vola improvvisamente a lui, il ragazzo venuto dall’America
che tormenta i miei
sogni. Oggi pomeriggio ci sono gli allenamenti del club di basket e ho
sentito
che tra qualche giorno è prevista una partita amichevole con
un’altra scuola,
ma al momento non ricordo il nome. La mia testa dice che non dovrei
farlo, che
non dovrei avvicinarmi alla palestra, ma il mio cuore è di
tutt’altra opinione.
Perciò continuo a camminare verso la struttura, consapevole
che Arthur mi stia
aspettando fuori ai cancelli. Ho intenzione di sbirciare solo per un
attimo,
giusto il tempo di mettere a tacere questa insana curiosità
che martella dentro
di me. Kuroko sembra andare molto d’accordo con Kagami, ma
soprattutto sembra
rispettarlo. Non ho mai visto Kagami sul campo, ma se in qualche modo
ha
ottenuto l’approvazione di Kuroko deve essere un giocatore di
talento.
Un
groviglio di
voci e lo stridere delle scarpe mi avverte che sono giunta a
destinazione.
Avendo deciso di dare solo una rapida occhiata e andarmene subito,
socchiudo la
porta e mi infilo nella palestra. La luce del sole che filtra dai
finestroni
illumina la polvere sospesa nell’aria creando una nebbiolina
sottile che
solletica le mie narici spingendomi quasi a starnutire.
L’odore del legno del
parquet investe il mio olfatto mentre con lo sguardo inizio a
familiarizzare
con il nuovo ambiente.
È
in corso una
partita di allenamento. I ragazzi sono concentrati sul pallone e sugli
avversari, di conseguenza non si sono accorti di me. Io, al contrario,
non ho impiegato
molto a individuare la figura di
Kagami sul campo di gioco e ora tutte le mie attenzioni sono su lui.
Adesso che
è finalmente davanti a me mi sento sollevata e
più tranquilla. La tensione ha
abbandonato i miei nervi, come se mi fossi appena liberata di un peso.
Senza
perdere di
vista Kagami, vado a sedermi a bordo campo. Appoggio la schiena al muro
e la
frescura della parete mi provoca un piccolo brivido sottopelle. Per
diversi
minuti osservo semplicemente il mio compagno di classe correre da un
estremo
all’altro del campo, senza badare a ciò che lo
circonda, senza soffermarmi
sulle sue azioni. Mentre cerco di capire per quale motivo mi senta
così
attratta da lui, i miei occhi colgono un’ombra appena dietro
la sua figura. Stringo
le palpebre per ottimizzare la vista e il profilo di Kuroko prende
forma
accanto a quello di Kagami. Un’improvvisa realizzazione
scoppia dunque nella
mia mente, come una bolla di sapone: Aomine.
Il
paragone tra il
mio vecchio amico e Kagami è inevitabile. Vedere
quest’ultimo insieme a Kuroko
ha rievocato il ricordo di Aomine. Lo stesso entusiasmo. La stessa
passione. La
stessa luce negli occhi. Kagami è esattamente come Aomine.
Finalmente
capisco
per quale motivo mi sentivo così attratta da lui. Il mio
istinto aveva capito
da tempo ciò che la ragione si rifiutava di vedere. Che sia
un’altra
coincidenza? Un’altra trama ordita dal Fato? A questo punto
non importa quanto
io provi a tagliare i ponti col passato poiché esso
troverà sempre un modo per
incatenarmi di nuovo. Forse è arrivato il momento di farmene
una ragione e
accettare l’indissolubilità di questo legame. Del
mio legame con Kuroko, Aomine
e gli altri miei amici della Teikō. Kagami potrebbe essere il ponte di
collegamento eretto dal destino per incoraggiarmi ad attraversare la
corrente e
raggiungere l’altra sponda del fiume dove tutti loro
aspettano. Essermi riunita
a Kuroko in questa scuola e aver incontrato Kagami sono due messaggi
inequivocabili. Ma non riesco ancora a prendere la mia decisione. Ho
così tanto
da nascondere, così tanto da temere. Il segreto che porto
con me e che devo
custodire ad ogni costo mi rende troppo vulnerabile. Mayumi, Satsuki,
Aomine,
Kise, Akashi, Midorima, Murasakibara e ovviamente Kuroko, tutti loro mi
mancano. Ma il presente è più spaventoso del
passato. Ora che so cosa è
successo quella notte non ho il coraggio di rischiare solo per
assecondare un
mio desiderio egoistico. In fondo non sono cambiata: sono sempre la
vecchia
Eiko debole e insicura.
Col
cuore gonfio
di rammarico, mi sollevo dal pavimento e lascio la palestra. La mia
determinazione vacilla come mai prima. Sono combattuta tra i miei
sentimenti e
i miei doveri a tal punto da non accorgermi della presenza alle mie
spalle.
«Eiko-san».
I
miei piedi si
arrestano senza tuttavia ruotare verso colui che ha pronunciato il mio
nome.
«Non
fraintendere,
ero qui solo di passaggio», le parole escono dalle mie labbra
in un unico
respiro affrettato. Mettere le mani avanti è da codardi ma
ammettere la verità
sarebbe umiliante.
«L’hai
notato
anche tu, vero?».
Non
è difficile
intuire il significato delle parole di Kuroko. Si, ho notato quanto
Kagami
assomigli ad Aomine.
«Capisco
perché ti
piace tanto», pronuncio abbassando le spalle ed emettendo un
profondo sospiro.
«Quel ragazzo emana una luce accecante. Sarai felice di aver
trovato un degno
sostituto di Aomine».
«Kagami-kun
non è
un sostituto. Lui è…la mia speranza. Dopo che te
ne sei andata dalla Teikō,
Aomine-kun e gli altri sono cambiati. Il loro basket è ora
molto diverso da
quello che ricordi».
«Vuoi
dire che tu
non sei cambiato, invece?».
«Credo
ancora in
tutti loro».
Dunque
non sei
cambiato. Hai sempre avuto fiducia nei tuoi compagni di squadra, questo
non
l’ho dimenticato. Il tuo legame con ognuno di loro
è più solido del mio e
infondo è giusto che sia così.
«Sai,
Kuroko, ti
confesso che ho sempre un po’ invidiato il tuo ottimismo.
Sono sicura che
Aomine sarebbe felice di sapere che tieni ancora così tanto
a lui». Lo penso
veramente.
«Eiko-san,
tu non
credi più nella nostra amicizia?».
Un
palpito
violento scuote il mio petto. A una domanda così diretta
cosa dovrei rispondere?
Dal punto di vista di Kuroko potrebbe sembrare che abbia deciso di
abbandonarlo. Da quando è iniziato il nuovo anno scolastico,
poi, mi sono data
un gran da fare per evitarlo, ho persino mentito – e da
attento osservatore
qual è, lo avrà notato sicuramente
– quindi
è normale che ora pensi
questo di me.
«Kuroko,
anche io
sono cambiata», non è facile per me ammettere
questa verità. «Sono successe
tante cose e io non sento di essere la stessa persona»,
quanta pateticità nella
mia voce. Da dove nasce tutta questa disperazione? Ogni mia parola
suona come
una miserabile richiesta di aiuto.
«Io
continuerò a
credere in te».
«Sei
davvero un
ragazzo ottimista», le mie labbra si distendono in un sorriso
di
auto-commiserazione. Sono proprio patetica: trovare consolazione nelle
parole
di un amico che ho tradito e abbandonato. La mia piccolezza
è pari solo alla
mia vergogna. Se prima ero indecisa, adesso è impossibile
per me incontrare il
suo sguardo. Non ho bisogno di vederlo per sapere che i suoi occhi
stanno
brillando di gentilezza e onestà ed proprio questo a farmi
sentire miserabile e
fortunata allo stesso tempo.
«Domani
abbiamo
una partita contro la scuola Kaijō».
«Quella
nella
prefettura di Kanagawa? So che hanno una squadra di basket molto
forte», rispondo
pensando all’articolo sulla rivista di Haruka.
«Anche
se si
tratta di un’amichevole, ho intenzione di vincere insieme ai
miei compagni».
«Lo
so. Dai sempre
il massimo in campo e sono sicura che tu e Kagami ce la
farete», a questo punto
non ha più senso fingere di non ricordare.
«Il
nostro
avversario è Kise-kun».
Il
nome del mio ex
compagno di classe non mi lascia indifferente, ma non sono sicura del
perché.
«Per
quale motivo
me lo stai dicendo?», domando, invece, nascondendo la mia
agitazione. «Speri
forse che venga alla partita e che magari decida di
incontrarlo?».
«Kise-kun
sarebbe
felice di vederti», ribatte Kuroko, fermo nella sua posizione.
«Se
è vero che è
cambiato, come hai detto, probabilmente ti sbagli. Perché
dovrebbe essere
contento di vedere una ragazza che se n’è andata
senza neanche dirgli addio?».
«Perché
non sei tu
la causa del suo cambiamento».
«Allora
qual è?».
«Io…non
lo so». La
voce di Kuroko trema per un breve istante, seguito dal suo silenzio.
Cosa
può essere
successo di così terribile da rattristarlo tanto? Se nemmeno
Kuroko ha una
risposta, la situazione deve essere estremamente complicata. Se fossi
rimasta
alla Teikō con i miei amici, sarebbero cambiati? Kuroko ha detto che
non sono
io la causa di questo mutamento, eppure non mi sento di escludere la
possibilità. L’incidente di quella sera
avrà sicuramente avuto qualche effetto
su di loro. Mi basta ricordare il volto pallido e terrorizzato di
Satsuki per
non avere dubbi. Nessuno potrebbe rimanere impassibile davanti a tre
giovani
corpi esanimi, o davanti alla visione di un’amica coperta di
sangue. E non è sufficiente
a discolparmi il fatto che sia stato il mio alter ego a manipolare quei
due
ragazzi affinché aggredissero Aizawa.
L’aria
si è
appesantita. Né io né Kuroko osiamo parlare.
Forse anche lui, come me, non sa
cosa dire. Purtroppo, a differenza sua, io non ho parole di conforto
per lui
perciò è meglio che sia io a terminare qui la
conversazione.
«Perdonami,
Kuroko
ma…».
«Ku-ro-ko!».
Kagami
emerge
dalla palestra, palesemente irritato. Incurante della tensione che
domina il
momento, avanza verso di noi a grandi falcate, come un toro inferocito
pronto a
caricare il matador. Quando il minuto compagno di squadra è
infine alla sua
portata, la sua mano cala violentemente sulla sua testa, stringendola
energicamente.
«Per
quanto ancora
vuoi battere la fiacca, eh?».
«Kagami-kun,
potresti lasciarmi adesso?».
La
piccola vena
sulla tempia di Kagami inizia a pulsare furiosamente. Nonostante lo
sforzo
sovraumano, la collera di Kagami esplode alla reazione assolutamente
composta
di Kuroko. Il tono pacato della richiesta non rende giustizia alla
crudeltà
della tortura.
«Cosa
diamine ci
fai qui fuori?».
«Stavo
parlando
con Eiko-san».
Mi
volto
lentamente, non potendo evitare di dedicare le mie attenzioni al nuovo
arrivato, se non altro per cortesia. Alla realizzazione della mia
presenza, un
sopracciglio del ragazzo si solleva, disegnando un arco sopra
l’occhio.
«Ciao,
Kagami»,
esordisco. «Stavo giusto per andarmene, non avevo intenzione
di interrompere il
vostro allenamento».
Kagami
allenta la
presa su Kuroko che, prontamente, inizia a sistemarsi i capelli in
disordine. I
suoi grandi occhi turchesi si posano quindi sul mio volto per la prima
volta.
Sono pieni di aspettativa e incondizionata fiducia.
«È
meglio che vada
adesso», pronuncio sbrigativa, non sopportando più
la pressione.
Do
le spalle ai
due ragazzi, ma prima che riesca ad allontanarmi le parole di Kuroko mi
trattengono per un attimo.
«Ti
aspetto domani
mattina».
«Non
ti prometto
nulla», gli rispondo, incamminandomi verso i cancelli.