Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: gattina04    21/05/2017    3 recensioni
È un momento tranquillo ed Emma ha tutto ciò che ha sempre cercato e voluto; non c’è niente che possa desiderare, nemmeno il giorno del suo compleanno, ad eccezione di un piccolo insignificante rammarico. E sarà proprio quel pensiero a stravolgere completamente la sua esistenza catapultandola in un luogo sconosciuto, popolato da persone non così tanto sconosciute. E se ritrovasse persone che pensava perse per sempre: riuscirà a salvarle ancora una volta?
E cosa succederà a chi invece è rimasto a Storybrooke? Riusciranno ad affrontare questo nuovo intricato mistero? E se accadesse anche a loro qualcosa di inaspettato?
Dal testo:
"Si fermò e trasse un profondo respiro. «Benvenuta nel mondo delle anime perse Emma»."
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Robin Hood, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
18. L’importanza di essere onesti
 
POV Killian
Non appena mi fui ripreso abbastanza dal mio quasi soffocamento mi alzai e mi diressi verso la cucina. I ricordi della notte precedente erano ancora impressi nella mia mente ed erano troppo legati a quel salotto; per affrontare Milah, e ciò che era rimasto in sospeso tra noi, dovevo scegliere un territorio neutrale, senza contare il fatto che quella casa, anche se non era la stessa, continuava ad essere un incessante promemoria del mio cigno. Tuttavia, in quel momento non si trattava di Emma, era solo una questione tra me e Milah.
Mi sedetti al tavolo senza dire una parola e aspettai che lei facesse altrettanto, prendendo posto davanti a me. La osservai cercando di capire da che parte iniziare, ma ero alquanto confuso, non solo su ciò che provavo, e iniziare un discorso non era affatto facile. Anche lei, d’altra parte, non sembrava cavarsela meglio di me; si torceva le mani e non alzava lo sguardo da quelle. D’altronde quell’imbarazzo era più che comprensibile; erano passati secoli da quando eravamo stati soli in una stanza e il fatto che i miei sentimenti fossero in qualche modo diversi rendeva le cose ancora più complicate. Del resto un paio di secoli prima, il ritrovarci finalmente soli, senza nessuno della ciurma intorno, avrebbe fatto scattare i miei stinti più animaleschi e ci saremmo ritrovati ben presto senza vestiti. Invece adesso come potevo definire la donna che avevo di fronte? Non era più la mia amante, ma era ancora mia amica, anche se chiamarla “amica” sembrava una definizione abbastanza riduttiva rispetto a ciò che provavo per lei.
All’improvviso Milah scoppiò a ridere nervosamente. «Oddio Killian, non c’è mai stato tanto imbarazzo tra di noi», mormorò con una specie di risata isterica.
Quelle parole servirono ad allentare un po’ la tensione e a farmi rilassare quel tanto che bastava da sciogliermi la lingua. «È vero, ma sono passati dei secoli ed io non avrei mai creduto di poterti rincontrare».
«Già nemmeno io», ammise alzando lo sguardo su di me, quello stesso sguardo che un tempo mi sapeva leggere come un libro aperto.
«Mi sei mancata tanto», confessai. Era la persona che mi era mancata di più in tutta la mia vita. Avevo passato centinaia di anni pensando a lei.
«Lo so e mi sei mancato anche tu». Posò la sua mano sulla mia stringendola forte.
«Ho passato secoli cercando vendetta per ciò che Tremotino ti ha fatto… ci ha fatto».
«So anche questo e non avresti dovuto farlo. Non volevo che oscurassi così la tua vita».
«Lo so». Questa volta fui ad ammetterlo. «Ma la rabbia e la voglia di vendetta erano comunque meglio di quel dolore lancinante…». Perderla era stata in assoluto una delle cose peggiori che mi fosse successa; per come ero fatto allora, per ciò che già avevo affrontato, la sua morte era stato come perdere tutto, perdere quell’ancora che mi tratteneva dall’essere un vero e proprio cattivo. Però non ero più quella persona, ero maturato ed ero diventato un uomo migliore.
«Mi dispiace che tu abbia sofferto per me Killian».
«A me no», mi ritrovai ad ammettere. «Non mi pento di un solo secondo passato con te. C’è stato un tempo in cui ho pensato che sarebbe stato meglio non averti conosciuta e non averti donato il mio cuore; ma se non l’avessi fatto oggi non sarei qui, non sarei una persona diversa, non avrei capito i miei errori e non…».
«Non avresti incontrato Emma», concluse lei per me. Non sarei stato io ad ammetterlo così spudoratamente ma era vero. Se non avessi cercato per secoli di uccidere il Coccodrillo, non avrei mai incontrato Emma Swan, la salvatrice del mio cuore.
«Già», ammisi studiando la sua reazione.
«Lei mi piace Killian», mi confesso, «e ti ama. Mi costa ammetterlo, ma ti può offrire molto più di ciò che avrei potuto darti io».
«Anch’io la amo», mormorai. «Ma c’è voluto tanto tempo per provare di nuovo un sentimento così forte verso qualcuno che non fossi tu».
«Sono contenta che tu ce l’abbia fatta, sono felice che tu abbia lei adesso».
«Davvero?». Il mio tono fu sorpreso, ma ero sicuro che lei riuscisse a leggere dal mio sguardo quanto ciò fosse importante per me. Non avevo bisogno della sua approvazione, ma era un qualcosa che comunque avrei voluto.
«Sì Killian. Sono davvero felice che tu abbia trovato qualcuno che possa amarti come meriti». Posò di nuovo la mano sulla mia ed io istintivamente la strinsi.
«Non è stato facile», sorrisi. «Emma è così testarda ed era così chiusa nei suoi muri. Riuscire ad abbatterli è stata una vera e propria faticaccia».
«Ti sono sempre piaciute le sfide», commentò.
«Beh sì, me lo ricordo bene. Anche tu non sei stata da meno». Milah rise riconoscendo che avevo ragione. Una ciocca di capelli le ricadde sugli occhi ed io istintivamente allungai l’uncino per scostarla. Tuttavia la vidi irrigidirsi e solo in quel momento mi ricordai che lei non aveva mai visto quella mia appendice. Avevo perso la mano lo stesso giorno in cui avevo perso lei: come avevo potuto dimenticarlo?
«Io…», iniziai non sapendo bene cosa dire.
«Posso?», mi domandò invece lasciandomi la mano e prendendomi l’altro braccio.
«Eh… sì». Non sapevo bene come reagire, non era stato mai facile lasciare a qualcuno campo libero con il mio braccio sinistro. Era qualcosa di istintivo, non ne capivo neanche il motivo, ma non volevo che la gente si soffermasse su ciò che mi mancava invece di vedere il resto.
Tuttavia Milah non si fece scrupoli. Non mi disse che le dispiaceva per la mia mano, come la maggior parte delle persone, non ce n’era bisogno. Senza aspettare il mio permesso, accarezzò l’uncino e lo studiò fino a che non riuscì a sganciarlo dal suo supporto e ad appoggiarlo sul tavolo accanto a noi.
Mi accorsi di star trattenendo il fiato e probabilmente dovette rendersene conto anche lei perché alzò lo sguardo su di me e mi chiese tacitamente il permesso di continuare. I suoi occhi erano così intensi che senza neanche accorgermene mi ritrovai a deglutire e ad annuire.
Lei sganciò il polsino della mia camicia e mi tirò su la manica, scoprendo così il mio tatuaggio, o meglio il suo tatuaggio. Non sapevo come avrebbe reagito, avrei voluto spiegarle ma le parole mi morirono in gola e non trovai più il coraggio di parlare.
«Oh Killian», mormorò semplicemente, accarezzando il suo nome inciso sulla mia pelle. Io non risposi e chiusi gli occhi cercando di rilassarmi alle sue carezze. Milah non aggiunse altro, ma continuò ad accarezzarmi il moncone come se fosse stata una cosa del tutto naturale, anzi come se fosse la cosa più semplice del mondo. Solo un’altra donna era riuscita a fare altrettanto, a farmi sentire intero anche nel mio corpo spezzato.
 
Le dita di Emma scorrevano lentamente su e giù lungo il mio braccio, sensibilizzando ogni parte della mia pelle con il solo tocco delle sue dita. I suoi polpastrelli salirono su fino alla mia spalla, scesero sul mio petto e salirono di nuovo sull’altra spalla, aprendosi il percorso verso il mio braccio sinistro. Non avevo ancora fatto l’abitudine a quella Emma, a quella parte di lei dolce e tenera che era solita accarezzarmi e coccolarmi; beh era una parte di sé che riusciva a tenere nascosta molto bene e che mi aveva cominciato a mostrare solo da poco.
«Ti da fastidio?». La sua voce mi fece riaprire gli occhi per ritrovarmi direttamente catapultato nell’immenso prato di quelli di Emma.
«Cosa?», domandai non capendo.
«Se ti tocco». Si fermo giusto un attimo per abbassare lo sguardo verso il mio moncone e riportarlo subito nel mio. «Ti irrigidisci sempre quando lo faccio». Non mi ero accorto di farlo, ma d’altronde era comprensibile: non avevo mai permesso a nessuna altra donna di vedermi senza uncino, o senza il suo supporto comunque.
«Non lo so», ammisi con sincerità.
«Beh dovresti dirmelo se non vuoi che io ti tocchi là. Non è un problema, davvero; magari ci possiamo arrivare per gradi».
«No, non credo che sia necessario; non mi accorgo neanche di irrigidirmi. È solo strano».
«Non è strano Killian», sussurrò sfiorando le labbra sulle mie. «È una parte del tuo corpo».
«Beh più che una parte direi una mancanza del mio corpo», mormorai a denti stretti. Molte volte avrei voluto avere ancora due mani, soprattutto con Emma. Ci ero abituato e non ci facevo più caso, ma ciò non significava che non potessi anche sentire nostalgia della mia mano sinistra.
«Non è vero Killian», ribatté allontanandosi di qualche centimetro da me. «Sei tu; che tu sia con o senza mano resti sempre tu. Non c’è nessuna mancanza, non per me almeno. Mi piace ogni parte di te». Sottolineò la parola parte avvicinandosi di nuovo e baciandomi.
«È che sei la prima donna a cui lo permetto», sussurrai quando le sue labbra si staccarono. Non dovetti specificare oltre, era chiaro che mi riferissi al mio moncone.
«Oh». Vedi lo stupore disegnarsi sul suo volto, sostituito subito da un dolce sorriso.
«Allora lascia che faccia le cose per bene», affermò accarezzandomi una guancia e poi tirandomi subito il braccio verso di lei. «Posso?».
Annuii e per tutta risposta chiusi gli occhi, lasciando che lei mi accarezzasse. Emma iniziò prima delicatamente, per poi cominciare a massaggiarmi il moncone con estrema precisione, allentando la tensione nei miei muscoli e riuscendo a farmi rilassare. Posò un bacio là dove un tempo era stata attaccata la mia mano ed io sentii un brivido risalirmi lungo la schiena; ma non si trattava di una sensazione negativa, anzi tutt’altro.
Continuò così per un po’, massaggiando, baciando e accarezzando e facendomi assolutamente ricredere sul mio moncone. Avrei voluto che Emma fosse così con me sempre.
«La senti ancora?», mi domandò improvvisamente, rompendo il silenzio che si era creato. «La mano intendo. Sai il così detto arto fantasma?».
«Adesso non più, all’inizio però sì ed era terribile. Mi capitava di svegliarmi nel cuore della notte perché mi prudeva una mano che non c’era. Col tempo è scomparso, o forse ci ho fatto semplicemente l’abitudine».
«Avrei voluto essere lì per permetterti di rilassarti come adesso», sussurrò.
Un enorme sorriso mi si dipinse sul viso mentre incatenavo di nuovo il suo sguardo al mio e mi avvicinavo nuovamente alle sue labbra. «Penso che sia una delle cose più dolci che tu mi abbia mai detto».
«Beh credo che dovremo farci entrambi l’abitudine». Si morse il labbro cercando di mascherare almeno in parte i suoi sentimenti ed io ne approfittai per stringerla ancora di più contro il mio petto e baciarla appassionatamente.
 
«Grazie». La voce di Milah mi riportò al presente, facendomi ricordare che in quel momento era tutt’altra donna quella che mi stava accarezzando.
«Per così poco?», le domandai ritirando il braccio e rimettendo l’uncino al suo posto.
«Non solo per questo momento, parlo anche del tatuaggio. Ti sei impresso il mio nome sulla pelle, ti sei marchiato a fuoco».
«Tu mi hai marchiato a fuoco Milah», ammisi. «Non riuscivo più ad andare avanti».
«So cosa vuoi dire. Tra di noi è come se non ci fosse mai stata una fine». Era esattamente quello che avevo provato per secoli: tra noi non era semplicemente finita, lei era stata uccisa e non era stata colpa del nostro amore che si era affievolito.
«Quello che c’è stato tra noi è rimasto in sospeso per tanto tempo».
«Già, e a proposito di questioni in sospeso», continuò titubante. «Lo so che per te io lo sono stata per molti secoli, ma devi sapere che qua sotto tu non sei mai stato il motivo per cui non sono riuscita a passare oltre».
«Lo so». Non avevo bisogno che me lo dicesse per capirlo. Sapevo che si trattava di Baelfire fin da quando avevo scoperto che era ancora prigioniera dell’Oltretomba.
«Ah sì?». Era stupita, eppure doveva saperlo che io ero la persona che la conosceva meglio al mondo, meglio addirittura di suo marito.
«Sì, è per tuo figlio o sbaglio?».
«Già. Mi sono sempre sentita in colpa per averlo abbandonato lasciandolo solo con Tremotino. Non sarei dovuta andarmene solo perché odiavo suo padre».
«Ho conosciuto Baelfire», confessai. «Ti avrebbe perdonato, ne sono sicuro».
«Pare che tutti siano riusciti a conoscere l’uomo che mio figlio è diventato, tranne la sottoscritta».
Non seppi cosa replicare anche perché era un affermazione fatta con molta amarezza e non era certo facile rispondere a qualcosa del genere. Capivo la sua tristezza, ma non potevo comunque farci nulla.
Fu Milah comunque a continuare, non aspettandosi evidentemente una mia risposta. «È per questo che non posso prendere l’ambrosia Killian». Appoggiò entrambe le mani sulla mia e mi guardò implorante. «Non c’è nulla per me lassù; non ha senso che io torni in vita».
La fissai cercando di assimilare ciò che mi aveva rivelato e allo stesso tempo di trovare le parole giuste. Capivo il suo punto di vista, ma anch’io in passato avevo creduto di non meritare di essere salvato, di non meritare un’altra opportunità. «Lo so che adesso la pensi così», provai, «ma una volta a Storybrooke potresti fare tutto ciò che vuoi».
«No Killian. So che credi di potermi convincere, ma io ho già deciso. Ho bisogno che tu lo capisca. Non voglio tornare in vita per avere nuove possibilità, voglio solo andare avanti e poter ritrovare mio figlio».
«Anch’io in passato ho pensato…», iniziai ma lei mi fermò.
«No. Tu avevi Emma ad aspettarti. Io ho solo Baelfire ma non è a Storybrooke che lo troverò». Riflettei sulle sue parole e lentamente capii che aveva ragione. Le nostre situazioni non erano affatto paragonabili e capivo perfettamente il motivo della sua scelta. Al suo posto io avrei fatto esattamente lo stesso.
«Mi mancherai», sospirai infine, accettando quella triste decisione.
«Grazie per aver capito», rispose rivolgendomi un piccolo sorriso.
«È sempre stato tuo figlio. È sempre stato lui uno dei tuoi principali pensieri».
«Mi manca così tanto Killian. Vorrei solo poterlo conoscere, poter guadagnare il suo perdono. Ed Emma mi ha detto che lui è in un posto migliore ed io non posso fare altro che provare a raggiungerlo».
«E quindi adesso che farai?».
«Spero che aiutando Emma e tutti voi a tornare a Storybrooke possa riscattarmi e possa finalmente andare avanti».
«Sarà così vedrai», affermai certo. Cosa avrebbe dovuto fare di più? «Ed io ti accompagnerò sulla rupe dove potrò vederti andare incontro alla così detta luce o quel che è».
«Grazie», sospirò. «Non so neanche come farò a dirlo agli altri, come farò a dire loro che dopo tante avventure non li seguirò anche in questa».
«Ti aiuterò io e loro capiranno. Se l’ho capito io, lo faranno anche loro».
«Grazie», ripeté di nuovo.
«Killian», riprese dopo un momento di silenzio, «questo non vuol dire che tu non sia stato una delle persone più importanti della mia vita, se non forse la più importante, quella che è riuscita a farmi sentire viva».
«Anche tu sei stata una delle persone più importanti della mia vita».
«Solo che questa volta non posso commettere lo stesso errore che ho fatto in passato. Ho bisogno di scegliere mio figlio invece di me stessa».
Annuii e le accarezzai la guancia con l’uncino, sapendo che non c’era più nulla da aggiungere.
«Mi mancherai da morire», mormorò ed una lacrima le rigò il volto. Mi affrettai ad asciugarla con il pollice, avvicinando il mio viso al suo.
«Anche tu, ma è quello che ci vuole. Per entrambi; è la fine che aspettavamo da secoli». Istintivamente chiusi gli occhi ed appoggiai le labbra sulle sue baciandola. Fu un bacio semplice, diverso da quelli che ci eravamo scambiati in passato. Niente di troppo, solo un modo per lasciarla andare definitivamente.
Con quel bacio non stavo tradendo Emma, stavo semplicemente dicendo addio ad una parte di me. Stavo salutando una donna che in fin dei conti amavo ancora e che non avrei mai smesso di amare; non c’entrava niente Emma o quello che provavo per lei, perché erano due cose completamente diverse.
«Se solo ti avessi conosciuto prima di incontrare Tremotino», sospirò staccandosi da me e accennando un piccolo sorriso. «Saremo potuti essere felici e avrei potuto darti tutto ciò che avresti meritato».
«Mi hai dato abbastanza Milah», affermai accarezzandole una guancia. «Sapevo fin dal primo giorno in cui ho iniziato ad innamorarmi di te in che guaio mi stavo cacciando. Sapevo che ci sarebbe sempre stato un vuoto che io non avrei potuto colmare».
«Invece ci riuscivi Killian, ci riuscivi sempre». Proprio in quel momento delle voci nella stanza accanto ci fecero sussultare, facendoci allontanare di scatto. Mi alzai subito ma non feci a tempo a scostare la sedia che Emma comparve subito sulla soglia della cucina. I suoi occhi brillarono vedendomi e sul suo volto si disegnò un meraviglioso sorriso. Dietro di lei Charlie e Crudelia la seguivano come due guardie del corpo.
«È fatta», disse, e mai due parole furono altrettanto belle quanto quelle.
 
POV Emma
Restai a fissare il corridoio davanti a me e la porta che si era appena richiusa per un tempo che mi sembrò interminabile. L’immagine di Killian con le mani alla gola che faticava a respirare era ancora impressa nella mia mente e non riuscivo proprio a cancellarla. Mi si attanagliava lo stomaco dalla paura; sarei voluta correre da lui e assicurarmi sulla sua salute ed invece dovevo voltarmi dall’altra parte ed andare avanti. Ancora una volta il destino ci aveva costretto a separarci e mi stava obbligando ad affrontare un’altra sfida senza di lui.
«Emma starà bene». La voce di Charlie mi fece sussultare, facendomi realizzare che non c’era niente che potessi fare. «C’è Milah con lui».
«Lo so ma…», sussurrai. Sentivo il cuore stretto in una morsa e il fatto che ci fosse l’altro amore della sua vita ad occuparsi di lui non mi faceva certo stare meglio.
«Il tuo pirata se la caverà alla grande», intervenne Crudelia. «Ha la pelle dura. Adesso perché non ti dai una mossa? L’umidità qua sotto rovina il pelo della mia pelliccia».
Sospirai e mi voltai di nuovo verso di loro. Capivo che avevano ragione: dovevo solo pensare che prima saremmo arrivati allo specchio, prima avrei potuto fare l’incantesimo e sarei potuta tornare da Killian. «D’accordo, andiamo. Portaci a questo dannato specchio».
Lasciai che Crudelia ci precedesse in quei corridoi e iniziai a camminare al fianco di Charlie, che continuava a studiarmi con circospezione per assicurarsi che stessi bene. Mi faceva piacere che si preoccupasse per me, ma non potevo certo dimenticare le occhiate che mi aveva lanciato alla tavola calda.
«Non stai tenendo fede al tuo accordo», sussurrai in modo che Crudelia non ci sentisse.
«Perché mai?». Il suo tono era del tutto innocente, come se non sapesse di cosa diavolo stessi parlando.
«Vuoi davvero che te lo spieghi? Charlie pensavo di essere stata chiara». Abbassai ancora di più il tono fissando con attenzione la schiena di Crudelia. «Siamo solo amici».
«Lo so, ma non è facile».
«Beh non ti stai sforzando abbastanza», ribattei piccata un’ottava sopra al dovuto. Per fortuna Crudelia non sembrava aver sentito o comunque non l’aveva dato a vedere.
«Lo so». Stavo per replicare quando afferrai il senso delle sue parole. Non mi ero aspettata che lo ammettesse, anzi ero quasi certa che avrebbe negato tutto.
La sua riposta mi aveva lasciata un attimo interdetta, tuttavia mi affrettai a concludere. «Bene, spero che ti impegnerai di più da ora in poi».
«Ci proverò. D’altronde quando saremo a Storybrooke dovrò imparare a convivere con voi due».
«Già, dovrai proprio farlo». Sarebbe stato ancora più difficile se non si fosse impegnato; sapevo che una volta a casa le cose tra me e Killian sarebbero solo andate progredendo e di sicuro non in favore di Charlie.
«È carina la vostra cittadina?», mi chiese dopo un secondo di silenzio, cambiando del tutto argomento.
«Beh non è male». Quando ero arrivata là mi era sembrata terribilmente provinciale ma adesso era casa. Nessun posto sarebbe stato come quella piccola e sperduta cittadina nel Maine. «Sono sicura che ti ci abituerai».
«Credi che Lizzy si ambienterà facilmente?». Era davvero tenero il suo continuo preoccuparsi di quella ragazzina, anche se forse era un po’ masochistico da parte sua.
«Sì lo farà. È una ragazza forte, in fin dei conti. Penso che lei starà bene là». Si sarebbe trovata più che bene e avrebbe potuto finalmente avere una vita vera e propria. La mia preoccupazione riguardava più Charlie stesso che Lizzy in realtà; avevo paura che per lui non sarebbe stato facile come per l’altra e non solo per via di me e Killian.
Lasciai che il silenzio calasse tra noi proseguendo per quei tetri corridoi. L’accenno di Lizzy mi aveva riportato alla mente un pensiero che avevo continuato ad avere fin da quando Charlie mi aveva rivelato la sua storia. Lizzy non sapeva chi realmente fosse il suo migliore amico, non sapeva che lui era anche il suo assassino, e non credevo certo che fosse un bene. Lui non gli aveva mentito, aveva semplicemente omesso alcune cose, ma io sapevo che ciò non portava nulla di buono. La sincerità era la migliore strada da seguire e avevo paura che quei segreti avrebbero potuto rivoltarsi contro Charlie stesso. Capivo le sue motivazioni, lui la voleva proteggere, ma non era giusto nei confronti di nessuno, tantomeno di Lizzy; lei era abbastanza forte da sopportare la verità.
«Credo che dovresti dirglielo», mormorai all’improvviso dopo qualche minuto.
«Cosa? E a chi?». Charlie voltò leggermente la testa verso di me, fissandomi con sguardo interrogativo.
«A Lizzy intendo. Dovresti dirle la verità».
«No». La sua risposta fu secca e brusca. Lo sentii irrigidirsi al mio fianco e vidi i suoi muscoli tendersi per la tensione.
«Non va bene Charlie», continuai, «non va affatto bene. Lei ti crede il suo migliore amico, tu  non puoi nasconderle una cosa così importante». Vidi Crudelia rallentare il passo, forse per captare la nostra conversazione; per fortuna non avevo detto niente di specifico.
«Proprio perché sono il suo migliore amico non posso dirle la verità. La distruggerebbe».
«Davvero? Lei è più forte di quanto credi». Presi un profondo respiro e buttai fuori il dubbio che mi assillava. «Charlie non le dici chi sei veramente per non sconvolgerla o perché hai paura che lei potrebbe odiarti una volta saputa la verità? Lo stai facendo per lei o per te stesso?».
Non rispose e fu evidente che con la mia domanda avevo colto nel segno. Tuttavia non sapeva che anch’io mi ero ritrovata in una situazione simile e che potevo capirlo benissimo.
«Una volta», iniziai cercando le parole adatte, «ho fatto una cosa terribile. Per non perdere Killian l’ho trasformato nella cosa che odiava di più e per non permettere che lo scoprisse ho cancellato la memoria di tutti. Continuavo a non dire niente e a cercare una soluzione da sola, non capendo che dire la verità avrebbe reso tutto più facile. Alla fine lui l’ha scoperto lo stesso ed è stato peggio perché non mi ero fidata abbastanza di lui da confessargli il mio terribile errore».
«Questo non c’entra niente con me e Lizzy», ribatte brusco. «È una storia completamente diversa».
«Quello che voglio dire è che scegliere di essere onesti è sempre la strada migliore. Se lei scoprisse la verità e capisse che tu l’hai sempre saputo…».
«Ma lei non lo scoprirà», sbottò alzando la voce. «Lo sappiamo solo io e te. Ed io non parlerò e se ti azzarderai a…».
«Lo sai che non lo farei». Tacqui per osservare Crudelia che anche se era di spalle sembrava non essersi persa nessuna parola di quella nostra ultima conversazione.
Rallentai il passo trattenendo Charlie per un braccio. «E comunque adesso immagino che lo sappia anche lei», sussurrai indicandola.
«Non sa a cosa ci riferiamo», mi liquidò.
«Ma so che stai nascondendo qualcosa alla tua amichetta». Fu Crudelia ad intervenire. «E dal tuo tono ho capito anche che è qualcosa che ti sta molto a cuore».
«Se ti azzardi a dirle qualcosa, a metterle la pulce nell’orecchio…». Charlie strinse forte i pugni e assunse un’espressione rabbiosa.
«Non lo farò. Non mi interessate tu e i tuoi problemi. Per il momento ho cose più importanti a cui pensare». In effetti non avrebbe guadagnato nulla da rivelare ciò che poteva aver intuito a Lizzy e per una volta volli fidarmi subito delle sue parole.
«Charlie», continuai prima che lui potesse chiudere la questione. «Voglio che tu rifletta su ciò che ti sto per dire. Voglio che tu ci pensi bene prima di decidere e voglio che tu sappia che qualsiasi decisione prenderai io starò al tuo fianco. Tuttavia devo farti un’altra domanda: tu hai paura di dirle la verità perché lei potrebbe odiarti o hai paura perché lei potrebbe perdonarti? Se sei davvero convinto che tacere sia la scelta migliore, d’accordo, ma sei sicuro di non farlo perché così puoi continuare a tormentarti con i tuoi pensieri autolesionistici? Pensaci: se lei non sa, non le dai la possibilità di odiarti, ma neanche di perdonarti; io conosco Lizzy e non penso che riuscirebbe ad odiare qualcuno, lei potrebbe assolverti dai tuoi peccati».
«Come potrebbe perdonarmi dopo ciò che le ho fatto?». Il suo tono non era più brusco ma sofferente.
«Potrebbe perché non l’ha fatto apposta e poi tu non sei più quella persona. Lei ha imparato a conoscerti, sei cambiato e lei conosce l’uomo che sei diventato. Secondo me non le stai dicendo la verità perché finché lei non lo sa, tu puoi continuare a non affrontare il problema principale».
«E quale sarebbe il problema principale?».
«Perdonare te stesso. Se lei ti perdona come farai tu a fare altrettanto con te stesso?».
«Emma non lo so», ammise. «Per il momento posso solo dirti che ci penserò, non posso prometterti altro». Sapevo di aver toccato il tasto giusto ed il fatto che avesse promesso di riflettere sulle mie parole era già una vittoria sufficiente. Sperai che prendesse la scelta giusta e che non perseverasse con la sua assurda idea di tacere. Almeno ero riuscita a fargli prendere in considerazione quella possibilità; forse la mia influenza avrebbe fatto cambiare idea a quella sua testaccia dura.
«Se avete smesso con i consigli spassionati», intervenne Crudelia fermandosi davanti ad una porta di pietra, «noi saremmo arrivati».
Non avevo prestato molta attenzione alla strada che avevamo percorso, ma da una parte essere giunti a destinazione era sia un sollievo che un tormento. Sentii la tensione risalirmi lungo la schiena e irrigidirmi le spalle: dietro quella porta si sarebbe deciso il mio destino ed io non ero certa di essere pronta al cento per cento. Avevo promesso a Killian che sarebbe andato tutto bene, che io non mi sarei ritrovata nel mio corpo di bambina, ma anche se mi ero mostrata sicura non lo ero poi così tanto. Avevo un buon presentimento ma stavo rischiando tutto ed era ovvio che fossi terrorizzata.
«Andrà tutto bene Emma». Charlie sembrò intuire i miei timori e mi passò una mano sulla spalla tentando di calmarmi.
«Sì certo», sospirai. «Entriamo». Superai Crudelia e aprii la porta di pietra davanti a noi. All’interno di essa si trovava una stanza di modeste dimensioni ed esattamente al centro di essa era posto un gigantesco specchio. Era enorme e siccome la luce là era abbastanza fioca, il suo riflesso rendeva la stanza ancora più cupa.
«Ecco a voi come promesso», sentenziò Crudelia, fermandosi ad un lato di esso. «Io non mi ci specchio dentro e non dovrebbe farlo neanche lui, ma tu sei libera di guardare il tuo corpo ancora in vita».
«È davvero gigantesco», commentò Charlie studiandolo.
«Non credo che siano le dimensioni a contare ma quello che mi mostrerà», replicai. Crudelia aveva ragione: fino ad allora aveva mantenuto la parola data; adesso dovevo solo sperare che lo specchio mi mostrasse la baby me come avevamo ipotizzato.
Feci un profondo respiro e mi preparai a tutto quello che lo specchio avrebbe potuto mostrarmi. Mossi un passo in avanti e mi posizionai proprio di fronte a quella gigantesca superficie riflettente. All’inizio ciò che vidi fu solo il mio riflesso; avevo un aspetto orribile, con le occhiaie, i capelli spettinati e i vestiti che non erano i miei. Poi l’immagine iniziò a cambiare e delle forme diverse si delinearono di fronte a me.
Lentamente riuscii ad interpretare ciò che stava apparendo sullo specchio e a capire che si trattava del loft dei miei genitori. Era la mia vecchia camera esattamente come l’avevo lasciata l’ultima volta che ero stata là. Poi piano piano iniziai a distinguere anche altre figure.
Il mio cuore batté più velocemente riconoscendo i miei genitori seduti sul letto, uno da una parte ed uno dall’altra. Erano intenti a giocare con una bambina che si trovava esattamente in mezzo a loro; era ovvio che fossi io e non solo per i capelli biondi e gli occhi verdi, ma anche perché nel mio piccolo pugno stringevo una conchiglia che ero certa appartenesse a Killian. Probabilmente i miei genitori avevano frugato nei cassetti di casa nostra; avrei dovuto chiederli spiegazioni una volta a Storybrooke.
Era una strana visone quella che avevo davanti agli occhi. Sembravamo una vera e propria famiglia felice ed era come se il mio desiderio si fosse realizzato. In effetti il desiderio che avevo espresso si era realizzato completamente stando a quell’immagine, solo che non ero propriamente io quella che lo stava vivendo.
Tuttavia più osservavo i miei genitori più notavo dei particolari che mi facevano capire quanto il mio desiderio fosse imperfetto. Entrambi avevano profonde occhiaie e le loro espressioni non si potevano certo dire serene, anzi erano tesi e preoccupati. Giocavano con la piccola me ma non come li avevo visti giocare con Neal; non c’era gioia c’era solo preoccupazione.
«Allora cosa vedi?». Fu Charlie il primo ad interrompere il silenzio non resistendo più alla curiosità.
«Me, la piccola me».
«Allora funziona!», esultò, facendomi sorridere. Avrei voluto essere così ottimista come lui, però adesso arrivava la parte difficile. Stava a me e solo i miei poteri e la mia magia avrebbero potuto risolvere quell’intricata situazione.
«Staremo a vedere», sospirai estraendo i fogli con l’incantesimo dalla tasca dei pantaloni.
«Credo che ti servirà questa». Crudelia tirò fuori dalla pelliccia una bacchetta che non avevo mai visto prima di allora.
«Dove l’hai presa?», le chiesi subito afferrandola.
«Ha importanza?», rispose scrollando le spalle. «So solo che con questa riuscirai a convogliare meglio la tua magia».
«Mi stai aiutando davvero?», non riuscii a resistere alla tentazione di chiederglielo.
«Beh ricordati che lo faccio principalmente per me».
«Grazie», risposi.
«Tu dovresti sapere meglio di chiunque altro che nessuno è completamente buono o completamente cattivo». Aveva ragione ed io ne ero la prova.
«Già. E proprio per questo mi dispiace per averti uccisa. Non so se te l’ho mai detto davvero; non avrei dovuto farlo, pensavo che Henry fosse in pericolo e non ho ragionato. È stata la cosa più orribile che abbia mai fatto». Guardai Charlie con la coda dell’occhio sperando che cogliesse il mio buon esempio e decidesse di essere sincero con Lizzy.
«Lo apprezzo», rispose Crudelia. «Adesso però vedi di muoverti, voglio lasciare questo limbo il prima possibile».
Trassi un profondo respiro e tornai a concentrarmi sull’incantesimo e sullo specchio. Lessi mentalmente le parole riportate nel foglio e convogliai la mia magia nella bacchetta. All’improvviso, mentre ripetevo le parole come un mantra nella mia testa, sentii il potere diffondere da ogni cellula del mio corpo e travolgermi in pieno come un’ondata. Chiusi gli occhi, sopraffatta dall’intensità di quel potere, e mi lasciai trasportare. Non ero più io a guidare l’incantesimo, ma l’incantesimo a guidare me; mi stava portando esattamente dove voleva.
All’improvviso il silenzio che si era creato nella stanza, fu sostituito da delle voci diverse, voci che non mi sarei mai aspettata di sentire.
«Credi che riuscirà ad aiutarla?». Era la voce di mia madre, non avevo alcun dubbio.
«Non lo so, ma lo spero davvero tanto», rispose mio padre. Aprii improvvisamente gli occhi e mi ritrovai in quella stessa camera che avevo osservato nello specchio. Loro due erano accanto a me ed io mi trovavo nel mezzo, ma ero del tutto sproporzionata. Non ebbi bisogno di osservare le mie mani per capire di essere appena tornata nel mio corpo di bambina. Il mio cuore accelerò, intuendo che l’incantesimo stava andando esattamente nella direzione che non volevo che prendesse. Aveva riunito la mia anima al mio corpo ma era proprio quest’ultimo ad essere sbagliato.
Trassi un profondo respiro e continuai a concentrarmi, ripetendo la formula magica come un mantra. Io ero più forte, la mia necessità di un corpo adulto era più forte di qualsiasi stupido incantesimo. Si trattava solo di una battaglia all’interno della mia testa ed io dovevo vincerla.
«Credi che sia riuscito a raggiungerla?», continuò mia madre, carezzandomi la testa con la mano.
«Tieni Emma». Mio padre mi passò la conchiglia che avevo lasciato cadere non appena ero stata catapultata in quel corpo. «Certo che l’ha raggiunta, conosci Hook».
Afferrai la conchiglia e mi concentrai su quella. Richiusi gli occhi e cercai di visualizzare Killian, noi due insieme, quello che doveva essere il nostro futuro; un futuro che non si sarebbe potuto realizzare se fossi rimasta in quel corpo. Io non ero una bambina, lo ero già stata ed avevo sofferto durante la mia infanzia, ma andava bene così. Non volevo più cambiare il passato perché il mio passato mi aveva guidato fino a quel momento e a me piaceva la donna che ero diventata. Certo c’era stata tanta sofferenza, ma c’erano stati anche momenti felici anche se non molti.
“Io sono Emma Swan e non è questo il mio passato, né sarà il mio futuro”. C’era solo un uomo che poteva far parte del mio futuro ed in quel momento mi stava aspettando ed io gli avevo promesso che sarei tornata da lui presto.
All’improvviso, mentre la consapevolezza di chi ero si faceva strada dentro di me, sentii il potere di nuovo fluire in tutto il mio corpo e guidarmi nella direzione opposta a quella di prima.
«Stiamo bene, torneremo presto», cercai di balbettare con la mia voce stentata di bambina prima che cedessi completamente al potere e abbandonassi definitivamente quel corpo. Non sapevo se fossi riuscita a pronunciare davvero quelle parole, ma potevo solo sperare di averlo fatto in modo da tranquillizzare i miei genitori.
Tenendo gli occhi chiusi mi lasciai invadere dalla magia, percependola come mai prima di allora e quando li riaprii mi ritrovai di nuovo di fronte allo specchio in quella stanza di pietra.
«Emma!». Charlie mi si fiondò addosso, abbracciandomi e stringendomi così forte da impedirmi di respirare.
«Charlie», gracchiai cercando di allontanarlo.
«Eri scomparsa», mi spiegò staccandosi da me, ma continuando ad accarezzarmi i capelli.
«Ha funzionato?». Crudelia non sembrava preoccupata quanto lui. Era evidente che fosse più in pensiero per la sua possibilità di avere l’ambrosia piuttosto che per la mia incolumità.
«Fammi controllare». Allontanai Charlie e mi riposizionai davanti allo specchio. Questa volta l’immagine con il mio riflesso non fu sostituita da nessun altra. Ero io, al cento per cento e senza nessuna bambina nel mezzo.
«Sì», sussurrai scoppiando a ridere per il sollievo. «Sì». Tuttavia la mia euforia fu all’improvviso spenta da qualcos’altro: come doveva essere successo a Killian non riuscii più a respirare normalmente e sentii mancarmi l’aria.
«Emma?». Charlie mi fissò interrogativo, intuendo ciò che stava accadendo. Io, d’altro canto, faticavo a respirare, ad incamerare semplicemente ossigeno nei polmoni, e quello era l’evidente sintomo che l’incantesimo era del tutto riuscito. La mia anima e il mio corpo erano stati riuniti ed il fatto che stessi soffocando ne era la prova tangibile.
Mi portai la mano alla gola, ma per fortuna io avevo ancora la magia dalla mia parte. Senza aspettare un secondo di più, e prima che la mancanza di ossigeno cominciasse ad offuscare le mie capacità mentali e magiche, agitai la mano e ci trasportai tutti nel salotto dove dovevano trovarsi Killian e Milah.
Non appena misi piede in quella stanza sentii i miei polmoni riempirsi e l’aria tornare a circolare libera nel mio corpo. Il solo fatto di essere uscita da quei corridoi mi aveva permesso di riprendere a respirare.
«Emma come ti senti?». Charlie mi mise una mano sulla spalla per accertarsi che stessi bene.
«Meglio», sospirai drizzando la schiena e allontanandomi da lui. Crudelia ci fissava indifferente, sapendo di aver appena guadagnato la sua possibilità di tornare in vita.
Tuttavia in quel momento non era quello l’importante; mi bastò un secondo per far sì che il mio pensiero si spostasse da me a Killian.
Mi guardai attorno cercandolo e non vedendolo mi affrettai ad andare in cucina. Fu lì che  lo trovai, in piedi accanto al tavolo dove Milah era ancora seduta. Lui stava bene e mi stava fissando con uno sguardo colmo di emozione.
«È fatta», mormorai ed il sorriso che si disegnò sul suo volto riuscì a sciogliermi completamente. In un istante superò il tavolo e mi prese tra le sue braccia baciandomi appassionatamente. Di sicuro quello che mi dette non fu un bacio casto perché mi ritrovai immediatamente alle prese con la sua lingua e con la sua mano fin troppo esperta nell’esplorare il mio corpo.
«Ehi calma tigre», sospirai staccandomi da lui solo di qualche centimetro. «Non siamo soli».
«Già», ammise sorridendo. «Sono solo contento che tu stia bene».
«Sto bene», confermai. «Mai stata meglio. Adesso dobbiamo solo trovare un modo di tornare a Storybrooke e poi finalmente tutto questo sarà finito e saremo a casa». E non vedevo l’ora di esserci veramente e di poter così riabbracciare la mia famiglia.


 
Angolo dell’autrice:
Buonasera a tutti! Ed ecco un altro capitolo.
Dopo il devastante finale di stagione ho avuto un po’ di difficoltà a scrivere, anche per via dei mille impegni, e credevo proprio di non farcela; invece eccomi qua allo scadere della domenica.
Prima di tutto ecco il chiarimento tra Milah e Killian; non è mai stata mia intenzione farla tornare in vita e diciamo che non avrebbe avuto senso portarla a Storybrooke. Lei non ha nulla lassù e quindi vuole semplicemente passare oltre e avere la possibilità di incontrare suo figlio.
Dall’altra parte l’incantesimo di Emma ha funzionato facilmente senza troppe complicazioni. Adesso non resta altro che trovare il modo per tornare a casa e lasciare l’Oltretomba.
Grazie come sempre a tutti!
Un bacione
Sara
 
 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: gattina04