Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: comewhatmay    25/05/2017    2 recensioni
Firenze, 1510.
Levi Ackerman è cittadino fiorentino, innamorato della propria città e di tutta l'arte in essa racchiusa. Contempla ogni chiesa, dipinto o scultura dinanzi ai suoi occhi.
Non sa però che quella stessa materia, da lui tanto elogiata, gli sconvolgerà irreversibilmente la vita ponendolo a contatto con un ragazzo dagli occhi rari e indescrivibili come mai nessuna opera che egli abbia mai vissuto.
[Ereri] [Storico]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Capitolo II
-Brezza autunnale-
 
  
Stretto fra quel vicolo, si sentiva oppresso mentre l'aria faceva fatica a invadere i suoi polmoni. Vi era buio pesto, nel cuore della notte.
Le palpebre si facevano pesanti, aggravate dalla stanchezza della giornata. La pietra era dura e per nulla confortevole sotto le sue natiche, fredda. Nonostante ciò rischiò di addormentarsi e sbattere rovinosamente la testa contro il suolo. Un tocco delicato e gentile, caldo e famigliare sulla guancia lo destò dal suo stato di dormiveglia. Preso coscienza del mondo che lo circondava, il volto di sua madre si materializzò, vicino al suo. 

"Puoi entrare" bisbigliò "è andato via". Ad Eren quelle parole parvero come una benedizione. Con le poche forze che aveva, baciò le guance di sua mamma e con passo sorprendentemente rapido si infiltrò in quella che avrebbe dovuto essere la casa dei suoi due genitori. Carla lo seguì, con le mani premurosamente vicine al busto di suo figlio in modo da evitare un'eventuale caduta dovuta alla mancanza di forze. Chiusa la porta scricchiolante alle sue spalle, la donna osservò il figlio con sguardo velatamente preoccupato.
Il ragazzo solitamente si sforzava, nonostante sfinito, di apparire sereno e gioioso ma stavolta qualcosa era diverso: suo figlio neanche aveva provato a mentirle. "Eren, che succede?" gli chiese, mentre trangugidava con sete un bicchiere d'acqua. Egli ignorò quella domanda e neanche si voltò per guardala in volto. Ciò non poté altro che mettere in allarme sua madre che, momentaneamente, decise di lasciarlo in pace.
Lo condusse nella sua vecchia stanza rimasta intoccata, aiutandolo a stendersi tra quelle lenzuola che profumavano di lavanda, infanzia e ricordi spensierati. Fu un vero toccasana per Eren beneficiarsi della freschezza di tali candidi panneggi. 
Carla, dopo aver rimboccato le coperte al figlio, gli posò un materno bacio sulla fronte e sul volto del ragazzo si formò un lieve e sereno sorriso. Avrebbe dormito davvero bene, per quella notte.


Un caldo raggio solare penetrò dalle finestre, la sua luce attutita dal tendaggio in stoffa preventivamente posto da sua madre.
Lentamente aprì gli occhi, osservando la sua camera: sembrava che il tempo si fosse fermato, lì dentro. Sollevò un braccio verso l'alto, studiò le sue lunghe e consumate dita. Rimembrò quanto era bello avere la certezza di un posto in cui tornare, entrare nella sua dimora assaporando l'odore dello stufato appena cotto da sua madre e trovare lei in piedi, col sorriso che gli scaldava il cuore ed il mestolo tra le mani, mentre girava gli ingredienti immersi nella pentola in rame dalla quale usciva un caldo vapore ed un ottimo profumo. 

Strinse la mano in un pugno fino a quando sentì le vene tirare e le unghie imprimersi nei palmi. Alzò lentamente il busto, scostando il lenzuolo.
Scacciò via quei ricordi dalla sua mente. La consapevolezza del presente gli piombò sulle spalle, con violenza inaudita. 
Con urgenza fuggì dalla sua camera e trovò Carla sorseggiare una tazza di latte fresco. Le schioccò un bacio sulla guancia in fretta. 
"Non fai colazione?" chiese apprensiva. "No, mamma, meglio che vada ora".
E non ci fu da aggiunger altro. Una tacita paura mista ad urgenza aleggiava fra le due figure. 

Con passi svelti si diresse verso l'uscita, riservò un'occhiata di silenzioso saluto in direzione di sua madre, richiuse la porta alle sue spalle e si precipitò nel vicolo mentre i raggi della prima alba gli illuminarono il volto.


-Qualche giorno dopo, Via de'Martelli


Con sapienza stese l'ultima vigorosa pennellata di quella tela. Era davvero soddisfatto: probabilmente avrebbe venduto quell'opera a qualche ossessionato da sfondi notturni ed atmosfere tetre. Il problema rimaneva saper dove cercare e stanare il diretto interessato.
Aveva una certa fretta: dal ricavato dipendeva il suo sostentamento per probabilmente l'intero prossimo mese. Era insolito che un artista lavorasse senza una commissione precisa ma non era la prima volta che Eren, avventatamente, lo faceva. E non se ne pentiva. Era il suo modo di gettare le sue emozioni su una tela inizialmente illibata. 

Una luna bianca e di sostanza eterea e perfetta si stagliava in contrasto con l'oscurità blu della notte mentre sagome indistinte di latifoglie avvolte dal buio erano rappresentate in basso. Nubi misteriose aleggiavano nel cielo, appena percettibili. 
Il ragazzo pensò che mancasse ancora qualche tocco di luce e pensò su quali punti imprimerla. Stabiliti questi ultimi, si voltò per servirsi delle tempere e per poco non fece arretrare la sua schiena dallo spavento con il rischio di far rovinosamente precipitare il suo operato ancora fresco sul pavimento. 

"Ti ho fatto spaventare? Non era mia intenzione". Un uomo era in piedi a pochi passi da lui ed Eren cacciò fuori tutta l'aria che nei polmoni aveva trattenuto al fine di non muoversi troppo ed evitare disgrazie di qualunque tipo. Si ricompose. 
"Signore, sia meno silenzioso la prossima volta". Il suo interlocutore lo fulminò istantaneamente. 
"Ti ho già detto di non chiamarmi in quel modo, moccioso". A quell'aggettivo il ragazzo portò una mano alla nuca, strofinandola. Dalla sua bocca fuoriuscì una risata nervosa. Levi osservò il dipinto, una mano sotto il mento. 

"È insolito". Sul volto del ragazzo si fece largo un timido sorriso, silenziosamente consapevole. La sua mano continuava a grattare il collo. 
"Perché lo descrive a questo modo?" il ragazzo intinse il pennello nella tempera blu notte, si girò verso il cavalletto ed oscurò ancor di più gli angoli della tela. "Non ho mai visto un quadro che avesse come soggetto la Luna". Un sorriso soddisfatto spuntò sul viso del giovane. 
"Nessuno mi ha ordinato questo dipinto. È solo frutto delle mie strambe idee" Un bagliore intenso animò le pupille grigie del più grande.

'Interessante', pensò. 
Osservò il volto del ragazzo soggetto a pura concentrazione: gli occhi scattanti analizzavano velocemente ciò che avevano davanti mentre la mano, ferma, teneva tra le dita il pennello e dettava ad esso ordini con minuzia, decidendo con sicurezza dove andare a stendere il colore. 
Scorgendo il suo viso, Levi poté notare le labbra impercettibilmente morse dai denti e i capelli leggermente unti, particolare che solitamente disgustava l'uomo. Ciò che lo incuriosirono più di tutto furono le due profonde occhiaie che solcavano il volto del giovane, marcate a fondo. 

"Mi chiedo se qualcuno sarà davvero interessato ad acquistarlo. Ho abbastanza tele compiute e rimaste a prender polvere". 
Al pronunciare quelle parole, il volto del ragazzo rimase oltremodo sereno. "Non mi meraviglierei se quest'ultimo seguisse i passi dei suoi precettori". 

Levi si ritrovò ad immaginarsi ad ogni tipo di quadro a cui quel ragazzo poteva aver dato vita. In cuor suo si accese il silenzioso desiderio di poterli un giorno ammirare. Tutto ciò che avrebbe voluto fare sarebbe stato gustarsi la vera essenza di un'anima giovane e travolta dalla passione, passione realmente palpabile in Eren. 
Levi rimase, come di consuetudine, impassibile. 

"Le piace questo posto?" la domanda del ragazzo fu inaspettata per l'uomo che si ritrovò a dover pesare le sue parole prima di dar loro voce. 
"Approvo ogni cosa che riguardi l'arte". 
"Io l'unica cosa che non approvo di essa è il fatto di rimaner vincolati a icone e temi ripetitivi, ciò che un vero artista auspica è la libertà di potersi esprimere e concretizzare i propri sentimenti ed emozioni. Od almeno, ciò è a cui io auspico". 
Levi capì cosa egli intendeva e, segreta mente, si trovò in accordo con le sue parole. 
"Dunque ciò che fai è considerarti un artista". Il giovane sussultò, l'uomo voleva metterlo alla prova. 
"Non intendevo definirmi tale!" rispose con rapidità, rimanendo umile. 
"Definire è limitare". Quello di Levi fu poco più di un sussulto. Il ragazzo annuì, seppur poco confuso. Non comprendeva a pieno le parole dell'altro. Egli, restando col polso leggero, picchiettò di un grigio perlato i crateri del satellite in realtà non etereo. Aldilà dei sogni, nulla nasceva perfetto. 

"Queste sono frasi che attribuirei ad un perfetto aristocratico". 
"Moccioso, se non ne capisci il senso, non vuol dire che si tratti delle parole prive di senso che quella gente è abituata a pronunciare".
Dal tono che l'uomo aveva assunto, traspariva un impercettibile disprezzo. Per quel poco che gli fu possibile, il ragazzo lo colse. 
"Ora capisco perché non vuole che la chiami Signore". Un ghigno leggero prese forma sul volto dell'uomo. Il ragazzo prese coraggio. "A quale classe sociale appartiene?" 
"Non ti è dato saperlo, ragazzino". 
Alla risposta fredda, Eren non si scoraggiò. "Mi sembra discretamente vestito. Potrebbe essere uno di quei ricchi che lei disprezza, oppure potrebbe trattarsi di una copertura".
 
Il giovane rise allo sguardo fulminante dell'altro. Tutto sommato quest'ultimo si sentì terribilmente attratto dalla sfacciataggine istintiva di Eren: era uno senza peli sulla lingua e di certo, come l'uomo aveva appreso, non pensava due volte prima di parlare. Così ingenuo, così genuino che gli veniva quasi voglia di sporcarlo. 
Levi repentinamente chiuse quell'angolo della sua mente ed evitò di chiedersi la ragione di questi suoi pensieri.
Li accantonò in un luogo remoto ed in cuor suo sperò non di non più doverli riesaminarli.


-Palazzo Ackerman, Largo fratelli Alinari


Levi lesse gli ultimi documenti poggiati sulla sua scrivania laccata, analizzando come al meglio agire in quell'operazione commerciale e non. Arrivò alla conclusione che avrebbe consigliato suo padre ciò che già aveva concluso prima di aver esaminato quelle inutili scartoffie. Ne andava di mezzo il suo futuro, era questa la ragione per la quale doveva per forza aver voce in capitolo. Non avrebbe lasciato decidere suo padre anche i più piccoli dettagli, sapeva già cosa gli spettava e lo accettava ma non voleva che tutto gli venisse dettato per filo e per segno da un'autorità che egli non poteva ancora neanche provare a contrastare. 
I suoi occhi velocemente percorsero le ultime due righe di quella pagina ricolma di formalità. Sentì la testa svuotarsi e le sue pupille fulminee scattarono su altri tipi di documenti alla sua sinistra. Prese tra le sue mani quelle pergamene ricolme di schizzi artistici raffiguranti edifici: riconobbe in vari schizzi i costoloni imponenti di Santa Maria del Fiore e la magnificenza della Sagrestia Vecchia. 

Aveva segretamente recuperato quegli stralci di bellezza dall'archivio impolverato di sua madre e ne era rimasto profondamente colpito. Su un lembo di tela si stendevano colori che magnificamente raffiguravano un paesaggio quasi irreale: un'immensa distesa d'acqua profonda color verde si stagliava su un cielo azzurro dalle striature dorate. 

Inconsciamente la sua mente paragonò quello spettacolo alle pupille del ragazzo conosciuto per puro volere del fato ed allo stesso modo si ritrovò a pensare dell'opera davanti a lui non più come rappresentazione di un contesto naturale ma come concretizzazione stessa degli occhi eccezionali del giovane. 

Sentì una mano bussare pesante alla porta del suo studio e, prima di invitare ad entrare chiunque dietro di essa si celasse, aprì un cassetto e vi ripose ciò che le sue dita affusolate pochi attimi prima trattenevano con cura. 
La porta scricchiolò e la figura composta di suo padre fece capolino da essa. Con passo calcolato si diresse verso la sua scrivania e si accomodò su una delle sedute in pelle rossa poste difronte ad essa. 

"Figlio" pronunciò, con voce autoritaria "mi auguro che tu abbia letto ciò che ti ho consegnato". Gli occhi di Levi lo fissarono, inespressivi. 
"Sì, ho fatto ciò che mi ha ordinato" disse, dal suo tono non era possibile determinare se nelle sue parole fosse contenuta qualsiasi forma di astio. 
"Molto bene" sul volto dell'uomo si andò formando un ghigno soddisfatto. "Mi auguro che tu sia d'accordo con tutti i punti in esso contenuti". 
Quella non era una frase dettata da interesse nei confronti di suo figlio. Levi lo sapeva bene. Era una semplice proposizione che ambiguamente limitava ogni diritto del più giovane ad esprimere un qualsiasi suo pensiero o riflessione. Egli, ugualmente disse: "La soluzione proposta da lei mi sembra estrema". Lo sguardo dell'uomo si fece più affilato solo per il tentativo di suo figlio nell'affermare una propria opinione. "Non posso negare però gli ingenti profitti che la nostra famiglia, me compreso, potrebbe trarre da questa azione".
 
Il ghigno ricomparve sul volto dell'uomo, viscido. "Molto bene figliolo, vedo che hai capito".
 
Si alzò e arrestò i suoi passi in corrispondenza dell'ingresso. Fissando dinanzi a sé, egli enunciò, freddo: "Fisserò la data a debita distanza".
Aprì l'anta lignea e la richiuse alle proprie spalle in un tonfo sordo. 
Quel tono non ammetteva repliche e Levi non aveva la minima intenzione di formularle.


-Qualche giorno dopo


I suoi occhi si soffermarono su alcune figure da lui conosciute intente a parlottare fra loro, attivamente interessate a ciò che impegnava il loro tempo. Del grande tavolo di legno buona parte della superficie era occupata da un enorme foglio per metà immacolato e per l'altra colmo di schizzi ed idee che prendevano forma. La grande stanza del retro bottega era più movimentata del solito, pensò il ragazzo. 

"Ciao, Eren!" udì all'improvviso questo, voltandosi verso il suo interlocutore. Leonardo gli sorrideva, amichevole. "Ciao, Leo!" 
"Era da tanto che non ci si incontrava, da queste parti." 
"Non posso darti torto. È quasi una settimana che non metto piede qui dentro". Un amaro sorriso fece capolino sulle sue labbra. L'altro, accorgendosene, fu abile nello sviare l'argomento. 
"Qui siamo tutti indaffarati. Datti da fare anche tu, fannullone!" disse, con tono sornione, posando amichevolmente una mano sulla spalla del ragazzo. 
"Che si combina, qui?" 
"Abbiamo ricevuto una nuova commissione da Filippo Strozzi. Si tratta di un dipinto impegnativo al fine di celebrare l'inaugurazione del suo palazzo." 
Conosciuti i dettagli, Eren non se lo fece ripetere due volte e si mise all'opera mentre una miriade di idee balenavano nella sua testa.


-Circa due settimane dopo


Il giovane guardò soddisfatto il disegno preparatorio da lui ideato: alla fine la sua creatività aveva sbaragliato la concorrenza ed il maestro aveva affidato lui il compito di occuparsi dei principali aspetti dell'opera. 
Ad affiancarlo nell'impresa vi erano principalmente due ragazzi mentre altri ricoprivano ruoli dalla minore importanza. Il disegno si apprestava perfettamente al voler enfatizzare la ricchezza e l'influenza della famiglia Strozzi sulla cerchia fiorentina: sulla sommità Zeus era posto tra nubi dorate che contrastavano con lo sfondo azzurro e celeste e il suo viso riproponeva le fattezze dello stesso committente. Con le braccia spalancate ed una mano che impugnava scattanti saette, la sua figura imponente torreggiava su tutte le altre: a simboleggiare il contesto prevalentemente metafisico dove vigevano colori sfumati ed irreali vi erano posti numerosi Dei i quali, scossi, poggiavano i loro piedi sulla Terra come se fosse la prima volta. Su di essa Dionisio andava diffondendo tutto ciò che era capace di stordire i sensi umani, egli teneva intrecciati ai suoi riccioli castani interi grappoli d'uva dei più vari colori e con una mano reggeva un calice di vino.
Afrodite sua complice, sensuale, mostrava i propri seni senza vergogna alcuna ed un lungo panneggio le ricopriva le gambe. Il suo capo era coperto da rami di mirto. Ares col suo scudo poggiato sul ginocchio, aveva il capo protetto da un importante elmo. Ade, trafitto da un fulmine, riversava a terra, in ginocchio. Il suo volto era una velata allusione al capostipite dei Medici, famiglia per tradizione schierata contro gli Strozzi. 

All'estrema sinistra del disegno vi era Apollo, rappresentato di profilo, le sue dita sfioravano leggere le corde della lira poggiata sulle sue gambe sottili ma al contempo muscolose. I capelli corvini contrastavano con la pelle diafana, lo sguardo che sembrava perso in realtà era completamente rapito dalle note paradisiache della sua melodia. Il suo naso leggermente all'insù gli conferiva un carattere tutto personale mentre ciocche d'ebano gli ricadevano sugli occhi, quasi a volerli completamente oscurare e la sua fisicità era coperta da un velo leggero. 

L'artista riconobbe in quella figura il riflesso di qualcuno che gli pareva famigliare. Vide quell'uomo basso e misterioso che quasi tre settimane prima era piombato in quel luogo come un fulmine a ciel sereno. Negli ultimi tempi, il giovane era più produttivo del solito ma non si fece problemi e non si domandò il motivo di ciò. Inconsapevolmente, ogni volta che qualcuno varcava la soglia del bilocale, per una frazione di secondo e senza che il suo cervello gli dettasse nulla, Eren sperava di riconoscere dei capelli scuri, l'atteggiamento impassibile e la pelle chiara. 

Puntualmente, ogni volta, la sua aspettativa veniva delusa prima ancora che nascesse. Mettendo da parte quella strana sensazione all'altezza del petto, si focalizzò sul da farsi, come faceva da giorni.


-Largo fratelli Alinari, ore 16:56


Si lasciò sfuggire un sospiro dalle labbra, esausto. Ripose l'ultimo documento sull'altissima pila e rovesciò il capo all'indietro, stropicciandosi gli occhi: non riposava decentemente da troppo tempo e le evidenti occhiaie sotto i suoi occhi ne erano un'inconfutabile testimonianza. Rilassò momentaneamente i muscoli delle sue spalle, poggiati al soffice schienale in pelle. 
Tanti erano stati i giorni impegnati da quelle questioni fastidiose: tutte formalità inutili, scartoffie che neanche i diretti interessati avrebbero letto. Per Levi, quelle erano semplici pratiche di lavoro, niente di più, niente di meno, ma la questione era troppo importante per essere presa con superficialità e ciò non rientrava affatto nel suo modo di fare. 
L'odore di pulito del suo studio, seppur gradevole, stava iniziando seriamente a nausearlo. Erano segnali silenziosi del suo organismo: aveva bisogno di una boccata d'aria fresca. 
Riservò un'ultima occhiata ai documenti. Avrebbe potuto incenerirli con il solo sguardo, tuttavia, non ci badò per troppi istanti. 

L'idea di passeggiare nelle vie della città lo allettava ed ogni pensiero sgradevole veniva posto in un angolo lontano della sua mente. Sentiva la necessità di circondarsi delle bellezze fiorentine, come in astinenza da esse. Sentiva già i polmoni ritornare a respirare. Dormire non era il suo bisogno primario, al momento. Se si fosse rintanato nella sua camera vi ci sarebbe sprofondato con tutti i suoi pensieri tormentevoli e notturni. Doveva assolutamente svuotare la sua mente. 

Si alzò e con passo calcolato uscì dallo studio, richiudendo la porta alle sue spalle, lentamente. Senza avvisare qualcuno, si ritrovò nelle strade di Firenze. Allontanatosi dalla sua dimora, i suoi polmoni si riempirono e gli sembrò di ritornare in superficie dopo lunghe ore di apnea. La testa leggera ed il clima mite furono stranamente sufficienti a renderlo di un celato buon umore. 
Percorse ogni via che conosceva assaporando ciascuna di esse nei più piccoli dettagli. I suoi occhi si bearono di tali meraviglie, corsero per ogni angolo, studiarono ogni palazzo, ogni loro più piccola decorazione, ogni più superfluo carattere che rendeva unico ogni edificio. 

Le strade non erano troppo affollate quel giorno, nonostante fossero appena le ore diciassette. 
Con animo sinceramente disgustato, l'uomo guardò un gruppo di uomini ubriachi marci sull'uscio di una taverna da quattro soldi. Questi, letteralmente riversati su sgabelli, si grattavano lo stomaco con fare disinteressato mentre davano aria alla bocca, parlando a vanvera di ogni cosa passasse per il loro cervello confuso e in mano alle scie dell'alcol. 

Alzavano i loro calici tutti assieme e brindavano alla prosperità futura della città. Levi si sentì oltraggiato: non sapevano neanche da cosa dipendesse quella prosperità alla quale tanto ambivano. I suoi pensieri veloci corsero ai documenti sulla sua scrivania ed una fitta lancinante gli attraversò il capo da una tempia all'altra. Quella gente ignorante non sapeva neanche come ci si doveva insozzare le mani di sporco per garantire quella stessa prosperità. E Levi, era un dato di fatto, odiava lo sporco. 

Nuovamente, raccattò tutta la negatività in un lontano archivio del suo intelletto. L'uomo amava poter avere il controllo delle proprie emozioni e delle proprie azioni, ponendole su un piano completamente razionale così da evitare sgradevoli conseguenze. 
Se c'era una cosa per la quale era più di tutte le altre grato a suo padre, era avergli insegnato tutto questo. 

Con braccia conserte e la giacca poggiata sulle spalle, l'uomo continuò il suo tragitto senza aver meta precisa. Era solito far passeggiate del genere al fine di sentire la testa meno pesante e permettere alle sue membra di rilassarsi quel poco che avrebbe permesso la sopravvivenza. Spesso e volentieri l'ambiente famigliare sapeva essere opprimente. 

Si ritrovò ad esaminare alcuni inusuali mosaici dorati incastonati in un importante portone. Si domandò come fossero arrivati lì e si chiese se forse la loro provenienza fosse orientale. Si sarebbe volentieri documentato al riguardo. 

Arrivato in Via de'Martelli, uno strano calore di espanse all'altezza del suo petto mentre da lontano scrutava l'ingresso di un luogo nel quale era bastato mettere piede due sole volte per permettere che s'insinuasse pericolosamente tra i suoi pensieri giornalieri e non. La tenda bianco sporco era la stessa di tre settimane prima, pensò. Probabilmente, era la stessa degli anni precedenti. Un moto di disgusto accompagnato da una sorta di intimità per esser partecipe al corso dell'esistenza del tendaggio stesso si fece strada in lui. Pareva un dettaglio così di poco conto. 
Cercando di sfiorarlo il meno possibile, lo scostò e una fioca luce proveniente dalle due lanterne poste nella stanza lo illuminò in viso. 

"Salve, Levi!" Leonardo, caloroso, lo salutò non appena varcò la soglia. "Non pensavo saresti tornato in questo posto", l'uomo gli sorrise benevolo, aveva una certa simpatia per quel giovane uomo col quale aveva avuto un curioso dialogo settimane prima. Era come se ogni fibra di lui volesse fortemente che Levi manifestasse le proprie emozioni difronte all'arte e Leonardo era realmente intenzionato a raggiungere il suo scopo. 
"Cosa ti porta qui?" legittima fu la domanda. 
"Semplice curiosità: passavo per caso" in parte, quella di Levi non era che la verità. C'erano più motivi ad averlo spinto a varcare l'ingresso. A Leonardo le persone curiose piacevano. 

"Seguimi nell'altra stanza, ho da mostrarti un nuovo progetto." 
Il più giovane fece come gli fu chiesto mentre un moto di interesse lo attraversò. Ciò che si stagliò prepotentemente dinanzi a lui lo lasciò stupefatto: si trattava di un'immensa tavola con un tanto grande disegno preparatorio. Questi affascinavano tantissimo Levi: erano di per sé un'opera prima che l'opera stessa venisse compiuta. Incredibile.
Leonardo mostrò soddisfazione sul suo volto, nonostante l'espressione dell'altro rimase ferma così come il suo sguardo, in seguito questo vagò per tutta l'ampia superficie. 'Magnifico', pensò.
Dopo aver esaminato al meglio ciò che aveva davanti, la sua attenzione ricadde sul gruppo stanziatosi sul tavolo ligneo che prevedibilmente si stava occupando di quella stessa commissione. Discutevano tranquillamente tra loro. 

Una figura catturò le iridi grigie di Levi. Alle sue, si incatenarono due paia verdi e azzurre, dalle striature dorate. Queste ultime sgranarono, intense. I pensieri in quei occhi presero una loro forma e vi si rifletterono. A studiarli erano altri occhi, incisivi e calcolatori. Il ragazzo rimase interdetto. 

"A seguire questa commissione è un mio ragazzo. Te lo presento" disse Leonardo "il suo nome è Eren". 
Il giovane rimase ad osservare. Trovatosi davanti Levi, tutto ciò che riuscì a farfugliare, fu un semplice "Piacere".
 
Si strinsero la mano ed Eren sentì un brivido attraversarlo fin dentro le viscere. "È mio", sul volto dell'uomo andò prendendo forma il solito atteggiamento provocatorio. 

Fu come se si fossero presentati per la prima volta.


-Qualche ora dopo


Levi richiuse la porta alle sue spalle e, adagiato il cappotto sulla poltrona, si sedette sul materasso e lentamente vi si stese. I suoi occhi erano fissi sul soffitto mentre la sua mente correva lontano, inarrestabile. 
Lentamente, afferrò il pomello in argento del suo comodino e aprì il cassetto. Le sue mani afferrarono qualcosa in particolare: si trattava dello schizzo esaminato per la prima volta molte settimane prima, l'acquerello che sua madre gli aveva consegnato. 

La tela era ruvida al tatto. Le sue dita la trattarono con riguardo. La sua mente, rapida, paragonò ciò che aveva davanti a delle iridi conosciute. Ripensò al viso del ragazzo dopo averlo rivisto in seguito a poco più di tre settimane. Nella sua mente riprese perfettamente forma il volto sgomento di Eren. 
Ciò che lo irrequietò fu l'atteggiamento di distacco che il giovane aveva assunto improvvisamente nei suoi confronti: si concentrava in ogni dettaglio dell'opera da modificare, parlava autoritario ai suoi sottoposti ma soprattutto faceva il possibile per evitare il suo pesante sguardo nonostante l'uomo era ben consapevole del fatto che il ragazzo sapeva che l'altro lo stesse guardando.
Una sola domanda di fece prepotentemente largo nella mente dell'uomo. Non riusciva a capirne il motivo. Decise di cancellare ogni avvenimento dal suo subconscio: era una necessità, non una scelta. 
Di quelle, non ne aveva poi molte: avrebbe dovuto, per il suo bene, eseguire gli ordini di suo padre. 

Nel giro di qualche mese, avrebbe avuto una fede al dito.




~~~~~~~
La bomba è stata sganciata. Ops... 
Spero che nessun personaggi vi risulti troppo OC. Se vi sembra che sia così, non esitate a scriverlo. 
(Forse qualcuno avrà fatto caso al riferimento non troppo velato ad Oscar Wilde, non ho resistito!) 
Ed ora la suspance aumenta, o almeno è quello per cui prego ahahaha
Nulla da aggiungere! 
Grazie a chi è arrivato fin qui!~



comewhatmay
  
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