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Autore: Civaghina    23/05/2017    1 recensioni
Com'era la vita di Leo, prima della terribile scoperta della Bestia?
Com'è cambiata la sua vita quando si è trovato davanti ad una verità così devastante?
La storia di Leo prima di Braccialetti Rossi, ma anche durante e dopo: gioie, dolori, amori, amicizie, passioni, raccontate per lo più in prima persona, sotto forma di diario.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Oggi mi sento bene.

Certo, non sono affatto psicologicamente pronto al pensiero di dover fare il terzo ciclo di chemio domani ma, a parte questo, sto bene:

  • Ho avuto una notte tranquilla, senza risvegli e senza incubi.

  • Niente febbre, bastonate del fattore G. sempre più gestibili (siamo arrivati a solo tre dosi di antidolorifico sulle ventiquattro ore) e neutrofili ancora in salita.

  • Mi sta pure tornando il mio solito appetito e Asia, appena l'ha saputo, si è precipitata qui all'ora di pranzo con una teglia gigante di pasta al forno, riuscendo a trascinarsi dietro anche mio padre, per pranzare tutti e tre insieme.

Sembriamo quasi una famiglia normale: una famiglia senza drammi, senza lutti, senza Bestie pronte ad attaccare e uccidere.

Peccato che poi alle 13 arriva Ester col fattore G. e ci riporta tutti alla realtà.

Quando loro vanno via, guardo un episodio di The Walking Dead e dopo il cambio turno degli infermieri mi cambio e comincio ad allenarmi come ieri.

Va ancora meglio: il riposo di stanotte e la pasta di Asia mi hanno dato l'energia giusta; ho il fiatone, ma non mi importa; il mio i-pod passa le migliori canzoni per l'allenamento ed io mi sento pieno di energia.

Riesco a completare il circuito molto più in fretta rispetto a ieri, poi mi infilo in doccia.

Mi ritrovo a pensare alla chemio di domani e ammetto di avere paura per come potrà reagire il mio corpo. Temo che questo sia l’ultimo giorno di benessere e che da domani ricomincerò a stare male.

Ma che ci posso fare?

Niente.

Non ho alternative.

Pazientare.

E' che io non sono per niente un tipo paziente.

Ed è che qua, la faccenda, è proprio lunga.

Se non altro, quella di domani, sarà l'ultima chemio per un po'; poi se ne riparlerà dopo l'operazione.

Anche l'operazione mi fa paura.

Non ne so molto ma qualcosa mi dice che sarà un po' più complicata della biopsia.

Se tutto questo serve a sconfiggere la Bestia, però, mi va bene.

Sconfiggere la Bestia e mettere fine a quest'incubo è tutto ciò che mi interessa, adesso.

Se elimino la Bestia scompariranno il dolore, l'angoscia, la fatica, la paura.

La paura forse no.

Forse quella rimarrà, dentro di me, come una compagna silenziosa ma presente.

Ma la mia vita potrà tornare come un tempo.

Io potrò tornare libero e sano come due mesi fa.

Libero e sano.

Così ero solo due mesi fa.

Due mesi.

Sembrano passati secoli.

Ma di una cosa sono certo: se sconfiggo la Bestia riavrò la pace.

Riavrò il mio sorriso, quello più vero.

E riavrò il sorriso vero di coloro che mi amano, che ormai anche quando mi sorridono hanno sempre quell'espressione preoccupata e mi guardano con compassione, col timore che io possa scomparire da un momento all'altro.


L'acqua tiepida scivola sulla mia pelle come una carezza morbida, mi distrae dai miei pensieri, mi rilassa, mi àncora al presente.

Chiudo gli occhi, per assaporare meglio questa sensazione di pace e tranquillità che mi avvolge.

Comincio a lavarmi i capelli.

Piano, delicatamente, col terrore che mi rimangano in mano.

E invece succede lo stesso.

E invece il momento è arrivato.

Ed io non sono pronto.

Non lo sono affatto.

Guardo quella ciocca di capelli stretta nella mia mano e non riesco a riconoscerla come parte di me.

Tento disperatamente di resistere, di non lasciare che il dolore abbia la meglio.

Mi appoggio a una parete della doccia e mi lascio scivolare in terra, tenendo stretti i capelli nel pugno, mentre la sensazione di vuoto e di perdita annulla tutto il resto.

Alzo gli occhi verso il soffitto sperando di fermare le lacrime, ma è del tutto inutile.

Cerco con tutte le forze di soffocare l'emozione che mi sta assalendo, ma non ci riesco e alla fine mi ritrovo a singhiozzare come un bambino.

Cerco di aggrapparmi più che posso ai miei pensieri positivi, alla mia forza, alla mia ostinazione, alla mia voglia di vivere, ma tutto ciò perde importanza di fronte a quella ciocca di capelli.

Mi sento svuotato.

Un'altra volta perso.

E sono ancora seduto a terra.

Con la testa appoggiata contro le piastrelle e l'acqua che mi scorre addosso.

Con la faccia bagnata di acqua e di lacrime.

E totalmente privo di forze.


Sono fermo qui da troppo tempo.

Ho la pelle di mani e piedi completamente raggrinzita dall'acqua.

E ho freddo.

Mi decido ad alzarmi ed esco dal box doccia con i capelli ancora stretti nel pugno.

Mi avvicino con timore allo specchio mentre gocciolo dappertutto.

Non si nota niente.

Non si vede niente.

Apro il pugno e riguardo la ciocca di capelli.

E' solo una ciocca, ed io di capelli ne ho tanti.

Non si nota.

Magari perderò solo questi.

Magari non ne cadranno degli altri.

No, non la do a bere nemmeno a me stesso.

Continuo a tenere i capelli in mano, come se così fossero ancora miei.

La verità è che non lo sono più.

Deglutisco e li butto nel water.

Li guardo galleggiare, lontani da me, cercando di prenderne le distanze.

Ho freddo.

Indosso l'accappatoio, me lo stringo addosso, mi friziono per riscaldarmi.

Ho paura di asciugare i capelli.

Ho paura di strofinarli con l'asciugamano.

Ho paura di usare il phon.

Guardo un'ultima volta i capelli nel water, poi tiro lo sciacquone e chiudo il coperchio.

Mi ci siedo sopra sospirando.

Porto la testa bagnata tra le mani.

Rimango immobile, ancora per lungo tempo.

Bussano alla porta.

"Ah Leo! Tutto bene?! E' un'ora che stai lì dentro!".

E' la voce di Ulisse.

"Sì! Tutto bene!" urlo restando seduto.

"Devo provarte la febbre!"

"Puoi ripassare tra dieci minuti?"

"E vabè! Poi basta però! Son già passato due volte! Tra dieci minuti te voglio qua!"

"Sì, sì, promesso".

Sento il rumore dei passi che si allontanano e della porta della camera che si chiude.

Se n'è andato.

Vado in camera, mi vesto e torno in bagno per mettere via l'accappatoio.

Ho i capelli ancora bagnati.

Prendo un asciugamano e li tampono leggermente, senza frizionare.

Torno di là e mi butto sul letto aspettando Ulisse, che arriva dopo pochi minuti.

"Ma c'hai i capelli tutti bagnati!" nota lui quando mi metto a sedere sul letto. "Hai pure bagnato er cuscino!"

"Vabbè, siamo in estate, no? Fa lo stesso!" esclamo prendendogli di mano il termometro e mettendolo sotto l'ascella.

"Ma guarda qua! C'hai pure mani e piedi tutti raggrinziti! Ma quanto sei stato a mollo?! Volevi diventà un pesce?!"

"Si dice sano come un pesce, no? Se divento un pesce forse torno sano!"

"Io dico che così te viene 'nà bronchite! Altro che sano come un pesce!"

"Andiamo Ulisse! Mi sembri mia sorella!"

"Te sembro tù sorella?! Te la do io tù sorella, te la do!" dice agitando una mano in aria. "Vado a prendertene 'na asciugamano!"

"Mà no!"

"Mà sì, invece!".

Va in bagno e torna subito dopo con un asciugamano, cominciando a frizionarmi i capelli.

"Lascia, lascia! Faccio io!" esclamo mentre il termometro suona. "Toh! Tu prendi questo" gli dico porgendogli il termometro per allontanare il più possibile le sue enormi mani dai miei capelli.

"Mannàggia a te! T'è tornata la febbre!".

Cazzo, questa non ci voleva.

"Adesso fili in bagno e t'asciughi quei capelli! Altrimenti te ci trasformo io in un pesce!".

Io sbuffo e mi alzo dal letto, mentre lui mi viene dietro. "Adesso glielo dici te alla Lisandri! Glielo vai a dire a lei che tanto sèmo in estate!! La febbre a 38 te sei fatto venì! E non è ancora sera! Te se alza di sicuro! E domani c'hai la chemio!".

Lo lascio parlare senza rispondere, prendo il phon, lo metto al minimo e comincio ad asciugarmi i capelli.

"Eh, buonanotte! Così ce metti fino a domani! Alza un po'!" esclama lui prendendomi il phon dalle mani e alzando la velocità e la temperatura.

"Sono capace di asciugarmeli da solo, eh?! Non mi serve la balia!" dico riprendendo il phon.

"A me, me pare de sì!"

"Mi puoi lasciare in pace?!" gli chiedo alzando la voce.

"Mamma mia, ahò! Stai nervoso, eh?!"

"Sì, sono nervoso! Adesso mi lasci in pace?!" esclamo esasperato, mentre sento che gli occhi mi si riempiono di lacrime.

"Vabbè, vado a dire alla Lisandri che c'hai la febbre e sentiamo che dice. Quando torno li voglio vedè asciutti!"

"Ma sì, ma sì, adesso vai!".

Lui fa per andarsene ma poi si volta di nuovo verso di me: "C'hai paura che te cascano, è così?" mi domanda guardandomi negli occhi mentre io stringo le labbra per non piangere.

"Hanno già cominciato" rispondo, non distogliendo lo sguardo dal suo. "Prima, sotto la doccia. E avevi ragione tu... va bene?!" dico alzando la voce. "Avevi ragione tu! Mi sono sentito morire a vederli cadere! Avevi ragione! Sei contento, adesso?!"; mi rendo conto che sto quasi urlando, ma non riesco a trattenermi.

"No che non sò contento. Leo, me dispiace... Guarda che io, de rasarti, lo dicevo solo per te...".

Allunga una mano verso la mia schiena.

La sento calda.

Forte.

Sicura.

Vorrei fosse la mano di mio padre.

"Lo so. Grazie" gli dico scostandomi. "Vai pure dalla Lisandri adesso".

Lui mi rivolge un sorriso triste: "Sì, vado".


Quando vado in camera vedo che il cuscino bagnato è stato sostituito da uno asciutto e sorrido grato. Mi siedo sul letto a giocare alla Play e dopo un po' torna Ulisse, seguito dalla Lisandri.

"Ciao Leo".

Io metto giù la Play e accenno un saluto con la mano: "Dottoressa...".

"Vediamo un po' cosa succede..." dice avvicinandosi a me e cominciando a toccarmi intorno alla mascella e sotto al mento. "I linfonodi non sono infiammati" dice mentre Ulisse scrive sulla mia cartella. "Apri la bocca."

"E il dottor Carlo dove l'ha lasciato oggi? Sento la sua mancanza!"

"Ha già finito il suo turno per oggi, dovrai accontentarti solo di me. Apri la bocca."

"Eseguo!"

"Giù la lingua. Dì Aaa... Niente, anche la gola è a posto. Togli la maglietta".

Mi visita col fonendoscopio e dichiara che anche bronchi e polmoni sono a posto. Controlla fegato e milza ed è tutto a posto anche lì.

"Non è chiaro da dove provenga questa febbre. Potrebbe essere il fattore G. Hai qualche sintomo?"

"No."

"Nessun dolore o malessere?"

"No, mi sento solo un po' stanco".

Ma probabilmente è colpa dell'allenamento intensivo degli ultimi due giorni; anche se mi guardo bene dal dirglielo.

La Lisandri fa cenno ad Ulisse di passarle la cartella clinica; la guarda a lungo, la esamina in cerca di qualcosa. "Mh... se anche avessi dei dolori non li avvertiresti perché sei ancora sotto antidolorifico..." dice parlando più con se stessa che con me. "Non so da dove provenga questa febbre, ma entro domattina bisogna che non ci sia più. L'esame del sangue di stamattina era buono... Non c'erano in corso infezioni, i neutrofili erano 2100... questa febbre non me la spiego. Sei sicuro di essere stato bene per tutto il giorno?" mi domanda sedendosi ai piedi del letto.

"Sì."

"Prova a raccontarmi la tua giornata..." mi dice togliendosi gli occhiali.

"Non ho molto da raccontare, dato che sono chiuso qua per tutto il giorno..."

"La scorsa notte hai dormito bene?"

"Sì..."

"L'appetito? Devi sforzarti ancora per mangiare?"

"Dipende da cosa mi portano..."

"E oggi?"

"Oggi è venuta mia sorella con la pasta al forno e ho mangiato di gusto."

"E' venuta Asia? E stava bene? Non era influenzata, per caso?"

"No, stava benissimo. E anche mio padre."

"Quindi hai pranzato con loro? E poi?"

"E poi niente, è venuta Ester per il fattore G..."

"Sì, questo lo so. E poi? Che hai fatto?"

"Ho guardato un telefilm, ascoltato musica, roba così..."

"E hai fatto una doccia".

Io guardo Ulisse, che è alle sue spalle, per capire se lui le abbia detto qualcosa sui miei capelli, ma dall'espressione che mi fa sembrerebbe proprio di no.

"Sì... come lo sa?"

"Diciamo che ho un buon olfatto. Ho sentito l'odore del bagnoschiuma appena sono entrata. Hai usato l'acqua troppo calda? Troppo fredda?".

"No... normale, tiepida."

"Sei rimasto bagnato a lungo? Hai lasciato i capelli bagnati?".

Ulisse mi fa di nuovo segno che non le ha detto niente ed io gli credo: d'altronde mi ha pure cambiato il cuscino bagnato prima di andarla a chiamare.

"Ma no..." le rispondo sfregandomi un occhio.

"Senti Leo, domattina ti aspetta la chemio e sai benissimo quanto sia fisicamente pesante. Devi arrivarci al meglio. Dobbiamo fare scendere questa febbre, ma non posso azzardare terapie a caso."

"Niente antibiotici a chi piglio piglio, stavolta?"

"Gli antibiotici debilitano molto il fisico e alla vigilia della chemio non ce lo possiamo permettere. Tu sei proprio sicuro di essertene stato tranquillo per tutto il giorno? Di aver riposato, di aver dormito bene, di aver mangiato?"

"Mà sì!"

"Non è che sei uscito di nascosto e te ne sei andato in giardino? O in palestra?"

"No, giuro" dico trattenendo a stento una risata.

Beh, sul fatto di non essere uscito dalla stanza posso giurare davvero.

"Leo, non stiamo giocando. Qua si tratta della tua salute. Devo capire se la febbre è un effetto collaterale del fattore G. oppure se c'è dell'altro".

Questo interrogatorio mi sta sfiancando ed io vorrei solo essere lasciato in pace e starmene da solo.

"E va bene! C'è dell'altro! Mi sono un po' allenato..., ok? Può darsi che mi sia affaticato un po'..."

"Credo di non aver capito bene..." mi dice guardandomi seria, mentre Ulisse ha capito benissimo e mi fulmina con uno sguardo.

"Ho fatto qualche esercizio..."

"Cosa vuol dire che hai fatto qualche esercizio?!" esclama lei alzandosi. "Per quanto tempo?"

"Circa una quarantina di minuti... Più un'ora ieri..." ammetto a bassa voce.

"Tu mi stai prendendo in giro, vero?" mi domanda incrociando le braccia. "Dimmi che mi stai prendendo in giro!"

"No, ma mi sentivo bene e..."

"E... e cosa?!" urla lei. "Io ti ho detto di non uscire da questa stanza per non affaticarti e tu hai pensato bene di allenarti per due giorni di fila?! Sei un incosciente! Un irresponsabile!"; continua a sgridarmi mentre io distolgo lo sguardo da lei e guardo un punto impreciso della stanza. "Si è un po' allenato..., hai capito Ulisse?! Ha fatto qualche esercizio! E poi vuole che lo trattiamo da adulto! Altro che adulto! La baby sitter mi tocca assumere, qua! Non ti possiamo lasciare da solo! Adesso dimmi come faccio a fidarmi ancora di te?! Eh?! Me lo dici?!" esclama mentre cammina avanti e indietro per la stanza come una furia. "Ma cosa credi?! Che io mi diverta a tenerti prigioniero, come dici tu?! Credi che sia una sadica?! E' questo che credi?! Credi che stiamo giocando qui?! Hai una vita di riserva, per caso?! No, non ce l'hai!".

Io sono rimasto zitto finora, ad accusare il colpo, ma dopo quest'ultima frase non ce la faccio proprio a non risponderle: "No, non ce l'ho la vita di riserva! E' per questo che cerco di rendere meno schifosa quella che mi ritrovo!".

Lei smette di colpo di camminare e mi fissa; in fondo alla rabbia che ancora infiamma i suoi occhi, percepisco qualcos'altro che non saprei ben definire: dispiacere, frustrazione, compassione, forse. "Che tu mi creda o no, è quello che sto cercando di fare anch'io: migliorare come posso la tua vita, anche a costo di farmi odiare da te" dice prendendo in mano la mia cartella e scrivendoci sopra. "Ulisse..., somministra per infusione endovenosa un flacone di acido acetilsalicilico diluito in fisiologica. Da ripetere ogni quattro ore, fino a domattina prima del prelievo. Controlla la febbre ogni due ore. Quando arriva Laura spiegale la situazione e dille di monitorare la febbre anche tutta la notte, sempre ogni due ore, col termometro se è sveglio o basandosi sul polso se dorme. Se dovesse salire oltre i 38 chiamate me o il medico di guardia, nel caso io sia già andata via".

"Va bene dottoressa" risponde Ulisse, che ha preferito rimanere in silenzio per tutto il tempo.

Lei fa un cenno con la testa verso di lui e poi se ne va senza dirmi niente.

"Eh, certo che l'hai proprio fatta incazzà!" osserva Ulisse guardandomi.

La giornata prometteva bene, prima di quei maledetti capelli nella mia mano.

Prima di questa maledetta febbre.

Prima della sfuriata della Lisandri e del suo ricordarmi che una vita di riserva io proprio non ce l'ho.

Ho la certezza che i miei capelli hanno cominciato a cadere.

Ho la certezza che mi toccherà stare chiuso in questa stanza chissà ancora per quanto.

Ho la certezza che domattina mi tocca di nuovo la chemio.

Ho la certezza che tra poco mi tocca di nuovo la flebo.

Ho la certezza che adesso ho un grandissimo giramento di palle.

Ma nessuna vita di riserva.

Quella proprio non ce l'ho.


   
 
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