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Autore: Kim WinterNight    20/05/2017    2 recensioni
[Sequel di 'Alive'.]
«Siamo giunti all'ultimo campo per Laura.
Stavolta però si ritrova ad avere qualcuno al suo fianco, qualcuno che però non è Marco.
Forse questa è la volta buona, forse la ragazza riuscirà a superare l'attrazione che da sempre la lega a qualcuno che non la ama.
Lei ci proverà, supportata da sua sorella Tamara, dall'immancabile e storica amica Viola e da tutti i loro compagni di avventura, sotto la supervisione di educatori e istruttori che non rinunceranno a mettere i ragazzi alla prova e a combinare un bel po' di casini.»
Come per le due storie precedente, troverete una colonna sonora diversa per ogni capitolo. Vi basterà cliccare sul collegamento presente sul titolo per essere rimandati direttamene al brano su YouTube.
Inoltre, come di consueto, il titolo della storia porta il nome di una canzone dei P.O.D. intitolata proprio 'Boom': vi consiglio di andarla a sentire! ;)
Buon ascolto e buona lettura e, come sempre, non esitate a farmi sapere il vostro parere ♥
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Youth Of The Nation'
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ReggaeFamily

Capitolo sei: Fyah




«Racconta.»

«Praticamente ieri notte io, Marco, Marta e Giovi eravamo in terrazza, davanti alla mia camera» spiegò Tamara. «Siamo rimasti a blaterare per un sacco di tempo, poi Marta e Giovi se ne sono andate e io sono rimasta sola con Marco. Stavo giocando con i suoi capelli, sai come l'ultima notte dello scorso campo, no?»

Annuii mentre cercavo qualcosa da mettermi. «Sì. Ma era tardi, no? Dopo la giornata terribile di ieri, come hai fatto?»

«Non chiedermelo, perché non lo so neanche io. Comunque, poi stava piovendo e noi siamo rimasti a parlare e a guardare i lampi. O meglio, lui li guardava, io non li vedevo! Nel frattempo lui stava studiando, cioè faceva quei test per prepararsi all'esame di ammissione per l'università.»

Viola intervenne: «Di notte? E come faceva a leggere? Ma è pazzo?!».

«Certo che è pazzo» confermai.

«Lui sostiene che riesce a vedere benissimo, anche se sinceramente non so come sia possibile. Attacca la faccia al libro e a volte non si capisce cosa dice» raccontò in tono ironico mia sorella, per poi sedersi sul mio letto e sospirare.

Io e Viola ridacchiammo.

«A un certo punto, così, a caso, gli ho chiesto qual era la sua più grande paura. Era un momento idilliaco, credetemi!» esclamò divertita Tamara.

«Sentiamo le sue massime» borbottai, infilandomi un paio di leggings neri.

«Ha detto che il suo più grande terrore è diventare cieco» ci rivelò mia sorella.

«Ma che terrore è?» se ne uscì Viola. «Sapete cosa vi dico? L'epilessia terrorizza, non la cecità.»

Le parole di Viola mi colpirono, mi fecero riflettere e mi ritrovai a darle mentalmente ragione. Mentre lei e Tamara continuavano a parlare, io mi immersi nel ricordo di tutte le crisi di Viola a cui avevo assistito, comprese quelle avvenute solo due mattine prima, in spiaggia; mi tornò in mente il suo pianto di due sere prima, durante il quale si era sfogata e mi aveva confidato di non poterne più di quelle crisi, di non voler essere un peso o una preoccupazione per gli altri. Mi aveva descritto ancora una volta quegli avvenimenti come un elettroshock e io avevo cercato di consolarla in tutti i modi, ma sapevo che il suo malessere era troppo profondo per essere curato con le mie stupide parole.

Tuttavia, sapevo anche che Viola era forte, una delle persone più forti che avessi mai conosciuto: affrontava ogni cosa con il sorriso, scherzava sui suoi problemi, non si lasciava abbattere, anche se ogni tanto sentiva il bisogno di sfogarsi come tutti.

«Insomma, l'importante è che non si faccia strane idee» concluse Tamara. «Altrimenti lo spedisco su Marte in un attimo!»

«Attenta, conoscendolo, potrebbe allungare le mani...» buttai lì, finendo di prepararmi.

«Oddio, non dirmelo! Potrei rimettere lo yogurt che ho mangiato a colazione, più la cena di ieri e...»

«Non ci interessa!» tuonai, per poi scoppiare a ridere.

Il nervosismo del giorno prima sembrava svanito nel nulla, grazie anche al fatto che dopo cena avevo parlato al telefono con Danilo ed ero riuscita a rilassarmi un sacco.

Mi mancava terribilmente.


Il pomeriggio giunse in fretta. Avevamo una visita programmata per le quattro, avremmo trascorso un po' di tempo all'interno di un museo tattile e io non vedevo l'ora.

Come al solito, fummo costretti a spostarci in due gruppi, vista la scarsa capienza del furgoncino che avevamo a disposizione. Marco e Tamara partirono insieme al primo gruppo, così quando anche noi giungemmo a destinazione, notai che mia sorella era un po' sconvolta.

«Cosa è successo?» le chiesi subito.

«No, ma secondo me Marco ha problemi seri!» esclamò.

«Quello l'avevamo capito. Che ha combinato stavolta?»

Tamara sospirò. «Prima che arrivaste voi, siamo andati in un bar a comprarci l'acqua perché io stavo morendo di sete. Be', lui si è preso un Montenegro e poi aveva sete e voleva bere dalla mia bottiglietta!»

«Un Montenegro alle quattro del pomeriggio?»

Lei annuì. «Ha detto che aveva bisogno di qualcosa per digerire.»

Scoppiai a ridere. «Che schifo, ma è un caso perso!»

«No, è alcolizzato! Comunque non gli ho fatto toccare la mia acqua, che se la compri anziché bere altre cazzate!» concluse mia sorella con decisione.

«Fatto bene!»

Nel frattempo avevamo preso a camminare nel centro storico della città, calpestando un lastricato punteggiato di pietre e trovandoci a sfilare attraverso stradine molto strette e chiuse al traffico. Ci fermammo poco dopo di fronte a un enorme portone ad arco e apprendemmo che saremmo presto entrati nel museo.

Ci ritrovammo in un atrio buio e poco spazioso. Fummo accolti da una donna che ci spiegò subito che la nostra guida sarebbe stata una persona non vedente. Dopo aver atteso per qualche minuto, fummo introdotti in una sala più grande e luminosa, al centro della quale faceva bella mostra un enorme espositore che si estendeva in lunghezza. Sulla parte piana era ricoperto di oggetti, mentre in verticale era composto di pannelli tattili con scrittura braille e in nero a carattere ingrandito, sui quali erano puntati dei faretti.

Trascorsero soltanto cinque minuti prima che cominciassi a stancarmi. La nostra guida, un certo Maurizio, era flemmatica e noiosa, così io e Tamara ci aggirammo per conto nostro lungo l'espositore, che poi scoprimmo essere attrezzato su due lati. In quella stanza faceva caldo, non c'era poi tanta luce e io trascorsi il tempo a scattare delle foto a tutti gli oggetti presenti, ma poi fui raggiunta dal solito mal di schiena che mi fece desiderare una sedia comoda su cui poggiarmi.

«Oddio, non ne posso più...» bisbigliai a Tamara dopo circa un quarto d'ora.

La visita sarebbe stata molto interessante se solo Maurizio si fosse soffermato meno su ogni singolo oggetto, anziché elencare vita, morte e miracoli sui popoli che lo avevano utilizzato in passato.

A un certo punto anche Marco ci raggiunse e io faticavo ormai a stare in piedi senza avvertire un dolore lancinante.

«Dicono che dobbiamo andare ad accompagnare quella tizia alla stazione» bofonchiò.

«Quale tizia?» chiese Tamara confusa.

«Gloria. Oh, finalmente se ne va! Non la sopportavo più. Sapete che è un essere talmente amorfo che non ha fatto altro che stare in bagno da quando è approdata nella nostra stanza?» raccontai a bassa voce.

«Oddio» disse Tamara. «In bagno?»

«Sì. Deve aver confuso la nostra stanza per la sua lettiera personale. E non vi dico che puzza c'è là dentro ogni volta che esce...»

«Cazzo, che schifo!» sbottò Marco.

«State parlando male della nostra ospite?» ci raggiunse Marta, parlando in tono ironico.

«Deve soffrire di diarrea cronica» le feci notare con un sorrisetto ironico.

«Ma che ruolo ricopre? Io non l'ho ancora capito» osservò mia sorella perplessa.

«Nemmeno io. Qui sanno tutto gli istruttori, io e Giovi non ne abbiamo idea» spiegò con fare allusivo l'educatrice.

«E quindi dovremmo andare ad accompagnarla alla stazione? No, che palle! Io voglio andare da BOD!» mi lamentai.

BOD era l'acronimo di Black Or Die, un famoso negozio presente nella città in cui ci trovavamo, nel quale era presente un vasto assortimento di dischi, abbigliamento e accessori in stile rigorosamente rock e metal. Io volevo andarci assolutamente, non bazzicavo spesso da quelle parti e adoravo quel posto. Non volevo perdere l'occasione di passarci per colpa di una cretina insignificante che aveva bisogno della scorta per prendere uno stupido treno.

«Ora vediamo» fu tutto ciò che Marta poté rispondermi.

«Io quella non so neanche chi sia, cosa me ne frega di andare ad accompagnarla alla stazione?» concordò Marco. «Anche io voglio andare da BOD!»

«Pure io! Non ci entro da una vita» si intromise Tamara.

«Adesso ne parlo con gli altri. State tranquilli. Lau, cos'hai?» mi domandò Marta, notando che probabilmente non facevo che spostare il peso del corpo da un piede all'altro e ogni tanto mi esprimevo in qualche smorfia di dolore, portandomi una mano sul fianco sinistro.

«Mal di schiena. Non c'è una sedia in questo posto?»

«Sì, laggiù» replicò Marta indicando un punto a me invisibile. «Marco, l'accompagni tu per favore?» Detto questo, l'educatrice si unì nuovamente al resto del gruppo, che intanto stava facendo un baccano assurdo, cullato sempre dalla voce monotona della guida.

Marco disse: «Andiamo». Io lo afferrai per il braccio, trascinando con me anche mia sorella. Si avviò con passo spedito verso il punto in cui avrebbero dovuto esserci delle sedie, ma all'improvviso si bloccò. «Ma che cazzo...» imprecò.

Allungai una mano e mi ritrovai a toccare qualcosa di simile a una credenza, un mobile, forse una cassettiera. Tutto, fuorché una sedia.

«Ehm... Marco, come facciamo a sederci qui?» gli feci notare, trattenendo a stento le risate.

Lui ci lasciò lì e andò a cercare Marta.

«Tami?»

«Lau?»

«Ma che problemi cognitivi ha questo?»

«Sta perdendo la vista, te lo dico io» osservò mia sorella.

«E non lo vuole ammettere.»

«Esatto.»

Sospirai. «Che essere problematico» conclusi, mentre Marco tornava da noi in compagnia di Marta, continuando a ripetere che forse lei aveva sbagliato a indicargli la giusta direzione da seguire.

Era irrecuperabile, mi faceva davvero pena.


Black Or Die consisteva in una stanza quadrata piena zeppa di CD, vinili, accessori chiusi in delle vertinette, poster giganti, magliette e felpe con i loghi di un sacco di band rock e metal...

Era un paradiso musicale, questo era l'unico modo che trovai per descriverlo. Non era la prima volta che entravo in quel negozio, ma l'effetto era sempre lo stesso.

Dopo l'estenuante visita al museo, io e Marco eravamo riusciti a convincere Samuele ad accompagnarci da BOD; neanche a dirlo, mia sorella mi era arrabbiata un sacco perché non l'avevamo portata con noi, ma avevamo fatto tutto di fretta, temendo che il negozio chiudesse.

Fortunatamente non avevamo dovuto accompagnare quella piattola di Gloria alla stazione, l'avevamo a malapena salutata quando ancora eravamo seduti dentro il museo, e io ero molto contenta di essermene liberata. Non sopportavo più quella presenza quasi spettrale in camera mia.

Quando uscii da BOD, stringevo tra le mani un sacchetto con due CD: si trattava dell'omonimo album dei Rage Against The Machine e poi di un quasi introvabile disco di Babaman, ovvero Dinamite. Anche quella volta Black Or Die era riuscito a sorprendermi, regalandomi un acquisto inaspettato.

Quando tornammo dal resto dagli altri, che intanto stazionavano da almeno un'ora in un bar del centro che riusciva a contenerli a malapena, mia sorella si rivoltò contro di me.

«Sapevi benissimo che volevo venire anche io da BOD! Sei una stronza!» sbottò non appena mi vide, senza neanche salutarmi.

«Scusa, ma era già tardi e avevamo paura che chiudesse! Che palle, adesso non cominciare...»

«E ma cazzo, lo sapevi che volevo venire!» ripeté.

«Ormai è andata così! Se non la smetti non ti dico cosa ho comprato» la minacciai scherzosamente, cercando di stemperare l'atmosfera.

Continuammo a battibeccare per un po', mentre tutti insieme ci spostavamo in un locale per la cena. Questa trascorse tranquillamente, anche se Simona volle che il menu le venisse letto tre volte prima di optare per la sua solita pizza con le melanzane.

Tutto sommato quella giornata era andata bene, mi ritrovai felice dei miei acquisti e mi divertii anche una volta al residence, poiché Tamara rimase con me e Viola fino all'una e un quarto di notte e insieme ridemmo un sacco di Marco e del suo sbaglio all'interno del museo.

«Anche secondo me è peggiorato e non vuole ammetterlo» concordò Viola. «Ma che senso ha?»

«Non lo so proprio» le disse Tamara.

Continuammo a ridere e parlare finché non fummo troppo stanche, così mia sorella andò via e io mi ritrovai a letto soddisfatta.

L'ultima cosa a cui pensai prima di dormire, fu che avrei voluto tanto portare Danilo con me al museo tattile, un giorno. Era come se sentissi già vibrare le sue emozioni, quelle emozioni che si provavano quando si entrava a contatto e ci si immergeva in un mondo diverso da quello a cui si era abituati.

Sì, gliel'avrei proposto.




Cari lettori, torno a farvi un salutino :)

Come vi sembra questa storia? È degna delle due precedenti? Spero di sì, vi dico solo che devono succedere ancora un sacco di cose! :D

Sono qui principalmente per darvi un'informazione di servizio (?): il negozio Black Or Die non è una novità per la sottoscritta; infatti, appare – anzi, viene nominato – nella mia vecchia long Rapture. Siccome lì non mi era stato di nessuna utilità, dato che tutto girava attorno a un certo Metalland, ho deciso di riproporlo nelle avventure della nostra Laura! Che ne pensate?

Inoltre sono veramente felice di poter usare una canzone come Fyah di Babaman per questo capitolo: è uno dei primi pezzi che conobbi di tale artista, uno di quelli a cui sono più legata per via dei ricordi a cui rimanda (vero, Soul? XD) e uno dei più belli e rappresentativi di Dinamite, almeno secondo me ^^

Inoltre, chi segue la mia long sui System Of A Down, si sarà sicuramente accorto che questo titolo è identico a uno degli ultimi capitoli che ho pubblicato in quella storia! Eh sì, nel reggae la parola fyah è molto usata e significativa, quindi è quasi inevitabile che tanti brani abbiano lo stesso titolo, o che una determinata scena rimandi all'utilizzo di tale parola per essere descritta :D

Bene, vi ringrazio per essere arrivati fin qui e per il continuo sostegno che mi date!

Alla prossima ♥

  
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