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Autore: Alina Alboran    23/05/2017    4 recensioni
Attraverso il vetro sporco di un vecchio treno regionale guardo senza vedere il paesaggio che scorre sotto ai miei occhi e che, veloce, sparisce alla mia vista. Mi giro alla mia destra quando sento il vociare rumoroso di alcuni bambini che, finita la scuola, adesso stanno tornando a casa. Per qualche secondo rigiro distrattamente la penna tra le mani e poi ritorno alla mia lettera.
La punta scorre veloce sulla carta seguendo il ritmo dei miei pensieri distratti.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Sarò sincera, pubblico questa storia perché da qualche mese ormai non riesco a scrivere più nulla. Nulla mi convince e nulla mi piace. Ho voglia di scrivere, ho tante storia iniziate e tanti prompt ancora da sviluppare, ma nonostante questo le parole non vogliono uscire. Questa storia  l’ho scritta tempo fa in un momento in cui non avevo nulla da fare, proprio prima che l’ispirazione mi abbandonasse. Teoricamente ci sarebbe anche una seconda parte, però ho deciso di toglierla per ora perché non mi piace e non è in linea con la storia. Spero tuttavia di riuscire a riscriverla, secondo voi ha bisogno di continuo? Mi farebbe piacere sentire le vostre opinioni.  :)

Buona lettura, spero che vi piaccia!

Talk about you

Walk through the city like stupid people do 
A million faces, but all I'm seeing is you 
I'm stopping strangers and telling them your name 
-Mika

  

 

 

   Attraverso il vetro sporco di un vecchio treno regionale guardo senza vedere il paesaggio che scorre sotto ai miei occhi e che, veloce, sparisce alla mia vista. Mi giro alla mia destra quando sento il vociare rumoroso di alcuni bambini che, finita la scuola, adesso stanno tornando a casa. Per qualche secondo rigiro distrattamente la penna tra le mani e poi ritorno alla mia lettera.    
   La punta scorre veloce sulla carta seguendo il ritmo dei miei pensieri distratti. La voce del capotreno, metallica e stridente a causa degli auto parlanti malfunzionanti, mi fa sobbalzare e rimango a fissare il vuoto per qualche attimo prima di ridestarmi, raccogliere il giubbotto e infilare malamente il foglio spiegazzato nella tasca destra.           
   Lentamente mi avvio verso le porte, aspettando pazientemente che i bambini di prima si mettano uno dietro l’altro tra le due file dei sedili. Alzo di poco la testa e scorgo una ragazza e un ragazzo che dormono appoggiati l’uno all’altra. Mi perdo ad osservare la testa di lei che sfrega contro il petto del fidanzato, e l’attenzione quasi devota con cui lui le circonda una spalla, stringendo un po’ di più quando apre gli occhi e incrocia il mio sguardo. Li supero e scendo dal treno ma la mia mente rimane a loro due, ai loro sorrisi complici.        

   Mi chiudo la porta dietro le spalle e finalmente posso togliere la maschera che ho indossato per tutto il giorno ed essere finalmente me stesso. I raggi della luna penetrano dalle grandi vetrate del loft e non riesco a fare a meno di ripensare alla tua pelle nuda, baciata dolcemente dai raggi della luna. Infilo la mano nella tasca del giubbotto per prendere il cellulare, ma la ritiro velocemente quando le mie dita toccano quella carta accartocciata e tanto simile a quello che adesso è il mio cuore.

   Mi addormento sul divano con il rumore della pioggia che culla il mio sonno e con il tuo sapore sulla lingua. Nonostante i mesi passati rabbrividisco ancora al ricordo delle tue carezze, sospiro ripensando ai tuoi gemiti, e rido con te ogni volta che la tua risata mi rimbomba nelle orecchie.       
Mi risveglio con il tuo nome sulle labbra e già so che passerò anche questa notte seduto sulla grondaia sotto la tua finestra. Pigramente mi stiracchio e faccio scrocchiare le ossa dei polsi e del collo indolenzito a causa della posizione scomoda. Sono le due di notte e sono consapevole del fatto che forse, solo un po’, questa è una cosa malata. Ma non riesco a fare a meno di sentire il tuo russare leggero, il tuo stomaco che brontola e il mio nome che scivola dalle tua labbra screpolate.       
Con le mani in tasca e le spalle alte per proteggermi dal freddo invernale procedo a piccoli passi verso casa tua.            

   Il tuo odore è mischiato a quello di una persona a me sconosciuta e inevitabilmente gli occhi si illuminano di blu, mentre un ringhio ferito e incontrollato spaventa un gatto che attraversa la strada e che corre verso il primo albero che trova per mettersi al riparo. Con un solo balzo mi ritrovo sotto la tua finestra e ascolto i tuoi gemiti di dolore mentre, abbracciato a un ragazzo poco più grande di te, gli racconti di noi due. Salgo sul tetto e con gli occhi che si riempiono di lacrime continuo ad ascoltarti parlare.            

«Alcune volte mi sembra di vederlo tra la folla e fa maledettamente male quando mi giro e non lo vedo». Tiri su con il naso, e anche se non posso vederti so che in questo momento ti stai stropicciando gli occhi con le nocche, arrossandoli ancora di più nel tentativo di darti un contegno.
«Starai meglio senza di lui». 
«Forse». Un pugno contro le tegole e il tuo amico si spaventa, alzandosi dal letto e aprendo la finestra, sporgendosi leggermente nel vano tentativo di scoprire da dove provenisse quel rumore.
 

   Osservo ardere con attenzione quasi maniacale il fumo della sigaretta che lentamente si dissolve e si mischia all’aria. Getto per terra il mozzicone e poi lo calpesto con la suola della scarpa, sopraffatto dai sensi di colpa. Involontariamente sorrido, pensando che se fossi presente mi sgrideresti. L’indice puntato contro, la voce seria e lo sguardo deluso. Se tu fossi qui ti afferrerei il polso stringendolo con attenzione, poi avvicinerei la tua bocca alla mia e la bacerei per ore, incurante delle tue lamentele per il mio sapore che sa di fumo. Perché, nonostante tutto, vedermi fumare accenderebbe la tua eccitazione e non riusciresti a controllarti.      
Prendo la quarta sigaretta consecutiva e la avvicino alla fiamma dell’accendino, tirando e riempiendomi i polmoni di fumo. 
Non mi è mai piaciuto fumare, ma da quando te ne sei andato non riesco più a fare le cose che amo. E quindi non mi rimane che fare quelle che odio.       
Odio vederti ridere senza di me, odio vedere come qualcun altro asciuga le tue lacrime. 
Odio sentire l’odio sulle tue labbra quando pronunci il mio nome. 
E mi dispiace, mi dispiace, amore mio, ma non posso più vivere senza di te.         
Non posso, eppure ho scelto di farlo.           

 

   Quando mi risveglio la luna è già alta nel cielo. A farmi compagnia nelle notti solitarie non è rimasta che lei. 
Ululo.
Perché so che nessuno mi sentirebbe.           
Ringhio.         
Perché anche se lo facessero mi ignorerebbero.       
E va bene così. Anche io mi odio per il male che ti sto facendo. Ma starai bene, amore mio. Starai bene e sarai felice.           
Premo i pugni chiusi contro il legno dello sdraio, facendo pressione per alzarmi. Il vetro della finestra riflette la mia immagine e rimango incantato a fissarla.      
Di me non è rimasto che il ricordo di te.      

 

   
 
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