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Autore: Lady I H V E Byron    20/05/2017    0 recensioni
Una conferenza sul cambiamento climatico.
Una possibilità di salvezza per il mondo dall'effetto serra.
Un'improvvisa esplosione.
Un caso da risolvere.
Un inganno da sventare.
Il mondo sembra essere nelle mani di un investigatore privato un po' scemo e quattro musicisti un po' imbranati.
P.S.: sia chiaro, i musicisti lo fanno solo per il loro spettacolo, non per un insensato senso di giustizia...
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: quando ho scritto questa parte, avevo pubblicato "Il sicario". Se l'invasione animale a Roma fosse accaduta in quel periodo o dopo... IO NON C'ENTRO NIENTE!


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La Punto di Francesco non era l’unica ad essere dotata di uno schermo per rintracciare il localizzatore. Al suo arrivo, l’intero distretto era di fronte alla villetta in cui Salverini si era rifugiato. Ettore era tra di loro, con un fucile in mano e il giubbotto anti-proiettile, sopra il completo mimetico blu che usava raramente e un berretto blu avio con la tesa messa dietro la testa. Amava entrare in azione, specie se c’erano di mezzo le sparatorie.
Appena i tre musicisti uscirono dalla macchina (e stavolta Saverio si era protetto dalla frenata dell’investigatore), furono subito sgomenti dalla quantità di macchine della polizia, con le luci blu e rosse ancora accese, ivi presenti.
Solo loro erano lì per recuperare il collega, possibilmente illeso.
Ma per convenienza e per affari, mica per affetto.
-Allora, Ettore, come va? Bella divisa.- domandò Francesco, battendo, forse con troppa forza, sulla spalla del cugino.
Inavvertitamente, questi sparò dei colpi col fucile, spaventato da quella botta. Non se lo aspettava
Anche il resto dei poliziotti si unì alla sparatoria; file e file di proiettili colpirono la villetta, lasciando dei buchi ben evidenti.
Anche Francesco vi prese parte, con la sua pistola.
-Grazie tante, Cesco…- rimproverò il tenente, lanciando uno sguardo fulmineo all’investigatore.
I tre musicisti, intanto, si erano abbassati, riparandosi dietro ad una vettura della polizia, coprendo le loro teste con le braccia.
-MA SONO IMPAZZITI?!- urlò Saverio, tra i rumori degli spari –C’E’ LUCIANO LI’ DENTRO!-
Alberto, a quel punto, si alzò in piedi, e sbracciò.
-VI PREGO, SMETTETELA!- urlò –C’E’ UNO DEI NOSTRI ALL’INTERNO!-
L’unico che lo ascoltò fu Ettore: lui era il tenente, i poliziotti lo avrebbero ascoltato.
Infatti, prese un megafono e vi urlò dentro.
-ADESSO BASTA! CESSATE IL FUOCO! ERA UN FALSO ALLARME!- ordinò.
Gli spari cessarono.
Le teste dei Guardiola spuntarono da dietri la vettura dove si erano nascosti, guardandosi intorno con sospetto.
Ettore continuava a lanciare sguardi severi al cugino: incrociò le braccia e tamburellò le dita su un braccio.
-Potevi anche evitare di salutarmi in quel modo…-
-Scusa.- rispose Francesco –Ad ogni modo, avete scoperto qualcosa sul furgone?-
-Sì, grazie al cielo, con Internet è diventato più facile cercare le persone.- fece il tenente, prima di entrare nella sua vettura e prendere un fascicolo con dei fogli dentro –Secondo quanto sono riuscito a scoprire, il furgone è registrato a nome di Alfredo Nereo. Credi che sia una coincidenza?-
Francesco sentì il sangue gelarsi e lo stomaco sobbalzare.
Alfredo Nereo.
Il magnate petrolifero.
Il padre di Matteo.
No, non poteva essere una coincidenza.
E questo lui lo sospettava; e nemmeno poco.
-Sembra che tutti i nodi vengano al pettine…- mormorò, facendosi cupo in volto –E che mi dici di Salverini?-
-Da come avrai capito, si è rifugiato in questa villetta abbandonata. Dice di avere un ostaggio.-
-Ovviamente, Luciano…- mormorò Giorgio, guardando in basso con la bocca storta.
Ettore li notò per la prima volta.
-Giusto, mi stavo domandando dove fosse quello più alto.-
-Lo ha preso lui, mentre cercava di posizionare il localizzatore.- spiegò Saverio.
Francesco li guardò e serrò le labbra, determinato.
-Ettore, dammi il megafono!- disse, porgendo un palmo –Ci penso io a quella belva.-
Il cugino acconsentì, pensando: “Speriamo in bene. Che Dio ce la mandi buona…”
Era arrivato il momento cruciale: lui contro Salverini. Anche se non come se lo aspettava.
-Vittorio Salverini!- esclamò, nel megafono –Qui è l’investigatore Francesco Milanelli che parla! Getta la pistola e vieni con le mani alzate! Oppure vieni fuori con le mani alzate e getta la pistola! Insomma, fa’ come ti pare! Basta che ricordi i due elementi principali: uno, gettare la pistola, due, venire fuori con le mani alzate.-
Salverini e Luciano si erano difesi dalla sparatoria di prima, senza recar alcun danno.
Ma il primo non aveva mai mollato la presa sul suo ostaggio; infatti, mostrando prima la pistola, rispose all’invito con tono da sfida.
-Vieni a prendermi, se hai il coraggio, Milanelli!- esclamò, prima di sparare un colpo in aria –Anzi, no! Forse non ti conviene, o ammazzo il mio ostaggio!-
Infatti, mostrò anche Luciano, premendo la canna della pistola contro la tempia: l’uomo era terrorizzato, tremava ed era diventato più pallido.
I tre colleghi ebbero una lieve sincope.
-Vi prego, aiutatemi…- mormorava, tremando.
Persino i due cugini digrignarono i denti.
-Merda, sembra abbia il coltello dalla parte del manico…- mormorò il più grande, stringendo un pugno.
Alberto non poteva stare lì con le mani in mano, o peggio, arrivare ad un compromesso con un tipo come Salverini: nella Quarta Orchestra non circolava certo l’affetto o l’amicizia, ma non era una buona scusa per permettere ad un sicario di uccidere un innocente.
Si guardò intorno, alla ricerca di una soluzione.
Dopodiché, si illuminò.
-Forse non del tutto…- mormorò, correndo da una parte.
Quando il resto del gruppo capì le sue intenzioni, rimasero del tutto sorpresi.
-Che fai, Alberto?!- lo ammonì Giorgio, preoccupato -Non sei autorizzato, tantomeno abilitato a guidare quel carro armato!-
Infatti, il più anziano stava entrando dentro un carro armato bianco (e da dove era saltato fuori?), dotato di un ariete, invece di un cannone.
-Sta’ tranquillo!- cercò di tranquillizzare, prima di chiudere il portello -Ormai con la patente B puoi guidare qualsiasi mezzo! Voi tenetelo impegnato!-
Ma nessuno era tranquillo. Persino l’investigatore non poté non provare inquietudine al solo pensiero di cosa sarebbe potuto accadere.
Tuttavia, non poteva fare niente se non distrarre l’obiettivo con le parole.
-Va bene, Salverini, hai vinto!- esclamò, continuando a parlare dentro il megafono; doveva sembrare convincente –Libera l’ostaggio e noi faremo quello che vuoi!-
I Guardiola lo guardarono strano, anche Ettore: Francesco non era tipo da accettare rese.
Ma qualsiasi scusa era buona per distogliere la sua attenzione da quello che stava progettando Alberto.
-Voglio che mi portiate qui una macchina!- ordinò Salverini, convinto di avere la vittoria in pugno –Una macchina figa! Una Mercedes! E poi un biglietto d’aereo per il Brasile! E un albergo con i controcazzi! Ma non una roba per turisti! Un qualcosa che rispecchi la loro cultura, con delle belle donne brasiliane come compagne di camera!-
Un rumore sospetto fece allarmare il giovane: Alberto aveva appena acceso il carro armato.
Doveva fare qualcosa, prima che succedesse l’irreparabile.
-Non te lo possiamo concedere, Salverini!- esclamò.
Il sicario grugnì di delusione: tenendo sempre stretta la sua presa sui capelli di Luciano, si spostò da un’altra parte della villetta, sperando in una via di fuga.
Era completamente circondata dai poliziotti.
Era in trappola.
Non aveva altra scelta che costituirsi.
-Abbiamo scoperto il tuo gioco!- proseguì il tenente, strappando il megafono dalle mani del cugino –Tutte le uscite sono bloccate! Metti le mani sulla testa e vieni fuori, con l’ostaggio!-
Ormai con le spalle al muro, Salverini gettò la pistola e alzò una mano. Il trombonista tirò un sospiro di sollievo: per poco non se l’era fatta sotto.
Ma il peggio stava per arrivare: il bassotubista non aveva mai guidato un carro armato. Non si aspettava certo che i comandi fossero differenti da una normale macchina.
C’erano varie leve, per la velocità, la direzione e per frenare.
Per fortuna, era già diretto verso la villetta, cui riuscì a sfondare l’ingresso ed entrare.
I due all’interno rimasero come paralizzati.
-Ma io avevo chiesto una Mercedes!- si ricordò il sicario.
Il carro armato era proprio diretto verso Luciano; all’inizio, era spaventato, ma poi realizzò che era la sua via di fuga.
Liberato ormai dalla presa del suo rapitore (mancava poco lo rendesse ancora più pelato da come gli stringeva i capelli), alzò le braccia e afferrò l’ariete, penzolando in aria, urlando.
Era libero; ma poteva dirsi salvo?
Il carro armato non si fermò. Continuava ad andare avanti, sfondando la parte opposta della villetta.
Alberto, infatti, dall’interno stava tirando e spingendo leve a caso, disorientato, quanto una persona affetta da amnesia in un labirinto.
Francesco ed Ettore rimasero paralizzati dall’imbarazzo; non si erano nemmeno accorti della fuga di Salverini, approfittando della confusione e della seconda breccia.
I Guardiola, però, si guardarono l’un l’altro: per una volta, stavano pensando alla stessa cosa.
-Noi recuperiamo i nostri colleghi!- esclamò Giorgio, prima di correre in avanti, in direzione del carro armato, seguito da Saverio –Voi pensate a Salverini!-
Ma l’investigatore non sembrava essere d’accordo: infatti, si accinse ad inseguirli.
Tuttavia, la mano del cugino gli prese una spalla.
-No, Cesco.- lo esortò, con aria seria.
-Ma che ne sarà di loro, se…?!- protestò Francesco, preoccupato.
-La nostra priorità è Salverini.- tagliò corto il tenente, scuotendo la testa –Loro devono cavarsela da soli.-
-E se non ce la facessero…?-
-Lo sai bene che nel nostro mestiere non devono essere coinvolti i sentimenti. Dobbiamo mettere il dovere prima di tutto. Non possiamo mandare tutto a monte per salvare i tuoi collaboratori…-
Ettore non aveva tutti i torti. L’investigatore si trovò costretto ad accettare la sua posizione. Sospirò, abbassando la testa.
-Voi uomini!- esclamò Ettore, rivolto ai poliziotti circostanti –Setacciate la zona. Salverini non può essere andato lontano!-
Francesco, però, continuò a tenere lo sguardo rivolto in avanti: riusciva ancora a vedere il carro armato che devastava l’intera periferia, inseguito dai Guardiola.
Sperò solo che riuscissero a cavarsela da soli: dopotutto, erano la spalla di Marco Auditore, per alleggerire la conferenza imminente.
“Che Dio ve la mandi buona…” pensò, prima di unirsi al cugino.
Intanto, seguendo la scia di distruzione del carro armato e le urla di Luciano, ancora appeso all’ariete (e non mollava la presa, tra l’altro…), i Guardiola riuscirono a raggiungere i colleghi, di corsa.
Nonostante l’età, erano ancora veloci.
-Ehi! Piano con le osservazioni, autrice! Eh!-
Scusa, Giorgio.
-Cosa vuol dire? Che uno, appena superata la cinquantina d’età non può essere veloce?!-
-Ehm… Giorgio…-
-Che vuoi tu?-
-Guarda che ci stanno sfuggendo…-
-Oh, cavolo! Vedi anche tu! Mi fai anche perdere tempo!-
Giorgio, ho già chiesto scusa!
-Se non continui, lui ed io rimaniamo qui fermi…-
Va bene, Giorgio, adesso continuo! Che seccatura quando i propri personaggi si rivolgono così ai loro autori…
Forse è meglio proseguire con la storia, che dite, lettori?
Dicevo…
Correndo più velocemente che potevano, Giorgio e Saverio erano persino riusciti a superare i colleghi.
Ma serviva un piano per fermare Alberto, che continuava a spingere e tirare leve a caso, con ansia sempre più crescente per non aver ancora trovato la leva del freno.
I due fratelli si fermarono per un attimo.
-Che facciamo ora?- domandò il maggiore, riprendendo fiato. Persino gli occhiali erano appannati.
Il canuto si guardò intorno, come se stesse cercando qualcosa. Anche lui stava ansimando dalla fatica.
-Non lo so…- fu la risposta –Ma dobbiamo fermare Alberto, prima che distrugga l’intera città…-
Anche Saverio si guardò intorno.
Poi fermò gli occhi: diede un lieve colpo al braccio del fratello minore. Poi indicò in avanti: dei panni stesi.
Ma entrambi sapevano che era il filo al quale erano appesi al quale il Guardiola si stava riferendo.
-E’ una pessima idea…- commentò Giorgio, storcendo la bocca.
-Tu hai un’idea migliore?-
Il carro armato stava arrivando. Aveva già distrutto tre case, con l’ariete.
-No.-
Celeri, i Guardiola si diressero verso i panni stesi, strappando il filo dai supporti. Per fortuna era lungo.
-Dai, prendi un capo!- incitò Giorgio, ansioso.
Le loro mani tremavano dalla tensione, ma anche dall’eccitazione: si lamentavano spesso che i loro tour erano sempre noiosi e monotoni. Almeno lì avevano avuto un po’ di emozione.
Alberto e Luciano erano sempre più vicini alla loro posizione.
Giorgio e Saverio si erano posizionati nei lati opposti della strada, passandosi il filo, ancora con i panni attaccati.
-Beh, spero che comprendano che questo è per una buona causa…- mormorò il maggiore, alludendo a chi aveva appeso quei panni.
-Sta’ zitto e prega che il tuo piano funzioni!- tagliò corto l’altro.
Attesero che il carro armato fosse proprio dove fossero loro.
Luciano, nel frattempo, aveva intravisto qualcosa con la coda dell’occhio. I suoi timori erano fondati: i Guardiola stavano cercando di salvarli.
-Che fate lì?! Spostatevi subito!- esclamò, sperando di essere ascoltato.
Troppo tardi.
-Ora! Tira!-
Giorgio e Saverio tirarono il filo: era composto da cavi, quindi doveva reggere.
Ma ciò non bastò a fermare il carro armato.
Il filo resse, ma la forza esercitata non era abbastanza: i Guardiola si sentirono improvvisamente trascinati, scattando bruscamente in avanti.
Finirono per terra, senza mollare la presa sul filo, dietro al carro armato, ma ad una buona distanza, evitando, così di non essere schiacciati dai cingoli.
Le loro pance erano quasi a contatto con la strada, per fortuna erano protette dalle maglie che portavano, anche se non sapevano per quanto tempo avrebbero retto.
Le urla che seguirono servirono a poco: erano ormai usciti dalla periferia. Nessuno poteva sentirli.
Alberto, dall’interno, non si era accorto di nulla. Sembrava che il tempo non scorresse. Lui stesso non sapeva spiegarsi da quanto tempo stesse guidando. Non si accorse nemmeno di essere entrato in autostrada, orizzontalmente, facendo fermare le macchine che stavano passando da quella parte, creando un mega tamponamento a catena, facendo quasi prendere un infarto ai tre sciagurati di fuori.
Tirando l’ennesima leva, si rese conto che l’aveva rotta. Sfortunatamente, era proprio quella del freno.
Ora non poteva più fermarsi.
Erano in quattro ad essere nel panico, ormai.
Il pelato, quello più esposto alle demolizioni del collega, si guardò indietro un’ultima volta, impallidendo più di quanto non lo fosse già.
-AHHHH!!! MURO! MURO!-
L’ariete, infatti, sfondò l’ennesimo muro. Ma non era il muro di una casa.
Dalla breccia uscirono degli animali, degli animali esotici, inseguiti dalle guardie: leoni, elefanti indiani, giraffe, scimmie…
Era lo zoo. Era il muro dello zoo statale.
Poi, un botto improvviso.
Alberto si rese conto, misteriosamente, che il carro armato si era fermato. Ma lui non aveva tirato il freno, poiché rotto. Doveva aver urtato qualcosa.
Agendo come se non fosse successo niente, aprì il portello sopra la sua testa.
Si guardò intorno, serio e curioso allo stesso tempo. Tutto si aspettò di trovare, meno che un babbuino alla sua destra.
Restò a fissarlo per qualche secondo, stranito.
“Per quanto ho guidato…?!” si domandò, prima di guardare in avanti.
Luciano era ancora appeso all’ariete. Le sue mani erano praticamente divenute tutt’uno con esso.
Il bassotubista fu sorpreso di vederlo illeso: era solo sporco di calcinaccio. Fu allora che si rese conto di aver demolito delle abitazioni.
-Ciao, Luciano…- fece l’anziano, confuso.
L’altro ricambiò, seppur quasi svenendo per tutte le emozioni passate, il saluto.
-Ciao, Alberto…-
Poi, udì dei lamenti: Giorgio e Saverio.
-Siamo troppo vecchi per queste cose…- mormorò il secondo.
Si rialzarono a fatica: avevano dei graffi sulle braccia, sulla pancia, scoperta dalle maglie quasi strappate, lo stesso si poteva dire della parte superiore dei loro pantaloni. Anche le loro gambe erano graffiate, soprattutto le cosce. Persino le mutande presentavano dei piccoli squarci.
-La prossima volta potresti anche ascoltarmi, eh?!- si lamentò il più giovane, lanciando uno sguardo minatorio al collega anziano.
Questi era sempre più confuso.
-Ma che è successo?- domandò. Stare dentro quel luogo gli aveva fatto perdere la cognizione del tempo e dello spazio.
Si guardarono tutti intorno: erano in uno spiazzo completamente vuoto, escludendo qualche albero qua e là e un grande muro che circondava l’intera area, su cui era stata fatta una breccia.
-La vera domanda da porsi è…- proseguì Giorgio –Dove cazzo ci troviamo?-
   
 
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