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Autore: TwistedDreamer    22/05/2017    0 recensioni
«Cioè, fammi riassumere un attimo la situazione. Il famoso "punto" della questione è che Brian voleva solo scopare e tu ti sei innamorato?»
«Dom, perché nei tuoi riassunti io sembro sempre la ragazzina sedotta e abbandonata?»
«Perché lo sei, Matt!!! Sei una fottuta ragazzina! Come ti salta in mente di innamorarti di Brian Molko? Dopo che lui ti ha chiaramente intimato di non farlo, per di più!»
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Muse, Placebo | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5

«Ok.» sospira Dominic Howard rassegnato, «Raccontami il resto. Giuro che non ti interrompo più.»
Matthew Bellamy lo guarda inarcando un sopracciglio con aria scettica.
«Non fare promesse che non puoi mantenere.»
Dom ci pensa un po' su.
«Ok, diciamo allora che ti interromperò solo se non potrò proprio farne a meno.»

*

18 febbraio.
Matt entrò in garage con la macchina, spense il motore e premette il pulsante del telecomando per far chiudere la saracinesca. Afferrò il cellulare e le chiavi e fece per uscire, quando sentì il telefono vibrare nella sua mano. Si bloccò con un piede fuori dal veicolo e controllò il numero sul display prima di rispondere.
«Ti manco già?»
Una risatina nasale gli rispose dall'altro capo della cornetta.
«Ora non esageriamo. Dove sei?»
La sua voce. Quella voce…
«Sono appena rientrato, a dire la verità.»
«Che coincidenza, anch'io. Come mai non ti vedo davanti all'ascensore?»
«Perché ho appena parcheggiato in garage.»
«Mmh…»
Matt poté intuire un sorriso in quel verso. Brian aveva il dono di far sembrare oscena qualunque cosa uscisse dalla sua bocca. Sorrise anche lui.
«Che c'è?»
«Sai, non ho mai visto il tuo garage…»
«Vuoi venire a vedere il mio garage?» chiese perplesso, grattandosi la testa.
«Che numero è?» questa volta sentì la voce di Brian provenire dall'esterno, oltre che dalla cornetta.
«È il 21. Aspetta, vengo ad aprirti.»
Scese dalla macchina e andò alla porta interna che dava sul corridoio.
Dietro la porta, Brian lo aspettava inguainato nel solito cappotto nero che gli calzava a pennello, i capelli perfettamente in ordine, un trucco leggero in viso e un sorriso malizioso.
Era bello da togliere il fiato.
Matt sbatté un paio di volte le palpebre per cercare di recuperare un po' di lucidità. Doveva decisamente smettere di imbambolarsi quando lo vedeva.
«Ciao!»
Brian non si preoccupò di rispondere, sorridendogli ed entrando nel garage. Era piuttosto grande, per essere un garage nel centro di Londra, ed era invaso da una quantità spropositata di scatoloni, oltre a contenere le due auto londinesi di Matt: la Porsche e…
«… una Mini Cooper?» chiese Brian, incredulo.
Matt sorrise, mentre lo guardava avanzare con passo lento e cadenzato fra gli scatoloni. Ogni tanto si avvicinava a qualcosa, lo sollevava e poi lo rimetteva giù.
«Cercare di parcheggiare a Londra con qualcosa di appena più grande è un'impresa titanica.»
«Ci saranno macchine piccole più carine di quella… cosa! - si sentì rispondere, mentre Brian sollevava un'orrenda M di metallo che oscillava su una molla e gliela mostrava con aria di scherno.
«Molko, non far finta di intenderti di auto.» gli disse, raggiungendolo e togliendogli il premio dalle mani per riporlo nello scatolone "trofei" che ancora non aveva avuto modo di sistemare nel nuovo appartamento.
«Inoltre,» proseguì, «se proprio vuoi saperlo, al momento ne ho cinque, per cui ho smesso di preoccuparmi di trovare la macchina più bella in circolazione.»
Brian gli diede le spalle e continuò a vagare per il garage, senza meta, passando tra le due auto affiancate.
«Come se tu avessi mai avuto un grammo di senso estetico.»
Matt lo raggiunse da dietro, gli afferrò i fianchi e lo spinse contro lo sportello rosso della Mini Cooper.
«Se sono venuto a letto con te, un po' ce l'avrò, no?» gli soffiò nell'orecchio.
«Bellamy!» Brian si finse shockato, «Era un complimento, per caso?» continuò, spingendosi un po' all'indietro per assicurarsi di aderire al suo corpo.
Matt sorrise e abbassò la testa per insinuare il naso tra il collo del cappotto di Brian e la sua sciarpa.
«Solo un dato di fatto.» mormorò.
Brian emise uno sbuffo divertito e Matt sentì la sua mano muoversi all'indietro e insinuarsi tra le sue cosce, fino a fermarsi sul cavallo. Gli si fermò il respiro in gola, mentre percepiva un lieve sbilanciamento in avanti e poggiava entrambe le mani sul fianco della Mini, ai due lati di Brian, per evitare di perdere l'equilibrio.
«Brian…» espirò.
«Mmh?» si sentì rispondere con aria innocente. La mano cominciò a muoversi.
«… che…» non riusciva ad articolare, i suoi pensieri erano completamente assorbiti da quello che stava avvenendo in un posto ben lontano dal suo cervello.
«Dov'eri?» chiese casualmente Brian. La mano riuscì - con destrezza ammirevole - a sbottonargli i pantaloni.
Matt ci mise qualche secondo a capire che avrebbe dovuto rispondere.
Ma non aveva capito il senso della domanda.
La mano si insinuò dentro i pantaloni e lui inarcò la schiena istintivamente.
«… dove? … Cosa?» rantolò. Brian si divincolò un po' e riuscì a girarsi per fronteggiarlo. La mano scostò l'elastico dei boxer e si insinuò al loro interno. Era fresca, a contatto col suo calore che in confronto sembrava incandescente.
«Da dove rientravi?» ripeté Brian tranquillo, guardandolo negli occhi, come se fossero seduti tranquillamente davanti a una tazza di tè, «Ti ho cercato ieri, ma non c'eri.» buttò lì.
Verde. Era tutto verde. Cangiante. Non poteva continuare a guardare quegli occhi, ad ascoltare quella voce e a sentire quella mano - che nel frattempo continuava a muoversi - e cercare anche di rispondere. Era tutto… troppo. Così nascose la testa sulla spalla di Brian, vicino al suo collo, e strizzò gli occhi.
Dov'era stato?
«Teignmouth. Mia madre.» riuscì ad articolare.
«Mmmh. Peccato.» la mano lo accarezzava su e giù, leggera, «Ero passato da casa tua per giocare un po'.» continuò.
«Ah…» fu tutto quello che riuscì a replicare. E non era proprio sicuro che fosse una risposta e non un verso spontaneo. Quella dannata mano lo stava facendo impazzire. Si spinse ancora di più su Brian, per cercare più aderenza e sentì una risatina nell'orecchio. Il bastardo si divertiva.
«Brian!» ringhiò.
La risata si fece più piena, mentre la stretta si rafforzava e il ritmo della mano incalzava assieme al respiro di Matt.
«Quindi direi che potremmo giocare un po' stasera, che dici?» propose Brian.
Matt non era più in condizione di articolare un pensiero, figurarsi una risposta.
«Matt?» chiamò Brian, allentando la presa.
La sensazione di mancanza fu quasi una doccia gelida. Matt alzò la testa guardando Brian con aria spaurita.
Quello ghignò, leccandosi lentamente le labbra.
«Stasera. Dopo cena.» scandì, come se stesse parlando con un bambino un po' tonto.
Matt annuì, senza afferrare ancora del tutto i concetti. Non riusciva proprio a concentrarsi e quella lingua e quelle labbra erano state la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Si spinse ancora più avanti, così stretto che, se avesse voluto avanzare ancora, avrebbero dovuto fondersi, e lo baciò, accarezzando quella lingua impertinente con la sua e mettendola finalmente a tacere.
Brian riprese a muoversi e Matt si fece sfuggire un sospiro, mentre si lasciava andare tra quelle dita.

***
 
La truccatrice si sta affaccendando intorno a lui da più di mezz’ora per riuscire ad eliminare i segni degli ultimi cinque anni e a dargli l’aspetto fresco e riposato che i 37 gradi all’esterno e le troppe notti passate su un autobus gli impediscono di avere. Sono ancora le cinque del pomeriggio e i Placebo saliranno sul palco alle nove di sera, ma il festival gli ha imposto per contratto una serie di interviste che lo impegneranno per il resto della giornata. Il poster con la line-up dietro di lui si riflette nello specchio e lui vede al primo posto, allineati, i nomi delle band che faranno da headliner, con la suddivisione sui vari palchi. La programmazione dei due palchi principali è sfasata di mezz’ora e legge che i Muse suoneranno alle 21.30.
È stata pura fortuna evitare di incontrare Matt, prima. Ora si sente relativamente al sicuro, perché è certo che i camerini dei Muse siano molto lontani dal suo, ma non riesce comunque a rilassarsi. Pensa distrattamente che, oltre alla truccatrice, dovrebbe portarsi in tour anche una massaggiatrice, per farsi aiutare in momenti come quello.
«Fatto!» esclama Samantha, rimirandolo con un gran sorriso, come se fosse un’opera d’arte.
Brian le sorride e la ringrazia, proprio mentre Alex fa il suo ingresso nel camerino per comunicargli che è già in ritardo di 4 minuti sulla tabella di marcia; lui alza gli occhi al cielo e segue la sua manager nei meandri del backstage.
All’interno di un prato verdissimo, inaccessibile al pubblico, si stagliano una decina di padiglioni bianchi che ospitano divanetti e sorridenti intervistatrici pronte a registrare le risposte standard che Brian tirerà fuori.
La noia al pensiero di sopportare due ore di domande tutte uguali gli fa quasi dimenticare l’ansia di poter incontrare Matt da un momento all’altro, così che, quando vede un gruppetto di persone assiepato in lontananza, non si accorge subito di chi sia la persona che gli dà le spalle. È Dominic Howard a notarlo per primo e Brian lo vede affrettarsi a dire qualcosa a denti stretti all’uomo che gli sta di fronte, entrando immediatamente a far parte nella lista delle persone che sanno, che Brian sta compilando nella sua mente. Lentamente, Matt si gira e lo guarda.
Ogni fibra del suo essere si tende. I loro occhi si incastrano, anche a quella distanza, e il respiro di Brian si blocca da qualche parte a metà strada tra la gola e i polmoni. Riesce a distinguere perfettamente il blu intenso di quelle iridi piantate su di lui, riesce a ricordarne nel dettaglio le venature e le pagliuzze. Gli sono sempre piaciuti gli occhi di Matt, gli hanno sempre trasmesso una sensazione di… freschezza, come un respiro profondo ad alta quota. E non è solo il colore, no, è l’espressione che è limpida, genuina, che offre l’accesso ai recessi più profondi della sua anima. Tante volte, guardandolo negli occhi, ha provato l’impulso di scuoterlo, di dirgli di smettere di offrirsi così al primo che capita, che prima o poi qualcuno ne avrebbe approfittato, ma poi non l’aveva mai fatto, perché un discorso del genere avrebbe lasciato trasparire più interesse di quanto lui avrebbe mai ammesso di provare.
La necessità di mantenere una parvenza di controllo lo spinge ad alzare una mano in un cenno di saluto. Vede Matt sgranare gli occhi, incredulo e furente al tempo stesso, ma poi, come una secchiata d’acqua gelida, Alex lo richiama all’ordine e lo trascina nel padiglione alla sua destra, strappandolo a quel contatto e a quella comunicazione silenziosa.
Brian sbatte le palpebre per mettere a fuoco il mondo che lo circonda. Ha ancora in mente quell’espressione, quegli occhi impossibilmente blu che lo fissano con un misto di sbigottimento e accusa.

***

22 febbraio.
16.07
Bellamy, che fai stasera?
 
16.10
Scusa, Brian. Sto partendo per Los Angeles. :/
 
16.11
Ah, peccato.
 
16.15
Vuoi venire con me? :D
 
16.17
Sei completamente impazzito?
 
16.18
La speranza è l'ultima a morire. :P Saranno due settimane mooolto lunghe!
 
16.21
Vai a fare il padre anche tu, ogni tanto. Ci vediamo quando torni.
 

7 marzo.
Los Angeles, 12.33
Domani torno. Ritieniti impegnato per tre giorni. ;)
 
Londra, 20.45
Bellamy, capisco che la cosa ti possa sembrare assurda, ma io ho una vita e non ho intenzione di rinchiudermi in casa con te per tre giorni appena tu decidi che ne hai voglia.
 
Los Angeles, 12.48
Dai, sono serio.
 
Londra, 20.50
Anch'io. Domani ho un impegno.
 
Los Angeles, 12.51
Allora dopodomani? :)
 
Londra, 20.52
Dopodomani c'è Cody da me.
 
Los Angeles, 12.55
Perfetto, vengo a salutarlo così ci mettiamo d'accordo di persona.
 
Londra, 20.57
C'è bisogno che io ti dica che disapprovo completamente l'amicizia fra te e mio figlio?
 
Los Angeles, 13.00
Non essere ipocrita. Ci vediamo fra due giorni :D

 
***

Dopo l’ultima intervista del pomeriggio, Brian esce dall’ennesimo padiglione e, guardandosi intorno, tira un sospiro di sollievo: nessun Matthew Bellamy in vista.
Mancano ancora due ore alla sua entrata in scena e lui si avvia stancamente verso il suo camerino, dove lo attendono Cody e Steve in versione baby sitter. In quel momento si stanno esibendo i Kasabian, ma sono sull’altro palco, quello dei Muse, e Brian non rischia di uscire dal proprio territorio. Sa che sta solo rimandando l’inevitabile, ma non ha proprio voglia di affrontare una discussione con Matt sui perché e per come ha deciso di troncare la loro relazione, se di relazione si può parlare.
Non ha voglia di essere sincero.
Tra l’altro, Matt sembra aver smesso di tentare di chiamarlo e la sua espressione di poco prima non lasciava presagire niente di buono. Trattare con un Bellamy aggressivo è proprio l’ultimo tra i suoi desideri.
Evidentemente, il Fato o chi per lui non ha molto a cuore i suoi desideri, perché proprio davanti alla porta del suo camerino trova Matt pazientemente in attesa.
Jeans troppo larghi, un'anonima polo bianca e occhiali da sole ripiegati e appesi al colletto della maglietta, lo attende a braccia conserte, la schiena appoggiata alla parete bianca accanto alla porta d’ingresso in una posa troppo perfetta per non essere studiata.
Brian si congela sul posto, ma non c’è modo di invertire la rotta: ormai Matt l’ha visto. L’unica cosa che gli resta da fare è affrontarlo, quindi riprende a camminare, lentamente, come uno che ha tutto il tempo del mondo. Finalmente lo raggiunge. L’espressione di Matt non è affatto cordiale, ma Brian Molko, cascasse il mondo, non ha intenzione di cedere terreno. E l’attacco è sempre stato la miglior difesa.
«Bellamy! Che coincidenza incontrarti qui.» esordisce con un sorriso che non riesce a raggiungere gli occhi.
Matt inarca le sopracciglia i suoi occhi blu sono infiammati da stupore e rabbia.
«Molko!» quasi ringhia, «È una vera coincidenza, pensavo che fossi stato rapito dagli alieni.»
Il tono è ilare, ma Brian capisce che Matt è furioso.
Non l’ha mai visto così arrabbiato; anzi, pensava che una persona come Matt non si arrabbiasse mai, per lo meno non sul serio, perché davanti a tutte le sue provocazioni non aveva mai mostrato altro che una risata.
Brian valuta l’idea di rientrare in camerino, per avere Cody e Steve come rete di salvataggio, ma sa che rimandare ancora lo scontro sarebbe troppo.
Matt riprende: «Rispondere al telefono ogni tanto non ti farebbe venire l'orticaria, lo sai?»
Brian fa un sorriso tirato e distoglie lo sguardo, fingendo di controllare che non ci sia nessuno a portata d’orecchio. La verità è che non saprebbe cosa ribattere, perché qualsiasi risposta tradirebbe un coinvolgimento maggiore di quello che vorrebbe lasciare intendere.
«Potresti avere almeno la decenza di rispondere qualcosa ora!» incalza Matt.
«Che vuoi che ti dica, Bellamy? Dovevo partire e non avevo tempo di parlarne con te.»
«Non mi prendere per il culo.» sibila.
Ha ragione, ovviamente, ma Brian morirebbe prima di ammetterlo ad alta voce.
«Matt,» riprende con voce soave, girandosi di nuovo a guardarlo, «questa conversazione somiglia un po' troppo a una scenata. Sembra quasi che tu creda di avere dei diritti, come ad esempio sapere dove io sia o cosa io stia facendo. Ti ho già detto, tempo fa, che non siamo una coppia e che non lo saremmo mai stati, quindi tutte queste pretese te le puoi ficcare su per il culo. Mi andava di partire. Non mi andava di giustificarmi. Non volevo risponderti o richiamarti o, per quel che può valere, ascoltare i tuoi messaggi in segreteria. Mi dispiace se questo ti ha fatto preoccupare o rispolverare qualche teoria del complotto a cui non pensavi da tempo, ma questo è esclusivamente un problema tuo, e…»
«Brian.» lo interrompe, «Ti ho già detto di non prendermi per il culo. Tu sei chiaramente scappato perché le cose tra di noi stavano cambiando. Io l'ho capito e l'avrei anche accettato, ma tu l'hai capito e hai deciso di non parlarmi più. Bene, è un tuo diritto, puoi fare quello che vuoi, ma per lo meno avresti dovuto dimostrare la maturità dei tuoi anni e parlarmene, invece di fuggire chissà dove e rintanarti nel mutismo. 'Fanculo, Brian, hai dodici anni, non uno di più!» e con quest'uscita gira i tacchi e se ne va.

***
 
9 marzo.
Matt era nervoso. Non sentiva Brian da due giorni, perché non aveva voluto rischiare che tirasse fuori qualche scusa per evitare di vederlo. Quando gli aveva detto che sarebbe partito per Los Angeles si era aspettato che Brian facesse qualche battuta sull'astinenza forzata a cui lo condannava e invece aveva ottenuto una strana tranquillità. Non si erano più sentiti fino al momento di rientrare, intanto perché quando Matt andava in California veniva subissato da mille impegni e non aveva materialmente il tempo di restare in contatto neanche con sua madre, e poi, quando qualche sera si era ritrovato a pensare a Brian e avrebbe voluto mandargli un messaggio o chiamarlo, se lo era sempre impedito, perché sapeva che il destinatario non avrebbe gradito.
Poi, però, quando gli aveva scritto per annunciargli il suo ritorno, si era dovuto scontrare con un'ostilità che aveva creduto seppellita da tempo. Dal suo punto di vista, Brian non aveva alcun motivo per trattarlo con freddezza o cercare delle scuse per non incontrarlo, quindi magari la verità era semplicemente che aveva davvero degli impegni improrogabili.
Sospirando, suonò il campanello.
Sentì un gran fragore provenire dall'interno dell'appartamento e poi la porta venne aperta da un emozionatissimo Cody. Il sorriso del bambino si spense subito.
«E Angus??» gli chiese con espressione delusa, ancora prima di salutarlo.
Prima che Matt trovasse il coraggio di rispondere, una voce proveniente dalla cucina ammonì: «Cody, saluta!»
Quello lanciò un'occhiata semi-infastidita alle sue spalle e poi recitò cantilenando: «Ciao, Matt.»
«Ciao, Cody.» gli rispose sorridendo. «Sono appena tornato da un viaggio e quindi Angus è ancora da mia madre, dove l'avevo lasciato per il periodo in cui sono stato fuori.»
L'espressione del bambino si fece rassegnata.
«Ok…» disse con una vocina piccola, facendosi da parte per farlo entrare.
«Papà è in casa?» chiese Matt e Cody sollevò un braccio a indicare la cucina, mentre gli faceva strada.
Brian era seduto su un alto sgabello ed esaminava fogli su fogli con un'espressione concentrata e al loro ingresso alzò distrattamente lo sguardo per salutarlo.
Matt fu colto da un moto di irritazione. Non che si aspettasse che Brian gli facesse le feste, ma per lo meno un po' di considerazione al posto di quella finta indifferenza. Non riusciva proprio a capire cosa gli passasse per la testa e, sorridendo a se stesso, ammise che neanche le donne l'avevano mai messo così in difficoltà.
Quando Brian gli aveva proposto di "giocare" non aveva capito che volesse giocare a fare i dodicenni, pensò irritato, però se era questo che voleva l'avrebbe accontentato.
Si accomodò sullo sgabello di fronte a Brian e cominciò a parlare con Cody. Gli chiese della scuola, poi gli raccontò dei progressi che aveva fatto nell'educazione di Angus e gli disse che poteva passare a trovarlo ogni volta che avesse voluto. Nel frattempo, osservava Brian di sottecchi: faceva finta di ignorarli, ma i suoi fogli erano sempre nella stessa posizione e lui sembrava essere concentrato sempre sullo stesso rigo. Ad un certo punto, lo vide alzare la testa.
«Cody, ma hai finito i compiti?» chiese inquisitore. Il figlio lo guardò con aria colpevole.
«Ecco, allora vai, su, altrimenti te li trascini dietro fino a stasera!»
Il bambino sgusciò via dallo sgabello sospirando.
«Allora posso venire domani pomeriggio?» chiese a Matt.
«Certo,» gli rispose quello, sorridendo, «dalle quattro in poi dovrei essere a casa.»
Sul viso del piccolo passò l'ombra di un sorriso speranzoso.
«Ok!» esclamò; poi si girò e con un: «A domani…» sparì nel corridoio, in direzione della sua stanza.
Nel frattempo, Brian era tornato a scrutare le sue carte e gli chiese con aria annoiata: «Allora, Bellamy, cosa posso fare per te?»
Matt valutò e scartò subito l'ipotesi di una battuta a sfondo sessuale, optando per un po' di sincerità che, aveva notato, riusciva spesso a fare breccia in Brian.
«Intanto gradirei che tu smettessi di ignorarmi.» gli rispose.
«Non ti sto ignorando, Matt, ho da fare e te l'avevo detto.»
«Potrai anche dedicarmi qualche minuto. Ci mettiamo d'accordo e poi vado via. O vuoi forse farmi capire che il nostro accordo è scaduto?»
Brian finalmente alzò lo sguardo su di lui, poggiando la testa sul polso.
«Non lo so. Tu vuoi che scada?»
Matt inarcò un sopracciglio.
«Se volessi chiuderlo non sarei qui ora, non ti pare?»
«Non lo so…» fece Brian vago, «Non riesco a capire quanto possa essere vantaggioso, questo accordo.»
Matt si accigliò.
«Scusa, ma non hai ottenuto esattamente le condizioni che volevi?»
«Sì. Quasi. Più o meno.»
«Che intendi?»
«Niente…» lo liquidò Brian, tornando alle sue carte.
A Matt venne un’improvvisa voglia di prenderlo a schiaffi, ma si trattenne. Per essere sicuro che il suo corpo non prendesse decisioni avventate ed autonome, afferrò con forza il bordo della penisola.
«No, ora me lo dici.»
La sua voce tradiva un’irritazione che si stava trasformando in rabbia.
«È che vorrei poterci fare affidamento.»
Matt inarcò un sopracciglio, ma Brian, tutto intento a fingere di leggere, non se ne accorse.
«Cioè vorresti più di una semplice relazione sessuale?» lo incalzò, quindi.
Brian, finalmente, rialzò lo sguardo.
«No, ma vorrei poter essere sicuro che quando ho voglia tu ci sia.»
«Ma io ci sono!» protestò Matt, «È proprio per questo che sono qui adesso!»
«Beh, non ci sei se vai in America per due settimane ogni volta che io…» si interruppe, poi corresse: «…che ti va.»
Finalmente, Matt afferrò il nocciolo della questione e cominciò a sghignazzare.
«Che tu cosa?» gli chiese, lo sguardo acceso da una brillante ilarità.
«Niente, ho sbagliato.»
Brian tornò a guardare i suoi fogli. Matt scese dallo sgabello e fece il giro della penisola, per andare a trovarsi proprio accanto a lui, una mano sul fianco.
«Non hai sbagliato, hai ritrattato.» il suo sorriso era sempre più sornione.
«Non è vero. Smettila.» protestò Brian, irritato, agitando una mano verso di lui come a volerlo scacciare.
Matt gli passò le braccia intorno alla vita e poggiò il mento sulla sua spalla, con un sorrisetto di scherno.
«Mi vuoi forse dire che ti sono mancato?»
Brian fece un debole tentativo di divincolarsi.
«Neanche per sogno, Bellamy. Lasciami!»
«Mmh…» gli mormorò nell’orecchio «Non credo che lo farò.»
«Matt, lasciami sub…»
Brian si interruppe. Matt gli aveva preso il lobo tra le labbra e si stava spostando verso il retro dell’orecchio, nel punto di congiunzione col collo che, a quanto aveva capito, per Brian era un bottone di accensione, per così dire. Infatti lo sentì irrigidirsi e trattenere il fiato.
«Allora» gli mormorò, senza muoversi di un millimetro, «ci vediamo domani sera? Potrei anche farmi perdonare per queste due settimane di castità…»
Brian sospirò e mugugnò un verso che Matt decise di interpretare come un assenso. Spostò le labbra verso il collo e gli diede un bacio lieve, prima di allontanarsi. L’altro lo guardava con un misto di desiderio e accusa.
Ben ti sta, Brian, è un gioco che ho imparato da te, pensò.
«Allora ci vediamo domani.» gli disse, e si fiondò sulla porta, prima che l’altro avesse il tempo di replicare.
«Ciao, Cody!» gridò, con la porta già aperta. Sentì il bambino che gli lanciava un saluto e poi uscì.

 
*
 
«Mmmh.» mormora Dom, pensieroso.
«Che c’è?!?» gli chiede Matt, esasperato.
«Gli eri mancato?»
«Non proprio…»
«Ma ti ha fatto una vera e propria scenata di gelosia! Di quelle che fanno le donne!»
«Non era gelosia…» riflette Matt, «era più… un senso di possesso.»
«Possesso?»
«Sì. Brian era sincero quando diceva che non voleva una storia con me, niente sentimenti in mezzo, eccetera, però dal momento in cui abbiamo stretto quell’accordo ha cominciato a considerarmi una cosa sua. Il fatto che io mi fossi allontanato, che avessi frequentato altre persone, che non fossi stato disponibile quando voleva lui, l’ha mandato su tutte le furie.»
«Quel tipo ha dei problemi.»
«E non pochi!» conferma Matt, con un sorriso amaro.
  
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