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Autore: proudtobea_fangirl    26/05/2017    0 recensioni
[Sequel di Living the Present]
Vedere il futuro.
Conoscerlo, comprenderlo, sognarlo.
Per la Chiaroveggente Lorianne Herondale, il futuro non è altro che un nuovo presente per fuggire da un doloroso passato. È libertà nella costrizione, unità nella solitudine, vendetta nella sottomissione. Una scelta non facile da prendere, e altrettanto complicata da attuare, che richiede pazienza e riflessione.
Sono infatti questi gli ingredienti della spensierata vacanza con cui Lorianne intende maturare la propria decisione e chi la ama intende farle cambiare idea, mostrandole quante meraviglie si perderà se arriverà davvero a compiere quel passo fatale.
Ma la piccola cittadina di mare loro meta nasconde qualcosa di affatto piccolo, un potere oscuro e terribile, che miete vittime tra la popolazione innocente e che ne mieterà una proprio davanti agli occhi ignari di Lorianne.
Perché vedere il futuro serve a ben poco, se non cogli i segnali del presente.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Clarissa, Jace Lightwood, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shadowhunters ~ Past, Present and Future'
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16. Vita informe

Vita informe

 

Quando prendo in esame la mia vita, mi spaventa di trovarla informe.
[...] La mia vita ha contorni meno netti: come spesso accade,
la definisce con maggior esattezza proprio quello che non sono stato:
buon soldato, non grande uomo di guerra; amatore d’arte, non artista
come credette d’essere Nerone alla sua morte;
capace di delitti, ma non carico di delitti.
 

[Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano]

 

 

Anna convinse Mattia a restare a dormire da lei per tutta la settimana.
   A quel punto mi chiedevo se fosse a conoscenza della difficile situazione che stava attraversando il nipote in quel momento, o perlomeno se sapesse della sua natura di lupo mannaro; tuttavia, dubitavo di entrambe le cose. E non perché non aveva avvisato Mattia – conoscere il futuro serve a ben poco, se non puoi cambiarlo – ma perché non aveva avvisato me.
   Nessuno meglio di me avrebbe potuto comprendere il vero significato di un certo tipo di visioni; se anche non avesse voluto dirlo a Mattia, sicuramente io avrei potuto trarne vantaggio. E invece niente, si era limitata a indicarci come arrivare all’edificio con lo stemma dei Durazzo, il giorno in cui eravamo andati a casa sua, e a fare la nonna amorevole con Mattia finché i suoi genitori e la famiglia di suo fratello non erano tornati dalla gita fuori porta che li aveva provvidenzialmente tenuti lontani da Gaeta in quel periodo.
   Cominciavo a sospettare che qualcosa di provvidenziale ci fosse veramente, nei motivi che avevano spinto Mattia a rimanere da solo in città mentre madre, padre, fratello, moglie e nipotino si concedevano una piccola vacanza al fresco dell’Umbria per festeggiare due anniversari di matrimonio. Ufficialmente, Mattia aveva da studiare per la maturità; ufficiosamente... be’, se non c’era davvero lo zampino di una qualche entità onnisciente, suppongo che Mattia avesse già iniziato a subodorare cosa sarebbe dovuto accadere.
   Comunque stessero le cose, tanto meglio per noi: io avevo la sicurezza che ci fosse una persona come Anna accanto a Mattia, nel caso si fosse verificato uno di quegli orribili scenari per scongiurare i quali non risparmiavo sui mezzi; lui in parallelo poteva andare e venire da Villa Orlando e da Santa Lucia ogni volta che voleva, a patto di tornare dalla nonna quantomeno per cena.
   E dalla nonna ci tornava; riluttante, ma ci tornava.
   Se avevo capito qualcosa di Mattia quello era il suo cieco e assoluto rispetto delle condizioni, sia che gliele imponessero altri, sia che se le imponesse da solo. Aveva detto che avrebbe fatto una determinata cosa? Bene, allora l’avrebbe fatta, punto e basta.
   Per sua somma fortuna, i mannari arrivarono quasi subito a questa conclusione. Quei pochi ai quali non era bastato il discorso pronunciato neanche ventiquattr’ore dopo la morte dell’ex Alpha si convertirono alla sua causa in seguito a una brevissima chiacchierata in privato, mentre un Mattia rivelatosi assai abile nei giochi psicologici si presentava alle teste seriamente dure come quello che riteneva essere l’esatto opposto del suo predecessore: un giovane uomo comprensivo, aperto e disponibile, la cui migliore arma e migliore difesa era la parola.
   Aveva da subito messo in chiaro che non avrebbe obbligato nessuno né a restare né ad andarsene; sottilmente, però, con una maestria tale che neppure il più esperto avvocato sulla piazza avrebbe potuto eguagliare, aveva celato tra le righe una tanto semplice quanto importante affermazione: se ve ne andate, i cavoli sono vostri.
   Contrariamente a tutte le sue e le nostre stime, i lupi, da trenta che erano, trenta rimasero.
   O almeno, trenta erano quanti abitavano al Palazzo.
   Secondo Adriano, contando anche le affiliazioni e aggiungendo uno scarto minimo delle vittime non riconosciute o accolte da altri branchi, il numero complessivo delle violazioni agli Accordi di Mallardo&Co si aggirava attorno ai settemila. Solo in Italia.
   Dal canto suo, Adriano recitava la parte dello gnorri e dell’indifferente, ma in fondo era quello, insieme a Sabrina, dalle cui spalle era stato tolto il peso più grande. Ed era anche quello che ne sapeva di più sull’argomento, dato che era il primo e unico figlio del boss, nonché prossimo erede dell’impero criminale dei Mallardo.
   Riguardo la faccenda dell’erede, quando Trish glielo accennò lui scoppiò a ridere amaramente. — Io? Io? Sì sì, come no... ma mi faccia il piacere!
   Ci aveva raggiunte in uno degli archivi al secondo piano – Mallardo doveva proprio amare il cartaceo – e se ne stava fermo sulla soglia, gambe divaricate e mani in tasca, a guardare me e Trish che sgobbavamo per liberare tutti gli armadi, deliziandoci con gioiose storielle tratte dal suo passato.
   È anche vero che la rispostaccia ce l’eravamo cercata con il nostro comportamento un tantino insolente, ma non eravamo affatto preparate a quello che seguì suddetta rispostaccia: — Per il giorno in cui mio padre avesse lasciato il trono, io sarei già stato sepolto sotto sette metri di terra da decenni.
   Per un’oscura ragione Trish, al sentire quella frase, sobbalzò più violentemente del dovuto. — Mi dispiace — mormorò, raccogliendo dal pavimento i fogli che le erano caduti di mano.
   Adriano sorrise appena, poi tirò un lungo respiro e prese a sbottonarsi lentamente la camicia. Arrivato al fondo spostò la stoffa di lato, scoprendo una grossa e spessa cicatrice che attraversava tutto lo sterno e finiva poco sopra l’ombelico.
   Ci raccontò che i suoi problemi erano letteralmente iniziati il giorno in cui era nato prematuro tra il settimo e l’ottavo mese di gravidanza, con una grave patologia cardiaca a complicare ulteriormente le cose e quel pazzo di suo padre che aveva tentato di morderlo non appena l’avevano lasciato uscire dall’incubatrice. Aveva passato l’infanzia in giro per ospedali e sale operatorie a stare ai comodi di medici illuminati che in sostanza lo usavano come cavia per sperimentare nuove tecniche e nuovi trattamenti, risultandone impedito ad andare a scuola e perciò dovendo essere educato privatamente.
   — Penserete che, con tutti quei soldi, a questo punto io sarei dovuto stare meglio di voi due messe insieme. E mi dispiace dirvelo, ma sbagliate, e di grosso pure. — Parlava come se avesse ripetuto quel discorso così tante volte da averlo imparato a memoria. Un po’ della mancanza di espressione nella voce mi ricordava il padre, ma a differenza di Mallardo senior Adriano aveva un ottimo motivo per non voler mostrare del sentimento. — Mio padre non ha mai voluto sborsare un singolo centesimo per me. Mi correggo: l’ha fatto, solo che non si è mai scomodato a cercare una soluzione definitiva.
   Faceva delle pause a effetto che sembravano scritte tra le didascalie di un copione, per quanto erano azzeccate. Il tono era amaro, ricco di rassegnazione, a tratti sarcastico. Era il tono che non avrebbe dovuto avere un ragazzo di vent’anni massimo. Era il tono del condannato alla gogna.
   — Fino a poco fa credevo che al mio funerale mio padre avrebbe buttato nella fossa, al posto delle rose, tutti i soldi che aveva rifiutato di dilapidare per salvarmi il culo. Immagino che dovrò cambiare le mie valutazioni del post-mortem.
   Mio padre, mio padre, mio padre. Non l’aveva mai chiamato diversamente. Una sorta di formale via di mezzo tra papà e Carmine. Mi ricordava come Jean si rivolgeva a René negli ultimi tempi.
   — Mi hanno impiantato un defibrillatore che dovrebbe aiutare a mantenermi su questa terra ancora per un degno periodo, ma per qualche strano e astruso motivo la mia condizione peggiora molto più velocemente della norma, perciò... evito di compiere grossi sforzi, anche quando dovrei e vorrei.
   Ci fece l’occhiolino. Era bello, Adriano, ma di una bellezza effimera e fragile, che ti svaniva sotto gli occhi non appena ti permettevi di distogliere l’attenzione. Era alto, serio e austero, ben vestito, senza apparente traccia di sbavature e imperfezioni. Eppure a uno sguardo più attento si notava che quest’immagine era solo un guscio, uno scheletro, una corazza per tenere insieme tutti i suoi pezzi: colletto alto che nascondeva un’eccessiva pulsazione della gola, maniche lunghe per celare un lieve edema dei polsi, un tintinnio sospetto nella tasca che rivelava la presenza di un tubetto di pillole – considerato l’edema, probabilmente diuretici.
   In lui c’era un qualcosa che avevo già visto anche in Mattia: maturità, risolutezza, acutezza d’ingegno, un pizzico di lucida follia. Era una preda facile da ottenere ma impossibile da accettare, con un piede sull’orlo del baratro e un’insana determinazione a volersi buttar giù piuttosto che indietreggiare.
  Da quanto ci stava dicendo era palese che la prospettiva di una morte improvvisa e senza troppa sofferenza lo stuzzicasse, perlomeno prima della morte del padre. Ma ora che al mondo c’era una ragione in più per vivere tutte le sue convinzioni, meditate in anni e anni, venivano messe alla prova.
   Per controbilanciare, lui metteva alla prova Mattia. E Mattia, nonostante a primo impatto si mostrasse leggermente indispettito, a modo suo gliene era assai grato.
  
La gratitudine non era un fatto nuovo per Mattia – fosse stato per lui, avrebbe ringraziato anche Carmine Mallardo per avergli ficcato in mano quella pistola – ma per Adriano lo era eccome. Citandolo letteralmente, solo tre persone gli erano mai state grate in tutta la sua breve vita, e Mattia era una di quelle.
   A quel punto, a Trish parve lecito domandare quali fossero le altre due persone. Adriano rispose subito, in quella maniera concisa ed enigmatica che lo caratterizzava: — Due ragazze – dannazione, adesso saranno due donne.
   — E cosa hai fatto a queste due donne?
   — Ti piacerebbe saperlo?
   — Sì — affermò schiettamente lei, e non c’era traccia di malizia.
   Adriano sospirò. Sembrava rammentare qualcosa di piacevole. — Ad entrambe mi sono concesso, sebbene in sensi diversi del termine. Per una ho speso il mio tempo, per l’altra ho speso milioni, e tali milioni sono il perché non posso trovare da solo i soldi per decidermi a salutare definitivamente questo cuore di merda. Ho avuto l’accesso a una parte del conto del clan alla maggior età, ma quel poco che potevo possedere l’ho usato tutto per un’impresa di cui ancora non so l’esito.
   — Le amavi? — chiese Trish esitante.
   Parve rifletterci. — No — dichiarò infine. — Insomma, la prima era un po’... difficile da amare, e per la seconda provavo un immenso affetto, ma niente di più. No, non le amavo, anche se credo che avrei potuto, in altre circostanze.
   Trish annuì. — Capisco.
   — Fidati, Patricia... — Adriano rise tristemente. — Tu non capisci.
   — Ma...
   — Non provarci nemmeno — la fermò immediatamente lui, sulla via della porta. — E non azzardatevi a entrare nella stanza chiusa a chiave al terzo piano, oppure ve la vedrete con me.
   E se ne andò.

 

 

Ovviamente, questione di cinque minuti ed eravamo già nella stanza non più chiusa a chiave al terzo piano. Fortuna che Trish si era portata dietro il tablet, adesso impegnato ad hackerare il sistema di sicurezza dell’edificio per poter accedere alle telecamere di sorveglianza ed eliminare ogni traccia della nostra visita di cortesia a quello che si era rivelato essere un vergognoso imbroglio: quel discreto numero di metri quadri – bisognava ammetterlo, la camera era piuttosto spaziosa – non ospitava altro che una grossa scrivania semicircolare con sedia girevole annessa, lampadario a led, qualche finestra e, orrore!, altri armadi. Armadi su armadi su armadi.
   Quel palazzo era una delusione totale. Solo armadietti, armadini e armadioni, cassetti, cassettini e cassettoni, fascicoli su fogli, fogli su fascicoli, fascicoli su raccoglitori, archivi e archivi e archivi. C’era carta dappertutto. (E per fortuna c’era anche dove serviva).
   Ragionevolmente, alla luce dell’avvertimento di Adriano pensammo che ci dovesse essere un qualcosa di compromettente racchiuso nei documenti di quella stanza. Trish provò a scannerizzare qualche pagina di prova e ad avviare un sistema di riconoscimento parole chiave, ma era un’operazione troppo complessa per un tablet che già stava dando il meglio di sé; oltretutto, la maggior parte di quelle informazioni era scritta a mano. Così lasciammo perdere l’approccio tecnologico e, sempre procedendo a caso, ci dedicammo alla lettura.
   Ciò che mi capitò di leggere inizialmente non era niente di troppo interessante: intercettazioni telefoniche di scarsa rilevanza, una lista di nomi sbarrati con un pennarello rosso, una serie di foto non proprio pudiche di una donna che assomigliava a Sabrina – se fossi arrivata a scoprire che quelle foto le aveva scattate Adriano, giurai, avrei vomitato anche l’anima – e un paio di vecchie cartelle cliniche di Sabrina stessa risalenti al periodo della gravidanza.
   Fu proprio sotto a queste che trovai un’altra cartella clinica, molto più corposa, che apparteneva stavolta ad Adriano. Serrando i denti la sfogliai velocemente per più di metà, cercando di non far cadere lo sguardo sugli orribili referti di quando era ancora bambino e sui tracciati di elettrocardiogramma dei quali persino io riconoscevo le gravi anomalie, finché non mi scivolò tra le mani, quasi tagliandomi, un piccolo rettangolo di carta: la fotocopia in bianco e nero di un originale che avevo visto a colori.
   Subito chiamai Trish per mostrarle il foglio, e se possibile lei rimase ancora più sbigottita di me.
   — Non ci credo — mormorò, a corto di fiato. Non potei far altro che concordare.
   Un trillo del tablet ci impedì di continuare la conversazione su quella linea. Trish si alzò riluttante per andare a controllare, e stavolta fu lei a chiamare me: — Lori, non riesco a bypassare il sistema.
   — Impossibile — replicai per istinto, senza darle corda. Faceva spesso così quando le cose si protraevano per più di dieci minuti.
   — No Lorianne, tu non capisci: io non ci riesco — ripeté sconsolata. La intravidi scuotere violentemente la testa. — Quando siete venuti qui tu e Mattia avevo trovato qualche difficoltà, ma niente in confronto a questo. C’è stato un cambiamento, un grosso cambiamento, nelle misure di sicurezza — aggiunse. — E il bello è che è tutto impostato nello... nello stesso identico modo in cui lo imposterei io. 
  
Stavo ancora fissando quel foglio, ma la sua affermazione mi fece rapidamente distogliere lo sguardo per puntarlo su di lei. — Perdonami, ma così non dovrebbe esserti più facile?
   Trish pestò i piedi indispettita. — No che non lo è! — ribatté, frignando come una bambina che fa i capricci. — Io uso uno schema a cubo di Rubik, una derivazione di mia personale invenzione dallo schema a labirinto.
   — E ciò significa...
   Sospirò. — Quarantatré miliardi...
   Quarantatré miliardi?!
   — No — negò subito. — Quarantatré miliardi di miliardi di combinazioni possibili. Solo per il primo livello.
   Mi misi le mani tra i capelli. — Quanto ti ci vuole?
   Trish ci rifletté su per un po’. — Minimo un mese, lavorando a pieno ritmo — rispose, imbarazzata. — Ma non avrebbe senso; a quel punto avranno già scoperto che siamo state qui.
   Sparpagliai i fogli sul pavimento in un raptus di frustrazione, poi respirai profondamente e a lungo per calmarmi. — Poco male, Trish. — Buttai la testa all’indietro sbuffando. — Al limite chiederemo l’intercessione di Mattia.
   — Perché, l’hanno già fatto santo? — fece lei, sarcastica, mentre azzardava un ultimo, estremo tentativo di far valere la sua sovranità di hacker. Tentativo che, anche se non servì al suo scopo primario, servì certamente a farci fare un salto dalla sorpresa.
   — Lori! — strillò Trish, saltellando per l’esultanza. — Lori, è comparso qualcosa!
   Scattai in piedi e mi avvicinai a lei per leggere la scritta apparsa sullo schermo nero: — Animula vagula, blandula, hospes comesque corporis, quae nunc abibis in loca pallidula, rigida, nudula, nec ut soles dabis iocos. — Mi accigliai. — Cos’è, un carme?
   — Suppongo — mugugnò Trish. — Non sono io quella che sa a memoria centinaia di poesie in tutte le lingue del mondo, Lorianne cara, quello è tuo padre. In ogni caso, se potessi navigare nell’Internet la cercherei qui ed ora, ma questo tablet maledetto non è capace di fare più cose contemporaneamente.
   Come se hackerare la rete di un clan di camorristi eliminando tutti i possibili virus, disinstallando le backdoor, smontando una configurazione creata a tavolino e facendo tante altre operazioni di cui non ho la minima idea non fossero più cose contemporaneamente, pensai, ma mi trattenni dal dirlo. — Potrebbe essere una specie di codice? — suggerii invece.
   Contro tutte le mie previsioni, lei mi diede ragione. — Può darsi — convenne infatti. — Ho bisogno del computer, però, il che rappresenta un altro motivo per tornare a Villa Orlando — concluse con una breve occhiata al pavimento, dunque prese baracca e burattini, mi salutò e mi lasciò sola tra le carte.

 

 

Poco dopo raggiunsi Mattia nello studio segreto al piano terra. In quei giorni non aveva fatto altro che dividersi tra l’ingresso, dove controllava assieme a Logan il materiale da inviare a Villa Orlando, e quella stanza, nella quale teneva i suoi colloqui coi mannari. Se Anna non gli avesse imposto di tornare da lei a determinati orari, ero certa che avrebbe anche mangiato e dormito sulla scrivania. Si era pure portato da casa una copia digitale della tesina di maturità e un paio di libri scolastici, così da poter studiare nei pochi minuti liberi. Mi faceva pena vedere il suo ambiente di vita ridotto a quel misero spazio, ma avevo compreso che con lui non c’era di che discutere quando era tanto ostinato su qualcosa.
   La porta era aperta, quindi entrai senza bussare. — Ehi, Matti... oh. Adriano. — Indietreggiai d’istinto. — Me ne vado, tranquilli.
   — Ecco, brava — bofonchiò quello in risposta, subito fulminato con lo sguardo da Mattia: — Vieni, Lorianne, e non starlo a sentire. Oggi è un po’ mestruato.
   Ricevette di rimando un verso di scherno, ma lo ignorò e riprese a parlare: — Come dicevo, Adriano, io dei soldi non me ne faccio niente, ergo spendeteli come vi sembra opportuno, io me ne frego.
   Adriano batté i pugni sui braccioli della sedia. — Mattia, ma mica pensi che noi con i soldi ci pulissimo il culo prima che arrivassi tu? Ci sono gli informatori da pagare, i potenti da corrompere, le piazze di spaccio da rifornire e i traffici da mandare avanti...
   — E tu mica pensi che io voglia mantenere lo stesso assetto che il clan aveva con tuo padre? — replicò, serafico, Mattia. — Allora non ci siamo intesi, Adriano.
   L’altro mi guardò male. — Ancora qua stai? I cazzi tuoi no, eh?
   Feci spallucce, sorridendo. — Se vuoi che tuo padre venga sputtanato davanti all’intero Sottomondo...
   — Ma è questo il punto! — gridò lui, furioso, scattando in piedi e quasi facendo rovesciare la sedia all’indietro. — Se sputtani lui sputtani anche noi, Mattia! Tutti noi! È un’ora che te lo ripeto!
   — Ed è un’ora che io ti ripeto che vi assicurerò protezione. — Mattia tentava di restare calmo, ma anche lui stava perdendo le staffe. — Dopotutto, cosa mai avete potuto fare di peggio di quanto ha fatto Mallardo?
   Adriano trattenne il fiato per un secondo, poi espirò violentemente scuotendo la testa. — Dio mio, Mattia, come puoi pretendere di sederti al suo posto senza sapere niente di noi, niente di me?!
   Mattia colse la palla al balzo. — Perché, cosa devo sapere di te? Cosa hai fatto, tu, che io dovrei sapere?
   Se ne fu anche minimamente colpito, Adriano non lo diede a vedere. — La domanda non è cosa ho fatto — bisbigliò in tono cospiratorio, — ma cosa non ho fatto.
   — Bene — sussurrò Mattia. — Cosa non hai fatto?    
  
La risposta giunse dal fondo dell’atrio: — Te lo dico io, cosa non ha fatto.
   Trish arrivò di corsa, stringendo in una mano un fascicolo familiare e nell’altra il tablet, con un sorriso da orecchio a orecchio stampato in faccia e gli occhi che brillavano. — Rita D’Amante — annunciò, gettando il fascicolo sulla scrivania. — È la tua psicologa, Adriano.
   — Oh, che novità — dichiarò lui, fintamente sorpreso. — Guarda, non lo sapevo.
   — E sei uno stupido, ti fai anche prescrivere farmaci da una che non ha l’autorizzazione per farlo — continuò lei imperterrita. — Comunque, vi rivelo che l’allieva ha superato il maestro: due anni fa ho inventato il metodo a cubo di Rubik e il mio caro mentore ha capito come usarlo da un paio di giorni soltanto, per di più con una grossa falla nel sistema che era sì ben celata ma altrettanto facile da smantellare. Inoltre, quel gran pezzo di cretino non ha neanche nascosto la sua identità e mi ha persino fornito ogni singolo mezzo per sgamarlo. Perciò ecco cosa Adriano non ha fatto: non è stato prudente.
   L’attenzione di chiunque era concentrata su Trish, ma tutti riuscimmo a vedere Adriano sbiancare.
 
 Mattia non ci stava palesemente capendo un tubo, mentre io pian piano misi insieme i pezzi di un puzzle sconvolgente. Logan aveva abbandonato la sua postazione all’ingresso ed era venuto a godersi lo spettacolo; un piccolo gruppetto di lupi curiosi l’aveva seguito.

   Trish si concesse una breve risata di gioia, poi afferrò Adriano per il bavero della giacca, trionfante. — Salve, Imperator.



*ba dum tss*

Io vi avevo detto che Adriano sarebbe stato importantissimo *fischietta*.

Niente, non ho altro da dire quindi bye bye!

(Ah, io sto ancora aspettando i commenti, eh. Non vorrei essere cattiva, ma che bei lettori che siete...)

Aspettatevi un capitolo il più presto possibile, alla prossima!

Federica

  
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