Note:
Sarò
sincera,
pubblico questa storia perché da qualche mese ormai non
riesco a scrivere più nulla.
Nulla mi convince e nulla mi piace. Ho voglia di scrivere, ho tante
storia
iniziate e tanti prompt ancora da sviluppare, ma nonostante questo le
parole
non vogliono uscire. Questa storia
l’ho
scritta tempo fa in un momento in cui non avevo nulla da fare, proprio
prima
che l’ispirazione mi abbandonasse. Teoricamente ci sarebbe
anche una seconda
parte, però ho deciso di toglierla per ora perché
non mi piace e non è in linea
con la storia. Spero tuttavia di riuscire a riscriverla, secondo voi ha
bisogno di continuo?
Mi farebbe piacere sentire le vostre opinioni.
:)
Buona lettura, spero che vi piaccia!
Talk about you
Walk through the city like stupid people do
A
million faces, but all I'm seeing is you
I'm
stopping strangers and telling them your name
-Mika
Attraverso il
vetro sporco di un vecchio treno regionale
guardo senza vedere il paesaggio che scorre sotto ai miei occhi e che,
veloce,
sparisce alla mia vista. Mi giro alla mia destra quando sento il
vociare
rumoroso di alcuni bambini che, finita la scuola, adesso stanno
tornando a
casa. Per qualche secondo rigiro distrattamente la penna tra le mani e
poi
ritorno alla mia lettera.
La punta scorre veloce sulla carta seguendo il ritmo dei
miei pensieri
distratti. La voce del capotreno, metallica e stridente a causa degli
auto
parlanti malfunzionanti, mi fa sobbalzare e rimango a fissare il vuoto
per
qualche attimo prima di ridestarmi, raccogliere il giubbotto e infilare
malamente il foglio spiegazzato nella tasca destra.
Lentamente mi avvio verso le porte, aspettando
pazientemente che i
bambini di prima si mettano uno dietro l’altro tra le due
file dei sedili. Alzo
di poco la testa e scorgo una ragazza e un ragazzo che dormono
appoggiati l’uno
all’altra. Mi perdo ad osservare la testa di lei che sfrega
contro il petto del
fidanzato, e l’attenzione quasi devota con cui lui le
circonda una spalla,
stringendo un po’ di più quando apre gli occhi e
incrocia il mio sguardo. Li
supero e scendo dal treno ma la mia mente rimane a loro due, ai loro
sorrisi
complici.
Mi chiudo la porta
dietro le spalle e finalmente posso togliere la maschera che ho
indossato per
tutto il giorno ed essere finalmente me stesso. I raggi della luna
penetrano
dalle grandi vetrate del loft e non riesco a fare a meno di ripensare
alla tua
pelle nuda, baciata dolcemente dai raggi della luna. Infilo la mano
nella tasca
del giubbotto per prendere il cellulare, ma la ritiro velocemente
quando le mie
dita toccano quella carta accartocciata e tanto simile a quello che
adesso è il
mio cuore.
Mi addormento sul
divano con il rumore della pioggia che culla il mio sonno e con il tuo
sapore
sulla lingua. Nonostante i mesi passati rabbrividisco ancora al ricordo
delle
tue carezze, sospiro ripensando ai tuoi gemiti, e rido con te ogni
volta che la
tua risata mi rimbomba nelle orecchie.
Mi
risveglio con il tuo nome sulle
labbra e già so che passerò anche questa notte
seduto sulla grondaia sotto la
tua finestra. Pigramente mi stiracchio e faccio scrocchiare le ossa dei
polsi e
del collo indolenzito a causa della posizione scomoda. Sono le due di
notte e
sono consapevole del fatto che forse, solo un po’, questa
è una cosa malata. Ma
non riesco a fare a meno di sentire il tuo russare leggero, il tuo
stomaco che
brontola e il mio nome che scivola dalle tua labbra screpolate.
Con
le mani in tasca e le spalle
alte per proteggermi dal freddo invernale procedo a piccoli passi verso
casa
tua.
Il tuo odore è mischiato a quello di una
persona a me sconosciuta e
inevitabilmente gli occhi si illuminano di blu, mentre un ringhio
ferito e
incontrollato spaventa un gatto che attraversa la strada e che corre
verso il primo
albero che trova per mettersi al riparo. Con un solo balzo mi ritrovo
sotto la
tua finestra e ascolto i tuoi gemiti di dolore mentre, abbracciato a un
ragazzo
poco più grande di te, gli racconti di noi due. Salgo sul
tetto e con gli occhi
che si riempiono di lacrime continuo ad ascoltarti parlare.
«Alcune
volte mi sembra di vederlo tra la folla e fa
maledettamente male quando mi giro e non lo vedo». Tiri su
con il naso, e anche
se non posso vederti so che in questo momento ti stai stropicciando gli
occhi
con le nocche, arrossandoli ancora di più nel tentativo di
darti un contegno.
«Starai
meglio senza di lui».
«Forse».
Un pugno contro le tegole e
il tuo amico si spaventa, alzandosi dal letto e aprendo la finestra,
sporgendosi leggermente nel vano tentativo di scoprire da dove
provenisse quel
rumore.
Osservo ardere con
attenzione quasi maniacale il fumo della sigaretta che lentamente si
dissolve e
si mischia all’aria. Getto per terra il mozzicone e poi lo
calpesto con la
suola della scarpa, sopraffatto dai sensi di colpa. Involontariamente
sorrido,
pensando che se fossi presente mi sgrideresti. L’indice
puntato contro, la voce
seria e lo sguardo deluso. Se tu fossi qui ti afferrerei il polso
stringendolo
con attenzione, poi avvicinerei la tua bocca alla mia e la bacerei per
ore,
incurante delle tue lamentele per il mio sapore che sa di fumo.
Perché,
nonostante tutto, vedermi fumare accenderebbe la tua eccitazione e non
riusciresti a controllarti.
Prendo
la quarta sigaretta
consecutiva e la avvicino alla fiamma dell’accendino, tirando
e riempiendomi i
polmoni di fumo.
Non
mi è mai piaciuto fumare, ma da
quando te ne sei andato non riesco più a fare le cose che
amo. E quindi non mi
rimane che fare quelle che odio.
Odio
vederti ridere senza di me,
odio vedere come qualcun altro asciuga le tue lacrime.
Odio
sentire l’odio sulle tue labbra
quando pronunci il mio nome.
E
mi dispiace, mi dispiace, amore
mio, ma non posso più vivere senza di te.
Non
posso, eppure ho scelto di
farlo.
Quando mi risveglio
la luna è già alta nel cielo. A farmi compagnia
nelle notti solitarie non è
rimasta che lei.
Ululo.
Perché so che nessuno mi sentirebbe.
Ringhio.
Perché anche se lo facessero mi ignorerebbero.
E va bene così. Anche io mi odio per il male che ti sto
facendo. Ma starai
bene, amore mio. Starai bene e sarai felice.
Premo i pugni chiusi contro il legno dello sdraio, facendo pressione
per
alzarmi. Il vetro della finestra riflette la mia immagine e rimango
incantato a
fissarla.
Di me non è rimasto che il ricordo di te.