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Autore: Makil_    22/05/2017    10 recensioni
In un territorio ostile in cui la terra è colma di intrighi e trame nella stessa quantità con cui lo è dell'erba secca, il giovane ser Bartimore di Fondocupo, vincolato da una promessa fatta al suo miglior confidente, vedrà finalmente il modo per far di sé stesso un cavaliere onorevole. Un torneo, un'opportunità di rivalsa, una guerra ai confini che grava su tutte le regioni di Pantagos. Quale altro momento migliore per mettersi in gioco?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
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Glossario della terminologia relativa alla storia (aggiornamento continuo):

Patres/Matres: esperti, uomini e donne sapienti indottrinati da studi all’Accademia. Ogni regno ne possiede tre, ognuno dei quali utile a tre impieghi governativi.
Accademia: ente di maggiore prestigio politico a Pantagos, vertice supremo di ogni decisione assoluta. Da essa dipendono tutti i regni delle regioni del continente, escluse le Terre Spezzate che, pur facendo parte del territorio di Pantagos geograficamente, non  sono un tutt’uno con la sua politica. Il Supremo Patres è la figura emblematica della politica a Pantagos, al di sopra di tutto e tutti.
Devoti: sacerdoti del culto delle Cinque Grazie (prettamente uomini), indirizzati nello studio delle morali religiose alla Torre dei Fiori, nelle Terre dei Venti.
Fuoco di Ghysa: particolare sostanza incolore e della stessa consistenza dell’acqua, la cui unica particolarità è quella di bruciare se incendiata.
Le Cinque Grazie: principali divinità protettrici del sud-ovest di Pantagos, proprie di molti abitanti delle Terre dei Venti e della Valle del Vespro. Tale culto prevede la venerazione di quattro fanciulle e della loro madre. 
Tanverne: enormi bestie dotate di un corpo simile a quello di giganteschi rettili, abitanti il territorio di Pantagos.
Y’ku: titolo singolare dell’isola di Caantos, nelle Terre Spezzate, il cui significato è letteralmente “il più ricco”. Il termine “y’ku” s’interpone tra il nome e la casata nobiliare di un principe dell’isola, posto a determinare la sua ascendenza nobile.
Incantatori: ordine giurato unico del continente di Pantagos. Si tratta a tutti gli effetti di un gruppo di sapienti  in cui sono raggruppati guaritori, speziali, alchimisti e finanche stregoni – benché in molti, e nel popolino nello specifico, non credano a questo genere di arti. La sede degli incantatori è la Gilda degli Incantatori, altresì detta Tempio Bianco, sulla Collina di Burk, a Fondocupo. 
Castellano: figuro (molto spesso un esperto) incaricato di reggere, in vece del sovrano al quale è subordinato, un altro regno, un piccolo borgo o una cittadina appartenente all'uomo cui giura lealtà. 

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Bart ed Esmerelle erano già ai loro posti sugli spalti quando le successive giostre ebbero inizio. Le panche erano piene di uomini immersi in chiassose chiacchiere ed acclamazioni inutili. Era stata una fortuna per i ragazzi ritrovare il loro posto sullo stesso spalto ad ovest. Quel giorno, la folla era aumentata notevolmente e il cielo si era ingrigito fin troppo.
Quando l’araldo annunciò per la prima volta i due sfidanti, tutti si rizzarono sulle sedute, Bart compreso.
«Sua signoria Darrick di casa Sunfall, signore di Baia della Cometa, ed il principe Wictor di casa Wyndwat, da Canto della Bufera!»
I due sfidanti entrarono insieme, accolti dai boati e dagli elogi degli spettatori affamati di quel gioco di lance. Bartimore venne colto da un momento di rabbia per non aver potuto confrontarsi in persona con Wictor, nel campo.
«È lui?» chiese Esmerelle che probabilmente aveva notato il furore nel volto di Bart.
Il ragazzo annuì.
«Perderà lo scontro e pure qualche arto, se le Grazie ti vogliono bene. Vedrai.»
Bart le sorrise. Wictor aveva indossato la stessa armatura che calzava il giorno in cui si erano sfidati nella coda. Le sue spalle possenti, il suo volto sagomato e i suoi capelli lucidi erano messi in ombra dallo splendore di quell’acciaio luccicante. L’armatura del giovane principe rifletteva con chiarezza i raggi del sole e li rifrangeva contro il suo avversario. Darrick, invece, vestiva una lunga stola verde sopra l’armatura scura e rigata dal tempo. Il suo esile corpo faceva su e giù dalla sella, mentre il suo stallone color sabbia trottava per il campo agitando il capo fiero. Il signore di Baia della Cometa era sorridente e tubava con ogni fanciulla presente nella prima fila degli spalti, regalando lodi e sorrisi smaglianti.
Il suono della tromba li riportò ai loro posti, nord e sud, ognuno con gli occhi incrociati verso lo sguardo dell’altro. Wictor si fece porgere il suo elmo da uno degli stallieri e lo calzò con forza sul cranio, il lungo pennacchio appuntito ondeggiante sulla sua testa. Darrick richiamò il suo giovane scudiero, il quale corse verso di lui con il grosso elmo sottobraccio. L’esile signore calzò l’elmo con grazia e delicatezza, poi si sistemò lo scudo al braccio e raggirò tre volte l’asta nella mano destra.
Nessuno squillo annunciò l’inizio della giostra. Entrambi gli avversari partirono prima del previsto, scuotendo con forza le briglie dei loro destrieri furibondi. Avevano tutt’e due gli occhi solcati da linee di furore ed entrambi stringevano i denti sotto gli elmi. Darrick superò in velocità il suo avversario e raggiunse per primo la metà della lizza. Le aste cozzarono dopo qualche secondo, andandosi a schiantare l’un l’altra contro le armature dei nobili. Nessuna delle due si spezzò e nessuno dei due cadde da cavallo. Proseguendo per le strade inverse, ambedue fecero girare i cavalli e si puntarono nuovamente. Corsero, si schiantarono. Darrick incespicò un momento, ma mantenne la presa sulle briglie con una forza straordinaria che Bart non aveva pensato potesse avere. Wictor non venne scosso minimamente dalla botta.
Un’altra volta tornarono alle postazioni di nord e sud e un’altra volta caricarono. Alzarono le aste, le abbassarono, le rialzarono e le portarono ai fianchi. Corsero e si scontrarono con ardore. Wictor si lasciò sfuggire un urlo di rabbia prima di caricare con più forza verso l’avversario e si spinse in avanti sul dorso del cavallo, l’asta che puntava verso l’avversario come il pungiglione di un’ape. Dall’altro lato, Darrick strinse con saldezza l’asta e le briglie e puntò chiaramente alla spalla del principe di Canto della Bufera. L’assalto fu dolorosissimo. Darrick venne colpito al petto con una forza distruttiva, ma il reggersi al collo del suo destriero non gli fece perdere l’incontro. Wictor invece ricevette uno sbalzo dalla sella per il forte rinculo della sua stessa asta e venne spintonato brutalmente all’indietro. La forza che impiegò Darrick nel spingergli contro l’asta, prima che questa gli sfuggisse di mano e andasse a rotolare nel terreno, lo mandò a schiantarsi altrove insieme all’arma. La folla si sollevò dagli spalti, le loro voci innalzate dalla potenza dello strombettio dell’araldo. Wictor urlava frasi sconnesse tastando il terreno con le mani fradice di fango, mentre Darrick Sunfall, tornato ridente ed ilare, trottava compiaciuto dalle numerose acclamazioni che lo sostenevano.
Bart vide il furore nascere nei lineamenti di Wictor, ma il ragazzo trattenne per sé la rabbia. Il suo scudiero venne nel campo a trascinarlo per le braccia verso fuori, ma lui si rialzò in piedi e gli urlò contro di tagliarsi le mani e la lingua. Poi abbandonò l’arena senza neppure salutare l’avversario o concedere un sorriso al suo pubblico.
«Contento, Bartimore?» chiese Esmerelle. Il ghigno sulle labbra della ragazzina bionda era pungente.
Bart si era reso conto di aver gioito per la caduta di Wictor: una cosa che, a Sette Scuri, non avrebbe mai pensato di fare. “Non entrava negli onori di un cavaliere” si disse. “Eppure, ora, dove ho messo gli onori?”
«Sarei un mostro se ti dicessi di no. Avrei voluto essere al posto di Darrick Sunfall. E avrei voluto che Wictor perdesse più che il solo incontro.»
Esmerelle stava per aggiungere qualcos’altro, ma la sua attenzione fu attirata altrove.
«Sua signoria Baldon della casa Doradon, signore di Casmellor, e sua signoria Lower della casa Standrom, signore di Sogno di Sabbia!» annunciò l’araldo. Esmerelle si rabbuiò non appena sentì quel nome e si voltò senza proferire un’altra parola. Con la mano stretta attorno allo schienale della panca, prese posto accanto a Bart e rimase silenziosa.
«Vedrai che lui sarà il prossimo a cadere.» le disse. Lei non rispose, evidentemente a disagio.  
I signori trottarono lungo la lizza nei due sensi inversi e si esibirono in una serie di inchini fin  troppo formali. Entrambi non aveva la loro asta, ma reggevano soltanto uno scudo nello stesso braccio con cui trattenevano le briglie. I loro destrieri erano entrambi grigi, ma quello di Baldon Doradon era un po’ più piccolo dell’altro, e molto più magro, schiacciato, peraltro, dal peso della possente armatura che calzava il suo signore. Baldon era un uomo dal viso asciutto, gli occhi glaciali e una lunga chioma di capelli grigio chiaro che portava legati all’indietro in una piccola treccia. L’armatura era coperta da una mantella dal collo peloso che gli ricadeva dietro le spalle, in parte ornata da gioielli in diamante. L’uomo era detto da tutti l’Inginocchiato, in quanto i suoi figli e gli uomini di cui si circondava amavano far conoscere agli sconosciuti la profonda devozione che egli aveva per le Grazie e l’immenso interesse con cui le pregava ogni giorno. Non c’erano calli sulle sue ginocchia, però, a detta di tutti coloro che davvero lo avevano indotto a piegarsi ai loro piedi; un’altra cosa che il signore in questione non sapeva evitare. Eppure, a quanto parve, l’ausilio divino non gli era servito a molto in quella giostra: il caso aveva voluto che si scontrasse con un uomo alto il doppio e muscoloso il quadruplo. Lower Standrom era, infatti, un colosso di pietra vestito da capo a piedi di acciaio robusto e scuro, una montagna dalle pendici fatte di lussuria, ricchezza e spavalderia; arroganza, possanza e fierezza. Le enormi spalliere e la possente placca pettorale della sua armatura risaltavano sugli altri pezzi, conferendogli un aspetto minacciosamente forte. Il suo viso era solcato da ferite e cicatrici di guerra, una talmente tanto lunga da passargli per l’occhio bianco e concludersi sul suo collo taurino. I due avversari si posizionarono l’uno di fronte all’altro, mentre i loro scudieri si affrettavano a passargli le aste di legno e i loro elmi. Baldon coprì il capo con un gesto irrilevante, facendo più attenzione alla presa sull’asta. Bart vide che si preoccupò di incastrare l’estremità finale nella giuntura dell’armatura. Un trucco che Dalton gli aveva suggerito molte volte, ma che spesso avrebbe potuto rilevarsi anche disastroso se il cavallo fosse stato colto da un improvviso impulso di rabbia o se semplicemente fosse caduto a terra. “Spero almeno che l’abbia messa bene” pensò “Un piccolo passo falso e l’asta si conficcherebbe nella sua spalla prima che in quella di Lower”.
Dall’altra parte, il signore di Sogno di Sabbia indossò il suo elmo con le due enormi borchie ai lati, simili alle corna di un cervo. Dopo aver dato un paio di scosse alla sella e al suo cavallo gagliardo, Lower Standrom afferrò con la destra l’asta e la posizionò parallela al terreno.
Uno squillo, una successione di applausi, e poi il furioso ticchettio delle bestie in corsa.
L’uno più concentrato dell’altro, i due avversari avanzarono rapidamente contro. Nella folla la tensione era palpabile: quella era la prima quintana in cui gli spettatori mantenevano il silenzio. La stessa Esmerelle rimase seduta, immobile, a prestare maggiore attenzione all’esito della giostra più che alle azioni degli sfidanti, la tensione e la rabbia divenute evidenti nei lineamenti ossuti del suo volto magro.
Baldon Doradon caricò contro Lower Standrom per la seconda volta. Bart lo vide correre e staccarsi lentamente l’asta dallo spazio incavo dell’armatura in cui l’aveva inserita. I due puntavano entrambi allo stesso obiettivo: il loro petto. Quando si scontrarono, il rumore che l’impatto produsse fu terribilmente spaventoso. Baldon fu spinto all’indietro, ma si resse saldamente alle briglie. Il suo cavallo s’impennò, nitrì e scalciò. Lower Standrom tirò verso sé le briglie, rallentando lo scontro, ma il suo cavallo non riuscì a sostenere l’azione, e fu spinto di lato. Si spinsero a nord e sud per la terza volta, e ancora tornarono indietro con la aste puntate l’uno verso l’altro. Il rumoroso scalciare dei cavalli di entrambi gli sfidanti si concluse con un nulla di fatto. I due si mancarono per bene tre volte di seguito, esaltati ad ogni modo dalla folla caotica. Continuarono a caricare l’uno contro l’altro, finché non fu il momento dell’ultimo vero e proprio scontro. Questo fu nuovamente spietato, e il suo colpo totalmente devastante. Baldon Doradon non si resse sul cavallo e, prima di volare via dalla sella, fu costretto a lasciare cadere  l’asta. Il vincitore Lower Standrom galoppò verso nord, prese la rincorsa, fece scalciare tre volte il suo destriero, e poi saltò sopra al corpo annichilito del perdente, inginocchiato davvero dinanzi a tanta spavalderia. Quando Lower Standrom si tolse l’elmo e fece per scendere dalla sella, Esmerelle si raddrizzò in piedi come animata da un’energia sconosciuta.
«Quell’uomo ha barato!» urlò portando fuori il petto. «Guardate! Guardate tutti! La sua sella non rispetta le regole!»
La folla sembrò non tenere conto di quelle parole, schiacciate dal tonare di tutte le altre ovazioni. Gli unici a guardare la sella furono Bart e un uomo grassoccio al suo fianco. In effetti, l’arcione possedeva delle giunture di cuoio che Lower Standrom stava segretamente sfilando dalle placche dell’armatura. 
«La ragazza ha ragione!» vociò l’omaccione. La sua voce era tonante, capace di prevalere sulle urla. «Quel tizio vuole imbrogliarci! Guardatelo, da quel cavallo non si può cadere! Ma per chi ci ha presi?»
Ad uno ad uno tutti i volti degli uomini presenti sugli spalti si voltarono prima sull’uomo che gridava quelle accuse, poi sul cavallo e sulla sella del vincitore.
«Imbroglione! Meschino! Fannullone!». La folla trasformò la propria voce in una sola. Alcuni lanciarono della frutta secca in campo, altri addirittura sassi, altri ancora, i più vicini, cominciarono a sputare.
Wolbert Dorran si alzò dal suo scranno, totalmente paonazzo in volto. Poco lontano dal palchetto, Baldon Doradon venne trasportato lontano dal suo scudiero, in direzione del suo padiglione.
«Lower Standrom!» vociò impettito il castellano. «Cos’hai da dire a tua discolpa? Sei stato colto in flagrante!»
L’uomo scese violentemente dal suo destriero, che scosse rapidamente il capo non appena fu libero da tutto quel peso. Lower Standrom si avvicinò bruscamente al palchetto del castellano, dinanzi ai volti raggelati di ogni spettatore. Perfino Esmerelle stava guardando fremente.
«Questo» disse l’uomo. La sua voce era rimbombante come poche. Alzò al cielo l’asta e la mandò a spezzarsi sul terreno; schegge grandi quanto il braccio di un bambino volarono via in tutti le direzioni del campo, e una di queste colpì in pieno volto Elmor Brasengard. Wolbert Dorran portò le braccia al petto. Sembrò sforzarsi a lungo per reprimere la rabbia – o per fingere di provarne un pizzico -  infine risedette accanto ai suoi due nobili. Gli sguardi interrogatori degli astanti cessarono di colpo. «Che il torneo riprenda!» si  vociò.
Lower Standrom, la bocca contorta in un’insolita espressione di disgusto, uscì dal campo senza neppure guardarsi attorno. Seppur contro la volontà del castellano, il pubblico sembrò spaventato a tal punto da rabbuiarsi in un gelido silenzioso. Fu solo dopo che Wolbert ebbe dato il consenso di procedere, dopo che gli squilli delle trombe ricominciarono come se nulla fosse successo, che gli spettatori si rianimarono. Un istante dopo parve addirittura che Lower Standrom e quel suo incredibile imbroglio non fossero mai stati su quel terreno. Per uniche prove inconfutabili di ciò rimasero, però, due piccoli gruppetti petulanti intenti a scambiarsi battutacce sul conto del signore di Sogno di Sabbia e la risata fragorosa di una fanciulla bionda, divertita non poco per l’umiliazione di un uomo che di forte aveva solo il corpo.
Gli scontri della giornata proseguirono con una certa rapidità, e videro protagonisti numerosi cavalieri ed altrettanti signori nobili. Nel particolare, la folla assistette con stupore alle migliori quintane degli ultimi anni, a detta di molti, che furono scenari di gioco per uomini di valore come l’anziano Finn Wotor, per cui il torneo era stato un espediente per allontanarsi, dopo anni, dal suo regno. Lemmon Cappa Rossa fronteggiò, invece, la possanza militare di Lewyn Deniavor, riuscendo ad avere la meglio sul giovane signore di Coppward. Lemmon aveva mantenuto la sua cupa severità durante tutto lo scontro, ma, fortunatamente, non aveva utilizzato i suoi soliti metodi di vittoria. Infatti, a detta di molti, la sua cappa non era certo rossa per l’imbarazzo, quanto perché il suo padrone amava intingerla nel sangue di tutti coloro che cadevano per mano sua. Bart fu costretto a dirsi che, molto probabilmente, da lì a poco quella cappa sarebbe diventata più rossa del previsto.
La monotonia degli scontri fu interrotta, ad un certo punto, da una voce tonante alle spalle di Bart.
«Ser Bartimore» sussurrò sommessamente. Fu come una disgustosa alitata a trascinare con sé il resto della frase. «Ti prego di seguirmi. È urgente.»
Bart si voltò verso l’uomo che lo chiamava. Si trattava di ser Mold, il grasso cavaliere della scorta di Ortys Wysler, vestito anche lui di un acciaio grigio che lo ingigantiva.
«Per quale motivo?» chiese Bart perplesso nel vederlo lì.
«Il mio signore mi manda a chiamarti, non posso dirti altro qui». Mold prese un profondo respiro e riuscì a fermare l’affanno che gli impediva di esprimersi con chiarezza. Il suo alito puzzava di vino e gocce di sudore gli colavano dalla fronte al naso arrossato. «Vuole parlarti in privato.»
Bart annuì e fece per girarsi verso Esmerelle, ferma a guardare lo scontro in atto nel campo.
«In privato» sottolineò in un misto tra un sussurro rauco e un rimprovero glaciale: parole che fecero rabbrividire inconsciamente Bartimore.
Senza che Esmerelle si accorgesse della sua scomparsa, Bart seguì ser Mold lungo tutti i gradini degli spalti, cercando di farsi spazio tra la folla urlante e i lamenti impacciati di un cavaliere grasso e fin troppo lento. 

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Note d'autore
Ciao carissimi! 

Purtroppo, il periodo che segue non è uno dei più propizi: lo studio sta occupando molto del mio tempo e, come se non bastasse, negli ultimi giorni un grave danno al mio portatile mi ha tenuto lontano da efp e dalla scrittura [stavo rischiando di perdere tutto il materiale...]. Come avrete notato, non solo non ho avuto tempo né modo di rispondere alle vostre recensioni (che ho letto tutte), ma non ho potuto nemmeno passare dalle storie che seguo con immensa curiosità. Mi scuso, dunque, con Morgengabe, con Fan Of The Doors e con Innominetuo. Per adesso dovrò utilizzare il cellulare, nella speranza che i problemi col pc si risolvano presto. 
Ma, inutili discussioni a parte, passiamo al capitolo: come preannunciato dalla voce narrante nel corso del cap. precedente, ecco i due scontri emblematici del torneo, almeno per i nostri due giovani. Cosa avete pensato di entrambe le dispute? E cosa avete provato nel vederle riuscire o fallire? Cosa pensate, adesso, di Darrick Sunfall, il già citato Principe Stellato? E cosa di Lower Standrom, il celebre assassino della famiglia di Esmerelle? Insomma, qual è il vostro punto di vista, adesso, in merito torneo? 
Nell'ultima parte, Bartimore viene destato dall'arrivo di una vecchia conoscenza: ser Mold. Ortys Wysler è tornato al campo di Roshby... cosa o chi sarà arrivato con lui? E, secondo voi, perché tanta urgenza da parte del grasso cavaliere?
Ribadisco i miei ringraziamenti a tutti voi; vi auguro una buona settimana! Il prossimo appuntamento sempre regolare - si spera [29 maggio], in cui grandi avvenimenti faranno la loro comparsa!
Makil_, 
   
 
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