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Autore: Generale Capo di Urano    19/05/2017    1 recensioni
[KazuBisha Week 2017] [Day Four: Reincarnation] [May 17th]
Kazuma il pacato, Kazuma l’impeccabile, Kazuma la guida, che ha abbandonato ogni traccia di dignità e quiete e ora ansima come un toro e lacrima come un bambino, si lancia come un bufalo contro la porta ma ha la forza di un passerotto e riesce solo a farsi male.
***
«Non voglio... che Viina... si dimentichi di noi. Di me...»
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bishamon, Kazuma
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'F o r e v e r '
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KazuBisha Week 2017
Day Four (May 17th): Reincarnation

 

E ti prego, non scordarti mai di me
 

«Viina!»
È un urlo disperato, straziante, quello che si alza dalla piccola e improvvisata prigione ai margini di un bosco – una serie di grida e invocazioni e preghiere e imprecazioni, che si mescolano in un unico verso irato e terrorizzato, simile a quello di un animale in gabbia. E non è forse quello che è, ora? Un animale in gabbia, che si dibatte chiamando a gran voce il padrone.
Kazuma il pacato, Kazuma l’impeccabile, Kazuma la guida, che ha abbandonato ogni traccia di dignità e quiete e ora ansima come un toro e lacrima come un bambino, si lancia come un bufalo contro la porta ma ha la forza di un passerotto e riesce solo a farsi male.
Si accascia contro la pietra e geme, tremando dalla testa ai piedi.
«Viina, Viina, Viina» come un mantra o una preghiera, invoca quel nome che è soltanto loro, quasi possa servire a qualcosa.
Non sparire, non lasciarci, non dimenticarci.
Sorridete, non piangete, non fatele del male.
E gli manca il respiro, oppresso e sfiancato dal senso di colpa – miserabile, codardo, bugiardo, ucciso dal dolore che egli stesso ha provocato. Lo lacera e lo distrugge, e lo smarrimento che ha provato nell’incontrare gli occhi della sua dea quando lei l’ha cacciato – la delusione, la rabbia, la sfiducia – è nulla in confronto all’idea di saperla scomparsa per sempre.
Di riavere Bishamonten, ma di perdere Viina.
 
«Ma gli dei non possono morire, vero?»
La donna gli rivolge uno sguardo irritato e spazientito, dopo aver chiuso la porta della stanza della dea dietro di sé.
«No, non muoiono del tutto. Se capita qualcosa, nasce una nuova loro forma, e il nostro lavoro è di educarla nuovamente al suo compito. Chiamala reincarnazione, rinascita o quello che vuoi, il concetto rimane quello.»
«E quando succede... non ricordano più nulla? Niente di ciò che hanno fatto prima?» Lo sguardo del giovane Tesoro Sacro è colmo di orrore e preoccupazione.
«Certo che no, che domande. E vedi di smetterla di agitarti così! Le fai solo dell’altro male, non la aiuterai di certo in questo modo.»
 
«Non voglio... che Viina... si dimentichi di noi. Di me...»
Egoista.
 
«Mi dispiace... non scomparire... mi dispiace...»
Ora ne è certo, le urla che sente non sono più le proprie; è Viina, la sua Viina, che gli artiglia la schiena e lo tiene stretto, grida e piange come se non ci fosse nessuno a sentirla.
La sua pelle bianca brucia come un tizzone ardente, è corrotta e corrosa da un male non suo. Soffre, agonizza, eppure in quel grido atroce e morente si avverte un dolore che non ha nulla a che fare con quello fisico – il dolore di chi è morto dentro, più e più volte, e che nella morte fisica vedrebbe solo un’infima alternativa.
«Mi dispiace, Viina...»
Pronuncia indegnamente quel nome con il tono disperato e affranto di chi ha confessato ogni peccato e pur vergognandosene si appella ad un immeritato perdono. E ancora osa accarezzarle con lentezza i capelli, affondare il volto nell’incavo del suo collo come se questa fosse l’ultima volta – forse lo è, e la consapevolezza lo schiaccia e lo perseguita.
Il perderla è un’eventualità che lo terrorizza a tal punto che, se dovesse vederla morire, probabilmente le rimarrebbe aggrappato fino a soccombere anch’egli stesso. Vinto dall’angoscia e dalla follia, crolla tra le sue braccia, incapace di pronunciare qualsiasi altra parola.
“Non andartene, Viina...”
 

 
   
 
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