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Autore: StormyPhoenix    22/05/2017    4 recensioni
Los Angeles, primi anni del nuovo secolo. Quasi per caso si incrociano le strade di una ragazza sola e in fuga dal suo passato spiacevole e di una delle band più famose del posto; un sentimento combattuto che diventa prepotente salderà il legame.
(Prima storia sui SOAD, so che è un po' cliché ma vabbè.)
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Salve a tutti!
Questa volta dovrò scusarmi doppiamente, sia per l'attesa che è stata più lunga del previsto e sia per il fatto che, essendo già in sessione estiva, non avrò probabilmente molto tempo per scrivere e dunque ci vorrà un po' per il prossimo capitolo T___T
Ebbene, ecco qui il capitolo lungo di cui vi avevo accennato nelle note d'autore dello scorso aggiornamento, spero sia di vostro gradimento :3 come sempre un grazie calorosissimo a lettori e recensori! <3
Buona lettura!





 

-Nikki-

Reduci dal viaggio e dal concerto, la voglia di un diversivo piacevole per la giornata di riposo ci ha portati qui alla spiaggia di Santa Monica per un falò, muniti di tutto l'occorrente; quando finalmente il fuoco è grande abbastanza da scaldarci e consentirci di sederci intorno il crepuscolo è ormai inoltrato e la spiaggia è deserta.
«Ci voleva proprio una cosa del genere» sospira Serj, con in mano una bottiglietta d'acqua e lo sguardo fisso sull'orizzonte quasi del tutto indistinguibile.
«Concordo» interviene Shavo, mollemente adagiato su un telo da mare ed intento a godersi un po' di erba scroccata al chitarrista.
«Quando si mangia?» chiede John ad un certo punto, così, senza preavviso.
«Dolmayan, non farai mica un po' schifo visto quanto hai mangiato ultimamente?! Comunque il cibo è a portata di mano, serviti pure.»
Mentre i ragazzi interagiscono fra di loro e si rimbeccano occasionalmente, giusto per tenersi in allenamento, fisso un punto indefinito del cielo e ogni tanto prendo un sorso dalla mia lattina di Sprite con fare quasi meccanico, ma la mia contemplazione si interrompe una volta che mi rendo conto degli sguardi interrogativi di tutti rivolti a me.
«Che succede?» chiedo, smarrita.
«Ci stavamo chiedendo come passare il tempo» comincia Serj «e pensavamo che non sarebbe male fare qualcosa in "vecchio stile" come raccontare una storia. Tu che ne pensi?»
«Sono d'accordissimo» replico, con un gran sorriso.
Ci sistemiamo intorno al falò crepitante, seduti sui teli e con qualche coperta; Shavo e John prendono per sé una birra, Daron si accende una canna e viene ad accoccolarsi con la testa nel mio grembo e io e Serj prendiamo una sigaretta.
«Chi comincia?» chiede Shavo, curioso.
«Proporrei di far iniziare la bestiolina» risponde il chitarrista, muovendosi per potermi guardare anche da steso. «Siete d'accordo con me?»
«Sì!»
Avvampo leggermente quando gli sguardi dei ragazzi si puntano su di me, carichi di aspettativa.
«Beh, cosa volete che io racconti?» temporeggio, alla ricerca di un qualche argomento. «Potrei narrare, che so, qualche aneddoto divertente, qualche storia che ho letto...»
«Potresti narrarci della tua vita. Della tua infanzia, della tua strada fin qui a Los Angeles, di ciò che ti piace. Sappiamo qualcosa per via delle varie conversazioni avute finora, ma non abbiamo mai avuto il coraggio di indagare sul tuo passato. Ovviamente se non te la senti possiamo lasciar perdere, nessun obbligo» proferisce Serj, con tono di voce basso e gentile.
«Mi fido abbastanza da sapere di potermi aprire con voi senza timore di giudizio o ripercussioni negative e credo che questo sia il momento giusto, quindi non mi tirerò indietro.» Mi schiarisco la gola dopo aver preso un tiro dalla mia sigaretta e raddrizzo la schiena, preparandomi al racconto.
«Ebbene, ragazzi, ora vi narrerò di me, senza alcun filtro, davanti a questo falò. Non è una storia degna di un film o di un libro né particolarmente felice, vogliate scusarmi se talvolta sarà troppo tediosa o triste per voi. Ricorderete che compirò ventiquattro anni il 18 maggio e che sono nativa dello Utah. Sono nata precisamente a Cedar City, città in cui ho abitato fino alla fine del liceo. La mia famiglia è cristiana, di confessione battista, ma soltanto i miei genitori e alcuni nonni e zii erano bigotti e persino simpatizzanti della Westboro Baptist Church, per cui potrete immaginare l'ambiente in cui sono cresciuta e ho vissuto, un ambiente gretto e arretrato. Il mio parente preferito era lo zio Augustus, un fratello di mio padre, un uomo di mente molto più aperta, colto e amante di musica rock, grazie a lui mi sono interessata a generi musicali che esulavano dalla musica sacra o classica ed è a lui che devo moltissimi insegnamenti di vita. Purtroppo un tumore maligno e aggressivo lo portò alla morte quando avevo quattordici anni e così persi l'unica persona che fosse davvero stata per me come un genitore e che avesse il coraggio di difendermi apertamente davanti a chi mi bersagliava di giudizi e critiche spesso infondati e solo mirati a ferire... non credo di aver mai davvero elaborato completamente questo lutto, neanche mio padre probabilmente l'ha fatto, ma quello è un altro discorso. Ho avuto qualche amico lì a Cedar City, ma la mia amica Georgia è l'unica a essere rimasta in maniera continuata durante gli anni, anche dopo il suo primo trasferimento in Texas e il suo definitivo spostamento in California di alcuni anni più tardi, a dispetto della distanza, degli impegni e persino delle restrizioni... molti altri sono semplicemente spariti, e forse è meglio così.»
Un lieve accesso di tosse mi costringe a fermarmi, poi con un sorso di Sprite rinfresco la bocca e la gola e nello stesso tempo noto le facce ancora assorte dei ragazzi seduti di fronte a me; il chitarrista, rimasto finora immobile, incrocia il mio sguardo quando chino il capo e in risposta le sue labbra assumono una piega un poco strana, una sorta di sorriso quasi mesto.
«Tornando a noi, questo è un quadro sintetico della mia situazione familiare e intima in generale, a voler raccontare qualche aneddoto memorabile o soltanto dei ricordi ci vorrebbe troppo tempo e dunque riserverò questi argomenti per future conversazioni scaccia-noia. Ora tratterò un argomento sul quale potremmo trovarci d'accordo senza alcun indugio in quanto a pareri e disagi: la scuola.» Faccio una pausa per enfatizzare l'inizio di quest'altro racconto e sorrido appena fra me e me al vedere che la reazione fatta di occhi alzati al cielo e mugugni è assolutamente comune. «Ovviamente ho frequentato nella stessa città in cui vivevo, erano scuole con fama di prestigio, certo, ma solo sulla carta a parer mio. Tutti gli anni scolastici sono stati alquanto solitari, a parte Georgia pensavo di avere qualche altro amico, ma i rapporti che al tempo definivo ingenuamente come amicizie erano soltanto rapporti opportunistici: c'è da dire che ero una studentessa piuttosto diligente, fino ad un certo punto studiare è stato qualcosa che mi piaceva molto, ovviamente c'erano materie in cui andavo meglio che in altre e non mi dispiaceva dare una mano a chi era eventualmente in difficoltà, peccato che questo mio istinto caritatevole mi ha spesso spinto nella rete degli opportunisti... ero così fessa, al tempo. Mi piacevano molto le materie letterarie ed ero discreta in quelle scientifiche, ma ho sempre avuto una predisposizione naturale per l'informatica, era interessante e mi riusciva piuttosto facile, e nelle poche volte in cui ero da sola a casa, magari anche in punizione, ho approfittato del computer dei miei per mettere in pratica ciò che studiavo e anche per sperimentare, tendenzialmente rimanendo sul sicuro per non causare guai o danni. Dunque ho preso il mio bel diploma con una buonissima valutazione, conclusione apparentemente felice di circa dodici anni di sforzi, dei quali gli ultimi quattro sono stati infernali... come detto prima, la mia amica Georgia si trasferì quando avevamo entrambe tredici anni, prima dell'inizio della scuola superiore vera e propria, e da allora non ho più avuto qualcuno che potesse in qualche modo alleviare la mancanza che sentivo, né ho avuto più pace, perché per almeno un paio di anni sono stata vittima di regolari atti di bullismo a scuola fino a quando non ho avuto la fortuna di trovare qualcuno che fosse misericordioso abbastanza da difendermi e farmi giustizia, un insegnante, mr. Harper, che morì proprio durante l'ultimo anno di liceo. È stato durante la mia prima adolescenza che, a dispetto dell'opposizione dei miei genitori, ho iniziato a seguire le orme del mio adorato defunto zio ascoltando la musica che lui amava e che a me piaceva, smettendo gli abiti rigorosamente classici e di colori chiari che mia madre e i miei parenti mi regalavano spesso per abiti neri, jeans e anfibi, talvolta indossavo le borchie e le catene che tenevo rigorosamente nascoste in un luogo che sapevo solo io per evitare che i miei le buttassero via, ma non rinunciavo mai al kajal nero e ai guanti senza dita, erano quasi una sorta di segno distintivo... purtroppo anche il codice di abbigliamento della scuola mi poneva grossi limiti e non volevo avere più guai di quelli che già affrontavo giorno per giorno. Al tempo già lavoravo saltuariamente, specialmente durante l'estate, quindi potevo permettermi di comprarmi vestiti, libri, CD e altro, approfittando perlopiù degli sconti; ma quando fu finalmente palese che le persone che mi avevano messa al mondo erano così accecate dal bigottismo e dai pregiudizi da essere giunte ad odiarmi, mi imposi di mettere da parte ogni singolo spicciolo per potermi guadagnare finalmente la libertà da quella casa e da quella vita, che erano ormai diventate delle prigioni e delle torture. È stato duro abituarsi all'idea di non essere amata dai miei genitori, più del fronteggiare i bulli o la silenziosa ostilità della maggior parte dei miei compagni di scuola o concittadini... quando questa consapevolezza si è palesata mi è parso per un momento di sprofondare dritta in un abisso irto di spine, ma mi sono fatta forza pensando che presto mi sarei liberata di loro e sarei andata per la mia strada. Ma, come se tutto questo non fosse bastato, c'è anche il capitolo sentimentale... un altro bel disastro, direi.»
Mi fermo di nuovo e bevo d'un fiato tutta la Sprite rimasta prima di buttare la lattina nella busta adibita a pattumiera lì vicino a me; chiudo gli occhi e respiro profondamente, sapendo che sta per arrivare la parte peggiore del racconto. Sento una mano morbida dai polpastrelli callosi accarezzarmi una guancia, riconosco che è di Daron e la trattengo contro il mio viso, godendo del contatto... percepisco il gesto come una dolce rassicurazione, dunque inspiro e mi preparo a riprendere.
«Per quanto possa avere un aspetto accettabile, posso garantirvi che un tempo ero peggio di così, devo riconoscere che quel periodo di merda di nome adolescenza è stato in fondo abbastanza caritatevole da rendere più decente la mia faccia... e dunque ogni volta che avevo una cotta ero divisa fra la dolce euforia tipica di ogni inizio di interesse o relazione e l'amara consapevolezza di non essere "abbastanza", in nessun senso, e dunque di essere senza speranza. Per i miei genitori ero bella quando mi conciavo come piaceva a loro, per Georgia lo ero a prescindere da tutto e teoricamente era così anche per i pochi ragazzi che ho frequentato... o così loro dicevano, almeno, probabilmente mi hanno mentito per compiacermi, cosa che odio con tutto il cuore. Ho avuto storie di poco conto con un paio di ragazzi nel giro di un paio di anni: il primo si chiamava Gabriel, era bruno di occhi e capelli e purtroppo, come scoperto in seguito, anche quasi bigotto quanto i miei genitori, e appena le cose si sono fatte leggermente più serie mi ha improvvisamente definita inadeguata a lui e si è dileguato, quasi lo stesso è accaduto per il secondo, Luke, biondo e con occhi chiari. Quando è arrivato Jake, verso la fine del penultimo anno di liceo, ho creduto che finalmente fosse arrivato il mio momento di essere felice... aveva capelli biondo scuro, occhi color castagna, corporatura robusta e tutto sommato un carattere apparentemente piacevole, sembrava essere genuinamente interessato ad ascoltarmi quando parlavo e non mi toglieva mai gli occhi di dosso, talvolta sapeva essere molto galante e gentile e questo mi attraeva molto. Ma, come dimostrato più volte nel corso del mio racconto, ogni cosa buona ha rivelato a suo tempo l'altra faccia della medaglia.» Bevo di nuovo per dare sollievo alla gola che sembra riarsa come dopo una lunga giornata calda. «Per amore ho perso la verginità con lui e mi sono lasciata istruire in arti amatorie, ma in tutto questo ho messo da parte me stessa, i miei bisogni, la mia volontà. A volte ho accettato di fare ciò che mi chiedeva ma controvoglia, per non deluderlo, per non apparire come un'ingrata... o forse anche perché la nostra sfera privata è in seguito diventata motivo di ricatto per molte, molte cose. Toccai il fondo dopo circa un anno, quando, durante una festa a casa di amici comuni, bevvi più del solito e iniziai a rivelare cose scomode sul conto di lui che mi riguardavano e a dire che ero in procinto di piantarlo in asso definitivamente; uno dei suoi amici, un po' "nerd" e "sfigato" come me, mi credette senza indugio, qualcun altro insinuò che mi stessi inventando tutto con la scusa dell'essere alticcia, quando invece è ben risaputo che i pensieri di un sobrio sono le parole di un ubriaco. Jake lo venne a sapere e per il resto della festa non mi si avvicinò, ma una volta che tutti erano messi fuori gioco dall'alcol in giro per la casa e io cercavo di dormire in una delle stanze da letto venne da me e, ignorando il mio rifiuto e approfittando della mia non esistente sobrietà, abusò di me con impietoso vigore, poi il giorno dopo la notizia si sparse. Sono stata tacciata di essere una puttana, una bugiarda, una serpe... non avrei dovuto aprire tanto facilmente le gambe, non avrei dovuto bere, non sarei dovuta andare ad una festa fra compagni e amici di liceo, il mio fidanzato non poteva avermi stuprato perché mica era uno sconosciuto, il mio fidanzato era un bravo ragazzo di buona famiglia e non avrebbe mai potuto essere un mascalzone depravato così come lo dipingevo io... eccetera, eccetera. Dovetti sorbirmi queste parole e chiacchiere dagli sconosciuti così come dalla mia famiglia, i miei mi picchiarono persino prima di mettermi in punizione. Era chiaro che nessuno voleva più avermi intorno, per cui feci fagotto e, approfittando di un giorno e di un momento in cui la casa era vuota, andai via per sempre. Avevo con me pochi effetti personali, pochi vestiti, le scarpe che avevo ai piedi e tutti i soldi che avevo messo da parte fino ad allora, un gruzzoletto non indifferente ma che non sarebbe durato molto e avrei dovuto mantenere con un lavoro. Mi stabilii a Washington per circa un anno, ritenendo la città abbastanza lontana dal mio luogo di origine da potermi sentire sicura, poi mi sentii come soffocare e iniziai una lunga peregrinazione che mi riportò sulla costa ovest, fino a quando non giunsi qui a Los Angeles e, in qualche modo, finalmente ebbi una percezione di casa e sicurezza perché nessuno mi conosceva ed ero certa di poter condurre una vita modesta e tranquilla. Ma mi sbagliavo, perché i pregiudizi sono diffusi ovunque così come i bigotti e gli idioti, ed ecco il probabile motivo del pestaggio dal quale sono uscita meno distrutta del previsto forse per miracolo... anzi, mi sbagliavo doppiamente, ed ora ve ne darò la prova.»
Tiro fuori dalla tasca dei miei jeans il biglietto anonimo ricevuto poco più di una settimana addietro, ora un poco stropicciato, tentando di mantenere regolare e calmo il respiro a dispetto della tachicardia che si sta manifestando, e lo porgo prima a Serj, che siede alla mia sinistra; man mano vedo le facce dei presenti impallidire leggermente e tradire un mix di emozioni e quando il messaggio arriva finalmente fra le mani del chitarrista per un attimo fremo interiormente per l'incertezza della sua reazione... Daron poggia il pezzo di carta in disparte, poi chiude a pugno le mani con forza e le nocche si fanno bianche.
«Perché non ce l'hai detto prima, Nikki? Avremmo preso provvedimenti subito...» si limita a dire Serj, ancora un poco sconvolto.
«Non volevo disturbare e addossarvi ulteriori pesi mentre già eravate molto indaffarati fra il lavoro in studio e le prove per il concerto di ieri, ve ne avrei comunque parlato a tempo debito... e poi, per quanto sia terribilmente in ansia e spaventata, penso che un biglietto solo non significhi granché, bisogna vedere se davvero si farà vivo o meno.»
«Oh, Nikki, Nikki, quando smetterai di gareggiare con Daron nel campionato mondiale di seghe mentali?!» protesta Shavo, avvicinandosi e prendendomi le mani fra le sue. «Non devi farti assolutamente problemi a parlarci di cose che ti turbano o di cose così importanti come questa, chiaro? Tienilo in mente per il futuro.»
«Dunque dobbiamo occuparci di questa faccenda, ora» sospira John, chiaramente preoccupato, con la fronte corrugata.
«Se si tratta di scegliere chi concerà per le feste quel coglione, sappiate che sono il primo prenotato nella lista» commenta Daron, la voce accompagnata da un leggero ringhio gutturale di fondo.
«Non è la violenza la miglior soluzione» interviene il cantante «dobbiamo piuttosto pensare a come mantenere la sicurezza.»
«C'è da dire che Jake è stato raramente di parola nella sua vita» dico, in tono amaro «ma stavolta potrebbe davvero avere l'intenzione di fare ciò che ha promesso. Ma essendo cinque contro uno, dei quali quattro del suo stesso sesso, c'è un netto svantaggio numerico che forse lo trattiene ancora dall'agire, per non parlare del fatto che, se tenta di aggredire voi o me, è sicuro che lo attenda il carcere.»
«Ma poi, mi chiedo» aggiunge Serj «come ha fatto a sapere che sei qui? Se ti avesse pedinato di persona lo avresti notato e non può averlo fatto per tutti questi anni e nonostante tutti i tuoi spostamenti... quindi le possibilità sono due: o ha qui in città dei conoscenti che ti hanno vista, o lui stesso è qui ora e ti ha riconosciuta.»
«Hai ragione... ma per quale motivo lui potrebbe trovarsi qui? E che dire dell'essere riconosciuta? Non vedo un motivo per lui per essere venuto fino a Los Angeles a parte quello che si evince dal biglietto, poi so di essere comunque abbastanza riconoscibile ma non esco molto di casa e anche ora che lavoro per voi sto dietro le quinte, mai in prima linea.»
«Anche questo è vero... beh, credo che scopriremo questo e molto altro nei giorni a venire.»
I tre ragazzi di fronte a me si alzano, si avvicinano e si inginocchiano per stringermi in un abbraccio collettivo al quale si aggrega anche il ragazzo rimasto finora accomodato in parte sulle mie gambe; sento il loro affetto e la loro preoccupazione nella stretta e gli occhi mi si fanno lucidi.
«Non sei sola... gli amici servono anche ad affrontare i problemi insieme.»
Finalmente si cambia argomento e la conversazione diviene più leggera e continua per almeno un'altra ora prima di arrestarsi nuovamente, al che Daron si alza, fruga nel bagagliaio dell'auto parcheggiata lì vicino e torna con una chitarra acustica in spalla; ora sì che il falò è perfetto.

Dopo qualche ora di intrattenimento musicale la stanchezza prende il sopravvento, visti gli strapazzi dei giorni precedenti, per cui ci predisponiamo a passare la notte: Serj, Shavo e John si addormentano apparentemente senza difficoltà, mentre io resto ancora sveglia a guardare un punto indefinito del cielo scuro.
«Piccola, tutto okay?»
Il sussurro del chitarrista mi riporta alla realtà; cambio posizione e ora la sua faccia è di fronte a me e non contro le mie spalle. «Credo di sì. Sono soltanto un po', diciamo, stordita... è passato molto tempo dall'ultima volta che mi sono aperta così tanto con qualcuno.»
Il ragazzo mi fissa per qualche attimo, poi tende le braccia verso di me; mi accoccolo ben volentieri nel suo abbraccio, con il viso affondato nell'incavo fra la sua mascella e la sua spalla sinistra.
«Sei stata coraggiosa a confidarti, così come lo sei stata nell'affrontare la tua vita finora» prosegue Daron, con tono di voce morbido «hai il mio amore e la mia ammirazione sincera. E, sai, c'è una vocina nella mia testa che ancora mi rimprovera per essermi comportato da coglione nei mesi scorsi, perché dopo quello che hai passato non meritavi anche gli sbalzi di umore e le stranezze di una testa di cazzo come me.»
«Ormai è andata com'è andata, hai tutto il tempo del mondo per rimediare, e mi sembra che tu lo stia già facendo egregiamente. Non ascoltare sempre le vocine, a volte sono delle grandi stronze.»
«Concordo pienamente... se avessimo partecipato ad un campionato di pippe mentali, probabilmente avrebbero assegnato il primo premio ad entrambi per la bravura, non trovi?»
Mi sfugge una piccola risata che smorzo per non svegliare gli altri. «Sono d'accordo con te» mormoro, poi lascio qualche piccolo bacio sulla pelle soffice del suo collo e sorrido interiormente quando lo sento sospirare.
«Su, piccola, è ora di dormire» aggiunge, dandomi un bacio; dopo pochi secondi Morfeo rapisce entrambi nel suo abbraccio.

  
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