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Autore: Emmastory    21/05/2017    2 recensioni
Dieci anni. Questo l'esatto lasso di tempo trascorso dall'ultima battaglia contro i famigerati Ladri, esseri ignobili che paiono aver preso di mira la bella e umile Aveiron, città ormai divenuta l'ombra di sè stessa poichè messa in ginocchio da fame, miseria, dolore e distruzione. Per pura fortuna, Rain e il suo gruppo hanno trovato rifugio nella vicina Ascantha, riuscendo a riprendere a vivere una vita nuova e regolare, anche se, secondo alcune indecisioni del suo intero gruppo, tutto ciò non durerà per sempre. Come tutti ben sanno, la guerra continua, e ora non ci sono che vittime e complici. (Seguito di: "Le cronache di Aveiron: La guerra continua)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Capitolo XXV

In nome della salvezza

Eravamo tutti lì, con gli zaini in spalla e le armi ben nascoste, intenti a correre. Correre ad avvisare i nostri amici e scappare via in gruppo, così da poterci difendere reciprocamente in caso di pericolo. Non sappiamo ancora dove stiamo andando, ma da quanto vedo, Chance ci fa da guida. L’unico suono che si sente è quello dei nostri respiri affannosi dovuti alla corsa, unito a quello dei nostri passi decisi e veloci come il vento. Nessuno sa che ci siamo rimessi in marcia, e nonostante ora possiamo facilmente essere scambiati per viandanti, non lo siamo. Ora come ora, siamo solo gente in fuga da un pericolo nascosto e fin troppo conosciuto. Ci muoviamo veloci, e fra un passo e l’altro, alcune voci ci distraggono. “Fermi!” urlano quasi all’unisono, inducendoci a voltarci e facendoci quasi gelare il sangue nelle vene. Allarmata, obbedisco subito, e malgrado Stefan e Soren abbiano già estratto le spade, sono felice di scoprire che si tratta di Rachel e di entrambe le Leader. “Pensavate di fuggire senza di noi?” ci chiese Lady Fatima, attendendo poi in silenzio una risposta proveniente da chiunque di noi. “N- No, Signora, sono certa che non volevano…” biascicò proprio Rachel, tentando di fare le nostre veci e difenderci. “Non avrebbero dovuto. Di questi tempi anche Ascantha è pericolosa, ed io non voglio perdere più nessuno.” Rispose lei, con la voce che verso la fine di quella frase parve spezzarsi come una corda eccessivamente tesa. A quelle parole, Rachel sussultò, ma avvicinandosi all’amata, le fece coraggio. “Non ditelo nemmeno. Avete me, e mi avrete per sempre.” Le disse, guardandola negli occhi e parlando in tono serio e solenne. Mantenendo il silenzio, Lady Fatima si limitò a sorridere, e per qualche secondo non accadde più nulla, fino a quando nella mia mente non si palesò un ricordo. Alisia. Era ancora fra le grinfie di Ashton, e dovevo liberarla, ma come? Colta dal panico, mi guardai intorno, e in quell’istante vidi Chance. Seduto composto, attendeva con apparente calma, ma il ritmico movimento della sua coda tradiva altro. Solo allora, un secondo ricordo, a seguito del quale aprii il mio zaino, e ne estrassi una sciarpa. Era primavera, e sarebbe servita a poco o nulla, ma il punto non era questo. Ricordavo ancora il duro inverno passato con mia sorella. In quel periodo avevo davvero rischiato di morire, ma prima della sua rivelazione, lei faceva di tutto per me, dall’andare a caccia di cibo al tenermi calda durante la notte. La sciarpa apparteneva a lei, e speravo che annusandola, Chance potesse trovarla. Avvicinandomi, lasciai che l’annusasse, poi gli diedi l’ordine. “Cerca.” Gli dissi semplicemente, vedendolo poi assumere la posizione di punta. Non era la prima volta che lo vedevo farlo, e a quella vista, sorrisi. “Sto arrivando, Alisia, resisti.” Sussurrai, parlando con me stessa e sentendo una nuova speranza nascere nel profondo del mio cuore. Come sapevo, non eravamo legate dal sangue,ma l’affetto che ci univa contava tanto quanto quel rosso liquido, e mentre Chance si concentrava alternativamente sull’aria e sul terreno, noi lo seguivamo. Era fatta. Sapevamo di essere sulla pista giusta, e l’unica cosa da fare era non perdere di vista Chance. “Cerca.” Gli ripetevo, così da indurlo a concentrarsi al meglio e a ignorare qualsiasi distrazione. I minuti passarono in fretta, e dopo un tempo che nessuno di noi riuscì a definire, la trovammo. Quasi strategicamente nascosta da tutto e tutti, la casa dove Ashton e Alisia vivevano non poteva essere considerata tale, avendo le pareti e il pavimento rovinati da chissà cosa. Stando a un desiderio dello stesso Ashton, si erano da poco trasferiti, lasciando la dimora dei miei genitori. A quella vista, sgranai gli occhi, e spingendo con tutte le mie forze, riuscii ad aprire la porta d’ingresso, e una volta entrata, feci segno agli altri di seguirmi in silenzio. Sorprendentemente, questo regnava nella casa, ed essendo ormai abituata a vivere nella più palpabile tensione, temetti che fosse un brutto segno. Camminando, andai alla muta ricerca della sua stanza, e poco dopo, sentii i vagiti di un neonato. “Lienard.” Pensai, voltandomi nella direzione di quel suono e aprendo la porta che mi ritrovai davanti. Una volta entrata, la vidi. Mia sorella era seduta sul pavimento, con il piccolo in braccio e le lacrime agli occhi. Era ferita, e faticava a respirare. “Ragazzi… aiuto, prima che… torni.” Ci pregò, riconoscendoci uno per uno. “Rain, Lienard.” Mi disse, facendo uno sforzo per lasciarmi il bambino. Annuendo, presi il piccolo fra le braccia, mentre Stefan e Soren l’aiutavano a rialzarsi. Una volta in piedi, Alisia prese a tossire, e per pura fortuna, si fermò a quello. Grazie al cielo, le sue ferite non erano gravi, e se il respiro era veloce, era solo colpa della paura e dello stress, o almeno così pensavo. Avvicinandomi, le offrii il braccio così che potesse appoggiarsi e camminare, e poco dopo, lei cadde di nuovo in terra. Fu allora che li vidi. Lividi violacei e così scuri da far paura, che ad un occhio attento quanto il mio appariva freschi. In altri termini, e proprio come quelle che aveva sul viso e sul petto, ferite appena inferte. “Mostro.” Sibilai, tendendo ancora una mano a mia sorella e aiutandola per al seconda volta a rialzarsi. “Aiutatemi.” Continuava a ripetere, tremando violentemente, quasi come se il suo corpo venisse attraversato da scosse elettriche. “Tranquilla, siamo qui, e andrà tutto bene, vedrai.” Provai a rassicurarla, tenendola stretta a me e sperando segretamente di aver ragione. Di lì a poco, ci ritrovammo di nuovo fuori, e alla vista di Alisia in quello stato così pietoso, Lady Bianca ebbe un idea. “Seguitemi, il campo che sto costruendo è qui vicino.” Disse, dando a tutti noi un’ennesima speranza e un seppur metaforico appiglio a cui aggrapparci. Annuendo, la seguimmo tutti senza parlare, e fra un passo e l’altro, io continuavo a parlare con mia sorella. Le sue condizioni sembravano peggiorare di minuto in minuto, e trascinandosi nel tentativo di mantenere l’equilibrio e camminare, trascinava anche le parole. “Grazie tante, sorellina.” Mi disse poi, con la voce e il corpo ancora tremanti. Non proferendo parola, rimasi in silenzio, ma al solo scopo di non lasciarla scontenta, le sorrisi. Il viaggio continuò spedito e senza incidenti per delle ore, e con lo scendere della sera, e l’arrivo del freddo, guardai il cielo. Già buio e quasi tinto di nero, era punteggiato di sfavillanti stelle, e immancabilmente, la luna brillava nella notte come il sole durante il giorno, e spostando lo sguardo per un singolo attimo, ebbi la fortuna di vedere una bellissima stella cadente. Come la notte stessa, portatrici di fortuna e consigli, e secondo alcune credenze, anche capaci di esaudire i desideri. “Per favore, fa che tutto torni normale. Non subito, ma un giorno. Fa che accada, ti prego.” Dissi in un sussurro, ammirando ciò che brillava appena sopra la mia testa e che per fortuna non veniva oscurato dalle nubi o da qualsiasi altra cosa. Allo scoccare della mezzanotte, eravamo tutti stanchissimi, ma proprio quando credevamo di esserci sbagliati, e di aver visto ogni nostra speranza scemare, eccolo. Quello che Lady Bianca chiamava campo di recupero, e che io invece avevo appena scoperto essere la nostra salvezza, poiché ora viaggiavamo senza una precisa meta, ma comunque in nome di quest’ultima.
 
   
 
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