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Autore: Old Fashioned    25/05/2017    16 recensioni
Siamo nell'India coloniale di fine ottocento. Il tenente Eldred Grosvenor dei fucilieri di Sua Maestà è prigioniero dei thug e sta per essere sacrificato alla dea Kali per mano di un maharaja traditore alleato con l'Impero Russo. Ma i thug non erano stati debellati quarant'anni prima dal generale Sleeman? Chi è stato a far riprendere loro l'antico vigore e a fomentarli contro l'Impero Britannico? Chi è la misteriosa spia dello Zar che sta finanziando il Movimento Indipendentista Indiano? Ma soprattutto: riuscirà il nostro tenente a salvare la pellaccia?
Prima classificata al contest "Dire Circumstances" indetto da Sagas sul forum di EFP.
Genere: Avventura, Azione, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Grosvenor'
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Capitolo 5

Sarkesh adorava il sergente Jenkins. Anche mentre gli mettevano la bardatura, l’enorme pachiderma stava con la proboscide sulla spalla del sottufficiale e a nessun titolo accettava di essere separato da lui.
Aveva capito che Grosvenor e i due soldati erano amici del sergente, per così dire, per cui li tollerava, ma il suo prediletto rimaneva senza dubbio Wilford Jenkins.
I motivi di tale smaccata preferenza erano ignoti. Il tenente aveva cercato di offrirgli della frutta per ingraziarselo, ma Sarkesh si era rivolto al sergente con un’espressione che sembrava voler dire: Posso fidarmi?
Vecchio mio, puoi stare tranquillo,” gli aveva assicurato Jenkins, “il tenente Grosvenor è un ottimo ufficiale.”
Sarkesh non era rimasto particolarmente convinto da quella garanzia, ma per come la vedeva lui, se il sergente gli diceva che poteva stare tranquillo, significava che non c’era pericolo. Aveva quindi accettato la frutta.
Provenendo dalle scuderie di un maharaja, la bardatura di Sarkesh era un tripudio di gualdrappe ricamate e ornamenti, ma allo stesso tempo aveva protezioni metalliche – debitamente sbalzate e damascate – per tutte le parti vulnerabili.
Con le mani sui fianchi come chi sta contemplando un lavoro particolarmente ben fatto, Thayes osservò l’elefante e rivolto al commilitone disse: “Adesso voglio proprio vedere cosa faranno quelli là con i loro lacci di seta.”
Tu ricordati solo di non andare al cesso, Steve,” gli rispose Barrett con aria innocente, “vedrai che così non corri rischi.”
Ehi, specie di rospo, se non la pianti ti ci infilo per la testa, in un cesso!”
Thayes!” esclamò il sergente. L’elefante sottolineò il richiamo con un barrito.
Signore, stavolta non c’entro!” si difese l’altro, “È stato lui che...” Jay Barrett lo stava fissando con espressione angelica. Thayes brontolò qualcosa di inintelligibile ma poco gentile e tacque. Con te facciamo i conti poi, fu la muta promessa del suo sguardo. Il più giovane assunse una tale espressione di candore che gli mancava solo l’aureola.

Sulla groppa dell’enorme pachiderma, i quattro partirono alla volta di Calcutta. Cavalcioni sul collo dell’animale, il sergente lo guidava tenendogli le orecchie come il manubrio di un velocipede. Per quanto non fosse la secolare tecnica dei mahout* tramandata di padre in figlio, sembrava che Sarkesh avesse capito abbastanza in fretta il significato dei comandi.
Forza, vecchio mio,” lo incoraggiò Jenkins, “abbiamo una missione da compiere.”
Sebbene fosse ormai mattino inoltrato, la strada non era molto trafficata, e anche i pochi viandanti si scostavano rapidamente al sopraggiungere di un enorme elefante da guerra bardato di tutto punto e guidato dalle scarse competenze un sahib.
Seduto nel palanchino ornato di nappe e piume, Grosvenor pensava tanto per cambiare al gin. Sia a quello che avrebbe bevuto lui debitamente addizionato all’acqua tonica, sia a quello che avrebbe offerto alla divinità tutelare del tempio in cui si erano nascosti vicino a Moktarpur. Tutto il gin di Calcutta, la promessa non si prestava a equivoci.
Secondo me Ganesha ci sta aiutando,” disse di punto in bianco.
Jenkins si voltò verso di lui. “Domando scusa, signore?” L’espressione aveva l’impenetrabilità paziente del sottufficiale che deve sopportare le esternazioni un superiore particolarmente estroso.
Ganesha, sergente. Il dio dalla testa di elefante. Scommetto che quel tempio era suo. E poi guardate qua che ben di dio ci ha fatto trovare: un vero elefante da guerra. Senza contare che Ganesha è anche il dio della buona fortuna.”
Come dite voi, signore,” rispose il sergente.
Grosvenor ricominciò a pensare al gin e all’acqua tonica.
Non tralasciava, fra una bevuta immaginaria e l’altra, di controllare anche l’ambiente: per Calcutta c’era solo la strada che stavano percorrendo e treni non ce ne sarebbero stati fino all’indomani. Il che significava che anche i thug, ma soprattutto O’lim sarebbero passati per di lì. Per quanto Ganesha fosse chiaramente dalla loro parte, bisognava evitare di fare troppo affidamento sulla fortuna e prepararsi a possibili imboscate.
Stava giusto ragionando su questa eventualità quando si udì il rumore di qualcosa di pesante che strisciava per terra. Sarkesh stronfiò e scosse la testa con aria di disappunto. Aveva una corda impigliata in una delle zampe anteriori.
Non appena realizzò che attaccati alle due estremità della corda c’erano anche degli uomini che la tenevano tesa di traverso alla strada, emise un tonante barrito di guerra, ne afferrò uno con la proboscide e lo lanciò contro gli altri.
L’incidente si sarebbe anche potuto chiudere così, senonché dalle fronde degli alberi alcuni thug si lasciarono cadere sulla groppa di Sarkesh, sfoderarono il pugnale e si gettarono urlando sugli inglesi.
Si scatenò un’importante colluttazione: a terra l’elefante barriva e girava su se stesso inseguendo coloro che aspettandosi dei cavalli avevano cercato di tendergli la trappola. Sulla sua groppa Grosvenor, il sergente e i due soldati si difendevano dall’assalto dei thug. I poderosi movimenti dell’animale davano ai militari la sensazione di trovarsi a bordo di un battello su un mare in tempesta.
L’ufficiale abbatté i primi due avversari a colpi di pistola, poi gli arrivò addosso un tizio grosso quanto lui, con gli occhi spiritati e la bava alla bocca. Dall’odore che faceva la lama del suo katara**, doveva averla spalmata di aglio, cosa che secondo la tradizione impediva alle ferite di cicatrizzarsi.
Il tenente aveva scaricato il revolver, per cui si difese con il calcio dell’arma. La testa dell’uomo fu buttata all’indietro dal colpo, ma questi era talmente drogato che probabilmente non aveva neppure sentito dolore. Non fece altro che scrollare il capo un paio di volte, senza fare alcun caso al rivolo di sangue che gli scorreva lungo il viso. Vibrò un colpo con il katara, squarciando un cuscino accanto alla testa del tenente.
Questi riuscì a infilare un ginocchio tra se stesso e l’assalitore e lo spinse via. L’uomo rotolò di lato, si raddrizzò con uno scatto delle reni e subito dopo gli si precipitò di nuovo addosso. Con un colpo di pugnale riuscì a lacerargli una manica.
L’ufficiale di nuovo lo spinse via, e questa volta ebbe cura di farlo cadere a terra. Sarkesh si occupò della faccenda con la massima competenza.
Ansante, Grosvenor si mise carponi. I thug superstiti si erano dati alla fuga. “C’è qualche ferito?” chiese ricaricando la pistola.
Jay, signore,” disse la voce di Thayes. “Voglio dire, il soldato Barrett, signore.”
Il tenenente si voltò: il ragazzo giaceva tra i cuscini con il volto terreo. Si premeva una mano su un braccio, il sangue che gli filtrava fra le dita aveva già impregnato la manica.
Strappò le tendine di mussola del palanchino e ne fece delle strisce, poi disse: “Temo che dovrò farti un po’ male, Barrett.”
È vero quello che dicono, signore?” chiese il ragazzo con voce debole.
Che cosa?”
Che le ferite di questi pugnali non si chiudono più e si infettano.”
Solo se ci si affida agli stregoni locali. Con un buon medico inglese questo non può succedere.”
Davvero, signore?”
Sul mio onore.” Tolse delicatamente la mano che il ragazzo stava premendo sulla ferita e strappò via la manica mettendo a nudo un taglio profondo. “Sei fortunato, un pollice più in dentro e quel bastardo ti avrebbe staccato il braccio.”
Sotto lo sguardo attento di Thayes prese le bende improvvisate e ne fece una compressa che premette sulla ferita sanguinante, poi prese le strisce di mussola rimaste, fasciò l’arto e alla fine strinse la legatura con un gesto secco. Il soldato emise un urlo che suscitò persino nell’elefante un barrito indignato.
Il peggio è passato,” gli assicurò il tenente, ma Barrett non rispose: era svenuto. Grosvenor si rivolse a Thayes: “La fasciatura ha fermato il sangue. Va allentata ogni mezz’ora, se no Barrett può dire addio al suo braccio.”
Il soldato annui. Sistemò meglio il ragazzo sui cuscini e chiese: “Dicevate sul serio, prima, signore?”
A che proposito?”
Che il rospo… volevo dire Barrett guarirà, signore.”
Tra due ore al massimo saremo in caserma e lì riceverà le cure necessarie. Inoltre, con tutto il sangue che ha perso, qualsiasi porcheria ci fosse sulla lama sarà finita chissà dove. Vedrai che tra un po’ starà meglio di prima.”
Grazie, signore.”
Non devi ringraziare me, soldato. È Ganesha che ci protegge.”
Thayes lo fissò un po’ perplesso. “Come dite voi, signore,” si limitò a rispondere.

Ormai erano già arrivati ai sobborghi della città. Che qualcosa non andasse era abbastanza chiaro: c’era un’atmosfera cupa, tesa, dappertutto aleggiava un silenzio innaturale. Il caos di risciò, carretti, venditori, mendicanti e bambini che normalmente intasava le strade era quasi del tutto assente. Qualche perdigiorno camminava per i marciapiedi deserti, ma non c’erano botteghe aperte né artigiani al lavoro.
Cosa diavolo sta succedendo?” chiese Jenkins guardandosi intorno sospettoso.
La Conferenza Nazionale,” rispose Grosvenor. “Già qui a Calcutta ci odiano più che in altri posti, boicottano le nostre merci e fanno rivoluzioni. Figuratevi cosa può succedere durante una conferenza organizzata dal movimento indipendentista.”
Indipendentisti, bah!” disse il sergente con disprezzo. “Prima che arrivassimo noi, questa gente bruciava le vedove vive sui roghi dei mariti e faceva i sacrifici umani. Io dico che è meglio che non siano indipendenti per il loro stesso bene, signore.”
Grosvenor non replicò. Abituato a destreggiarsi in mezzo alla confusione della città, in quel silenzio si sentiva inquieto. Si voltò verso Thayes, che gli rimandò lo stesso turbamento.
L’elefante avanzava solenne al centro della strada e gli unici rumori che si udivano erano i tonfi dei suoi passi, lo scricchiolare del cuoio e il tintinnio metallico dei finimenti.
Dopo un po’ che procedevano, cominciarono a sentire un urlio confuso che andava man mano aumentando. Il vento portò verso di loro una folata di fumo e polvere da sparo.
Comparvero oggetti abbandonati, pezzi di risciò sfasciati e mercanzie sparse da qualcuno che aveva fatto scempio di botteghe incautamente rimaste aperte. Senza interrompere la marcia, Sarkesh raccolse con destrezza un mazzo di carote, se lo infilò in bocca e lo masticò con un brontolio di soddisfazione.
Muoviti, pelandrone!” lo redarguì il sergente. L’enorme animale aumentò la velocità, non tralasciando di raccogliere altre ghiottonerie se gli arrivavano a portata di proboscide.
Quando raggiunsero il centro si imbatterono in una folla sterminata. Gente ovunque, assiepata nelle vie, arrampicata sui lampioni, abbarbicata alle inferriate, che rumoreggiava e ondeggiava come una specie di mare in tempesta. Ogni tanto c’erano dei posti di blocco inglesi, in cui militari pallidi di paura stringevano in pugno le armi dietro l’esigua protezione di qualche sacco di sabbia e qualche cavallo di Frisia.
Sarkesh avanzò senza nemmeno rallentare, aprendo la folla con il semplice impatto delle sue sei tonnellate rivestite di metallo.
Si fermarono presso una squadra comandata da un caporale, il tenente si qualificò. “Com’è la situazione?” chiese.
Lo vedete anche voi, signore,” rispose il graduato, “basta che qualcuno dia fuoco alla miccia e salta per aria tutto. Non ci hanno mai amati, questo è certo, ma prima d’oggi non li avevo mai visti così incattiviti.”
La folla in effetti aveva un che di sfrontato, di provocatorio. Dava l’idea del succube che finalmente si scopre spalleggiato da un potente. Dai rifiuti sparsi per terra, Grosvenor capì che i soldati erano stati bersagliati da lanci di verdure e uova.
Dobbiamo raggiungere immediatamente il palazzo del Governatore,” disse, “è una cosa della massima importanza.”
Nel frattempo si chiedeva dove fosse O’lim, se avesse trovato il modo di raggiungere Calcutta, se fosse già arrivato da un’ora e ormai fosse da qualche parte a bere un tè mentre il Governatore finiva di raffreddarsi…
Auguri, signore,” lo richiamò alla realtà la voce del caporale. “Vedete quanto sono fitti là davanti? Non passerebbe neanche un gatto.”
Forse un gatto no,” intervenne Jenkins, “ma un elefante da guerra sì.” Poi, rivolto al pachiderma: “Avanti, Sarkesh, e non fermarti nemmeno se vedi Visnù a cavallo di una giraffa.”
L’animale lanciò un barrito tremendo, e già quello bastò per far sì che la folla arretrasse. Successivamente prese ad avanzare come una rompighiaccio nel Mare Artico, facendosi largo a colpi di zanne e proboscide se trovava qualcuno che non cedeva il passo di sua iniziativa.

Intorno al palazzo del Governatore c’era una cintura di terreno sgombro. Sul perimetro dell’edificio era stata disposta una protezione di cavalli di Frisia e sacchi di sabbia, presidiata da un intero battaglione di fanteria. Grosvenor notò che erano stati portati in posizione anche pezzi di artiglieria leggera. Più indietro c’erano un paio di squadroni di lancieri.
Se la devono proprio fare sotto, quelli là!” osservò Thayes. Barrett, che nel frattempo aveva ripreso i sensi, osservava muto lo straordinario spiegamento di forze.
Il sergente Jenkins incitò l’elefante, che di nuovo lanciò un poderoso barrito e cominciò a correre facendo tremare il selciato sotto le zampe.
Alcuni dei difensori puntarono i fucili, il tenente vide anche un paio di artiglieri precipitarsi verso un sette libbre e girarlo nella loro direzione.
Agitò un braccio. “Non sparate, siamo inglesi!” Poi, rivolto a Jenkins: “Diteglielo anche voi, sergente.”
Con la sua tonante voce da istruttore di reclute, il sottufficiale ribadì la loro appartenenza alle Forze Armate Britanniche. L’elefante pensò bene di sottolineare il concetto del suo adorato padrone con un altro barrito.
Grosvenor vide un ufficiale arrivare di corsa. Questi confabulò rapidamente con un graduato e i fucili si abbassarono. Sarkesh, ormai arrivato a una ventina di passi dallo sbarramento, rallentò fino a fermarsi.
A parte il rumoreggiare lontano della folla, l’unico suono che si sentiva era il tintinnio della cotta di maglia con cui l’animale era bardato.
In quell’inquietante silenzio, Grosvenor salutò e disse: “Tenente Eldred Grosvenor, 95° Reggimento Fucilieri. Devo conferire immediatamente con il Governatore per una questione della massima importanza!”
L’ufficiale sopraggiunto, un attempato capitano con un paio di curatissimi favoriti, lo squadrò da capo a piedi, fece girare lo sguardo anche sui tre militari che lo accompagnavano, alzò un sopracciglio e con sussiego proferì: “Dite pure a me, giovanotto.”
Il tenente scosse la testa. “No, non posso dire a voi. Devo parlare personalmente con il Governatore, adesso.”
Non vorrete presentarvi a Sua Eccellenza con quella tenuta a dir poco… fantasiosa.”
Sentite un po’, voi,” replicò Grosvenor, che stava cominciando a perdere la pazienza, “visto quello che ho da dire a Sua Eccellenza, io ci vado anche nudo, se è necessario. Il maharaja di Barhdaman è un traditore in combutta con lo Zar, i thug stanno fomentando rivolte in tutto il Bengala, il forte di Moktarpur è stato depredato di ogni suo contenuto e la guarnigione è stata sterminata, c’è una spia russa che sta arrivando qui con l’intenzione di uccidere il Governatore e forse mentre noi stiamo a discutere come se fossimo al circolo ufficiali è già dentro il palazzo. Adesso che ne dite, ci vado subito da Sua Eccellenza o perdo due ore per farmi il bagno, pettinarmi come si deve e mettermi l’alta uniforme?”
Vi faccio strada,” fu la risposta del capitano.
Grosvenor scese dalla groppa di Sarkesh e si fece consegnare le carte da Jenkins, che ovviamente le aveva custodite meglio della Banca d’Inghilterra. “Occupatevi voi di tutto, sergente,” disse, il che significava: fate venire un medico per Barrett, fate bere l’elefante, fate insomma tutto quello che deve essere fatto.
State tranquillo, signore.”

All’interno del palazzo regnava la stessa calma carica di tensione che Grosvenor aveva percepito nell’avvicinarsi a Calcutta. I corridoi erano vuoti, i passi echeggiavano come all’interno di un mausoleo.
Dov’è il Governatore?” chiese il tenente.
Nel suo studio,” rispose l’altro.
Ci sono guardie con lui?”
Sono state tutte spostate all’esterno.” fu la compiaciuta risposta. Poi, dopo una pausa: “Per motivi di ordine pubblico, capite. Nessuno deve avvicinarsi al palazzo.”
Perfetto,” commentò Grosvenor con un sospiro. Accelerò il passo ed estrasse il revolver per controllare che fosse carico.
Notando quelle manovre, in tono categorico il capitano disse: “Vi garantisco che nessuno è entrato. È impossibile.”
Oh, Cristo!” sbottò il tenente, “Ma dove avete fatto la guerra, finora? Al Rag*** di Londra? Abbiamo a che fare con la migliore spia di tutto il dannato Impero Russo e la prima cosa che vi viene in mente è fare in modo che la folla dei rivoltosi non sporchi le passatoie di cocco camminandoci sopra?”
Genuinamente stupefatto da tanta insolenza, l’altro si fermò sui due piedi, costringendo il tenente a fare altrettanto. Con ira trattenuta cominciò: “Sentite un po’, giovanotto: io vi proibisco...”
Grosvenor non fece in tempo a sapere cosa stava per essergli proibito: si udì un breve sibilo, l’ufficiale sussultò e si accasciò a terra. Dalla schiena gli spuntava un dardo di balestra.
Non appena il tenente realizzò l’accaduto, si buttò al coperto dietro il piedistallo di una statua e da lì rimase a fissare il corpo del collega, sotto il quale si stava allargando una macchia di sangue.
A O’lim non interessa uccidere me, pensò, è qui per far secco il Governatore.
La cosa comunque non lo confortò, dal momento che la spia russa non avrebbe esitato a eliminare anche lui, se fosse stato necessario per raggiungere il suo obiettivo.
Cercò di ragionare su portata e precisione di una balestra, traendone conclusioni sconfortanti. L’unico elemento a suo vantaggio era che dopo essere stato caricato, il revolver aveva a disposizione sei colpi e la balestra uno solo.
Se non mi becca con il primo, forse riesco a uscire dalla sua gittata.
Si buttò fuori prima che il buon senso avesse modo di esprimere il proprio parere sul suo piano. Sentì un sibilo vicino all’orecchio, resisté alla tentazione di sparare un paio di colpi e cominciò a correre più veloce che poteva.
Non ci furono altri dardi, o perlomeno non lo raggiunsero.
Corse su per lo scalone d’onore, si buttò a perdifiato per il corridoio che gli pareva più sontuoso. Cominciò ad aprire tutte le porte, una dopo l’altra, controllando cosa ci fosse all’interno. Sorprese qualche stupefatto contabile, un inserviente indiano che in barba ai suoi precetti religiosi si stava mangiando una gamella di Cottage Pie e infine un paio di militari, di cui uno a brache calate e l’altro inginocchiato davanti a lui, che furono quasi colti da infarto al suo apparire. “Dov’è lo studio del Governatore?” chiese loro concitato.
I due lo guardarono impietriti. Probabilmente si sarebbero aspettati chiunque, anche il famoso Visnù sulla giraffa citato da Jenkins, ma non un ufficiale del loro stesso esercito.
Signori, ho fretta,” fece notare Grosvenor al protrarsi del silenzio.
Quello in piedi, la cui faccia nel frattempo era virata dal rosso peccaminoso al bianco ricotta, si raccolse i pantaloni e balbettò: “Al… al piano superiore… in fondo al corridoio di destra.”
Grazie, buon proseguimento.” Chiuse la porta con un tonfo e ricominciò a correre.
Arrivò alle scale, divorò i gradini a tre a tre, infilò il corridoio. La porta era proprio davanti a lui, bastava raggiungerla e…
Qualcosa lo colpì a mezzo corpo con la potenza di un maglio, facendolo rotolare scompostamente a terra e mozzandogli il respiro. La pistola gli sfuggì di mano.
Si rivoltò tossendo, fece per recuperare l’arma, ma un piede gli piombò brutalmente sul polso inchiodandoglielo al pavimento.
Tenente, voi cominciate a essere piuttosto fastidioso,” disse la voce fredda di O’lim.
Non posso che dire lo stesso di voi,” rispose Grosvenor, stringendo i denti mentre l’altro gli premeva il tacco sul dorso della mano.
Già, ma voi non siete nelle condizioni di porre fine al fastidio che vi arreco, io invece sì.”
Il tenente, che era a terra prono, si girò e vide che il russo stava caricando un colpo con una mazza da cricket. Strappò la mano da sotto il suo piede e si raccolse un attimo prima che la botta calasse a sfondargli il cranio, quindi afferrò la pistola con la sinistra, ma prima che potesse fare fuoco l’altro gli fu di nuovo addosso. Lo colpì alla spalla facendolo sbilanciare. Grosvenor gemette, arretrò cercando appoggio contro il muro e sparò. La pallottola mancò O’lim, ma fece sì che la porta del Governatore si schiudesse e da essa si affacciasse un volto dall’espressione preoccupata.
L’ufficiale si prese un terzo violento colpo, sentì qualcosa nel torace fare il rumore di un ramo spezzato mentre una stilettata di dolore gli mozzava il respiro. La spia cominciò a correre verso la porta, Grosvenor gli tenne dietro e riuscì ad agguantarlo un attimo prima che entrasse. Rotolarono dentro avvinghiati, lui aveva perso il revolver, ma anche a O’lim era sfuggita di mano la mazza. Cominciarono a prendersi a pugni rovesciando mobili e suppellettili. Il tenente era più alto e più grosso, ma aveva la mano destra ferita, inoltre il russo era molto più veloce di lui.
Attraversarono in questo modo una specie di anticamera, mandando un segretario gambe all’aria, ribaltando sedie e facendo crollare pile di documenti, poi irruppero nello studio del Governatore, sorprendendo quest’ultimo seduto alla scrivania mentre stava contemplando un piccolo oggetto che teneva in mano.
O’lim colpì il tenente con una pesante lampada di bronzo che aveva recuperato su un mobile. L’ufficiale vide nero, barcollò e crollò a terra, ma prima che la spia potesse assestargli il secondo e definitivo colpo, echeggiò uno sparo. Alle loro spalle erano comparsi due soldati. Grosvenor non poteva giurarci, dal momento che aveva la vista annebbiata, ma gli sembravano quelli del piano di sotto.
Cercò di alzarsi, ma la mano ferita non riuscì a reggerlo e si afflosciò al suolo. Mentre qualcuno lo sosteneva prendendolo da sotto le ascelle, sentì la voce del Governatore che con surreale calma chiedeva: “Qualcuno ha visto la mia bussola? Non riesco a trovarla.”
Poi svenne.










* Persona che si occupa dell’elefante e lo guida.
** Pugnale indiano tipo daga creato per portare potenti e rapidi attacchi di punta.
*** Army and Navy Club. Esclusivo circolo ufficiali della Capitale inglese.

   
 
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