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Autore: _White_    22/05/2017    0 recensioni
La vita di Irina potrebbe essere un racconto, infatti gli ingredienti necessari ci sono tutti: lei è la goffa eroina e vive accanto a Thomas, il classico bel ragazzo solitario e distaccato che la tratta come un suo pari. Ma si sa che le apparenze ingannano... Una piccola love story cresce sotto il cielo della Liverpool universitaria.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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9. And I don't want the world to see me


La signora Johnson era una casalinga e, come la maggior parte delle donne che avevano scelto di non lavorare per occuparsi della famiglia, il suo hobby era cucinare. Nei vent’anni trascorsi in casa aveva sperimentato le ricette culinarie più comuni, strane e ricercate del mondo, trovate un po’ a caso su delle riviste oppure passate dalle amiche del quartiere. Erano istruzioni che a volte aveva seguito alla lettera, mentre altre le aveva modificate in base al suo gusto personale o a quello di suo marito e dei figli. Anche se in ogni pietanza trasmetteva un carattere particolare sviluppato con l’esperienza e la passione, niente raccontava di più di un piatto della tradizione del Sol Levante. Erano già trascorsi più di trent’anni da quando Yuki Sasaki, questo era il suo cognome da ragazza, aveva ufficializzato Liverpool come residenza e aveva appreso le basi della cucina britannica e occidentale, tuttavia quei nuovi sapori non erano in minima parte paragonabili a quelli della sua terra natia.
Quando il senso di nostalgia diventava troppo pesante da sopportare, Yuki compensava quella mancanza con le pietanze della sua infanzia, quindi saccheggiava la dispensa del reparto nipponico dell’alimentare asiatico più vicino e per quattro o cinque giorni in casa Johnson si mangiava esclusivamente con le bacchette, anche a colazione. Era un regime alimentare difficile per gli uomini della sua vita, troppo abituati al palato europeo, ma loro non le avevano mai impedito quel tuffo nel passato. Sapevano quanto le mancasse il Giappone, dunque la lasciavano fare e sopportavano quell’immersione totale trimestrale fino al mese di vacanza a Osaka che ogni anno facevano.
La signora Johnson si passò una mano sulla fronte sudata. La piastra per i takoyaki era rovente e, a giudicare dallo sfrigolio della pastella e dal vapore che si levava dalla griglia, era venuto il momento di girare quei mezzi dischetti di cibo che sarebbero presto diventati delle polpettine. Dopo aver versato dell’altra pastella per ricoprire i pezzi di verdura e polipo, con due spilloni iniziò a girare le palline, una alla volta, assicurandosi che non fuoriuscisse nessun ingrediente dallo stampino.
Quello era il quarto stampo che faceva. Ormai aveva preparato takoyaki a sufficienza per tutta la famiglia e magari anche qualche ospite, non proprio inatteso. Erano settimane che Irina non consumava più un pasto in casa loro e Yuki cominciava a sentirne la mancanza. Quella ragazza era stata una ventata di aria fresca nella loro quotidianità sin dal suo arrivo, soprattutto perché era diventata in poco tempo amica del figlio più piccolo e l’aveva tirato fuori dall’isolamento in cui Thomas si era costretto, i kami soltanto sapevano il perché. In ogni caso, tutti in famiglia stravedevano per Irina e, visto che era passato troppo tempo dall’ultima volta che era stata da loro a cena, urgeva invitarla quella sera stessa.
Prima, però, doveva chiedere il parere ai due uomini della casa, anche se sapeva che non avrebbero mai detto di no alla vicina. E caso volle che ne incrociò uno scendere le scale non appena lei mise la testa fuori dalla cucina.
- Tesoro, eccoti, avevo giusto bisogno di te! – salutò lei il marito, lanciandogli uno di quegli sguardi che preannunciavano una strana richiesta, ma che non poteva essere rifiutata.
- Cosa c’è? – domandò Richard, massaggiandosi la fronte. Sinceramente, non si era accorto dell’espressione furbetta che aveva assunto Yuki: quel gesto era dovuto alla stanchezza della giornata di lavoro. Doveva consegnare un progetto a breve e, per finirlo in tempo, ci stava lavorando anche a casa. Aveva il cervello fuso, ma doveva andare avanti. Sperava soltanto che la richiesta di sua moglie fosse di aiutarla a rimettere la piastra nell’armadietto in alto della cucina o di aprire un barattolo di sottaceti, insomma qualcosa che avrebbe speso poco tempo a fare, in modo da poter tornare nel suo studio al piano superiore e continuare il lavoro.
- Ho preparato abbastanza takoyaki da poter sfamare la Marina Britannica, quindi ci serve qualcuno che ci aiuti a finirli. Possiamo invitare Irina a cena? – e Yuki passò alla faccia supplicante, quella che assume di solito un bambino quando chiede ai genitori un cucciolo in regalo per Natale.
- Irina a cena? Ma certo, tesoro, non c’è neanche da chiederlo. In effetti, è da tanto che non viene a trovarci… - rifletté Richard ad alta voce.
- Ottimo, allora la vado a chiamare adesso, prima che i takoyaki si raffreddino. Nel frattempo, potresti apparecchiare?
- Come, io, apparecchiare? Ma tesoro, ho un progetto da finire e… Non potrebbe occuparsene Thomas? – il marito cercò di opporsi alla decisione della moglie, ma vide crollare ogni sua speranza quando la donna incrociò le braccia, chiuse gli occhi e scosse la testa.
- No, il nostro ragazzo è via da questo pomeriggio e non so a che ora torna. Ma appena gli dico che ci sarà Irina a cena, vedrai che si catapulterà a casa.
- Forse sei troppo fiduciosa nei confronti di nostro figlio.
- Sarà, ma vedrai che andrà così. Thomas non si lascerebbe mai scappare un’occasione per stare in compagnia di Irina. – spiegò Yuki. – Io credo che tra loro due ci sia del tenero. Dovrebbero solo smetterla di essere così testardi e ammetterlo. Sarebbero una bella coppia, non trovi?
- Non lo so, ho seri dubbi che potrebbe funzionare. – ammise Richard, uccidendo all’istante ogni fantasticheria sentimentale della moglie su di una eventuale relazione tra loro figlio e la sua migliore amica.
- Vedremo chi ha ragione. – concluse la donna, piccata dalla rivelazione del marito, e con fare indignato uscì dalla porta d’ingresso per andare a invitare a cena la vicina.
 

Anche se il ristorante Red Wine era situato nella zona del porto, aveva comunque un’atmosfera elegante ed intima, l’ideale per un primo appuntamento o una cenetta romantica. Le pareti rosso fuoco erano debolmente illuminate da basse lampade a stelo che sormontavano i singoli tavoli, creando un’atmosfera da sogno per le coppiette, le quali si stringevano sui divanetti in similpelle attorno ai muri, gustando i piatti ordinati e sussurrando allegramente nell’orecchio del compagno.
Hannah si sentiva a disagio in mezzo a tutto quell’amore: ogni gruppetto sprigionava calore e complicità, tuttavia lei e il suo accompagnatore non si stavano dimostrando così affiatati come tutti gli altri frequentatori del locale. Da un lato preferiva che andasse così, perché si sarebbe imbarazzata troppo se le distanze tra lei e Thomas si fossero accorciate, ma dall’altra parte non le sarebbe dispiaciuto un po’ di sano romanticismo. Benché il ragazzo le aveva mostrato il suo lato tenero fino all’entrata nel ristorante, adesso era ritornato schivo come durante le prime uscite. Si domandò se anche lui si trovasse inadeguato in pubblico.
- Forse dovevamo venire più tardi. – disse il ragazzo, interrompendo il silenzio che si creato al loro tavolo.
- No, va bene come orario. Anzi, è perfetto, così non finiamo di mangiare tardi e possiamo rincasare presto, visto che domani mattina abbiamo lezione tutti e due. – giustificò Hannah, parlando in fretta per l’emozione. Era tesa, si capiva benissimo.
- Sì, hai ragione. – concordò il moro, quindi chiuse il menu che stava leggendo e lo appoggiò sulla tovaglia. La ragazza si stupì della velocità con cui il suo cavaliere aveva scelto cosa mangiare, al contrario di lei, che non sapeva neanche dove guardare. Era la loro prima vera cena in pubblico come coppia e non voleva sfigurare ordinando piatti troppo elaborati o troppo semplici. C’era poi la questione se prendere carne o pesce. Hannah non aveva una preferenza, però al suo accompagnatore poteva piacere più la carne che il pesce o l’incontrario. Oppure era uno di quei vegetariani o vegani incalliti. Poteva anche avere intolleranze alimentari, per esempio ai crostacei o ai pomodori, per quello che ne sapeva lei. In effetti, non avevano discusso questo tema, che considerava di notevole importanza per un’uscita a cena. Insomma, cosa avrebbe dovuto preparargli se una sera lo avesse invitato nel suo appartamentino nello studentato?
- Qualcosa non va? – Hannah sussultò quando udì la sua calda voce mascolina, infrangendo i suoi pensieri. Abbassò la carta e scorse un bel ragazzo (il suo bel ragazzo, ancora non ci credeva) che la scrutava. Non poté fare a meno di arrossire.
- Ecco, mi stavo chiedendo se tu avessi qualche allergia alimentare. – aveva le guance che le bruciavano, da quanto era imbarazzata. Le allergie erano un dettaglio estremamente personale: esserne a conoscenza era come sapere il punto debole di una persona.
- No, nessuna. Non sono nemmeno un tipo schizzinoso: mangio di tutto. – rispose lui, come se niente fosse. La ragazza sbatté le ciglia un paio di volte, giusto per rendersi conto che Thomas non si era fatto problemi ad essere sincero con lei e che soprattutto non era stato sgarbato nei suoi confronti. Le venne in mente quella volta in prima elementare che aveva offerto un biscotto fatto in casa ad una bambina con la quale voleva fare amicizia e alla scenata che aveva fatto perché era intollerante al glutine. La piccola Hannah ci era rimasta così male che da quel momento si tenne sempre a debita distanza dalla bambina.
- Adesso a cosa stai pensando? – le chiese lui, notando che la ragazza era sprofondata nel silenzio ancora una volta. Di solito apprezzava le compagnie silenziose, ma c’era qualcosa nell’atteggiamento di Hannah che lo agitava. Poteva essere il fatto che stringeva con tutte le forze la copertina del menu fino a sbianchirsi le dita, lo sguardo abbassato e velato di tristezza, oppure il labbro che si stava mordendo a sangue. Indubbiamente qualcosa la turbava.
- Niente di importante, soltanto ad una cosa successa anni fa. – e iniziò a raccontare per filo e per segno la sua disavventura delle elementari. Non omise nessun particolare, nemmeno cosa aveva provato quando quella bambina l’aveva attaccata. Non aveva mai detto a nessuno di quell’aneddoto, però le fu semplice aprirsi con Thomas. Lui non la stava guardando come se fosse pazza, come si sarebbe aspettata facesse una persona come Connie, ma era sinceramente interessato. La stava ascoltando.
- Che bambina odiosa! Hai fatto bene a non rivolgerle più la parola. – commentò il ragazzo, quando lei terminò di parlare. Allungò una mano sul tavolo e afferrò una delle sue. – Non aver mai paura di dirmi qualcosa, qualunque cosa. Io non ti tratterei mai così.
 

Irina aprì lo sportello del frigo, poco fiduciosa di trovarci all’interno qualcosa di ancora commestibile che potesse preparare per cena. Infatti la prima occhiata di perlustrazione non diede buoni frutti. Di solito teneva un paio di scatole di prodotti surgelati da consumare nei casi di emergenza, ad esempio quando non aveva tempo di fare la spesa o non le andava di cucinare, però tra gli scomparti non ne trovò nessuna. Sconsolata, richiuse l’elettrodomestico. Non era troppo tardi per correre al discount più vicino, ma ormai si era già messa le pantofole e non aveva voglia di rimettersi le scarpe per uscire e inzupparsi un’altra volta sotto la pioggia. Sicuramente l’opzione “morire di fame” non era contemplata, quindi vedeva come unica soluzione il cibo da asporto.
Si diresse dunque nell’ingresso. Aprì il cassetto sotto il mobiletto del telefono, dove aveva raccolto tutti i menu take-away della zona, ed esaminò accuratamente i pieghevoli che conteneva. Non aveva voglia di cucina etnica né di fish and chips, magari di una pizza, però da sola non ne riusciva a finire una intera. Avrebbe potuto mangiare gli avanzi il giorno dopo, ma la pasta riscaldata non le piaceva. Se non aveva voglia di mangiare niente, forse era il caso di saltare la cena. Però sua mamma le aveva sempre detto di non andare a letto a stomaco vuoto…
Stava ancora discutendo con se stessa su cosa fare e su dove ordinare, quando il campanello trillò. La ragazza alzò gli occhi dai volantini per fissare la porta, alquanto confusa. Erano le sei e mezza di mercoledì sera, nessuno sano di mente o con buone intenzioni l’avrebbe disturbata a casa sua a quell’ora! Una persona sana di mente avrebbe prima avvisato con un messaggio sul cellulare o una chiamata veloce. Ma a ben pensarci, c’era un ragazzo capace di fare una cosa del genere: il vicino, Thomas. Irina già se lo immaginava, appoggiato allo stipite della porta, che aspettava impaziente sotto la pioggia per chiederle, anzi ordinarle in tono scocciato, di cenare a casa sua e poi andarsene senza aspettare risposta. Al solo pensarci, le passò la voglia di aprirgli la porta. Però stava morendo di fame e l’idea di scroccare un’ottima cena dai vicini l’allettava. Afferrò dunque il pomello della porta.
- Si può sapere che diavolo vuo… Oh, signora Johnson, che piacere vederla! – la ragazza strabuzzò gli occhi. Era già pronta a prendere a male parole il suo giovane vicino, considerato l’alto livello di educazione che lui le aveva riservato nei giorni precedenti, invece davanti si ritrovò sua madre. Che cosa insolita.
- È un piacere anche per me, cara. Come stai? È da tanto tempo che non ci vediamo, immagino tu sia stata molto impegnata con l’università. Ti va di venire a cena da noi stasera? Ho cucinato i takoyaki.
- A cena? Sì, certo, vengo molto volentieri. – Irina era confusa: questa era la prima volta che la signora Johnson si scomodava di persona per invitarla a casa sua. Solitamente era Thomas il messaggero. Forse quel lunatico si era rifiutato di adempiere al suo solito compito. La cosa non la soprese più di tanto: erano già alcuni giorni che lui la stava evitando, per quale motivo non lo sapeva. Sapeva solo che avrebbe dovuto affrontarlo dopo il pasto e chiarire qualunque offesa lei gli avesse involontariamente arrecato. Dopo la serata al Net, infatti, non erano successi altri casini tra loro due e la ragazza non si spiegava cosa gli avesse fatto di male per meritare il suo silenzio.
- Benissimo, allora ti aspettiamo. – Yuki si inchinò, da vera giapponese qual era, e tornò nella sua villetta.
Irina osservò la donna allontanarsi verso il cancello. Era ancora incredula per ciò che era appena capitato. Era un sogno, sì, sicuramente. Non c’era altra spiegazione possibile. Ancora sotto shock prese il cappotto e, senza infilarselo, chiuse la porta di casa dietro di sé. Fece qualche passo nella notte e, appena avvertì le gocce di pioggia bagnarle i capelli, si ricordò che aveva ancora la giacca in mano. In tutta fretta la indossò e si coprì la testa col cappuccio, ma ormai era fradicia. Non le restava altro da fare che pregare di non ammalarsi.
 

- Prego, entra. – Yuki la invitò cortesemente a portarsi nell’ingresso dell’abitazione dei Johnson prima di lei, la padrona di casa. Irina la fissò sbalordita, ringraziò e con fare titubante fece ciò che le era stato detto. Non era abituata a ricevere un simile trattamento: era colpa di Thomas che non l’aveva mai trattata con galanteria, però quei modi spicci di fare l’avevano sempre fatta sentire parte di quella famiglia. Vedendo la gentilezza della signora Johnson, quell’atmosfera era sparita, dandole l’idea di essere un’ospite.
- Oh, hai tutti i capelli bagnati! Aspetta un attimo qui, per favore, che ti porto un fono per asciugarli. – Irina accennò un sorriso di ringraziando e osservò la donna sparire al piano di sopra. Si guardò intorno a disagio. La casa era troppo silenziosa per i suoi gusti. Dannazione, dov’era finito il suo amico?
- Eccomi! Mi sono presa la libertà di portarti una vecchia tuta di Thomas, così non starai con i vestiti bagnati per tutta la sera. Usa pure il bagno di questo piano per asciugarti e cambiarti. – e Yuki la condusse verso la porta che collegava la residenza al garage. Nell’anticamera di intermezzo alle due stanze, era stato ricavato un bagno con lavanderia. – Lascia i tuoi vestiti nel cestello dell’asciugatrice: li farò scaldare subito, così saranno pronti per quando avremo finito di mangiare. – la signora Johnson le diede le ultime istruzione, per poi andarsene in cucina.
Irina chiuse la porta a chiave, nel caso qualcuno di sua conoscenza non avesse mostrato alcun pudore nell’aprire l’uscio senza bussare, e si svestì. Prese in mano la felpa che le era stata data e la studiò. Aveva timore ad indossarla, per la reazione che il suo proprietario avrebbe avuto nel vedere un suo indumento addosso a lei. Tremò, ma dal freddo. Non era un buon momento per pensare al vicino: stava congelando. Si sarebbe di sicuro ammalata se non si fosse messa quella felpa. La signora Johnson era inoltre d’accordo che lei la indossasse, dopo tutto era stata proprio la donna a dargliela. Se Thomas avesse sbuffato, lo avrebbe fatto con sua madre, non con lei. Autoconvintasi, si infilò la tuta e si asciugò i capelli. Una volta pronta, uscì dal bagno e raggiunse la sala da pranzo.
Il signor Johnson era già seduto a tavola, al suo solito posto, e leggeva il giornale locale, come tutte le sere. Irina sapeva che quello era il segnale che lui aveva provato ad aiutare la moglie in cucina, ma che lei non aveva accettato e lo aveva spedito in sala da pranzo ad aspettare che la cena fosse pronta. La ragazza trovava che fosse una tenera abitudine e in qualche modo le ricordava i suoi genitori.
- Ciao, Irina. Accomodati pure! – la salutò Richard, non appena si accorse di lei.
- Buona sera, signor Johnson. Come sta? – chiese lei, mentre si sedeva al suo solito posto.
- Va tutto bene, grazie. Sono solo un po’ stanco per la progettazione di una nuova nave, ma è normale: è il lavoro. Tu, invece, come stai?
- Sto bene anch’io. Un po’ stanca per lo studio, ma è normale quando si è all’università. – finite le cordialità, il signor Johnson ritornò al giornale. Irina si guardò brevemente intorno, agitata. Era strano che in sala ci fosse solo il padre e non anche il figlio. Che il ragazzo non fosse in casa in quel momento? - Signor Johnson, dov’è Thomas? Da quando sono arrivata, non l’ho ancora visto.
- Thomas non cenerà con noi stasera. – rispose la signora Johnson, entrando in sala da pranzo con un vassoio carico di takoyaki. Appoggiò il cibo sulla tavola, poi si sistemò a sedere. Il suo sguardo sembrava chiedere scusa alla ragazza.
Ad Irina sembrò che il suo cuore avesse cessato di battere per un istante. Thomas non c’era e non ci sarebbe stato quella sera. Questo spiegava tutte le stranezze. Però non ne capiva il motivo. Thomas non cenava mai fuori, non gli piaceva. Dava l’impressione di non essere legato alla famiglia, ma in realtà ci era profondamente attaccato. Per nessuna ragione al mondo avrebbe saltato un pasto preparato da sua madre, soprattutto se era tipico della sua terra d’origine. Allora cosa lo aveva spinto a non essere presente? Era davvero per colpa sua, di Irina? Che cosa gli aveva fatto lei di così grave da volerla evitare a tutti costi?
Irina voleva piangere. Sentiva gli occhi umidi, pronti a rilasciare lacrime. Ma quello non era né il luogo né il momento giusto per lasciarsi andare al tumulto di sentimenti che la stava invadendo. Si fece forza e cercò di affrontare la serata più normalmente che poté. Si sarebbe sfogata più tardi, quando sarebbe stata sola, nella sua camera.








Writer's Corner:
Ciao a tutti! Finalmente sono tornata ad aggiornare ^^ Scusate se ci ho messo tanto, ma la vita aveva preso il sopravvento e, complice anche un lungo blocco dello scrittore, non è stato facile completare questo capitolo.
Da qui comincia una parte importante della storia: qualcosa si sta muovendo tra i due protagonisti e io non vi dico cosa XD Vi suggerisco solo di prepararvi al peggio! Non è vero, sto scherzando... o forse no. Vabbè, qualcosa sta arrivando.
Non prometto regolarità nei prossimi aggiornamenti, anche se il prossimo capitolo è in elaborazione. La vita sta prendendo il sopravvento un'altra volta e, finchè non passa la tempesta, altresì detta "università", non prevedo di avere il tempo e soprattutto le forze per la scrittura creativa nell'immediato futuro. Comunque non ho intenzione di abbandonare questa storia: è molto importante per me e ci penso sempre. Vi chiedo solo di portare un po' di pazienza.
Vi ringrazio con tutto il cuore per aver letto.
Spero di sentirvi presto.
Alla prossima ^^

 
   
 
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