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Autore: Stella Dark Star    25/05/2017    1 recensioni
Per Andrea Pazzi e Lucrezia Tornabuoni è amore a prima vista quando s’incontrano nella basilica di San Lorenzo durante il funerale di Giovanni de’ Medici. Il problema è che entrambi sono sposati e per di più le loro famiglie sono nemiche naturali. Ma questo non basterà a fermarli. Tra menzogne e segreti, l’esilio a Venezia cui lei prenderà parte e il ritorno in città della moglie e i figli di lui, sia Andrea che Lucrezia lotteranno con tutte le loro forze per cercare di tenere vivo il sentimento che li lega. Una lotta che riguarderà anche gli Albizzi, in particolar modo Ormanno il quale farà di tutto per dividerli a causa di una profonda gelosia, fino a quando un certo apprendista non entrerà nella sua vita e gli farà capire cos’è il vero amore.
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Delfina de' Pazzi - La neve nel cuore", un'intensa e tormentata storia d'amore tra la mia Delfina e Rinaldo degli Albizzi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo ventuno
La pace del paradiso e le fiamme dell’inferno
 
La situazione era disperata, a mezzanotte la città sarebbe stata attaccata e messa a ferro e fuoco. E lei, invece di potersi mettere in salvo o almeno rinchiudersi al sicuro all’interno di Palazzo Pazzi, era costretta a rimanere lì a supplicare una nobildonna viziata che sembrata irremovibile. Ma perché Messer Pazzi non si decideva a troncare quella sciocca  e pericolosa relazione? Erano questi i pensieri che ronzavano nella mente di Guendalina, di fronte all’ingresso di Palazzo Medici a supplicare Lucrezia. Non sapeva più cosa dire per convincerla, ma se se ne fosse andata senza di lei, di certo Pazzi l’avrebbe punita o addirittura gettata per la strada. Disperata, giunse le mani in preghiera e sgranò gli occhi azzurri: “Vi prego, Madonna. Venite con me. Il mio Signore vi attende.”
Lucrezia si sentiva ribollire come un calderone sul fuoco. Piero era ancora arrabbiato con lei, Lorenzo aveva scatenato un vespaio per liberare il fratello e ora Andrea chiedeva d’incontrarla anche se sapeva bene che lei gli portava rancore. Quando mai avrebbe avuto un po’ di pace? Però…se Lorenzo e Sforza avessero attaccato la città, quando lo avrebbe rivisto? Fu questo ultimo pensiero a stringerle il cuore e a farle prendere una decisione. Lanciò un’occhiata alla sguattera che la stava supplicando e acconsentì alla sua richiesta.
Camminarono fianco a fianco per le strade del centro città, entrambe coperte da mantello e cappuccio per non farsi riconoscere. Guendalina le aveva solo detto di seguirla fino al luogo dell’incontro e lei aveva obbedito docile.
Quando giunsero nei pressi della Cattedrale, imboccarono una piccola via semibuia e lì Guendalina si fermò. Le indicò un punto preciso col dito: “Svoltate a sinistra. Il mio Signore vi attende là.” E detto questo fece un inchino e si dileguò come un animaletto spaventato.
Lucrezia prese un respiro profondo e avanzò a passi lenti lungo il vicolo. Non appena svoltò, trovò di fatto Andrea ad attenderla in abiti eleganti e a capo scoperto.
“Ne deduco che Guendalina abbia faticato non poco per convincervi. Ho dovuto mentire a Rinaldo  e lasciare la Signoria per potervi incontrare.” Le disse con tono di rimprovero.
Lucrezia aggrottò le sopracciglia: “Non avreste dovuto. Buona giornata. ” Fece per andarsene ma Andrea le afferrò una mano: “No, restate. Vi chiedo perdono.”
Lucrezia guardò i suoi occhi, ora erano limpidi e sembravano sinceri, e il tocco della sua mano era gentile. Rispose alla sua stretta e fece un cenno col capo: “Io voglio perdonarvi. Soprattutto ora.”
“Avete saputo…?” S’interruppe, rendendosi conto dell’ovvietà della domanda. Prese respiro e arrivò dritto al punto: “Vi ho mandata  a prendere per chiedervi di venire con me.”
Lei gli lanciò uno sguardo interrogativo: “Per andare dove?”
“Al mio palazzo, per il momento. Vi proteggerò dalla follia di quella dannata famiglia.”
Le venne spontaneo ridacchiare: “Non mi verrà fatto del male! L’esercitò attaccherà per volere dello zio di mio marito!”
Andrea  usò la mano libera per afferrarle una spalla, quindi divenne più serio: “Ma non capite? Gli uomini di Sforza non faranno distinzioni quando si metteranno a uccidere e stuprare. In quel palazzo non siete al sicuro.”
“Ma…mio marito?”
“Al diavolo! Lasciatelo, Lucrezia. Quel ragazzino pomposo non ha niente da offrirvi.” Era così preso dal discorso che il suo volto era divenuto paonazzo mentre lui parlava.
Lucrezia sentì un brivido lungo la schiena, cercò di obiettare: “Andrea, non posso farlo. Non si tratta solo di me. Se venissi con voi rovinerei la mia famiglia, la mia vera famiglia. Riuscite a capirlo? E non ditemi che mi sposerete, sapete che il mio matrimonio con Piero non può essere annullato ormai.”
Lui sapeva bene quello che non poteva fare, dannazione! E di certo l’ostacolo non era quel piccolo Medici. Ma non era il momento di dire la verità, di confessare a Lucrezia che anche lui era sposato. Si rese conto di essersi immobilizzato mentre pensava, si schiarì la voce: “L’unica cosa che voglio siete voi.” Liberò la mano solo per poterle usare entrambe per avvinghiarla in un abbraccio, quindi la guardò negli occhi, immergendosi in quelle profondità infinite: “Io vi amo, Lucrezia.”
Aveva atteso così a lungo di sentirgli pronunciare quelle parole, che quasi non poteva credere di averle udite davvero. Ogni sguardo, ogni parola, ogni tocco, ogni bacio, era come se tutto quello che avevano condiviso si fosse unito in un unico momento. Perché lo aveva conosciuto? Perché si era innamorata di lui? Chi l’aveva deciso? E, per tutti gli angeli, perché non poteva essere sua? Le lacrime le riempirono gli occhi, la voce era rimasta intrappolata nella gola e non sarebbe uscita se non attraverso i singhiozzi. Le lacrime le rigarono il viso, alcune le inumidirono le labbra. Un turbine di gioia e di disperazione le stava invadendo il petto. Unì le labbra alle sue, era l’unico modo per trasmettergli quello che provava senza ricorrere all’uso delle parole. E lui rispose a quel bacio con trasporto, più di quanto avesse mai fatto. Più le labbra si assaporavano, più i loro respiri si amalgamavano e le mani regalavano carezze e calore. Andrea fu il primo a prendere l’iniziativa, portando il corpo di Lucrezia contro la parete, per poi sollevarle una gamba e portarsela al fianco. Lucrezia non si ribellò in alcun modo, aveva messo la coscienza dentro ad un cassetto di cui aveva  nascosto bene la chiave, ed ora poteva finalmente concedersi all’uomo che amava. Complice, si avventurò con la mano verso il basso fino a trovare i lacci delle sue braghe, con i quali cominciò ad armeggiare. Pochi gesti rapidi ed ecco che prese possesso del caldo e rigido strumento di piacere. Tenendolo delicatamente tra le dita, lo guidò, facendogli prima sfiorare i folti riccioli del boschetto, poi continuò attraverso le morbide pieghe ed infine lo lasciò scivolare all’interno della propria fonte calda e avvolgente. Il piacevole contatto fece gemere lei e Andrea nello stesso momento, i loro sguardi si sfiorarono un istante. Poi Lucrezia chiuse gli occhi e si abbandonò a lui, ai suoi baci sul collo e al movimento dei suoi fianchi che presero ad inarcarsi verso di lei prima lentamente e poi sempre più forte. Aveva voglia di gridare, liberare quel piacere incontenibile che aveva desiderato per settimane, ma trovandosi in un vicolo non poteva correre il rischio che venissero scoperti. Tutto ciò che poteva fare era soffocare quei gemiti nella gola e stringere tra le braccia l’uomo che amava.
Il viso accaldato contro il suo, Andrea stava combattendo la propria lotta interiore, preso dal bisogno fisico di lasciarsi andare e allo stesso tempo di resistere per godere più a lungo. Nella mente il pensiero martellante di dover tornare a Palazzo della Signoria prima che Rinaldo mandasse qualcuno a cercarlo. In ogni caso, era deciso a non fare nulla prima di aver ottenuto una cosa importante.
Trattenendo il respiro, le sussurrò: “Ditemi che mi amate.” Per poi espirare rumorosamente. Il corpo in fiamme per la passione di quella frenetica danza.
Lucrezia l’avrebbe già fatto, se avesse potuto, ma era certa che se avesse dischiuso le labbra avrebbe gridato e perso il controllo. Ma come poteva tacere? Nella mente poteva ancora udire l’eco della sua dichiarazione d’amore di poco prima e ora moriva dalla voglia di confessargli i propri sentimenti.
“Ditemelo!” La voce di Andrea uscì come strozzata a causa di quel bisogno che si faceva sempre più esigente.
Il corpo e lo spirito al bivio tra la pace del paradiso e le fiamme dell’inferno e le lacrime che ora stavano sgorgando dai suoi occhi in conseguenza al forte piacere, Lucrezia si disse quelle parole prima con la mente, le ripeté più volte, le gridò perfino! Poi concesse loro di avere voce, correre lungo la gola e trovare l’uscita oltre le labbra: “Vi amo, Andrea Pazzi!” Ed infine levarsi verso il cielo.
Andrea si lasciò finalmente andare dentro di lei, il corpo per alcuni istanti completamente rigido, e poi l’arrivo della pace. Con una mano andò a ricercare sostegno contro la parete, il respiro ansante contro il collo di lei, mentre sentiva il peso del suo corpo addosso e la responsabilità di sostenerla. Lucrezia, in quel piacevole senso di sfinimento, si sentì completa e poco importava se l’aria le entrava prepotente nei polmoni gonfiandole il petto fino a mettere a repentaglio le cuciture dell’abito.
Ora più in possesso delle proprie facoltà e con la circolazione del sangue che si stava stabilizzando, Andrea la guardò negli occhi e fece un ultimo tentativo: “Venite con me.”
Tutta la magia del momento parve infrangersi come vetro, al suono di quelle parole. Lucrezia tolse la gamba dal suo fianco e si ricompose con dignità, la paura di rispondere le stava pulsando nelle orecchie. Sfiorò le labbra di lui con un bacio e sussurrò a malincuore: “Non posso.”
Andrea scostò il viso, strinse i denti per il disappunto. Un momento e riprese pieno possesso di sé. Le lanciò un’occhiata severa: “Dunque tutto questo non ha significato nulla?”
Lei scosse il capo, non voleva litigare: “Non è così! Io vi amo! Io…”
Andrea la interruppe sollevando la mano: “No.” Si ricompose velocemente e, senza nemmeno degnarla di uno sguardo, svoltò l’angolo del vicolo.
Lucrezia rimase lì ferma, spalle al muro, con il calore del suo corpo ancora addosso e il suo seme ad inumidirle le cosce. Ma senza di lui.
“Che cosa ho fatto?” Si disse con voce spezzata, prima che le lacrime l’assalissero. Batté il capo all’indietro  contro la parete, lo sguardo annacquato rivolto verso il cielo blu sembrava alla ricerca di una presenza divina che l’aiutasse. Un solo misero aiuto dal cielo.
Un singhiozzo si levò dalla sua gola: “Mio Dio dammi la forza. Io lo amo!” E lasciò sfogare il pianto, sperando che dall’alto dei cieli qualcosa o qualcuno potesse udirlo. 
  
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