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Autore: sofimblack    25/05/2017    0 recensioni
Dal II capitolo:
«Vuoi una caramella?»
Lui la guardò con attenzione ancora maggiore. Non si erano mai presentati, non si conoscevano, eppure lei non si era presentata né gli aveva chiesto il suo nome. No, lei gli aveva sorriso offrendogli una caramella. Una caramella. Anche lei studiava le persone, non si era sbagliato, ma aveva l’impressione che i loro studi si muovessero su due piani diversi.
[...]Quando però lei gliela porse, e lui allungò la mano per prenderla, accaddero due cose contemporaneamente.
Si sfiorarono appena, e una lieve scossa attraversò entrambi... probabilmente pure questo è un cliché, eppure tramite quel tocco leggero presero effettivamente la scossa, era decisamente così, non ci si poteva sbagliare.
La seconda cosa fece invece cadere Rae nello sgomento. L’atmosfera, da tranquilla e rilassata, si era fatta per lei tesissima. Una sensazione terribile, sconvolgente e in qualche modo triste la attraversò, velandole per un momento gli occhi di panico. 5 novembre, 5 novembre, 5 novembre.

Cosa sarebbe potuto accadere se Rae, una ragazza molto "intuitiva" e dal passato difficile, avesse incontrato Elle durante il caso Kira? Forse il finale sarebbe stato diverso...
Beh, spero di avervi sufficientemente incuriositi! Buona lettura ^^
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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XV

Segni, sogni, realtà

 

 

Metà giugno

 

R
 

Era una giornata nuvolosa, di quelle che ogni tanto in estate arrivano spezzando il caldo, soffiando un vento sorprendentemente tagliente. Rae si strinse nel suo maglione leggero mentre camminava nel parco semivuoto, rabbrividendo per il fresco. 

«Pfff… Quanto cavolo manca?!»

“Dopo la fontana svolta a destra, abbandonando il sentiero principale. In uno spiazzo tra le querce. È lì.”

L’immagine di Rem che le spiegava la strada era precisa e dettagliata nella sua mente, ma sarebbe stato senz’altro più comodo se fosse venuta con lei. Dannati shinigami. Finalmente raggiunse e superò la fontana, procedendo spedita tra gli alberi come se avesse percorso quella strada migliaia di volte. Ad un certo punto la assalì la stessa strana sensazione di nausea che la coglieva quando aveva delle premonizioni su Yagami. Doveva essere vicina. Percepiva chiaramente di essere osservata.

Tirò fuori una piccola pala da giardinaggio che si era saggiamente portata dietro ed iniziò a scavare in un punto preciso, imbattendosi poco dopo in qualcosa di duro… in casi come quello avere le sue intuizioni era una vera pacchia. Si trattava di una scatola avvolta dalla plastica, che aprì con mani tremanti. Dentro c’erano un quaderno dalla copertina nera e una lettera. Rae sospirò. Era il momento. Sfiorò appena la copertina col polpastrello, quasi timorosa, quasi insicura delle proprie azioni. Chiuse gli occhi. Fruscio di foglie. Li riaprì.

«So che sei lì, Ryuk .»

«Uffa. Non sei per nulla divertente.»

Lo shinigami che le si parò davanti era diverso da Rem: era vestito di nero, con un paio di spaventose ali scure ed un’immensa bocca piena di denti aguzzi curva in un sorriso inquietante. Rae aveva dato per scontato che fossero tutti uguali, ma a quanto pareva si era sbagliata. Ryuk se ne stava sospeso a mezz’aria osservandola, senza essere più di tanto preoccupato dal fatto che lei sapesse il suo nome, o che non avesse fatto una piega quando le era comparso davanti.

«Sai, credo invece di essere la cosa più divertente che ti sia capitata ultimamente. Non è noioso starsene tutto il giorno tra gli alberi?»

«Forse. Però ogni tanto vengono da queste parti umani interessanti…»

Rae rabbrividì pensando a che genere di persone potessero frequentare quel luogo isolato del parco, soprattutto visto che un dio della morte le riteneva interessanti.

«Ryuk. Ho qualcosa per te.»

A quelle parole lo vide farsi improvvisamente serio.

«Per caso è una mela?»

Con un sorrisetto soddisfatto tirò fuori dalla borsa il frutto in questione, rosso ed invitante. 

«Lo è.»

Lo vide agitarsi, improvvisamente attento, mentre faceva un paio di capriole per aria.

«Oh, Rae, meravigliosa Rae, dammela, dammela! È così tanto che non ne mangio una, quella polpa così succosa, così saporita…»

E così quello era davvero il suo punto debole. Troppo facile.

«Che ne dici di fare un patto, Ryuk?»

Lo shinigami si immobilizzò, gli occhi fissi sulla mela.

«Un patto?»

«Esattamente. Ciò che ti chiedo è davvero poca cosa, te lo assicuro… E se sarai così gentile da aiutarmi ti darò tutte le mele che vuoi.»

«Tu-tutte quelle che voglio? Cominci a starmi simpatica, umana.»

«Allora ci stai?»

 «Sì. Credo che sarà divertente.»

Il ghigno che le riservò, prima di addentare il frutto del peccato, la fece sentire avventata, come una Eva che non aveva imparato proprio niente dai propri sbagli.

 

 

Era notte e Rae dormiva, perduta in mezzo a quel letto enorme. Si stava agitando tra le lenzuola che le restavano impigliate alle gambe, quasi a volerla imprigionare… o proteggere, chissà. I muscoli tesi, le dita ancorate al cuscino. Dopo uno scatto aprì gli occhi, respirando affannosamente. Aveva fatto un sogno strano, che già iniziava a sfuggirle dalla mente. Fluttuava in una specie di dimensione sospesa, circondata da orologi di ogni tipo, come una sorta di Alice caduta nel suo personalissimo tunnel ticchettante. Ad un certo punto un orologio da polso, semplicissimo, le si avvicinò sospeso a mezz’aria. Lei portò la punta delle dita verso l’oggetto ma prima di poterlo anche solo sfiorare, senza produrre alcun suono, si aprì al suo interno una specie di scomparto segreto, con dentro un foglietto. Subito fu colta da una sensazione orribile, e gli orologi iniziarono ad incrinarsi e a cadere. Apparve una scala a chiocciola che scendeva e scendeva verso il buio, e lei si gettò a capofitto per gli scalini. In fondo alla scala c’era una foresta tropicale. Corse a perdifiato fino ad arrivare in riva al mare. Sul bagnasciuga, in controluce, c’era una persona. Non l’avrebbe confusa con nessun altro… era Elle.

 

La mattina seguente alla sua porta comparve Watari, gentile ed impassibile come sempre, evidentemente pronto ad accompagnarla da Elle. Lei era ancora per metà addormentata: aveva passato una notte agitata ed era stanca morta. Aveva fatto dei sogni strani, ma ricordava poco… c’entravano degli orologi però, di quello era sicura. Si vestì in fretta e quando tornò in cucina vide che Watari le aveva preparato il caffè.

«Watari… ti ringrazio, non dovevi.»

«Non si preoccupi, miss, è un piacere.»

Mentre beveva il caffè capì all’improvviso che in realtà l’uomo aveva una certa fretta, nonostante non avesse fatto nulla per farglielo intuire. Come sempre, lo sapeva e basta. Finì rapidamente il caffè, ustionandosi la lingua.

«Sono pronta, andiamo!»

L’hotel, sempre super lussuoso, era diverso dall’altro, così come lo era la camera, ma Elle fissava i soliti schermi e come sempre se ne stava rannicchiato su una sedia, concentrato. Yagami. Misa. Yagami. Non si era neppure voltato quando erano entrati.

«Qualcosa è cambiato. Prima Misa, adesso Yagami. Cos’è che mi sfugge? Sembra che non abbiano idea del perché siano lì…»

Continuava a rimuginare tra sé, evidentemente frustrato. Watari se ne andò e Rae si sedette su uno dei divani che c’erano, aspettando che le dicesse qualcosa. Era ancora sorpresa dal fatto di essere lì, alla nuova sede del segretissimo quartier generale, e che Elle stesse piano piano abbassando le sue difese con lei, mostrando di fidarsi almeno un po'. Tuttavia, dopo cinque minuti buoni in silenzio, si spazientì.

«Perché sono qui?»

«Perché volevo vederti.»

Oh uau, grazie tante...

«Ci sono delle cose che non capisco: perché Misa e Yagami si comportano come se non fossero Kira? Come se non fosse successo niente? Perché sembra davvero che non ricordino più nulla?»

Ecco cos’era. Beh, la risposta era semplicissima: entrambi avevano rinunciato al quaderno… già, peccato che non potesse dirglielo. In tutto ciò lui continuava a darle le spalle, assorto nell’osservare i suoi prigionieri.

«C’è un motivo.»

Alle sue parole lo vide irrigidire appena la schiena.

«Ma come sempre non mi dirai nulla.»

Lei si morse un labbro.

«Non posso, non ancora.»

«E quando?»

«Presto.»

Silenzio. Cinque secondi. Dieci. Venti.

«Sai, inizio ad essere stufo. Non voglio forzare i tempi, ma questa situazione è davvero snervante per me.»

Lo aveva detto col suo solito tono di voce calmo, eppure quell’ultima frase l’aveva colpita dentro. Aveva temuto che prima o poi si sarebbe stancato di lei, coi suoi silenzi e tutti i segreti… Inoltre a dirla tutta rivederlo dopo l’ultima volta le faceva uno strano effetto. Potevano pure evitare l’argomento, eppure lui l’aveva baciata, era accaduto, e la cosa, almeno in lei, aveva smosso qualcosa. Era stato un esperimento? O qualcosa di più? No… non doveva illudersi, non doveva dimenticare perché era lì, dopotutto se l’aveva chiamata era solo per le indagini. Lei doveva vendicarsi in qualche modo di Kira, punto e basta, e tutti quei pensieri futili e superficiali erano del tutto fuori luogo, soprattutto in quel momento. Eppure voleva sapere, voleva capire… perché? 
No, doveva concentrarsi. Sospirò. 
Impossibile. 
Prima doveva risolvere quella questione, o ne sarebbe uscita matta.

 

L

 

«Elle io…»

Fu quello strano tono di voce che finalmente lo fece voltare verso di lei, portandolo a staccare gli occhi dagli schermi perennemente accesi che gli mostravano i tre prigionieri. Rae era seduta sul divano, lo sguardo basso mentre si tormentava le pellicine delle dita ed un’espressione che gli fece quasi -quasi - dimenticare, per la prima volta dopo giorni, il caso Kira. 

«Sì?»

«…no, niente. Sono una stupida, lascia perdere. Mi dispiace non poterti dire nulla per aiutarti con le indagini…»

Ormai la sua curiosità si era risvegliata, non sarebbe bastato quel debole cambio di argomento per farlo desistere. Rae se ne stava lì, l’indecisione stampata in fronte ed un lieve rossore sulle guance. Vederla in quel modo gli fece intuire cosa le stesse passando per la mente… forse perché era una cosa alla quale, nonostante avesse cercato di impedirselo e nonostante le numerose questioni che gli affollavano la mente, pensava pure lui.

«Non ti facevo così codarda, sai? Avanti, dillo.»

Lei gli lanciò un’occhiata di fuoco, proprio come si era aspettato: il suo orgoglio la rendeva almeno in questo prevedibile.

«Perché mi hai baciata?»

Già. Perché? Ci rifletté un momento, passandosi un dito sul labbro inferiore in una sorta di riflesso automatico. Ripensò a quel suo gesto, a come lei lo avesse preso per le spalle, a come lui avesse seguito un istinto che non credeva di possedere. La risposta la sapeva già da un po’, stava solo chiedendosi quanta sincerità potesse permettersi.

«Perché volevo. Per curiosità. Perché, nel caso in cui ti fosse sfuggito, sono un ragazzo anche io.» 

La vide ammutolire davanti a tanta schiettezza, mentre finalmente posava i propri occhi in quelli di lei. 

«Perché voglio capire.»

 

 

R

 

Seriamente riusciva a dirle tutte quelle cose con una noncuranza del genere? La mente di Rae era andata in tilt per qualche secondo, mentre cercava di afferrare qualche parola per sistemarla in modo sensato all’interno di una frase. Panico. Beh, se l’era cercata dopotutto no? Non bisogna mai fare domande delle quali non si è pronti a sentire la risposta.

«E… cosa vuoi capire?»

Cercava di prendere tempo, impantanandosi sempre di più.

«Quello che vuoi capire pure tu. Quello che ti fa tanta paura ammettere.»

Lei rimase in silenzio per un po’. Davvero voleva affrontare quel discorso?

«Perché, a te non fa paura?!»

«No.»

Diamine, doveva smetterla di usare quel tono così sicuro di sé. Era una cosa nuova per lui, no? Per come si comportava, per come aveva imparato a conoscerlo e anche dalle sue parole… era evidente che neppure lui avesse mai provato nulla di simile. Forse analizzare in maniera “obiettiva” le proprie reazioni ed i propri pensieri era il suo modo di affrontare la cosa…?

«Sei il solito bugiardo.»

Lui sorrise impercettibilmente, in una sorta di tacita ammissione, e si alzò dalla sedia, avvicinandosi. Cosa cavolo aveva in mente adesso?

Si accucciò davanti a lei, fissandola a lungo come faceva sempre, pensieroso e magnetico. Come se volesse entrarle nella testa, rubarle ogni pensiero. Rae era immobile. Lui, con una lentezza esasperante, le prese delicatamente il volto con entrambe le mani, per poi attirarla verso di sé. Lei smise per qualche secondo di respirare, sopraffatta dalla quantità di sensazioni che le si stavano scagliando addosso.

Poi. 

La baciò.

Le sue labbra, morbide e fresche, avevano il tocco gentile di chi sta scoprendo qualcosa di nuovo, ma anche una sorta di sicurezza che destabilizzò Rae, annullando qualsiasi sua resistenza, qualsiasi dubbio o paura. Non aveva mai baciato - né era mai stata baciata - così. Divenne un bacio sempre più profondo, sempre più intenso e disperato; lei si era aggrappata alla sua maglia senza neppure rendersene conto e lui, per una volta, pareva del tutto a suo agio col contatto fisico.


Quando si allontanarono Rae si sentì quasi esausta, sopraffatta, come quando fai indigestione di un cibo buonissimo e allora non ne vuoi più sapere nulla, anche se forse è solo perché hai paura che ne vorresti ancora ed ancora ma il tuo corpo non reggerebbe. Aveva le labbra leggermente gonfie ed il suo sapore incastrato nella lingua.
«Interessante. Dunque è questo che vuol dire baciare una persona?»

La guardava dritto negli occhi, sinceramente interessato alla sua risposta. Incredibile, come sospettava quello era stato il suo primo bacio - e a quel pensiero la pervase un certo compiacimento, un sentimento di soddisfazione nell'essere stata proprio lei la prima - eppure com'è che era lui quello più sicuro di sé tra i due? Beh, d'altronde non poteva aspettarsi nulla di diverso... lui era Elle, niente di ciò che lo riguardava poteva essere in alcun modo prevedibile.

«D-dipende.»
«Da cosa?» la incalzò lui, una strana espressione sul volto.
«Beh… da chi è quella persona. Da chi è per te
Lui ci rifletté sopra per qualche momento, perforandola con lo sguardo.

«Già. Sospettavo fosse così…» mormorò poi, un'ombra di tristezza negli occhi.

«E dunque, che hai capito?» chiese lei, riallacciandosi al discorso di prima, fingendo disinvoltura ma già sapendo che non le avrebbe risposto in modo totalmente onesto.
«Ti ho baciata per soddisfare la mia curiosità - capire cosa si prova - e poter tornare a concentrarmi sul caso Kira senza alcun tipo di distrazione. Perciò grazie, e ti assicuro che non capiterà mai più.»

Si era alzato per tornare a sedere davanti agli schermi, senza più degnarla di uno sguardo. Lei quasi se lo era aspettato quel tono freddo, quel cambiamento repentino nel suo modo di fare, eppure non riuscì a non sentirsi ferita. Era come se lei sapesse perfettamente quello che passava per la testa di Elle, ogni pensiero e sentimento, il vero motivo che stava dietro a quelle sue parole… ma questo, invece che essere una sorta di giustificazione, la fece arrabbiare ancora di più. 

«Beh, prego. Adesso devo andare, non voglio “distrarti” oltre.»

E detto questo fu lei, per la prima volta, ad andarsene senza salutare.

  
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