Vita informe
Quando prendo in esame la mia vita, mi
spaventa di trovarla informe.
[...] La mia vita ha contorni meno
netti: come spesso accade,
la definisce con maggior esattezza proprio
quello che non sono stato:
buon soldato, non grande uomo di
guerra; amatore d’arte, non artista
come credette d’essere Nerone alla sua
morte;
capace di delitti, ma non carico di delitti.
[Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano]
Anna
convinse Mattia a restare a dormire da lei per tutta la settimana.
A quel punto mi chiedevo se fosse a
conoscenza della difficile situazione che stava attraversando il nipote in quel
momento, o perlomeno se sapesse della sua natura di lupo mannaro; tuttavia,
dubitavo di entrambe le cose. E non perché non aveva avvisato Mattia –
conoscere il futuro serve a ben poco, se non puoi cambiarlo – ma perché non
aveva avvisato me.
Nessuno meglio di me avrebbe potuto
comprendere il vero significato di un certo tipo di visioni; se anche non
avesse voluto dirlo a Mattia, sicuramente io avrei potuto trarne vantaggio. E
invece niente, si era limitata a indicarci come arrivare all’edificio con lo
stemma dei Durazzo, il giorno in cui eravamo andati a casa sua, e a fare la
nonna amorevole con Mattia finché i suoi genitori e la famiglia di suo fratello
non erano tornati dalla gita fuori porta che li aveva provvidenzialmente tenuti
lontani da Gaeta in quel periodo.
Cominciavo a sospettare che qualcosa di
provvidenziale ci fosse veramente, nei motivi che avevano spinto Mattia a
rimanere da solo in città mentre madre, padre, fratello, moglie e nipotino si
concedevano una piccola vacanza al fresco dell’Umbria per festeggiare due
anniversari di matrimonio. Ufficialmente, Mattia aveva da studiare per la
maturità; ufficiosamente... be’, se non c’era davvero lo zampino di una qualche
entità onnisciente, suppongo che Mattia avesse già iniziato a subodorare cosa
sarebbe dovuto accadere.
Comunque stessero le cose, tanto meglio per
noi: io avevo la sicurezza che ci fosse una persona come Anna accanto a Mattia,
nel caso si fosse verificato uno di quegli orribili scenari per scongiurare i
quali non risparmiavo sui mezzi; lui in parallelo poteva andare e venire da
Villa Orlando e da Santa Lucia ogni volta che voleva, a patto di tornare dalla
nonna quantomeno per cena.
E dalla nonna ci tornava; riluttante, ma ci
tornava.
Se avevo capito qualcosa di Mattia quello era
il suo cieco e assoluto rispetto delle condizioni, sia che gliele imponessero
altri, sia che se le imponesse da solo. Aveva detto che avrebbe fatto una
determinata cosa? Bene, allora l’avrebbe fatta, punto e basta.
Per sua somma fortuna, i mannari arrivarono
quasi subito a questa conclusione. Quei pochi ai quali non era bastato il
discorso pronunciato neanche ventiquattr’ore dopo la morte dell’ex Alpha si
convertirono alla sua causa in seguito a una brevissima chiacchierata in
privato, mentre un Mattia rivelatosi assai abile nei giochi psicologici si
presentava alle teste seriamente dure come quello che riteneva essere l’esatto
opposto del suo predecessore: un giovane uomo comprensivo, aperto e
disponibile, la cui migliore arma e migliore difesa era la parola.
Aveva da subito messo in chiaro che non
avrebbe obbligato nessuno né a restare né ad andarsene; sottilmente, però, con
una maestria tale che neppure il più esperto avvocato sulla piazza avrebbe
potuto eguagliare, aveva celato tra le righe una tanto semplice quanto
importante affermazione: se ve ne andate, i cavoli sono vostri.
Contrariamente a tutte le sue e le nostre
stime, i lupi, da trenta che erano, trenta rimasero.
O almeno, trenta erano quanti abitavano al
Palazzo.
Secondo Adriano, contando anche le
affiliazioni e aggiungendo uno scarto minimo delle vittime non riconosciute o
accolte da altri branchi, il numero complessivo delle violazioni agli Accordi
di Mallardo&Co si aggirava attorno ai settemila. Solo in Italia.
Dal canto suo, Adriano recitava la parte
dello gnorri e dell’indifferente, ma in fondo era quello, insieme a Sabrina,
dalle cui spalle era stato tolto il peso più grande. Ed era anche quello che ne
sapeva di più sull’argomento, dato che era il primo e unico figlio del boss,
nonché prossimo erede dell’impero criminale dei Mallardo.
Riguardo la faccenda dell’erede, quando
Trish glielo accennò lui scoppiò a ridere amaramente. — Io? Io? Sì sì, come no... ma mi faccia il
piacere!
Ci aveva raggiunte in uno degli archivi al
secondo piano – Mallardo doveva proprio amare il cartaceo – e se ne stava fermo
sulla soglia, gambe divaricate e mani in tasca, a guardare me e Trish che
sgobbavamo per liberare tutti gli armadi, deliziandoci con gioiose storielle
tratte dal suo passato.
È anche vero che la rispostaccia ce
l’eravamo cercata con il nostro comportamento un tantino insolente, ma non
eravamo affatto preparate a quello che seguì suddetta rispostaccia: — Per il
giorno in cui mio padre avesse lasciato il trono, io sarei già stato sepolto
sotto sette metri di terra da decenni.
Per un’oscura ragione Trish, al sentire
quella frase, sobbalzò più violentemente del dovuto. — Mi dispiace — mormorò,
raccogliendo dal pavimento i fogli che le erano caduti di mano.
Adriano sorrise appena, poi tirò un lungo
respiro e prese a sbottonarsi lentamente la camicia. Arrivato al fondo spostò
la stoffa di lato, scoprendo una grossa e spessa cicatrice che attraversava
tutto lo sterno e finiva poco sopra l’ombelico.
Ci raccontò che i suoi problemi erano
letteralmente iniziati il giorno in cui era nato prematuro tra il settimo e
l’ottavo mese di gravidanza, con una grave patologia cardiaca a complicare
ulteriormente le cose e quel pazzo di suo padre che aveva tentato di morderlo
non appena l’avevano lasciato uscire dall’incubatrice. Aveva passato l’infanzia
in giro per ospedali e sale operatorie a stare ai comodi di medici illuminati
che in sostanza lo usavano come cavia per sperimentare nuove tecniche e nuovi
trattamenti, risultandone impedito ad andare a scuola e perciò dovendo essere
educato privatamente.
— Penserete che, con tutti quei soldi, a
questo punto io sarei dovuto stare meglio di voi due messe insieme. E mi
dispiace dirvelo, ma sbagliate, e di grosso pure. — Parlava come se avesse
ripetuto quel discorso così tante volte da averlo imparato a memoria. Un po’
della mancanza di espressione nella voce mi ricordava il padre, ma a differenza
di Mallardo senior Adriano aveva un ottimo motivo per non voler mostrare del
sentimento. — Mio padre non ha mai voluto sborsare un singolo centesimo per me.
Mi correggo: l’ha fatto, solo che non si è mai scomodato a cercare una
soluzione definitiva.
Faceva delle pause a effetto che sembravano
scritte tra le didascalie di un copione, per quanto erano azzeccate. Il tono
era amaro, ricco di rassegnazione, a tratti sarcastico. Era il tono che non
avrebbe dovuto avere un ragazzo di vent’anni massimo. Era il tono del
condannato alla gogna.
— Fino a poco fa credevo che al mio funerale
mio padre avrebbe buttato nella fossa, al posto delle rose, tutti i soldi che
aveva rifiutato di dilapidare per
salvarmi il culo. Immagino che dovrò cambiare le mie valutazioni del
post-mortem.
Mio
padre, mio padre, mio padre. Non l’aveva mai chiamato diversamente. Una
sorta di formale via di mezzo tra papà e
Carmine. Mi ricordava come Jean si
rivolgeva a René negli ultimi tempi.
— Mi hanno impiantato un defibrillatore che
dovrebbe aiutare a mantenermi su questa terra ancora per un degno periodo, ma
per qualche strano e astruso motivo la mia condizione peggiora molto più
velocemente della norma, perciò... evito di compiere grossi sforzi, anche
quando dovrei e vorrei.
Ci fece l’occhiolino. Era bello, Adriano, ma
di una bellezza effimera e fragile, che ti svaniva sotto gli occhi non appena
ti permettevi di distogliere l’attenzione. Era alto, serio e austero, ben
vestito, senza apparente traccia di sbavature e imperfezioni. Eppure a uno
sguardo più attento si notava che quest’immagine era solo un guscio, uno
scheletro, una corazza per tenere insieme tutti i suoi pezzi: colletto alto che
nascondeva un’eccessiva pulsazione della gola, maniche lunghe per celare un
lieve edema dei polsi, un tintinnio sospetto nella tasca che rivelava la
presenza di un tubetto di pillole – considerato l’edema, probabilmente
diuretici.
In lui c’era un qualcosa che avevo già visto
anche in Mattia: maturità, risolutezza, acutezza d’ingegno, un pizzico di
lucida follia. Era una preda facile da ottenere ma impossibile da accettare,
con un piede sull’orlo del baratro e un’insana determinazione a volersi buttar
giù piuttosto che indietreggiare.
Da quanto ci stava dicendo era palese che la
prospettiva di una morte improvvisa e senza troppa sofferenza lo stuzzicasse,
perlomeno prima della morte del padre. Ma ora che al mondo c’era una ragione in
più per vivere tutte le sue convinzioni, meditate in anni e anni, venivano
messe alla prova.
Per controbilanciare, lui metteva alla prova
Mattia. E Mattia, nonostante a primo impatto si mostrasse leggermente
indispettito, a modo suo gliene era assai grato.
La gratitudine non era un fatto nuovo per
Mattia – fosse stato per lui, avrebbe ringraziato anche Carmine
Mallardo per
avergli ficcato in mano quella pistola – ma per Adriano lo era
eccome. Citandolo letteralmente, solo tre persone gli erano mai state
grate in tutta la sua
breve vita, e Mattia era una di quelle.
A quel punto, a Trish parve lecito domandare
quali fossero le altre due persone. Adriano rispose subito, in quella maniera
concisa ed enigmatica che lo caratterizzava: — Due ragazze – dannazione, adesso
saranno due donne.
— E cosa hai fatto a queste due donne?
— Ti piacerebbe saperlo?
— Sì — affermò schiettamente lei, e non
c’era traccia di malizia.
Adriano sospirò. Sembrava rammentare
qualcosa di piacevole. — Ad entrambe mi sono concesso, sebbene in sensi diversi del termine. Per una ho speso il
mio tempo, per l’altra ho speso milioni, e tali milioni sono il perché non
posso trovare da solo i soldi per decidermi a salutare definitivamente questo
cuore di merda. Ho avuto l’accesso a una parte del conto del clan alla maggior
età, ma quel poco che potevo possedere l’ho usato tutto per un’impresa di cui
ancora non so l’esito.
— Le amavi? — chiese Trish esitante.
Parve rifletterci. — No — dichiarò infine. —
Insomma, la prima era un po’... difficile da amare, e per la seconda provavo un
immenso affetto, ma niente di più. No, non le amavo, anche se credo che avrei
potuto, in altre circostanze.
Trish
annuì. — Capisco.
— Fidati, Patricia... — Adriano rise
tristemente. — Tu non capisci.
— Ma...
— Non provarci nemmeno — la fermò
immediatamente lui, sulla via della porta. — E non azzardatevi a entrare nella
stanza chiusa a chiave al terzo piano, oppure ve la vedrete con me.
E se ne andò.
Ovviamente,
questione di cinque minuti ed eravamo già nella stanza non più chiusa a chiave
al terzo piano. Fortuna che Trish si era portata dietro il tablet, adesso
impegnato ad hackerare il sistema di sicurezza dell’edificio per poter accedere
alle telecamere di sorveglianza ed eliminare ogni traccia della nostra visita
di cortesia a quello che si era rivelato essere un vergognoso imbroglio: quel
discreto numero di metri quadri – bisognava ammetterlo, la camera era piuttosto
spaziosa – non ospitava altro che una grossa scrivania semicircolare con sedia
girevole annessa, lampadario a led, qualche finestra e, orrore!, altri armadi. Armadi
su armadi su armadi.
Quel palazzo era una delusione totale. Solo
armadietti, armadini e armadioni, cassetti, cassettini e cassettoni, fascicoli
su fogli, fogli su fascicoli, fascicoli su raccoglitori, archivi e archivi e
archivi. C’era carta dappertutto. (E
per fortuna c’era anche dove serviva).
Ragionevolmente, alla luce dell’avvertimento
di Adriano pensammo che ci dovesse essere un qualcosa di compromettente
racchiuso nei documenti di quella stanza. Trish provò a scannerizzare qualche
pagina di prova e ad avviare un sistema di riconoscimento parole chiave, ma era
un’operazione troppo complessa per un tablet che già stava dando il meglio di
sé; oltretutto, la maggior parte di quelle informazioni era scritta a mano.
Così lasciammo perdere l’approccio tecnologico e, sempre procedendo a caso, ci
dedicammo alla lettura.
Ciò che mi capitò di leggere inizialmente
non era niente di troppo interessante: intercettazioni telefoniche di scarsa
rilevanza, una lista di nomi sbarrati con un pennarello rosso, una serie di
foto non proprio pudiche di una donna che assomigliava a Sabrina – se fossi
arrivata a scoprire che quelle foto le aveva scattate Adriano, giurai, avrei
vomitato anche l’anima – e un paio di vecchie cartelle cliniche di Sabrina
stessa risalenti al periodo della gravidanza.
Fu proprio sotto a queste che trovai
un’altra cartella clinica, molto più corposa, che apparteneva stavolta ad
Adriano. Serrando i denti la sfogliai velocemente per più di metà, cercando di
non far cadere lo sguardo sugli orribili referti di quando era ancora bambino e
sui tracciati di elettrocardiogramma dei quali persino io riconoscevo le gravi
anomalie, finché non mi scivolò tra le mani, quasi tagliandomi, un piccolo
rettangolo di carta: la fotocopia in bianco e nero di un originale che avevo
visto a colori.
Subito chiamai Trish per mostrarle il
foglio, e se possibile lei rimase ancora più sbigottita di me.
— Non ci credo — mormorò, a corto di fiato.
Non potei far altro che concordare.
Un trillo del tablet ci impedì di continuare
la conversazione su quella linea. Trish si alzò riluttante per andare a
controllare, e stavolta fu lei a chiamare me: — Lori, non riesco a bypassare il
sistema.
— Impossibile — replicai per istinto, senza
darle corda. Faceva spesso così quando le cose si protraevano per più di dieci
minuti.
— No Lorianne, tu non capisci: io non ci riesco — ripeté sconsolata. La
intravidi scuotere violentemente la testa. — Quando siete venuti qui tu e
Mattia avevo trovato qualche difficoltà, ma niente in confronto a questo. C’è
stato un cambiamento, un grosso
cambiamento, nelle misure di sicurezza — aggiunse. — E il bello è che è tutto
impostato nello... nello stesso identico modo in cui lo imposterei io.
Stavo ancora fissando quel foglio, ma la sua
affermazione mi fece rapidamente distogliere lo sguardo per puntarlo su di lei.
— Perdonami, ma così non dovrebbe esserti più facile?
Trish pestò i piedi indispettita. — No che
non lo è! — ribatté, frignando come una bambina che fa i capricci. — Io uso uno
schema a cubo di Rubik, una derivazione di mia personale invenzione dallo schema a labirinto.
— E ciò significa...
Sospirò. — Quarantatré miliardi...
— Quarantatré
miliardi?!
— No — negò subito. — Quarantatré miliardi di miliardi di combinazioni
possibili. Solo per il primo livello.
Mi
misi le mani tra i capelli. — Quanto ti ci vuole?
Trish ci rifletté su per un po’. — Minimo un
mese, lavorando a pieno ritmo — rispose, imbarazzata. — Ma non avrebbe senso; a
quel punto avranno già scoperto che siamo state qui.
Sparpagliai i fogli sul pavimento in un
raptus di frustrazione, poi respirai profondamente e a lungo per calmarmi. —
Poco male, Trish. — Buttai la testa all’indietro sbuffando. — Al limite
chiederemo l’intercessione di Mattia.
— Perché, l’hanno già fatto santo? — fece
lei, sarcastica, mentre azzardava un ultimo, estremo tentativo di far valere la
sua sovranità di hacker. Tentativo che, anche se non servì al suo scopo
primario, servì certamente a farci fare un salto dalla sorpresa.
— Lori! — strillò Trish, saltellando per
l’esultanza. — Lori, è comparso qualcosa!
Scattai in piedi e mi avvicinai a lei per
leggere la scritta apparsa sullo schermo nero: — Animula vagula, blandula, hospes comesque corporis, quae nunc abibis in
loca pallidula, rigida, nudula, nec ut soles dabis iocos. — Mi accigliai. —
Cos’è, un carme?
— Suppongo — mugugnò Trish. — Non sono io
quella che sa a memoria centinaia di poesie in tutte le lingue del mondo,
Lorianne cara, quello è tuo padre. In ogni caso, se potessi navigare
nell’Internet la cercherei qui ed ora, ma questo tablet maledetto non è capace
di fare più cose contemporaneamente.
Come
se hackerare la rete di un clan di camorristi eliminando tutti i possibili
virus, disinstallando le backdoor, smontando una configurazione creata a
tavolino e facendo tante altre operazioni di cui non ho la minima idea non
fossero più cose contemporaneamente, pensai, ma mi trattenni dal dirlo. —
Potrebbe essere una specie di codice? — suggerii invece.
Contro tutte le mie previsioni, lei mi diede
ragione. — Può darsi — convenne infatti. — Ho bisogno del computer, però, il
che rappresenta un altro motivo per tornare a Villa Orlando — concluse con una
breve occhiata al pavimento, dunque prese baracca e burattini, mi salutò e mi
lasciò sola tra le carte.
Poco
dopo raggiunsi Mattia
nello studio segreto al piano terra. In quei giorni non aveva fatto altro che
dividersi tra l’ingresso, dove controllava assieme a Logan il materiale da
inviare a Villa Orlando, e quella stanza, nella quale teneva i suoi colloqui coi
mannari. Se Anna non gli avesse imposto di tornare da lei a determinati orari,
ero certa che avrebbe anche mangiato e dormito sulla scrivania. Si era pure
portato da casa una copia digitale della tesina di maturità e un paio di libri
scolastici, così da poter studiare nei pochi minuti liberi. Mi faceva pena
vedere il suo ambiente di vita ridotto a quel misero spazio, ma avevo compreso
che con lui non c’era di che discutere quando era tanto ostinato su qualcosa.
La porta era aperta, quindi entrai senza
bussare. — Ehi, Matti... oh. Adriano. — Indietreggiai d’istinto. — Me ne vado,
tranquilli.
— Ecco, brava — bofonchiò quello in
risposta, subito fulminato con lo sguardo da Mattia: — Vieni, Lorianne, e non
starlo a sentire. Oggi è un po’ mestruato.
Ricevette di rimando un verso di scherno, ma
lo ignorò e riprese a parlare: — Come dicevo, Adriano, io dei soldi non me ne
faccio niente, ergo spendeteli come vi sembra opportuno, io me ne frego.
Adriano batté i pugni sui braccioli della
sedia. — Mattia, ma mica pensi che noi con i soldi ci pulissimo il culo prima
che arrivassi tu? Ci sono gli informatori da pagare, i potenti da corrompere,
le piazze di spaccio da rifornire e i traffici da mandare avanti...
— E tu mica pensi che io voglia mantenere lo
stesso assetto che il clan aveva con tuo padre? — replicò, serafico, Mattia. —
Allora non ci siamo intesi, Adriano.
L’altro mi guardò male. — Ancora qua stai? I cazzi tuoi no,
eh?
Feci spallucce, sorridendo. — Se vuoi che
tuo padre venga sputtanato davanti all’intero Sottomondo...
— Ma è questo
il punto! — gridò lui, furioso, scattando in piedi e quasi facendo rovesciare
la sedia all’indietro. — Se sputtani lui sputtani anche noi, Mattia! Tutti noi! È un’ora che te lo ripeto!
— Ed è un’ora che io ti ripeto che vi
assicurerò protezione. — Mattia tentava di restare calmo, ma anche lui stava
perdendo le staffe. — Dopotutto, cosa mai avete potuto fare di peggio di quanto
ha fatto Mallardo?
Adriano trattenne il fiato per un secondo,
poi espirò violentemente scuotendo la testa. — Dio mio, Mattia, come puoi pretendere
di sederti al suo posto senza sapere
niente di noi, niente di me?!
Mattia colse la palla al balzo. — Perché, cosa
devo sapere di te? Cosa hai fatto, tu,
che io dovrei sapere?
Se ne fu anche minimamente colpito, Adriano
non lo diede a vedere. — La domanda non è cosa ho fatto — bisbigliò in tono
cospiratorio, — ma cosa non ho fatto.
— Bene — sussurrò Mattia. — Cosa non hai fatto?
La risposta giunse dal fondo dell’atrio: —
Te lo dico io, cosa non ha fatto.
Trish arrivò di corsa, stringendo in una
mano un fascicolo familiare e nell’altra il tablet, con un sorriso da orecchio
a orecchio stampato in faccia e gli occhi che brillavano. — Rita D’Amante —
annunciò, gettando il fascicolo sulla scrivania. — È la tua psicologa, Adriano.
— Oh, che novità — dichiarò lui, fintamente
sorpreso. — Guarda, non lo sapevo.
— E sei uno stupido, ti fai anche
prescrivere farmaci da una che non ha l’autorizzazione per farlo — continuò lei
imperterrita. — Comunque, vi rivelo che l’allieva ha superato il maestro: due
anni fa ho inventato il metodo a cubo di Rubik e il mio caro mentore ha capito
come usarlo da un paio di giorni soltanto, per di più con una grossa falla nel
sistema che era sì ben celata ma altrettanto facile da smantellare. Inoltre,
quel gran pezzo di cretino non ha neanche nascosto la sua identità e mi ha
persino fornito ogni singolo mezzo per sgamarlo. Perciò ecco cosa Adriano non ha fatto: non è stato prudente.
L’attenzione di chiunque era concentrata su
Trish, ma tutti riuscimmo a vedere Adriano sbiancare.
Mattia
non ci stava palesemente capendo un tubo, mentre io pian piano misi insieme i
pezzi di un puzzle sconvolgente. Logan aveva abbandonato la sua postazione all’ingresso
ed era venuto a godersi lo spettacolo; un piccolo gruppetto di lupi curiosi l’aveva
seguito.
Trish si concesse una breve risata di gioia,
poi afferrò Adriano per il bavero della giacca, trionfante. — Salve, Imperator.
*ba
dum tss*
Io
vi avevo detto che Adriano sarebbe stato importantissimo *fischietta*.
Niente,
non ho altro da dire quindi bye bye!
(Ah,
io sto ancora aspettando i commenti, eh. Non vorrei essere cattiva, ma che bei
lettori che siete...)
Aspettatevi
un capitolo il più presto possibile, alla prossima!
Federica