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Autore: Nocturnia    23/05/2017    4 recensioni
"Perché mi hai salvata?"
"Non lo so."
"Bugiarda."
Un sorriso a metà; una piega storta delle labbra.
"È la seconda volta."
Silenzio.
"Perché?"
Una preghiera; un'invocazione frustrata.
"Perché non è colpa tua."
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albert Wesker, Alex Wesker, Excella Gionne
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Survivor
Disclaimer: Albert Wesker, Alex Wesker e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji Mikami, alla Capcom e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.




"Only after a disaster we can be resurrected.

It's only after you've lost everything that you're free to do anything."
- Chuck Palahniuk -




Survivor




"Perché mi hai salvata?"
"Non lo so."
"Bugiarda."
Un sorriso a metà; una piega storta delle labbra.
"È la seconda volta."
Silenzio.
"Perché?"
Una preghiera; un'invocazione frustrata.
"Perché non è colpa tua."

Nulla di tutto questo lo è mai stato.

****


Breathing, killing, seething, willing - waiting for you.

Il mondo si è spento, il respiro è morto.
Orbite vuote, occhi lattiginosi - accusatori.
Visi sconosciuti, denti marci, l'Uroboros è unn bestia grandiosa e terribile, un mostro tentacolare che le vomita addosso tutte le sue colpe.
Excella apre la bocca, grida -  ingoia liquami nerastri e paura.
Sangue, catrame; un mattatoio che tira, strappa, ruggisce.
Non riesce a pensare, non vuole morire - non così.
Tenta d'aggrapparsi alla cieca, artiglia un filamento molliccio e viscido - cade ancora più a fondo.
Il parassita le si arrotola attorno a una coscia, strattona - ingoia la sua Louboutin bianca e oro.
Excella chiude gli occhi e stringe.


#0

"Centotrenta battiti al minuto, ipotermia, perdita di conoscenza; la paziente sta collassando."
"Giratela su un fianco, dobbiamo evitare l'ipossia cerebrale. E che si vomiti addosso."

Cosa...?

"Non trovo l'arteria, c'è troppo sangue. Chiama Stuart, ora!"
Qualcuno le strattona un fianco, qualcun altro le infila le dita dentro l'addome e stringe.
"Tenetela ferma!" grida la stessa voce di prima "Devo chiudere l'emorragia e trovare quel figlio di puttana che le sta masticando gli intestini."

Di che diavolo parla?

"Piantala." le sibila la voce - femminile, autoritaria "Smettila, altrimenti dovrò aprirti come un pesce per trovarlo e, fidati, è una cosa che mi piacerebbe molto fare."
Excella tenta di socchiudere gli occhi (non ci riesce) emette un miagolio sfiatato.
La voce tira, pinza, allaccia, ricuce - il dolore una morsa rovente che le stritola il cranio.
La voce non smette un attimo d'impartire ordini, mani leggere che le corrono sul corpo, lungo le costole - che misurano, controllano, verificano.  
La voce è derisoria, affaticata, conosciuta.
"Brava ragazza."
La voce è lui - lei.

No.

Excella scivola in un'oscurità gelida e senza ritorno.


Fighting, biting, hating - waiting for you.

Non c'è memoria nella sua rinascita, non c'è passato.
Excella fissa un cielo privo di stelle e non comprende.
Sa che dovrebbe avere un nome, ma non se lo ricorda.
Si chiede il perché sia nuda e come sia finita sul ponte di una nave mercantile, ma nulla viene in suo aiuto.
Inspira, e gli odori la colpiscono come un pugno nello stomaco - metallo, sostanze acide, carne putrefatta, sangue e fumo.
Storna lo sguardo, cattura un filo nerastro e gonfio di cenere in lontananza.
Qualcuno è morto. è il primo pensiero che le attraversa la mente, ma non ricorda chi - perché.

Qualcuno è morto e io dovrei conoscerlo.

Il sole strappa la notte, artiglia l'orizzonte.

Qualcuno che amavo - che mi ha tradita.

Gli elicotteri del BSAA le passano sopra senza nemmeno notarla.


#0

"I parametri vitali sono stabili."
"Bene."
"Ho fatto condurre la paziente nelle stanze adiacenti alle sue, come aveva richiesto."
La donna annuisce, butta i guanti in lattice nel cestino.
"Dovrebbe svegliarsi tra meno di due ore."
La penombra della stanza le affila gli zigomi, il naso; la rende una statua bianchissima e impenetrabile.
Stuart ne studia il profilo, la piega stanca delle labbra, i capelli raccolti il un nodo disordinato.
"Dovrebbe riposare anche lei." aggiunge, lasciando la cartella clinica sulla scrivania "Quello che ha fatto oggi è stato... sorprendente."
"Forse dopo." è la replica asciutta, e nella sua voce Stuart coglie una fatica che mai aveva percepito prima.
"Master Alex..."
"Vai, Stuart." lo interrompe, muovendo la mano verso la porta "Prenditi una giornata libera o forse due." inclina il viso nella sua direzione e a Stuart pare di scorgere nuove rughe - pieghe della pelle che la gravano all'improvviso di tutti i suoi anni "Qui ci penso io."
Il dolore è una ferita che non smette mai di sanguinare.


Don't you, won't you, don't lie.

Il virus non conosce altro che due istinti; attacco e fuga.
Il virus grida così forte nelle vene - nel sangue - che Excella non può fare altro che ascoltarlo - che piegarsi alla sua volontà.
Il mondo è un insieme distorto di luci e colori, sapori improvvisamente insipidi e odori nauseanti.
Scivola per i corridoi dell'azienda come una bestia braccata, i morti che la ignorano - la lasciano passare.
La paura le stritola il respiro, sotto la lingua l'acido della bile e dell'adrenalina.
Scappa le mormora il virus - lui - scappa dove non possano trovarti. Scappa e non voltarti indietro.
Excella svolta a sinistra, poi a destra; alle sue spalle le voci degli uomini del BSAA si fanno più forti.
Cade, si rialza; entra in un studio dalle pareti azzurre e il pavimento in legno.
La targhetta sulla porta recita Excella Gionne, ma lei non sa chi sia quella donna - non lo ricorda.
Ma è il virus a farlo per lei (mi occuperò io di te: ti proteggerò io) e la conduce verso un pannello di controllo nascosto.
Excella guarda i numeri illuminarsi, spinge istintivamente sette cifre (4987610)
Vai le dice il virus, e si apre una botola sotto i suoi piedi Qui non ti troveranno. Era il nostro rifugio, ricordi? L'abbiamo costruito per evenienze come questa.
Excella deglutisce, ascolta i passi dei soldati farsi sempre più vicini.
La botola si richiude ermeticamente cinque secondi dopo la sua discesa.


#0

Excella è giovane; sospesa per sempre nei suoi ventisei anni.
Fili bianchi s'intrecciano ora nei suoi capelli, gentile concessione di un virus che l'aveva divorata viva.
Ha un viso pulito Excella, la bocca socchiusa e il respiro regolare.
Alex si porta una mano sotto la mento, lasciandosi andare contro lo schienale della poltrona.
"Excella Gionne." dice, e sospira, massaggiandosi le palpebre con la punta delle dita "Che ironia di merda che ha il destino."
Le risponde solo il quieto mormorio delle macchine.


Give it, get it, live it, let it.

I soldati sono entrati e sono anche passati oltre.
Avevano voci grosse, imponenti; una tra tutte le ricordava qualcosa di spiacevole, ma non riusciva ancora a ricordare cosa.
Excella si era guardata intorno, misurando con le dita le pareti metalliche e spesse almeno due metri.
Una stanza antipanico, ecco dove si trovava: muri blindati, nessuna finestra.
Un letto, una scrivania, un computer.
Un fiore galleggiava quieto in un contenitore simile a un acquario, ed Excella si era incantata qualche minuto a fissarne i petali gonfi e rossastri - sfumati solo verso l'interno nell'arancione dei tramonti africani.
Comincia poi a rovistare nell'armadietto che giace alla sua sinistra, s'infila in bocca una manciata di frutta secca e strattona un sacchetto di patatine.
Ha fame, e non capisce perché ci sia così poca roba in quel dannato buco.

Perché non era pensata per te, stupida ragazzina.

Il virus continua a parlarle, instancabile.
Excella lo ignora, leccandosi le dita e bevendo quasi tutta la bottiglietta d'acqua che ha trovato.
Alza il viso verso l'alto, non percepisce null'altro che il silenzio.
Dormi le sussurra il virus Dormi, Excella. Ci penso io a te.
Excella si raggomitola sul pavimento e chiude gli occhi.


#0

Non ci sono pianti quando si sveglia, grida inutili.
Excella apre gli occhi, socchiude la bocca in un sospiro quieto, quasi timido.
La pupilla si allarga, cerca di catturare gli ultimi scampoli di luce.
Sta guadagnando terreno la notte su Sushestvovanie e la neve le regala un aspetto aristocratico, nobile: una pallida distesa le cui asperità vengono nascoste e smussate da tutto quel bianco.
"Excella." la chiama Alex, e lei si volta.
"Sai dove ti trovi?"
Excella aggrotta le sopracciglia, si morde un labbro.
"No." e la sua voce è incredibilmente limpida "Ma so che mi hai salvato."
"Cosa ricordi?"
Excella inspira, si concentra sul lenzuolo - cerca di raccogliere le idee.
"Nulla. Poco. Non lo so."
"Ricordi chi sono?"
Excella la studia per qualche minuto, scuote la testa.
"No, ma lui dice che ci siamo già incontrate."
Alex alza un sopracciglio, incrocia le braccia al petto.
"Lui?"
Excella si indica il petto, là, dove l'Uroboros aveva piantato le sue radici e si era poi fatto strada lungo il suo esofago, tra i suoi visceri, fino a sfondarle la bocca e il palato.
"Il virus."
"Il virus ti parla."
Excella annuisce, e sembra una bambina confusa.  
"Ha una bella voce; assomiglia alla tua, ma al maschile."
Alex contrae la mandibola, ingoia la voglia di assestarle un manrovescio in piena faccia.
"E ha un nome questo virus?"
Excella le cerca gli occhi, le regala uno sguardo improvvisamente consapevole.
"Uroboros." replica "Albert."
La verità è il mormorio incolore di un fantasma fin troppo reale.


Dedicated, nothing sacred for you.

Il tempo scorre senza mai mutare forma per Excella, un fluire del tutto privo di significato.
Ha contato le provviste (poche) l'acqua rimasta (di quella ce n'era fin troppa.)
Ha camminato, studiato il fiore contenuto nella teca, cercato di accedere ai file del laptop senza alcun successo.
Studia il proprio riflesso nello specchio del bagno, percorre in punta di dita un corpo che non ricorda.
Labbra piene, zigomi alti - un certo modo di atteggiare il viso, le mani; tutto in lei parla di una bellezza sfacciata, arrogante.
Excella si avvicina allo specchio, socchiude gli occhi - arriccia le labbra sui denti bianchissimi e regolari.
Il virus tace, quieto.
Sei sempre tu, le dice, non sei cambiata.
Excella non comprende appieno le sue parole, sfiora la curva piena del seno, apre le dita a ventaglio sulla superficie piatta dell'addome.
Sa che non è sempre stata così; che un tempo non molto lontano anche il suo cervello era un'arma, una terribile risorsa.
Lo è ancora la rassicura il virus Non distruggo mai ciò che creo.
"Non è vero." e le parole grondano - tagliano "Con me l'hai fatto."
Silenzio.
"Mi hai creato, mi hai distrutto." si volta, aggrappandosi al lavandino "Hai promesso, mi hai tradita." il bordo s'incrina, le nocche sbiancano "Mi hai amato, hai mentito." crack, frammenti bianchi e rossi - sangue e ceramica "Mi hai ucciso."

Rabbia, dolore. Una devastante tristezza.

Eppure eccoti qua: rinata. la canzona il virus, e tutto ha il sapore di una scena già vissuta Viva come nessuna creatura può dirsi. Viva e potente - degna.

Zaffiri e diamanti - trucco sbavato e sangue - la sua vita nelle sue mani, tra le sue cosce.

Tra le sue dita le ferite hanno già cominciato a rimarginarsi.


#0

La donna in bianco dice di chiamarsi Alex.
Excella prova un'istintiva diffidenza verso di lei, ma non può fare altro che studiarla in silenzio - il modo che ha di camminare, la forza che filtra dalle sue parole - dai suoi gesti.
Un serpente d'oro al polso, due anelli alle dita - anulare sinistro, oro bianco e ossidiana, medio destro, oro bianco e rubino.
La donna che si fa chiamare Alex è più vecchia di lei (ho quarantanove anni, le aveva detto) ma non lo dimostra.
Ogni mattina verifica i suoi parametri vitali (elettrocardiogramma, saturazione ossigeno, pressione sanguigna, temperatura corporea) e lascia fare il resto a Stuart, il suo... maggiordomo?
Capo Ricercatore le suggerisce il virus Un uomo dai modi squisiti, se mi permetti l'osservazione. Vecchia scuola inglese, niente a che vedere con la maleducazione americana.
Capelli biondi, occhi trasparenti, Excella la trova bellissima - bellissima e vuota.
C'è una nota dolente nella sua voce, un'inflessione spezzata che le fa intravedere un'anima tormentata, agonizzante.
"Cosa è successo?" le chiede una mattina priva di sole "Cosa è successo per renderti così?"
La donna si volta, la fissa da sopra la spalla.
"Dovresti saperlo." replica "D'altronde, ne sei l'indiretta responsabile."
Il giorno dopo sarà Stuart a controllarne lo stato di salute.


Don't you, won't you, I die.

La porta del bunker si spalanca all'improvviso e la sorpresa la spinge a rintanarsi nell'angolo più lontano della stanza.
Due uomini nascosti da maschere antigas le puntano le armi contro, un altro controlla il piccolo spazio e ciò che contiene.
"Ne abbiamo trovato uno vivo!" grida quello più alto, e la indica "Cosa dobbiamo farne?"
Scarpe rosse, gambe fasciate di bianco, una donna entra nel suo campo visivo - la squadra da capo a piedi.
Excella si stringe le braccia al seno, cerca di dar loro le spalle.
La donna ha un breve istante d'incredulità, si rivolge poi a uno degli uomini vestiti di nero.
"Dammi il tuo giubbotto." ordina, e si avvicina.
"Excella." la chiama, e le porge una mano.
Ha unghie curate, laccate di rosso.
Excella si guarda istintivamente le sue e comincia a sfregarle una contro l'altra - cerca di levigarne i contorni, regolarne la forma.  
La donna avanza ancora di qualche passo, riesce a gettarle il giubbotto sulla schiena e a coprirla almeno fino alle cosce.
Ha dita fredde, che tremano leggermente.
Excella non riesce a smettere di sfregarsi le unghie, libera un gemito frustrato.
"Excella." la richiama la donna, ma lei la ignora.
È il tuo nome le ricorda il virus Ti chiami Excella Gionne.
La donna le sfiora la piega del collo, le scosta i capelli in una carezza quasi gentile.
Excella nemmeno si accorge dell'ago che le penetra la pelle e cade.


#0

"La perdita di memoria è reale."
Alex continua a scrivere, annuisce.
"Ha delle sensazioni, ricordi confusi della sua infanzia, del passato recente, ma non riesce a dare loro un nome. Non ancora, almeno."
Inchiostro nero, carta bianca; Alex sanguina tra le sue stesse parole.
"Parla ancora con il virus - così dice."
La penna scorre veloce, sicura (Mont Blanc, stilografica. Edizione Scrittori, Lev Tolstoj) traccia le istruzioni per la prossima apocalisse.
"Vorrebbe uscire dalla sua stanza."
Alex si ferma un attimo, scosta la penna - evita che l'inchiostro macchi il foglio.
"I suoi parametri non sono cambiati da quando le abbiamo estratto ciò che era rimasto dell'Uroboros: pressione sanguigna 110 su 60, sessanta battiti al minuto. Temperatura corporea di trentasei gradi e quattro, saturazione al 99%. Gli unici segni tangibili della sua infezione sono la depigmentazione di alcune ciocche di capelli e il colore dell'iride in condizioni di stress."
"E la forza. E il fattore rigenerante. E quello metabolico."
Stuart si schiarisce la voce, sposta il peso da un piede all'altro.
"Il DNA e DNA mitocondriale sono gli stessi, Master Alex: quella che abbiamo davanti è indubbiamente Excella Gionne."
La Mont Blanc ricomincia a scrivere, salta da una morte all'altra.
Stuart stringe la cartella clinica tra le mani, aspetta.
"Preparale una stanza, dei vestiti; portala poi qui. Non posso lasciarla girare per la struttura, ma se vuole tanto uscire allora è meglio che stia con me."
Stuart le rivolge un cenno del capo, trattiene un sospiro.
"Mi dispiace." le dice, e fa per aprire la porta "Deve essere difficile per lei, Master Alex."
La Mont Blanc si ferma di nuovo, questa volta l'inchiostro gocciola sul foglio e disegna lacrime nerastre e gonfie.
Stuart esce dallo studio senza fare alcun rumore.


Wreak havoc, I'm crippled.

La Tricell muore, il suo impero cade.
Alex osserva quella che è stata l'ultima casa di suo fratello collassare in se stessa, inghiottire tutto ciò che ne resta.
Il terreno si arriccia agli angoli e implode - una gigantesca bocca che divora, mastica, distrugge.
Le urla dei (non)morti, dei vivi, del vetro infranto: tutto si riduce a un unico, rantolante, suono.

Quello del suo cuore.

Alex osserva il programma d'autodistruzione massacrare l'edificio, farlo a pezzi - smembrarlo.
Nella mano destra il computer con tutti i dati sull'Uroboros, nella sinistra una foto.
Una vecchia, rovinata, foto.

Come te. Come voi.

Sorride William da quella foto, accenna una risata Annette.
È tutto ciò che resta d'una generazione maledetta - di un sogno disperato.

Settembre 1990.

Diciannove anni fa. Una vita morta. Una vita cancellata.

Una vita che aveva conservato sul fondo di un cassetto, nascosta - protetta.

"Siamo pronti a partire." la raggiunge la voce di uno dei suoi uomini "Quando vuole lei, Master Alex."
Stringe le dita in un pugno chiuso, fissa i loro sorrisi a metà, l'azzurro di un cielo che non tornerà mai più.

Morti. Teschi ghignanti, orbite vuote. Lo eravamo tutti ancora prima di vivere.

"Andiamo." replica, e la Tricell continua a crollare - sempre più a fondo, sempre più in basso "Non c'è più niente qui per noi."

Per me.

L'elicottero prende quota, si allontana.
Alex fissa il viso addormentato di Excella e si scopre arida d'ogni sentimento.


#0

"Non so chi sono."
"Nessuno di noi lo sa mai davvero."
Excella incassa le spalle, curva la schiena.
"Non è divertente."
"Non voleva esserlo."
Alza un sopracciglio, fissa la donna che dice di chiamarsi Alex.
"Potresti aiutarmi."
Alex irrigidisce la mandibola, le rivolge un'occhiata obliqua.
"No: mi piace vederti contorcere come un insetto in agonia."
Excella imbroncia le labbra, assume l'aria di una bambina contrariata.

Giovane, troppo - per sempre.

"Sei una donna crudele."
Alex sorride, si porta una mano al petto.
"Così mi lusinghi, Excella."
Excella smette di tormentare il bracciolo della sedia, alza la testa di scatto.
"Ripetilo."
"Cosa?"
"Il mio nome."
"Excella."
Il colore defluisce dalle guance di Excella, scompare.
"Fayer." dice, e la sua voce ha assunto una flessione nuova, più forte "La dottoressa Fayer. Specialista in virologia, ex impiegata dell'Umbrella."
Alza lo sguardo, cerca il suo.
"Io ti conosco." e non c'è insicurezza nelle sue parole, nessuna debolezza "Io so chi sei."
Alex incrocia le braccia al petto, inclina il viso.
"Ah sì?" la schernisce "E chi sarei, di grazia, Excella Gionne?"
L'iride di Excella sfuma, diventa un arancione cupo e che sanguina a ogni battito di ciglia.
"Alexandra Wesker."
Silenzio.
"Tu sei Alexandra Wesker."
Alex indurisce i lineamenti, assottiglia la pupilla - mostra la sua vera natura.
"E ti fottevi tuo fratello."
Uroboros o meno, il Progenitore nelle vene di Alex le permette di assestarle un manrovescio tale che la renderà incosciente per due giorni interi.


Your polluted soul, is so corrupted.

Una crisi isterica. Un attacco di panico. Un collasso nervoso.
Excella aveva attraversato diverse fasi prima d'essere in grado d'uscire dalla sua stanza senza distruggere qualcosa (o se stessa)
Si era fatta male e ne aveva fatto ai suoi collaboratori.
Si era quasi lasciata morire di fame, fino a quando l'Uroboros non aveva chiamato e si era allora divorata il braccio di un ricercatore lì sul posto.
Alex aveva riso a quell'inaspettato risvolto, perché la fame era un istinto che conosceva bene e vedere Excella Gionne, la oh sono finalmente degna, piegata in due a vomitare dallo shock il suo pasto era stato... come dire, esilarante.
Era caduta nell'apatia (e Alex ne era stata altrettanto contenta) e poi nella fase logorroica (e qui aveva scaricato il problema a Stuart)
Si era lamentata del suo aspetto, salvo poi lasciarsi marcire per giorni interi nello sporco.
Era andata avanti così per tre mesi (tempo nel quale Alex aveva attraversato il suo inferno personale) per poi comparire un giorno sulla soglia del suo studio e pigolare un debole posso avere dei vestiti diversi da questo camice ospedaliero?
Alex l'aveva squadrata da capo a piedi (capelli ordinatamente raccolti in uno chignon basso, unghie limate, viso pulito) le aveva indicato un cassetto a lato della stanza.
Excella si era avvicinata, cominciando a frugarci dentro e...
"Non hai mica qualcosa di rosso, vero?"
Per un brevissimo istante il suo dolore era stato interrotto da un'irritazione così profonda da farle quasi spezzare la Mont Blanc tra le mani.
Quasi.


#0

"Mi hai rotto il naso."
"Avrei potuto romperti ben altro." ribatte Alex "Le costole, il petto; far accartocciare su se stessa la tua cassa toracica come le dita di una mano. Farti esplodere il cranio, fratturarti le mandibola e strappartela direttamente dalla faccia."
Excella arriccia le labbra in una smorfia di disgusto, picchietta con un'unghia perfettamente curata sul gomito.
"Dio, che schifo; avete lo stesso gusto teatrale e grottesco in fatto di morte. Non sai le migliaia di dollari che ho buttato nel ritinteggiare le pareti dei laboratori."
Alex soffoca una risata - la stringe tra i denti e la trasforma in un grugnito - Excella sospira.
A guardar bene, la storia è solo un tragico teatro dell'assurdo.


In your eyes, see all the lies.

"Non sono la tua balia."
Excella la guarda disorientata, si tormenta le mani.
"Ma non so come controllarmi."
"E questo sarebbe un problema mio?"
Excella apre la bocca, la richiude: storna lo sguardo verso la guardia incosciente.
"Sì." ribatte, e si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio "Non posso andarmene in giro a sfondare muri e a uccidere le persone."
"L'hai sempre fatto prima, non vedo dove sia il problema ora."
"Sfondavo i muri?"
Alex alza entrambe le sopracciglia, sospira drammaticamente.

Stupida. Bella e stupida. Che cliché del cazzo.

Ma Excella non era stupida, e lei lo sapeva bene.
Il suo cervello era una stramaledetta macchina da guerra quando si parlava di virologia e ingegneria genetica, un pugno di sinapsi che avevano stabilizzato il composto primario della Starway of the Sun e dato la spinta iniziale alle ricerche sull'Uroboros.
Però adesso un po' lo è, le suggerisce quella vocina tipicamente femminile che sì, ha un po' il nervo scoperto a dover trattare con la ex del proprio compagno.
"No." sibila "Non sfondavi i muri, ma uccidevi le persone."
Nessuna reazione.
"Se dico Tricell, ti viene in mente niente?"
Excella corruga la fronte, assume un'espressione concentrata.
"Era la mia azienda." dice dopo qualche minuto "Ma l'ho persa."
Alex annuisce, beve un sorso di caffè.
"Me l'hanno portata via." continua, fissando un punto imprecisato alla sua sinistra "Il BSAA avrà sicuramente condotto un'inchiesta e dopo i fatti dell'Africa niente avrebbe potuto salvarla."
Alex la esorta a continuare, si sfila una scarpa e dondola il piede sotto la scrivania.
"La rivoglio indietro."
"Non puoi."
"Perché?"
Alex stende le labbra in un sorriso sardonico, inquietante.
"Perché per il mondo tu sei una donna morta, Excella Gionne."
"Anche tu." mormora "Eppure questo non ti ha impedito di riprenderti quello che volevi."
Alex la fissa incuriosita, ruota la penna sul foglio.
"Che sarebbe?"
"Te stessa."
Sushestvovanie tace e ascolta.


#0

"Non so come fermarlo."
"Provaci."
"Non ci riesco."
"Il fallimento non è contemplato."
Il mento di Excella scatta in avanti, le regala un viso distorto dalla confusione e dal dolore.
"Non posso farlo."
Alex motteggia sicurezza, ma il suo corpo è già piegato in una posizione di difesa.
"Excella." un monito - un avvertimento.
"Io... Io non..."
L'Uroboros strappa la pelle di Excella, si dispiega alle sue spalle come la parodia oscena di un mantello che striscia, si contorce, vive.
Excella grida, Alex piega le ginocchia.
"Controllo, Excella. Il controllo è la chiave di tutto."
L'Uroboros si arrotola attorno al suo corpo, dondola - annusa l'aria, il territorio.
"È come un braccio o una gamba; la naturale estensione della tua coscienza."
La voce di Alex è bassa, monocorde: l'Uroboros oscilla nella sua direzione, un serpente incantato - che riconosce l'alfa e l'omega.
"Excella."
L'Uroboros scatta, Excella crolla in avanti - vomita bile tra i denti serrati.
Alex allunga una mano, palmo aperto e dita dischiuse.

Impone la propria forza, svela la sua vera natura.

La pelle di Excella si apre in altre mille piccole ferite, sangue e veleno - Uroboros e disperazione.
La pupilla di Alex si riduce a nulla più di una fessura, l'iride brucia - ringhia alla bestia e alla sua patetica arroganza.
"No." e il mondo si ferma.

L'Uroboros si ferma.

Excella tossisce, sputa un grumo di saliva e sangue.
Solleva lo sguardo, cerca quello di Alex - tenta d'ignorare la consistenza molliccia e fredda dell'Uroboros sulla pelle, tra le vertebre.
Piegato al nuovo dio, addomesticato dalla sua volontà; il Progenitore latra i suoi comandamenti, urla la sua furia - l'Uroboros nulla più che un cucciolo smarrito, messo in punizione nell'angolo più remoto della stanza.
Alex non mostra alcuna incertezza, nessuna crepa: gambe divaricate, spalle rigide, tutto in lei esprime la brutale determinazione che aveva visto anche in Albert.

La totale e cieca abnegazione a un delirio che chiamavano futuro.

Alex chiude la mano a pugno, l'Uroboros uggiola - Excella si porta le braccia sotto al seno e stringe, una scossa elettrica che quasi le ferma il cuore.
Ruota il pugno Alex, e avanza, costringendo il parassita a una ritirata disordinata, spaventata.
Una a una le proppaggini si nascondono sotto la sua pelle, una massa nerastra e fluida che le macchia la bocca, la sclera degli occhi.
"Fa male." mormora Excella, e non riconosce la sua stessa voce.
Alex tace, continua ad avanzare e a stringere la mano fino a quando anche l'ultimo tentacolo non è rientrato nella sua schiena con un suono ottuso e flaccido.

Silenzio.

"Devi imparare a controllarlo."
"Non ci riesco."
"Devi." ribatte Alex, ed Excella non può fare altro che fissare la punta delle sue costosissime scarpe Prada.
"Non ho chiesto io tutto questo." mastica, e fa leva su un ginocchio per rialzarsi "Non ho chiesto io di morire e diventare una B.O.W." barcolla un attimo, si appoggia al tavolo per mantenere l'equilibrio "Io non ho chiesto niente." sibila - ruggisce.
Alex la fissa con occhi inumani e vuoti, le braccia lungo i fianchi, la mandibola rigida.
"No." replica, e arriccia le labbra sui denti "No, hai ragione; tu hai chiesto solo di essere degna."
Excella deglutisce, si scosta i capelli dal viso.
"Tu..." Alex si avvicina - ancora, troppo "... hai voluto essere degna. Ha voluto vedere come fosse: cosa si provasse a farsi scopare da un tyrant e a schiacciare le vite altrui sotto il tuo ego ipertrofico."
Le sfiora gli zigomi con la punta delle dita, amplia quel suo orribile sorriso.
"Tu hai voluto, Excella. È questa la differenza tra me e te."
Le preme l'indice nella guancia, il pollice nella carne tenera del collo.

Come lui.

"Hai scelto, Excella; un lusso che io - noi - non abbiamo mai avuto."
Allenta la presa di colpo, la lascia scivolare al suolo - un oggetto inutile, rotto.
Alex la scavalca come se valesse meno di niente.


The alibis, that I despise.

"Sei malata."
Alex artiglia i bordi del lavandino, s'inclina in avanti.
"Da quanto?"
Apre la bocca, la richiude; soffoca un conato pieno d'acido e saliva.
"È colpa del virus?"
Alex si appoggia con i gomiti al lavabo, cerca di respirare.
"Succederà anche a me?"
Le ginocchia quasi le cedono, il sudore le appiccica la camicia addosso - puzza di paura e morte.
"Posso aiutarti; l'ho fatto per lui, posso farlo anche per te."
Alex si lascia sfuggire una risata metallica, secca - un latrato disperato.
"Non dire stronzate." mormora, e hanno una nota debole le sue parole, fragile "Non è la stessa cosa."
"Il siero potrebbe..."
La schiena di Alex s'arcua pericolosamente all'indietro, la costringe poi a piegarsi in avanti e a vomitare sangue e bile.
Excella distende le mani davanti a sé, indecisa se toccarla o meno.
"Non farlo." la interrompe la voce di Alex "Non voglio il tuo aiuto."
"Mi hai salvata." ripete Excella, e ad Alex pare uno di quei uccellini troppo colorati e molesti che infestavano Raccoon City.
"Ti odio." le dice, e forse è il dolore a farle abbassare le difese o forse solo il bisogno fisico di mandarla via "Ti odio e ti ammazzerei io con le mie mani se non fossi troppo impegnata a cercare di salvarmi il culo e a non vomitare anche la cena di ieri."
Excella alza un sopracciglio, si porta la mani sui fianchi.
"Cambi città, nazione, persino Wesker, ma la merda rimane sempre la stessa."
Alex la fissa in tralice, un filo rossastro tra i denti e negli occhi.
"Non siete invincibili."
Le dita di Alex tremano, il viso impallidisce - il cuore ruggisce.  
"Nessuno di noi lo è."
Sulla pelle di Excella la prova tangibile di quella spietata verità.


#0

Sushestvovanie è silenziosa nelle prime ore del mattino, un pugno di rocce e onde rabbiose.
Alex osserva Excella dalla terrazza della sua stanza, una tazza di caffè tra le mani e gli occhi cerchiati di scuro.
La malattia avanza senza requie, la divora viva.
Distrugge le sue cellule, modifica i suoi mitocondri - la riduce a nulla più di una bomba chimica pronta a esplodere.
Sotto di lei Excella si lascia bagnare le caviglie dall'acqua gelida, apre le braccia e prova a domare la bestia terribile che è l'Uroboros.
Si schiude sulle sue spalle, spacca la pelle della schiena e disegna fili neri e rossi - un tatuaggio che ancora invoca il suo nome.
Alex la vede barcollare sotto il peso di tutto quel potere, riacquistare l'equilibrio e lasciarsi poi avvolgere dal parassita in un abbraccio grottesco.
Danza Excella, e l'Uroboros con lei.
Lo dirige verso la sua sinistra, poi alla sua destra; un'arma di distruzione di massa usata per raccogliere sassolini e conchiglie.
Ed è bella Excella, gli occhi la stessa sfumatura dei tramonti africani e tra i capelli striature bianche come la neve.
Ride, ed è suono libero - vivo.
Alex si porta la tazza alle labbra, tossisce - sporca di sangue la manica della vestaglia.
Sorride senza allegria, chiude gli occhi - ingoia le lacrime di una vita giunta al suo ultimo giro.
Sotto di lei Excella è tutto ciò che resta della sua tragica eredità.


Your disguise, monster size.

"Vorrei vederla."
Alex non alza gli occhi dal microscopio, ne regola il fuoco.
"La mia tomba; vorrei vederla."
Il movimento delle sue dita si ferma, l'unico segno tangibile che la stia ascoltando.
"Credo di averne il diritto."
Alex si scosta dal microscopio, fissa la parete davanti a sé.
"Lui ne ha una?"
Un tic all'anulare sinistro; la fascia in oro bianco e ossidiana che trema.
"No."
"Dove è morto?"
"In un vulcano."
Excella storna lo sguardo, inspira con forza.
"E io?"
"Sei stata seppellita nel cimitero di famiglia, a Milano."
Excella piega le labbra in una smorfia, emette un suono contrariato.
"La tomba dei Gionne."
"Esatto."
"Non dei Travis."
"No."
"Per l'onore. La dignità della famiglia. Perché il nome dei Travis era già stato sporcato abbastanza quando avevo scalato i vertici della Tricell con Albert al mio fianco."
Alex inclina leggermente il volto verso di lei, le riserva uno sguardo spento - stanco.
"Chi..."
"Nessuno."
Excella raddrizza le spalle (bravo soldatino) stringe la mani in pugni chiusi.
"Neppure mio padre?"
"Era troppo impegnato a cercare di salvare almeno il ramo commerciale dell'azienda dai debiti e dallo scandalo."
"Ma tu c'eri."
Un'evidenza: la mera constatazione dei fatti.
"Tu: una donna morta al funerale di un'altra donna morta."
Alex le cerca gli occhi, la fissa - un azzurro così intenso da essere quasi trasparente.
Excella Gionne è morta il giorno stesso il cui sono stati solo i fantasmi a volerla ricordare.


#0

L'Uroboros erompe dalla sua pelle come un ventaglio nerastro e traslucido, s'irrigidisce.
Alex è immobile dall'altra parte della spiaggia, gambe fasciate di bianco e sguardo fisso.
"Avanti." le dice "Vediamo questi progressi di cui tanto parli."
L'Uroboros annusa l'aria - lei.
Entra in simbiosi con le cellule di Excella, le sincronizza.
Dondola avanti e indietro, si raccoglie attorno al suo petto come un'armatura.
Cerca uno spazio, una crepa: qualcosa in cui potersi infilare e attaccare.
Alex sorride, apre le braccia con fare derisorio.
"Allora?" la sprona "Nient'altro che qualche ondeggiamento e uno sguardo truce?"
Excella digrigna i denti, l'Uroboros avverte la sua tensione e scatta in avanti - un cane fedele e votato al sacrificio.
Alex amplia il sorriso, lo scansa con una facilità imbarazzante.
Ne afferra un'estremità, strattona in avanti - le fa perdere l'equilibrio, sbattendola al suolo.
Il Progenitore ride, mostra solo l'ombra del suo potere.
"Non è abbastanza." la raggiunge la voce di Alex "Non sei nata per questo ruolo, Excella."
L'Uroboros attacca - feroce, violento, disordinato.
Alex salta all'indietro, ruota su stessa ed evita ogni colpo, materializzandosi poi davanti a lei e assestandole un montante destro da toglierle il fiato.
Ed è spietata Alex, una creatura precisa, controllata; una forza brutale celata dietro un volto pallido e aristocratico.

Come lui.

Colpisce e colpisce e colpisce, fino a quando l'Uroboros non grida nella sua mente - chiede pietà, perdono, basta ti prego smettila.
Excella sputa sangue, cerca di rialzarsi.
Alex le sferra un calcio tra le costole (crack - due incrinate, tre rotte) la prostra in mezzo alla sabbia - la schiaccia, come un insetto.
L'Uroboros si allunga verso la testa di Excella, copre i punti vitali - protegge il suo involucro.
La pupilla di Alex si riduce a una fessura nerissima e insondabile, l'iride brucia - gronda sangue e rabbia.
Alza il piede, si ferma solo quando la mano di Excella scatta verso l'alto e la blocca.
Alex la guarda, ansima.
L'Uroboros geme, si contorce sotto di lei.
Una gamba sospesa a mezz'aria, la sua Louboutin incastrata tra sue dita - Alex è una bestia senza pietà e senza speranza.
Excella ha un occhio gonfio, le labbra spaccate; i capelli le coprono metà del viso, il respiro un rantolo umido (deve averle perforato un polmone)
Si fissano - si cercano.
Il Progenitore urla - ringhia tutto il suo dolore, la sua furia.

La sua delusione.

L'Uroboros si arrotola in un angolo della sua coscienza, si erge a ultima barriera tra Alex ed Excella.
"È morto, Alex."
Silenzio.
"È morto, e non è stata colpa mia."
Il Progenitore stride, reclama.

Uccidila uccidila uccidila. Uccidilauccidilauccidila.

Alex si scosta da Excella, deglutisce.
L'Uroboros comincia a ricostruire la pelle di Excella, le ossa; sana le ferite, riporta a nuova vita un corpo ridotto a nulla più che una massa sanguinolenta.
Excella si alza sulle ginocchia, le rivolge uno sguardo in tralice.

Consapevole.

Alex nasconde dietro l'indifferenza un sentimento che l'ha giù uccisa troppe volte.


Erasing, refacing, no worthless, no mercy.

Non ne avevano mai parlato apertamente.

Non potevano.

Era sempre stato un argomento vietato, una memoria che entrambe avevano vissuto privatamente e senza mai confrontarsi.

Per dirsi poi cosa?
Scusami se ti ha ammazzato come un cane, Excella.
Scusami se non l'ho fermato in tempo, Alex.

Excella si siede dall'altra parte della stanza, osserva Alex.

Coglie lei - lui.

Gli stessi gesti precisi, ripetitivi.
La stessa postura militare, la stessa mimica del volto - uno snudare dei denti minaccioso, che non aveva nulla d'umano.
Impugna la penna (Mont Blanc, stilografica. Pennino in oro bianco, edizione Scrittori, Lev Tolstoj) come lui, si muove come lui - una spietata simmetria.
Combatte come lui, ride persino come lui.

Eppure...

Alex alza lo sguardo, intercetta il suo.

Occhi spezzati, pieni di un dolore che possiede un solo nome - mai quello giusto.

Aver amato un uomo come Albert Wesker era stata la condanna d'entrambe.


#0

Una nuova vita, un addio; un futuro racchiuso nella sua borsa Hermes, modello Kelly.
Excella scivola con lo sguardo sulla valigia, lungo il profilo della stanza - una casa-prigione per due anni e tre mesi.
"Cosa è cambiato?" le chiede, e si volta, incrociandone lo sguardo.
È una donna diversa Alex, più fragile.
Rimane immobile, le braccia incrociate al petto e la spalla appoggiata allo stipite della porta - una statua bianca e oro.
"Devi andartene."
"Perché?"

Perché adesso.

"Devi e basta."
Excella assottiglia le labbra, fa un gesto spazientito con la mano.
"Potrei usare l'Uroboros per costringerti a dirmelo."
Alex alza un sopracciglio, sorride - quasi.
"E io potrei usare il Progenitore per insegnarti ancora una volta chi comanda qui - chi tiene per le palle chi."
Tace Excella, e attraverso l'Uroboros percepisce la malattia di Alex, la sua disperazione - l'agonica malinconia che l'aveva stritolata negli ultimi mesi.
Il Progenitore aggredisce (come sempre) e chiude ogni comunicazione, lasciando all'Uroboros nulla più che briciole - gli avanzi di una donna che non è mai crollata, non davanti a lei.
"Vattene, Excella. Sei libera. Libera e viva."
"Non ho più nulla."
Alex emette un suono disinteressato, si stringe nelle spalle.
"Hai la tua nuova identità, i tuoi nuovi vestiti. Il BSAA non ti cerca più, la Tricell ha pagato i suoi debiti. Hai l'Uroboros; non ti serve nient'altro."
Excella spinge - cerca un punto d'ingresso nella mente di Alex.
"Non farlo." l'ammonisce Alex "Ti sto dando una possibilità, l'ultima. Un elicottero ti sta già aspettando, devi solo uscire da questa stanza e vivere, Excella."
Excella la studia, ne cerca il profilo - i pensieri.
Pelle tirata sugli zigomi, labbra esangui; Alexandra Wesker sta... morendo?
"Sì." le dice, e la sua voce spezza il silenzio "E non posso più evitarlo. Non voglio."
Excella apre la bocca, la richiude - si china di lato e raccoglie la valigia, la borsa.
Oltrepassa la soglia della stanza, si volta verso Alex.
"È finita, vero?"
Alex tace, sbatte le palpebre una volta, due.
"Stanno venendo a prenderti."
"Vai, Excella Gionne; goditi la vita per la quale hai tanto combattuto."
Per un istante, un flebile momento, Excella vorrebbe consolarla - toccarla, forse.
Vorrebbe dirle che andrà tutto bene, che ce la farà.
Che nessun uomo vale la propria vita, ma mentirebbe solo a se stessa - a quella parte di lei che ha amato Wesker persino mentre la uccideva e le toglieva tutto.
"E se mi trovassero?"
Alex le rivolge uno sguardo obliquo, arcua un angolo della bocca.

"Voi Wesker siete duri a morire, eh?"

"Signorina Gionne." le interrompe Stuart "L'elicottero è pronto; se vuole seguirmi..."
Excella guarda Alex un'ultima volta, capisce che c'è troppo da dire - un tutto che diventa niente sotto il peso dei rimorsi.
"Addio, Alexandra Wesker." le mormora nella sua lingua madre "Alla prossima vita."
Alex continua a fissarla, occhi vitrei e simili a quelli di un serpente.

A lui.

Excella s'incammina verso il corridoio senza mai voltarsi indietro.


In your eyes, see all the lies
The alibis, that I despise
In your eyes, all the lies
Alibis, I despise
See the lies, spirit dies
Your disguise, monster size.

"Ha sempre amato te."
Alex è un profilo sgualcito nel buio della stanza, un respiro rauco, affannoso.

Inquietante.

"Ti ho odiato anche io, Alexandra Fayer."
Un suono bagnato, molliccio. Colpi di tosse, un gorgoglio soffocato, quasi i polmoni si stessero sciogliendo dall'interno.
"Ti ho odiato così tanto e volevo vederti morta. Volevo che fallissi, che crollassi. Che crepassi come l'insetto molesto che eri."
Uno scricchiolio, la gamba di una sedia che si sposta.
"E l'hai fatto. Sei morta. Per salvarmi. E sei tornata indietro."
Qualcosa che gratta; forse le unghie di Alex, forse qualcos'altro.
"Ed ero così contenta che fossi morta, che avessi finalmente mostrato le tue debolezze. Eri imperfetta, Alex. Eri fragile, come noi comuni mortali. Non eri un dio e neppure una B.O.W: solo un misero rifiuto che Spencer si era dimenticato di buttare."
Una risata abortita; umida di sangue e muco.
"Ma non è bastato."
Silenzio.
"È stato al tuo fianco giorni, settimane. Ha ucciso due dei miei migliori ricercatori perché volevano staccarti il respiratore. Ha mandato Jill a sorvegliarti quando ha dovuto riprendere le ricerche. E non importava quanto io mi impegnassi - quanto non sbagliassi. Tu eri sempre migliore di me."
Un fruscio attutito; piedi nudi che sfiorano una lama di luce.
"Ed è allora che ho capito."
Un vaso cade: vetri infranti e gocce di sangue.
"Ma non ho voluto accettarlo. Non potevo."
Excella intravede Alex nel mezzo di tutta quella oscurità, capelli aggrovigliati e mani strette al petto - occhi infossati nelle orbite, allucinati. Deliranti.
"Ti odio, Alexandra."
"Reciproco." ed è un mormorio spento, sporcato solo dalla rabbia che vi striscia dentro.
Excella abbozza un sorriso, china il capo.

Accetta d'essere regina del nulla e di un amore ormai morto.

Tra di loro l'ombra di un uomo che aveva distrutto entrambe.




"Stronger than lover's love is lover's hate.
Incurable, in each, the wounds they make."
- Euripide -




Note dell'autrice: questa storia contiene qualche riferimento alle vicende narrate nella one-shot "Our little horror story", ma non si inserisce ufficialmente nella serie "The Devil in I" in quanto What if? della trama originale di Resident Evil 5.
I paragrafi sono scanditi dalla canzone "Monster" dei "Static - X".

   
 
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