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Autore: Jackthesmoker7    22/05/2017    3 recensioni
Ho cercato di scrivere una storia il più simile possibile agli episodi della serie TV, che dia alla serie una conclusione (p.s. La quinta stagione non conta qui).
Vedrete uno Slado mai visto ed una Stella che potreste vedere solo nei vostri incubi.
E Robin...
Vedrete
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Robin, Slade, Starfire, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il sole bucò lentamente l'orizzonte, giovando la città in rovina sotto di lui dei suoi freddi raggi di luce.
Robin era sveglio, e tentava di godersi la rinascita della sfera dorata dalle finestre della torre.
Non ci riusciva. Troppe cose a cui pensare.
"È ora di andare"
Si diresse verso il garage, raccogliendo nel tragitto le chiavi della sua nuova moto. L'aveva raccolta durante uno dei suoi giri per le strade, sotto un lampione, e da allora la usava per spostarsi. Non era come quella vecchia, però non si era danneggiata ed era veloce, il che era stupendo contando che viveva in una città distopica separata dal resto del mondo. Doveva solo fare attenzione alla benzina.
Raggiunse il pianterreno ed il garage della sua nuova moto. Era una splendida Kawasaki nera, che grazie alle sue modifiche ed alla tecnologia presa dalla torre poteva raggiungere i 200 km/h in dieci secondi. 
"Se solo i miei amici mi vedessero ora con questa bellezza" pensò mentre inforcava la sella, ma scacciò subito quel pensiero. Non aveva tempo per la malinconia.
Non voleva usare la Hellbat. Dall'ultima volta aveva deciso di usarla il meno possibile
Si piegò per raggiungere il casco che aveva appoggiato accanto alla moto. Quando si rimise dritto Cassie spuntò fuori ed entrò come un treno: << Fermo lì tu! >>
Robin alzò lo sguardo dal cruscotto: << Sì? >>
Cassie indossava gli stessi vestiti di quando l'ha tirata giù dal letto, ossia gli stessi del giorno prima, e probabilmente del giorno prima ancora, ed aveva i capelli disordinati che le sballonzolavano in testa come le zampe di un ragno ubriaco. Gli occhi erano scuriti da delle piccole occhiaie: << Non osare andartene così! Non puoi tirarmi giù dal letto mentre sto dormendo e pretendere di andartene immediatamente dopo avermi detto di... di... >>
Robin sospirò con rassegnazione: << E va bene, te lo ripeto. Io devo andare in un posto dove spero di trovare persone che ci possano aiutare con quella... >> disse alzando un dito ad indicare il cielo, ingiallito per via della barriera: << Quindi tu devi fare attenzione mentre non ci sono: non aprire la porta mai e poi mai, non gironzolare senza meta per la torre e soprattutto non fare casini. C'è una cucina al piano dove dormi, ho controllato ed è ancora piena.
Tornerò tra qualche ora. Ma se non succedesse devi premere...
<< Sì, sì, me lo ricordo questo. Me l'hai ripetuto fino allo sfinimento quando mi hai buttata giù dal letto a tradimento. >>
<< Allora non avrai problemi a ripetermelo >> disse il ragazzo con tono di sfida.
Cassie gli rispose allo stesso modo: << "Premere il pulsante rosso sulla console nella stanza grande per attivare la blindatura totale della struttura"; sì grazie, molto d'aiuto.
Quello che non capisco è perché mai vuoi andartene così all'improvviso, potevi almeno avvertirmi con un minimo d'anticipo! >>
Si era ormai avvicinata alla moto abbastanza da poterlo guardare negli occhi e, con un tono più contenuto, per dirgli cosa la innervosiva tanto: << Non mi piace restare da sola. >>
Robin intravide la paura negli occhi della ragazza, tanto che lei aveva cominciato a tremare: << Non preoccuparti >> le disse, accarezzandole i capelli per tranquillizzarla: << Tornerò prima di quanto pensi, e quando sarò di nuovo qui le cose miglioreranno. >>
Cassie si calmò un pochino: << Prometti? >> chiese, singhiozzando un poco.
Per un momento i due ragazzi non udirono alcun suono, tanto che sembrava che il tempo si fosse fermato. Il ragazzo non se la cavava bene con le promesse. Fu la voce di Robin a rompere il silenzio: << Prometto >>
Detto questo, Cassie si allontanò dalla moto. Robin mise la mano sulla leva dell'acceleratore, e si voltò per guardare in viso Cassie un'ultima volta. Poi mise la marcia e diede gas, schizzando fuori a razzo.
Robin sentì un sapore amaro salirgli in bocca.
Non gli piaceva mentire.
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A Jump City come al solito era molto silenziosa.
La città, prima illuminata, chiassosa e piena di gente, era diventata un raggrumo di macerie su cui si stagliavano palazzi spenti. Non c'era anima viva a portata di sguardo.
L'unico rumore era quello provocato dai passi dei robot di Slado, che a gruppi setacciavano le rovine in cerca di sopravvissuti. Per poi eliminarli o imprigionarli. Qualche volta si sentiva un urlo, ma erano sempre più rari.
Robin era diretto verso un punto della parete più vicina della cupola, a circa 15 km a sud della torre.
Era lì che lui e Batman si erano dati appuntamento.
Doveva solo passare in mezzo a centinaia di robot assassini senza che quelli lo notassero, evitare le centinaia strade interrotte, i ponti interrotti e le buche, e soprattutto doveva cercare di non morire.
Era già a buon punto, a circa a metà del viaggio, e le teste di latta non gli avevano ancora creato problemi.
Ogni tanto si nascondeva, e ne aspettava qualcuna, per colpire. Non ce la faceva a starsene con le mani sempre sul manubrio.
Voleva combattere, dargli la caccia, colpirlo finché non diventavano un ammasso indistinto di rottami. Lo eccitava. Per lui era un piacere sentire il rumore del ferro che si rompeva, dei bulloni che saltavano, i circuiti che friggevano. A volte si sorprendeva a sorridere dopo averli distrutti, ma ormai non gli importava molto. Si stava spingendo troppo in là, ma non gli interessava.
Dopo ogni strage saltava di nuovo in sella alla moto e riprendeva la strada verso la meta.
Non si accorse però dell'ombra che lo seguiva nascosta nel buio, in attesa del momento in cui il ragazzo avrebbe abbassato la guardia per poterlo uccidere.
Alcune volte lui riusciva a scorgerla con la coda dell'occhio, ma solo per un istante. Quando si voltava, quella era già sparita. Non ci poneva troppa attenzione, aveva i suoi problemi a cui pensare.
Ben presto raggiunse il luogo del suo appuntamento, ossia una lurida strada stretta fra un enorme parcheggio a più piani ed un piccolo edificio condominiale al confine della città e della cupola.
La particolarità dei due edifici era che la barriera li aveva trapassati e tagliati in due perfette metà. Erano gli unici che, stranamente, non erano crollati quando fu eretta la barriera. La sua improvvisa accensione aveva distrutto numerose auto e tantissime case lungo tutta la sua circonferenza. Robin poteva solo supporre quanto fosse larga, ma temeva che si estendesse oltre Jump City, che l'epicentro fosse altrove.
Per terra erano sparpagliati frammenti bruciati di lamiere, pezzi di ferro, tubi, mattoni e le ruote delle macchine saltate in aria, il tutto ricoperto da strati di polvere e di ceneri.
C'era il solito odore di metallo bruciato ed il puzzo di morte, ma con delle nuove sfumature date dal vecchiume e dai ratti. Robin notò uno scheletro appoggiato contro una parete del parcheggio. Aveva ancora qualche pezzetto di pelle incartapecorita attaccato alle ossa giallastre.
Il ragazzo meraviglia scese dalla moto e la spinse dentro il condominio, sollevandola sulle scale. Dovette aprire le porte scorrevoli a mano, ma non trovò troppa resistenza e l'ascensore era abbastanza spazioso che la moto entrò dentro senza problemi. L'avrebbe lasciata parcheggiata lì fino alla fine della chiacchierata.
Non si premurò di richiudere le porte tanto era sicuro che la moto fosse lontano da occhi indiscreti. Non aveva notato pattuglie nelle vicinanze, tantomeno sopravvissuti.
Non si avvicinavano mai ai confini. Gli ricordava che erano in trappola.
Robin uscì dal condominio e si piantò a pochi passi dalla cupola, in attesa.
Non erano ancora arrivati. Era in anticipo, aveva tempo.
Ripensò a ciò che era successo la sera prima, quando era riuscito a comunicare al di fuori di quella prigione. Le frasi che aveva scambiato con il suo mentore erano state interrotte da un forte ronzio statico, ma furono sufficienti a fornire un orario ed un posizione.
Mancavano circa cinque minuti.
Aspettò.
Il primo che che vide fu la scia rossa. Flash come sempre era arrivato sul posto prima degli altri. Gesticolava con le mani verso di Robin, ed aveva un sorriso larghissimo. Poi arrivò Superman, in volo ad alta velocità, anche lui entusiasta che il ragazzo fosse ancora vivo. Infine vide gli sbuffi di polvere causati dall'atterraggio dell'aereo invisibile di Wonder Woman. Il portellone si aprì e lentamente scesero Lanterna Verde, Martian Manhunter, Aquaman e la stessa Wonder Woman.
Robin erano contento di rivederli, per lui erano come una famiglia allargata, gli zii che non aveva mai avuto. Gli venne in mente un ricordo di qualche anno fa, prima che si allontanasse da Batman e formasse i Teen Titans.
Era il suo compleanno ed era appena ritornato dalla ronda notturna col suo maestro. Quella notte Gotham era quieta, tranquilla. Quasi noiosa.
La bat-caverna era stranamente buia, più del solito. Stavano scendendo dalla bat-mobile, quando improvvisamente si accesero le luci. Si ricordava della reazione esagerata che aveva avuto, temeva che qualcuno si fosse introdotto nel loro rifugio segreto. Non era del tutto falso.
Quando i suoi occhi si abituarono alla luce, loro erano lì. Tutto era arredato come ad una festa di compleanno: palloncini, festoni, torte, patatine, bibite gassate. Tutta la Justice League si era riunita a per festeggiare il suo compleanno!
Si era voltato a guardare Batman, stupefatto, e quando lo vide aveva una torta in mano.
<< Buon compleanno Robin >>
"La festa più bella della storia" 
Ma quello era prima. La situazione era cambiata. Era bellissimo rivederli, ma con tutto quello che era successo non se la sentiva più di restare con loro. E non era ancora arrivato il pezzo forte.
Scese da solo, in disparte come lo obbligava il su ruolo. Ovvio.
"È Batman no?" pensò Robin.
Si diresse verso la barriera, davanti al ragazzo, impassibile. Al suo passare i supereroi si facevano da parte.
I suoni non attraversavano la cupola, quindi i due presero mano al comunicatore. Riuscirono a recuperare il segnale della notte prima, e finalmente riuscirono a sentire oltre. Era più facile da vicino.
Batman chiese ai suoi compagni di allontanarsi e di non ascoltare. Era una conversazione tra padre e figlio. Loro si tennero da parte pur rimanendo a portata di mano, nel caso succedesse qualcosa e servisse il loro aiuto.
Finalmente sono soli, uno davanti all'altro, a guardarsi negli occhi, senza fare il minimo rumore. 
Passarono alcuni secondi di silenzio tra i due, senza che nessuno avesse il coraggio di parlare per primo.
Robin fu il primo a tentare: << Ti ricordo che Superman ha il super udito. >>
Batman sembra aver perso la sua solita compostezza: << Mi ha promesso che non l'avrebbe usato. >>
Altro silenzio.
Robin ricomincia, ancora per primo: << Senti, io... >>
<< Come hai potuto lasciare che accadesse? >> lo interruppe lui: << Questa gente contava su di te, e tu l'hai delusa! Era una tua responsabilità Robin! E come ti sei permesso di rubare la Hellbat?! Hai idea di quanto sia pericolosa? >> disse a voce molto alta, quasi gridando.
Robin non si sorprese di ricevere critiche così dure. Rispose a tono: << Come oso io?! Come osi tu! Io ho fatto il possibile per difendere questa città, proprio come mi hai insegnato tu, solo che io l'ho fatto meglio! >>
<< E da quando fare meglio di me consiste in un'invasione con tanto di isolamento? Perché non mi hai chiamato, avrei potuto portare i rinforzi! >>
<< Ah sì? Vedo che state facendo un bel lavoro lì fuori. Me la stavo cavando benissimo da solo. Non ho bisogno del tuo aiuto! Ogni volta che lavoriamo insieme tu prendi il controllo senza fidarti di me neanche una volta. Anche a Gotham era così. Mi limitavi. Volevi essere tu l'eroe, e lasciavi fare a me la spalla. La spalla!
Ti rendi conto di quanto sia degradante non essere considerato? Di essere tenuto da parte?! >> sbottò Robin, dando voce alla sua frustrazione.
<< Tu non dovresti volere attenzione. Tu dovresti salvare vite! >> rispose risoluto il cavaliere oscuro.
<< E lo faccio da quando sono qui! Ma a te non è mai importato vero?  Per te sono solo un aiutante usa e getta. Come con Jason! >>
Quest'ultima accusa colpì Batman come un muro di mattoni, anche se non lo diede a vedere: << Robin, adesso smettila. >>
<< No, non puoi rimproverarmi come un bambino quando si comporta male. Tu non sei mio padre. >>
La maschera inespressiva che Batman aveva indossato fino ad allora crollò con quest'ultima frase.
Credeva di aver blindato i suoi sentimenti, di avere un controllo completo su se stesso. Credeva di aver esaurito tutte le sue lacrime quella sera di tanti anni fa.
Per questo anche lui fu sorpreso quando i suoi occhi si inumidirono, la sua voce si spezzò, e quando sentì il sapore salato delle lacrime: << Io non sarò tuo padre, ma tu sei mio figlio! >>
Per Robin fu come un colpo in un punto scoperto. Batman, il suo maestro e punto di riferimento da quando era un poppante, era lì, davanti a lui, che piangeva disperato.
Solo allora il ragazzo vide le occhiaie, le piaghe, i segni della stanchezza su tutto il corpo. Era visibilmente dimagrito. Non mangiava mai tanto, ma probabilmente non si era più nutrito da quando aveva scoperto della cupola, ed aveva passato tutto il suo tempo a trovare una soluzione per salvare il suo pupillo, rischiando anche la sua copertura.
<< Robin, non sono mai stato un buon genitore. Ho commesso tanti errori fin dall'inizio, quando ti ho coinvolto in questa guerra al crimine personale. Ogni volta che ti mettevo in pericolo avrei voluto sacrificarmi per te senza pensarci due volte.
Quando ho saputo di... >> ruotò le braccia in cerchio per indicare tutta la situazione: << ... questo, ed ho creduto che ti fosse successo qualcosa di brutto, io... >>
Il ragazzo meraviglia sentì la rabbia cedere, lasciando posto alla vergogna. Come aveva potuto?
<< Voglio rimediare. >> disse il crociato incappucciato guardandolo negli occhi: << Voglio tirarti fuori di lì e ci riuscirò. Te lo prometto. >>
Dietro di lui i supereroi guardavano la scena stupefatti ed emozionati. Dentro, ognuno di loro si pose la muta promessa che avrebbe fatto di tutto ed anche di più pur di aiutare Batman nel suo intento, in ogni modo possibile.
Anche Robin è commosso. Era più sicuro, più certo che ce l'avrebbero fatta. Avrebbero salvato tutti. Sarebbe andato tutto bene.
Ma gli imprevisti accadono.
Quando Batman la notò era troppo tardi: << Dick attento! >>
Robin era troppo concentrato sulla conversazione per notare l'ombra dietro di lui, ma purtroppo i lievi fruscii che generava muovendosi erano impossibili da sentire anche per qualcuno con un udito sovrumano.
Robin però aveva i riflessi pronti.
Si chinò proprio mentre un set di coltelli da bistecca fissati su una grande mano pelosa gli saettò sopra la testa. L'unica cosa che tagliarono furono delle ciocche di capelli, ma c'era mancato davvero poco. Ancora qualche centimetro e ZAC!
Si salvò da altri colpi solo grazie alla sua agilità, per poi mettersi a distanza di sicurezza dal nuovo nemico roteando per terra.
"Le sorprese oggi non finiscono mai" pensò, notando l'aspetto bestiale della creatura innanzi a lui.
Sembrava un enorme gatto antropomorfo, alto almeno due metri e dotato di una coda lunga e pelosa. Era quasi del tutto ricoperto di peli neri tranne che in faccia, sulla pancia, sulle spalle fino ai gomiti e sulle cosce. Il resto del corpo era coperto da un tappeto peloso nero ed irregolare.
Il fisico, lungo e flessuoso, era però cosparso di orribili piaghe poste a intervalli irregolari, lembi di pelle strappati a causa della trasformazione avvenuta troppo velocemente su quel corpo mutato, che lasciavano intravedere la pelle ed i muscoli sottostanti, questi ultimi molto sviluppati e definiti.
Nonostante tutto era un corpo stranamente proporzionato, come se qualcuno ci avesse lavorato con cura e dedizione. O almeno il minimo indispensabile per non farlo apparire grottesco.
Gli artigli, lunghi circa 10 cm, erano macchiati di sangue fresco, così come i lunghi canini della bocca.
Anche così deformata però la riconobbe dai lineamenti, dalle movenze e dagli occhi, rimasti inalterati: era Kitten.
<< ...Kitten? Che ti è successoooh? >> lei si gettò sulla preda sferzando i lunghi artigli, ma il ragazzo meraviglia si abbassò e non venne ferito.
Robin si allontanò ancora ed il combattimento continuò così, fra assalti e schivate.
Poi però Robin tirò fuori dalla cintura il suo bastone telescopico e lo allungò: << Okay Kitten, non costringermi a farti del male. >>
La risposta fu un'unghiata diretta al volto, subito parata dalla sua asta di ferro: << Allora vuoi il gioco duro, eh? Ti accontento. >>
Cominciarono a combattere seriamente.
Robin la colpiva quanto più forte poteva nei punti scoperti, mentre Kitten accusava le botte e contrattaccava con furia animale. Ogni loro movimento serviva per attaccare, parare, schivare e restituire colpi.
Fuori intanto Batman aveva assistito impotente all'inizio del combattimento, e si stava scervellando sulla cintura per trovare un modo di entrare, non importava quanto rischioso. Se avesse guardato il ragazzo sarebbe stato fiero di lui, della sua grinta, della sua abilità in combattimento, delle sue tecniche. Almeno non vide quando venne ferito.
<< Aahhhh!! >>
Agli occhi del ragazzo il mondo sbiancò. Sul suo fianco destro si era aperto un lungo squarcio frastagliato, da cui cominciarono a sgorgare fiotti di sangue scarlatto. Il ragazzo cercò di tamponare la ferita con il mantello, ma l'emorragia non si fermava.
Quando il cavaliere oscuro udì il grido dal comunicatore, quando alzò gli occhi un secondo dalla cintura, e vide il sangue uscire dalla ferita del suo protetto, non ci vide più. Cominciò a prendere a pugni la barriera noncurante del dolore, appena attenuato dai guanti isolanti.
In pochi secondi tutta la League stava cercando di aprire a pugni un'entrata nella barriera, ma inutilmente. Non potevano entrare.
All'interno la lotta continuava e Robin stava perdendo. La ferita lo rallentava e perdeva troppo sangue per lottare come prima. Ben presto Kitten gli fu addosso. 
Le ferite si moltiplicarono, senza che lui riuscisse a difendersi bene. In seguito ad un assalto molto violento il bastone volò via, conficcandosi a terra.
Kitten si avvicinò, avvolgendogli stretta la coda attorno al collo. Lo sollevò da terra pronta a colpirlo, ma con calma, assaporando il momento. Estrasse le unghie della mano destra lentamente, come il predatore felino che era, preparandosi e gustando le gocce del fiume di sangue proveniente dal fianco di Robin. Era il momento più bello, la fine della caccia e la degustazione della preda. Non come la volta prima, con il verde. Li era stata interrotta, ma stavolta non c'era nessuno a mettersi in mezzo
Muscoli tesi si mossero, la mano si levò in alto, pronta a cadere, in un istante che parve infinito.
Dal comunicatore uscivano urla disperate, gemiti e pianti, infiniti tonfi ad alta frequenza sempre più veloci. Ma potevano sforzarsi quanto volevano, tanto non sarebbero entrati.
Kitten abbassò la mano.
Il mondo si tinse di rosso.
 
 
 
 
Ecco il nuovo capitolo.
Spero vi sia piaciuto, perché ho intenzione di inviare un capitolo ogni tre settimane fini alla fine della storia.
Alla prossima!
   
 
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