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Autore: Jules_Kennedy    26/05/2017    3 recensioni
-Per la decima volta, non ne so niente di quella partita di droga. Non ho idea di come ci sia finita quella roba nella mia macchina, e se qualcuno ha cercato di incastrarmi c’è riuscito benissimo. Ora posso andare a casa?- chiese nuovamente l’uomo, fissandola intensamente. Dal canto suo la donna gli sorrise affabile, sporgendosi di poco verso di lui e lasciando intravedere velatamente le forme prosperose.
-Signor Trafalgar Law, lei potrà continuare a ripetere questa frase fino a quando vuole, ma fino a che non mi dirà la verità su come siano andate le cose, casa sua se la scorda.-
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-Non ci posso credere.- asserì sconvolto.
-Era l'unica soluzione- disse semplicemente Law.
-Fammi capire bene.- inspirò profondamente Kid dopo qualche minuto di silenzio, interrotto solo dal brusio di sottofondo del bar. -Tu, Trafalgar Law, leggenda delle conquiste ed aprifighe a tradimento, hai fatto credere ad una ragazza che ti piace, e non solo per scoparci, e a cui probabilmente nemmeno tu fai schifo, di essere gay solo per evitare di doverti impegnare in una cazzo di relazione!?- espose con estrema perizia, controllando il tono della voce per evitare che la sua testa prendesse fuoco per la rabbia."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Izou, Koala, Penguin, Sabo, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Unexpected 



-Per la decima volta, non ne so niente di quella partita di droga. Non ho idea di come ci sia finita quella roba nella mia macchina, e se qualcuno ha cercato di incastrarmi c’è riuscito benissimo. Ora posso andare a casa?- chiese nuovamente l’uomo, sollevando di poco la testa per osservare la sua interlocutrice dritta negli occhi. Dal canto suo la donna gli sorrise affabile, sporgendosi di poco verso di lui e lasciando intravedere velatamente le forme prosperose.
-Signor Trafalgar Law, lei potrà continuare a ripetere questa frase fino a quando vuole, ma fino a che non mi dirà la verità su come siano andate le cose, casa sua se la scorda.- lo freddò, gli occhi chiari illuminati di una luce inquietante.

-Abbiamo seguito le sue tracce per mesi, misurato i suoi spostamenti, intercettato le sue conversazioni, e anche se in mancanza di prove concrete lei ha sicuramente qualcosa a che fare con questo caso, sia alla luce di ciò che abbiamo trovato nella perquisizione di stanotte, sia solo per la familiarità che intrattiene con il diretto rivale di Crocodile, Donquixote Doflamingo. Per cui la prego, se davvero vuole tornarsene a casa con un bel programma di protezione testimoni, la invito nuovamente a dirmi tutto quello che sa a riguardo, e per favore..- lasciò in sospeso portandosi accanto a lui -Non mi costringa ad usare le maniere forti. Sa che lo farò se cercherà in qualsiasi modo di fregarmi, e non vorrà mica che quel bel viso venga rovinato da uno di questi, giusto?- chiese candida, mostrando il pugno chiuso a lasciar intendere cosa intendesse per maniere forti.

Dopo qualche secondo di riflessione, sospirando profondamente, Law piegò la bocca in una smorfia sconfitta, portando le mani sul tavolo, incrociandole e rivolgendosi a testa alta verso l’investigatrice. Intensificò lo sguardo, come a lasciar intendere che effettivamente non valeva la pena di mantenere un segreto del genere visto come sarebbero andare le cose se lui avesse continuato a fare lo gnorri.

La donna si sedette di fianco a lui, le lunghe gambe accavallate, un sorriso trionfante ma leggermente occultato ben stampato in viso.

Ce l’aveva fatta.

Nel momento in cui Law prese fiato per parlare il corpo della giovane si irrigidì, pronta ad accogliere le informazioni che bramava ormai da mesi nel tentativo di risolvere quel delicato caso di spaccio ed omicidio che le avevano affibbiato in unione al suo collega più fidato, il maggiore Sabo.

Drizzò le orecchie, e finalmente Law parlò.

-.. Come le ho detto quasi un’ora fa, io non ne so niente ne della droga, ne di come me la sia ritrovata in macchina, e non ho nessun legame con il signor Crocodile.- ripetè nuovamente, godendosi la faccia basita dell’investigatrice.

-Se ha fatto bene le sue ricerche, agente Surebo, il mio nome non figura in nessuno dei suoi archivi, non sono un suo sottoposto né un sicario, non sono un mercenario, e diciamocelo, se fossi un assassino non lavorerei per uno che non sa nemmeno trovarsi un chirurgo decente che gli aggiusti quella cicatrice orrida che ha in faccia.- scandì molto tranquillamente, ghignando internamente nel constatare come l’espressione di soddisfazione della detective si fosse trasformata in profonda e mera delusione, delusione scatenata dalle sue parole e dalla consapevolezza che molto probabilmente anche lui non era altro che l’ennesimo buco nell’acqua.

-Io sono solo un chirurgo, e lavoro a Dressrosa da dieci anni. Se proprio avessi voluto far parte di un’associazione come la Baroque Works S.p.A di certo non mi sarei cercato una copertura così in vista, non crede? Sarebbe un errore da principiante.- proseguì, sempre più soddisfatto di quanto le sue parole stessero facendo infuriare la sua interlocutrice.

Non gliene fregava niente se quella gentile signorina che l’aveva molto delicatamente sbattuto li dentro si incazzava, non era di certo colpa sua se l’avevano costretto a rinunciare alle sue due ore di sonno canoniche prima del turno in ospedale solo per sottoporlo a quell’interrogatorio inutile, massacrante e privo di frutti.

-Per quanto riguarda la droga che avete trovato nel cofano della mia macchina, immagino che non vi sia sfuggito il leggero segno di scasso sulla superficie della chiave di apertura del retro, e se avete analizzato la plastica di imballaggio della cassa, come suppongo abbiate fatto, avrete sicuramente notato che le mie impronte non ci sono. Oh, e per la cronaca, Doflamingo è mio zio. Dalle vostre intercettazioni non siete riusciti a capire una cosa così basilare? Che delusione.- la ammonì, gli occhi ora taglienti e crudeli.

Koala se ne stava seduta di fronte a lui, impassibile, gli occhi indaco induriti in un’espressione di ostentata freddezza.
Law la guardò sghembo, alzando un irritante sopracciglio giusto per farla esplodere definitivamente. -Mi creda agente, se avessi voluto davvero essere coinvolto in un’operazione del genere, lei non sarebbe mai arrivata a me. Non sono uno sprovveduto come potrebbe pensare, e di certo non mi piace stare qui a sorbirmi il giochetto del poliziotto buono e del poliziotto cattivo quando dovrei essere fuori da qui a prepararmi per il lavoro. Quindi lo ripeto nuovamente, le servono altre informazioni o posso andare?- concluse mellifluo, imitando il sorriso omicida che Koala gli aveva regalato pochi minuti prima.

Dopo qualche minuto di silenzio la giovane si alzò dalla sedia su cui si era accomodata, dandogli le spalle per raggiungere l’unica porta che dalla stanza degli interrogatori portava al resto dell’edificio. -Aspetti qui.- si limitò a rispondergli, scomparendo nel corridoio buio e lasciandolo da solo.

Stiracchiandosi come un gatto Law si stese completamente sulla sediolina di plastica, ghignando soddisfatto e salutando con una mano tatuata chiunque si trovasse al di la del vetro specchiato, e che probabilmente aveva ascoltato tutta la conversazione intrattenuta tra lui e l’agente Surebo.

A dirla tutta all’inizio non voleva nemmeno essere offensivo, sapeva che così come il suo lavoro era salvare vite in ospedale quello della detective era tutelare i cittadini senza che loro lo sapessero.

Ammirava in un certo senso il suo coraggio, la spavalderia con cui gli si era rivolta pur sapendo quanto effettivamente la sua famiglia fosse pericolosa e potente, incurante di mettersi contro l’intero clan Donquixote pur di raggiungere il suo scopo.

Che poi a pensarci bene, una come l’agente Surebo non se lo immaginava mica che potesse far parte dei servizi speciali. Ad occhio e croce aveva più o meno due o tre anni in meno di lui anche se dal modo di comportarsi e di parlare sembrava
infinitamente più grande.

Certo, lui sembrava un quarantenne cocainomane grazie alle perenni occhiaie sempre appiccicate sotto gli occhi e la barba incolta, ma non è che avesse realmente cazzi di apparire diverso da quello che era.

Se c’era una cosa che aveva imparato in quasi undici anni di studio e sette di carriera, era che se sei un bravo medico puoi anche sembrare un fiammifero, un ananas, un pinguino, un orso polare, a nessuno importerà, perché se un uomo sta morendo e tu sei l’unico che può tirarlo fuori da quella situazione, di certo nessuno ti farà storie se indossi un cappello fatto da tua mamma o se sei pieno di tatuaggi e hai due borsoni di Prada sotto gli occhi per la stanchezza.

Perso nelle sue elucubrazioni su quanto fosse brutto il cappello che Pen, suo amico e collega si ostinasse a portare in reparto ogni volta che aveva un’operazione importante, nemmeno si accorse che la donna era rientrata di nuovo nell’angusta saletta, piantandosi di fronte a lui con sguardo deciso.
-Può andare.- gli disse asciutta, osservandolo alzarsi tranquillamente e recuperare il pesante giaccone nero a macchie gialle dal retro della sediolina. Le si avvicinò, portandosi al suo fianco e voltando la testa verso di lei. -Sono pulito?- le chiese beffardo, consapevole di saper essere parecchio bastardo quando voleva. Ma con sua sorpresa la detective si limitò a ghignare al suo indirizzo, osservandolo di sbieco. -Per il momento si- gli rispose -ma può star certo che io verrò a capo di questa situazione. Non sarà una pista sbagliata a fermarmi.- chiarì decisa, fissandolo con gli occhi indaco accesi da una luce furba. -Non lo metto in dubbio.- la liquidò Law, uscendo con estrema calma da quella stanzetta asettica e finalmente pronto a tornarsene al calduccio insieme al suo husky Inuarashi, sotto le coperte, e insonnia permettendo a farsi qualche ora di riposo.

Nel momento in cui mise piede fuori dalla centrale il freddo di febbraio lo investì in pieno viso, tanto che nonostante le basse temperature non gli dessero particolare fastidio fu costretto a sollevare maggiormente il bavero del pesante indumento, nel tentativo di ripararsi gli occhi dal vento tagliente che passeggiava per le strade deserte della città.
Grugnendo infastidito dal fatto che la sua macchina fosse stata sequestrata, essendo coinvolta nel caso, si rassegnò ad avviarsi a piedi fino alla propria abitazione che per sua estrema sfortuna si trovava a parecchi chilometri di distanza dalla centrale.

Si incamminò quindi a passo lento, arrestandosi tuttavia  nel momento in cui sentì una voce chiamarlo da dietro di se. Si voltò appena per freddare chiunque osasse disturbarlo in quel frangente così drammatico, incrociando con sorpresa gli occhi dell’agente che fino a poco prima l’aveva torchiato manco fosse lui stesso Crocodile. La vide uscire con solo la leggera camicia bianca con su un gilet bordeaux, le lunghe gambe fasciate appena da due parigine scure. Non si mosse per andarle incontro, e fu tentato più di una volta di ignorarla e tornarsene a casa, ma quando vide ciò che la donna teneva in mano si diede dell’idiota cento volte, tornando di malavoglia sui suoi passi per raggiungerla.

-Signor Trafalgar!- lo chiamò nuovamente la detective, arrivatagli a meno di venti centimetri di distanza.

 -Ha scordato questo.- lo informò, mostrandogli uno zaino azzurro a fantasia maculata parecchio logoro e ben intonato alla stessa bizzarra fantasia dei pantaloni dell’uomo. Law stese silenziosamente una mano per prendere il suo vecchio cimelio di scuola, dandosi mentalmente del cretino per esserselo dimenticato ma senza la minima traccia di vergogna per la strana scelta di colori o per il semplice fatto che un adulto con quella faccia sempre così mortalmente seria se ne andasse in giro con una roba del genere. Rimessosi il sacco informe in spalla restò qualche secondo a fissarla, osservandola tremare visibilmente per il freddo.

-Dovrebbe rientrare agente.- la ammonì indicando la porta dell’edificio alle sue spalle. -Si preoccupa per me signor Trafalgar?- gli chiese prontamente quella, prendendolo in contropiede. Sollevando un sopracciglio, Law si limitò ad indurire lo sguardo, freddandola.   -Niente affatto. Semplicemente mi seccherebbe alquanto dover perdere altro tempo per intervenire se dovesse andare in ipotermia.- spiegò secco, senza ottenere tuttavia l’effetto sperato. La ragazza gli sorrise furba, guardandolo di sottecchi. Imperterrito l’uomo non perse la sua verve, cambiando argomento. -Come mai me l’ha riportato?- si informò. -Poteva tranquillamente tenerselo come avete fatto con la macchina, magari dentro c’era qualche prova che avrebbe potuto confermare la mia colpevolezza.- la schernì quasi involontariamente, incrociando nuovamente gli occhi indaco della giovane che sembravano illuminati da un sincero divertimento. -Oh, non si preoccupi per quello, non credo più che lei sia coinvolto nel caso.- disse sardonica, alzando le spalle. -Ma davvero?- si stupì Law.

Cioè fino a dieci minuti prima sembrava che lo stessero per condannare a dieci ergastoli che manco il pluriomicida Marshall D.
Teach, e adesso se ne usciva così?

-Sinceramente dubito che qualcuno che tiene un orsetto bianco di pelouche nello zaino possa essere pericoloso.- lo spiazzò, facendogli sgranare leggermente gli occhi.

Che aveva detto?

-Oh, non si preoccupi, non lo dirò a nessuno.- lo anticipò facendogli l’occhiolino.  Senza riuscire a connettere, Law si rese conto troppo tardi di avere una faccia da pesce lesso basito e sconvolto nel momento in cui Koala trattenne una risatina sommessa, riportandolo alla realtà. Incapace di dire o fare alcunchè, seguì con gli occhi senza nemmeno accorgersene la figura snella della detective che si allontanava, diretta verso l’uscio socchiuso da cui filtrava uno spiraglio di luce giallastra. -Buonanotte signor Trafalgar! Ci vediamo la settimana prossima per la seconda sessione dell'interrogatorio!- lo salutò sorridente l’agente lanciandogli un occhiolino, lasciandolo li, in quella strada gelida e deserta, con il mano il suo zaino del liceo ed una bruciante umiliazione a smaltire nel profondo della sua anima.

-Non ci credo..- sussurrò più a se stesso che al vento, riflettendo su quanto quella donna fosse riuscita a raggirarlo. 
Non solo l'aveva colto in flagrante trovandogli Bepo nello zaino, ma l'aveva anche incastrato per un secondo interrogatorio. 

Conosceva Koala surebo da meno di due ore e già era piuttosto certo che quando si ci metteva era peggio di una piovra che si attacca alla preda: non la stacchi nemmeno a bastonate sugli occhi...

Non appena la porta dell’edificio si chiuse eliminando definitivamente l’unico spiraglio di luce che dava colore al lastricato, quasi come se gli avessero dato una sberla devastante Law in qualche modo si riscosse, aprendo lo zaino e cercando freneticamente il fantomatico orsetto nei meandri oscuri dell’informe sacco azzurro. Spostò chiavi, portafogli, libri, tablet, auricolari, cartacce di merendine che erano li da secoli, trucioli di matita.

E alla fine lo trovò.

Estrasse il piccolo pupazzo soffice dalla stoffa scura in cui si era incastrato, fissandolo con odio misto ad imbarazzo. Se l’agente Surebo si era fatta un’idea di lui, di certo trovare Bepo aveva cambiato completamente la sua visione.

E non per forza in meglio.
Non che ciò avesse cambiato le cose comunque, sempre un sospettato restava, maledizione a lei.

Però quasi quasi preferiva essere considerato un potenziale spacciatore che un infantile medico che fa il duro e poi si porta dietro i suoi giocattoli.

Eppure, nonostante tutto, non ce la faceva proprio ad avercela con quell’orsetto.

Per un secondo gli tornò alla mente il momento in cui sua madre lo aveva infilato senza farsi notare nella pesante cartella che gli pendeva dalle spalle, il suo primo giorno di scuola.
Un sorriso privo di qualsivoglia ironia si stese sulle sue labbra, ben occultato dall’oscurità che lo avvolgeva.

Rimase qualche secondo immobile, gli occhi ora persi tra i lampioni spenti che emettevano sporadici rigurgiti luminosi, accendendo e spegnendo ritmicamente il grande viale su cui si trovava. Con un sospiro stanco ripose l’orsetto insieme a tutto il resto nello zaino, caricandoselo in spalla ed avviandosi a passo lento verso l’agognata dimora.

Nel momento in cui avrebbe rivisto l’agente Koala Surebo, e non se lo augurava, gliene avrebbe dette sicuramente quattro per averlo fatto sentire un’idiota.

Ma per stavolta, andava bene così.

-Buonanotte a lei, agente.- ghignò infine infilandosi in uno stretto vicolo, inghiottito dal buio e accompagnato solo dal suono dei suoi passi, che lentamente si persero nello sferzare incessante del vento che risuonava tra le strade con il suo roboante muggito.
 
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE

Buonasera a tutti! *^* finalmente posso pubblicare, non sapete che casino è in questo momento la mia vita :’)
Ma ci tenevo a pubblicare questo piccolo capitolo introduttivo di questa mini long, che per la cronaca partecipa alla challenge “This would be love” indetta dal forum http://fairypiece-fanfictionimages.forumfree.it/, vi lascio il link se volete andare a dare un’occhiata u.u
 
Chissà quale sarà l’amore a cui si ispira questa storia?
Un indizio: la risposta è nel titolo.
Che dire, ci vediamo la settimana prossima con il prossimo capitolo, un bacione e a presto! ^^

Jules


 
   
 
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