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CACCIA
PARTE SECONDA
“Perché… Perché
dovrei farlo?” balbettò
Keros, mentre Mefistofele ghignava divertito.
“E perché no? Obbedisci,
allievo”.
“Ma che senso ha?”.
“Devi imparare ad avere fiducia in te,
no?
Se riuscirai a fare quel che ti dico, non avrai più paura di
nulla. Avanti.
Spogliati!”.
Il giovane rimase immobile per qualche
tempo, perplesso. Mefistofele sedette, con una risatina divertita. Si
trovavano
in una stanzetta buia, illuminata solo da poche candele, nel mondo
umano.
Accanto alla finestra, un semplice tavolo in legno e due sedie, una
delle quali
stava utilizzando il maestro. Dal lato opposto, un letto che
solitamente usa
solo Keros, perché Mefistofele rientrava
all’Inferno quando era stanco. Non vi
era molto altro, ma per il lavoro che dovevano svolgere era
più che
sufficiente.
“Non capisco…”
mormorò Keros.
“Non devi capire. Devi
obbedire”.
Il giovane allievo comprese di non avere
alternativa ed iniziò a togliere le vesti che lo coprivano.
“Sei parente di Ramsete?”
commentò
Mefistofele, notando le bende che celavano i tatuaggi su buona parte
del corpo
del ragazzo.
“No. Non sono una mummia” si
sentì
rispondere, con tono infastidito.
“E allora perché quelle bende?
Hai forse
cicatrici di cui ti vergogni? Tranquillo, tutti i demoni ne hanno. Ho
detto che
devi spogliarti. Completamente!”.
“Ma…”.
L’apprendista procacciatore
d’anime non si
mosse.
“Che c’è?”
stuzzicò il maestro “Hai ancora
il cazzetto da moccioso? Dalla tua voce altalenante, devo dedurre che
l’adolescenza è in corso. Per caso certe cose non
sono ancora cresciute?”.
“Sono cresciute benissimo”
furono le
parole, infastidite, di Keros.
“Allora spicciati. Voglio averti nudo
davanti a me. Fallo, o ti spoglio io”.
Il principe si arrese e si spogliò
completamente, svelando anche tutti i tatuaggi.
“Comprendo la tua riluttanza”
si fece
serio il maestro, passando con lo sguardo ogni singolo centimetro del
suo
allievo “Quei disegni sono davvero strani. Meglio coprirli
dinnanzi a chi non
conosci. E davanti agli umani, che non sono abituati a simili
cose”.
“Bene… Posso
rivestirmi?”.
“Certo che no. Abbiamo appena iniziato!
Ora guardami negli occhi e fingi che io sia un umano di cui vuoi
l’anima.
Convincimi. Fammi capire che tu possiedi quel che desidero”.
“Però… io non so che
cosa desiderate!”.
“Non lo sai nemmeno quando incontri un
umano per la prima volta. Ma ai suoi occhi devi risultare sicuro ed
allettante.
Devi tentarlo, convincerlo che ha un assoluto bisogno di te.
Convincerlo che tu
possiedi tutto ciò che al mondo brama”.
“Ma…”.
“Piantala! Smettila di ribattere e
cianciare”.
“Ma perché devo farlo
nudo?!”.
“Già te l’ho detto:
se riuscirai ad essere
convincente così, nudo e vulnerabile, qualsiasi altra
situazione sarà una
passeggiata”.
“Per me siete solo un
pervertito”.
Mefistofele rise, mormorando un “non hai
ancora la minima idea di chi hai davanti”.
L’allievo capì che era meglio
obbedire.
Prima finiva quella “prova”, e prima poteva tornare
a rivestirsi. Chiuse gli
occhi. Quando li riaprì, brillavano leggermente.
“Bravo. Usa il tuo potere”
ghignò
compiaciuto il maestro “Non tentennare. Sguardo fiero, spalle
dritte e
sicurezza. Secondo te un umano firma un contratto con un demone
esitante? Deve
essere assolutamente certo di dare la sua anima a chi saprà
accontentarlo al
cento per cento”.
Keros annuì. Prese un respiro,
accentuando
ancora di più la luce negli occhi, e infine sorrise.
Mefistofele sedeva su una
sedia e rispose a quel sorriso, curioso di vedere come
l’allievo avrebbe
tentato di conquistare la sua anima. Il giovane camminò,
senza distogliere lo
sguardo dal volto di chi aveva di fronte. Doveva sembrare sicuro di
sé ed allo
stesso tempo doveva tentare la sua vittima. Subito pensò al
demone che lo aveva
cresciuto. Lucifero riusciva sempre ad ottenere quel che voleva, con o
senza i
vestiti addosso. Scostò dal viso un ciuffo di capelli rossi,
con fare
civettuolo, e si avvicinò a Mefistofele.
“Convincimi che possiedi tutto
ciò che mi
serve” lo incalzò ancora il maestro.
Il giovane sfoggiò il suo sorriso
più
convincente e raggiunse la sedia del suo precettore. Si
lasciò osservare, camminò
lentamente attorno a Mefistofele. Le sue movenze erano delicate. Il
pavimento
sotto i suoi piedi non emetteva un solo suono, nonostante fosse vecchio
e
logoro, scricchiolante con un nonnulla. Dopo essersi fatto ammirare,
Keros si
chinò.
“Io ho tutto ciò che
desideri” sussurrò
all’orecchio del maestro, lasciando che una mano scivolasse
sulla pelle di chi
voleva tentare.
“Sei come tua madre” si
sentì dire, mentre
Mefistofele lo afferrava per i polsi e lo tirava a sé
“Davvero hai tutto ciò
che desidero? Sei disposto a darmelo?”.
“Ogni cosa ha un
prezzo…”.
“Ed il tuo quale sarebbe?”.
L’allievo rimase in silenzio, concedendo
al maestro di osservarlo più da vicino e sentirne il profumo
della pelle. Rimase
in silenzio, a riflettere, e poi rispose.
“Sangue” disse.
“Sangue?” chiese conferma
Mefistofele.
“Voglio bere il tuo sangue. Siete un
demone, non avete un’anima. Ma il sangue è
più importante. Il sangue è ciò che
voglio”.
“Sei sicuro di riuscire a
gestirlo?”.
Maestro ed allievo rimasero in silenzio a
fissarsi, con gli occhi di Keros che si facevano sempre più
luminosi.
“Ho capito…”
ghignò il demone, porgendo il
polso al giovane principe “…dai… Te lo
sei meritato”.
Questi fissò il punto in cui avrebbe
voluto affondare i canini e rimase immobile.
“Che ti prende? Non hai più
fame?” chiese
Mefistofele, avvicinando il braccio al ragazzo.
Keros aveva appetito, bramava quel sangue.
Però era consapevole delle conseguenze che comportava il
contatto con il potere
che non poteva gestire. Un tempo Lucifero gli concedeva qualche goccia
di
sangue ma non da saziarlo ed a volte poi gli provocava malessere e
dolori. Senza
contare il dettaglio della perdita d’inibizioni che non
sapeva del tutto
controllare…
Da quando aveva imparato a cibarsi
autonomamente, e raramente aveva morso dei demoni, se non a livello
inferiore e
quindi innocui. Il maestro probabilmente intuiva il pensiero
dell’allievo, ma
continuò ad incitarlo.
“Perché non ti credi
all’altezza?” gli
disse, afferrandone il viso con due dita.
“Io… non…”
farfugliò Keros, infastidito.
“Sei un magnifico tentatore. Hai un
notevole potere. Usalo. Nella vita potrai ottenere ciò che
vuoi, per come sei.
Certo… Devi avere il coraggio di
prendertelo…”.
Il ragazzo si sentì lusingato a quelle
parole, anche se sospettava fosse tutto un trucco. Ma lasciò
perdere ogni
pensiero ed affondò i denti nel polso del suo maestro.
Subito il sangue caldo
gli riempì la bocca e scese lungo la gola. Ne
percepì il potere, e si sentì
carico di energia. Lasciò che il proprio sguardo di
illuminasse e che la sete
si placasse. Poi riprese fiato e ghignò, con un rigolo di
sangue che ne bagnava
le labbra e parte del viso. Elegantemente, si ripulì con il
dorso dell’indice.
Mefistofele rimase in silenzio ad osservarlo, tirandolo poi di nuovo a
sé.
“Ed ora?” sussurrò
all’orecchio “Il
pagamento lo hai avuto, tocca a me”.
Keros, intontito dalla nuova forza che gli
scorreva in corpo, dapprima si lascò afferrare e poi rise.
“Lo dicevo io che siete un vecchio
pervertito” furono le sue parole, divertite.
“Ma che hai capito?! Quel che voglio
è che
ti occupi per un giorno del mio umano, come si era detto
all’inizio di tutta
questa conversazione”.
“Come il mio maestro desidera”
sorrise in
modo strano l’allievo, inebriato.
“Anche se…”.
Il principe si sentì trascinare di nuovo
per i polsi fino ad avere il respiro del suo maestro sul collo.
“…ho sempre sognato di farmi
tua madre…”.
Keros la trovò leggermente inquietante
come frase ma lasciò che chi l’aveva pronunciata
gli accarezzasse i capelli e
la schiena.
“Ora meglio che vada” si
fermò Mefistofele
“Ho delle simpatiche fanciulle che mi attendono questa sera.
Non vorrei fare
brutta figura… Non so se mi spiego”.
Il principe si lasciò sfuggire una
smorfia
divertita.
“Occupati tu dell’umano
finché non torno”
concluse il maestro, indossando l’elegante mantella
“E rivestiti, ovviamente.
Oggi hai imparato un’importante lezione”.
L’allievo annuì.
D’un tratto si sentiva
molto più sicuro di sé e delle sua
capacità. Si ricompose, riproponendosi di
sfogare l’estasi per il pasto più tardi, ed
uscì a controllare la preda.
Il dottore era stupito nel vedere
l’allievo
e non il maestro varcare la soglia della propria casa e dello studio.
Era affamato
di conoscenza, voleva porre ogni tipo di domanda, ma non sapeva se quel
giovane
poteva soddisfarlo. E poi nella mente continuava a tormentarlo un
pensiero.
“Voi avete una famiglia?” ebbe
poi l’idea
di chiedere “Voi demoni avete mogli e figli?”.
“Il matrimonio è sacro a
Dio” lo derise
Keros “Certo che no. I demoni non si sposano. Però
possono avere una o più compagne
fisse, se lo desiderano”.
“Ed i figli?”.
“Che vuoi sapere? Se ci riproduciamo come
voialtri? Certo, facciamo figli. Sostanzialmente con chi
capita”.
“E voi ne avete?”.
“No. Per due ragioni. Uno: sono giovane.
Due:
odio i bambini”.
“Anche io lo dicevo da giovane.
Però poi…”.
“Sì,
sì… credici. Perché formuli una
domanda simile?”.
“Perché il mio desiderio
è conquistare il
cuore di una fanciulla”.
“Pensavo volessi la
conoscenza!”.
“Sì. Anche.
Però…”.
“Capisco… E la fanciulla sai
chi sia o
ancora aspetti?”.
“So chi sia. Ma non so se un demone
può
spingere all’amore…”.
“Può spingere alla lussuria.
Che è ciò che
realmente vuoi”.
Il dottore rimase in silenzio qualche
istante. Poi sorrise.
“Siete mai stato innamorato?”
incalzò.
“Lasciamo perdere…”
tagliò corto il principe.
“L’amore dei giovani. Mera
illusione o
vera luce che muove il mondo?”.
“Ok…” storse il
naso, perplesso, Keros “Che
devo fare? Vuoi il coraggio per dichiararti o la forza per distruggere
un
concorrente?”.
“No… io… in
realtà… Vorrei che qualcuno le
parlasse di me. Lei crede che io sia un pazzo, penso abbia paura di
me”.
“Avrebbe forse torto? Hai evocato un
demone e ti diverti con la magia nera”.
“Lo so. Vorrei che qualcuno la
convincesse
che sono un buon partito. Così che io possa dopo avvicinarmi
senza incutere timore.
Ecco… Credo che questo sia un incarico adatto a voi. Non
avete l’aria
minacciosa, come il vostro maestro”.
L’apprendista tentatore pensò
che fosse la
richiesta più stupida del mondo. Poi udì il suono
delle campane del paese, che
chiamavano in chiesa per i vespri.
“Bene…”
parlò, con calma, sistemandosi un
guanto “…meglio che mi affretti. La fanciulla
starà per entrare in chiesa. Qual
è il suo nome?”.
“Ma… Voi siete un demone! I
demoni entrano
in chiesa?”.
“Io sono speciale. Lo
vedrai…”.
Sul viso del mezzodemone comparve un
ghigno che l’umano non riuscì ad interpretare. Ma
capì che la sua richiesta
sarebbe stata esaudita. E quindi espresse tutta la sua riconoscenza.
“Vi ringrazio!”
esclamò, con un mezzo
inchino “L’avete già incontrata.
Più volte mi sono avvicinato senza avere il
coraggio di dichiararmi. È la giovane dai capelli
d’oro che lavava i panni al
fiume. Lei si chiama Margherita. E voi? Qual è il vostro
nome?”.
“Puoi chiamarmi come ti pare. Il mio nome
appartiene a me”.
Dando le spalle al dottore, Keros lasciò
quella casa angusta e piena di odori nauseanti, dovuti agli ingredienti
che il
dottore usava per i suoi intrugli, e si incamminò verso la
chiesa. Pensò a
quanto fossero irritanti gli umani e la loro fissa di conoscere i nomi
di
tutti. Il nome di un demone era sacro, non doveva mai essere rivelato
all’essere
umano, o si rischiava. Se la preda lo avesse usato in un esorcismo, per
il demone
avrebbe significato sconfitta certa. Così, quando si
ritrovò al cospetto di
quella Margherita, si presentò con un nome falso. Riconobbe
subito la fanciulla
in questione. Per Keros rientrava nel normale standard umano: niente di
speciale. Ma per gli uomini del paese era una delle più
belle.
La ragazza fu subito piuttosto diffidente,
ma il notare che lo straniero era giunto fino in chiesa un
po’ calmò i suoi
sospetti. Keros incrociò il suo sguardo azzurro e,
sfruttando i proprio poteri,
spinse la donna a parlargli.
“Mai mi sarei aspettata di vedervi
qui”
ammise Margherita.
Vestita in modo molto elegante, con un
lungo abito color pastello, portava dei fiori fra i capelli
intrecciati. Di tutto
questo, il principe notò solo il fatto che il collo di lei
era imprudentemente
scoperto.
“Come mai vi stupisce la mia presenza,
madame?” mormorò, mentre entrambi attendevano
l’inizio della messa nel piccolo
cortile della chiesa.
“Corrono voci. Su di voi e sul
vostro… maestro?
Ma se entrate qui, è evidente che siano infondate. Anche se
fin ora non vi ho
mai visto in questo luogo sacro”.
“Purtroppo il mio maestro mi tiene molto
impegnato”.
“Ma la messa è un obbligo per
un uomo per
bene!”.
“Di fatti sono qui…”.
Margherita non sembrava convinta, ma il
potere di Keros la spingeva a restare accanto a quello sconosciuto.
“Cosa vi ha spinti in questa
cittadina?”
chiese, vinta dalla curiosità.
“Il mio maestro ed il dottore stanno
svolgendo importanti ricerche assieme”.
“Dicono che usi la magia
nera…”.
“Che assurdità. Voci messe in
giro da chi
di scienza non capisce nemmeno le basi”.
“E allora perché il dottore
non si vede più
in chiesa?”.
“Voi andreste fra gente che vi crede una
specie di servo di Satana? Vorrebbe almeno una voce amica, fra decine
di
calunnie”.
“Calunnie?”.
“Sembro forse uno che pratica magia nera?
O
che tollero il suo utilizzo dinnanzi agli occhi?”.
“No…” ammise lei,
dopo un attimo di
silenzio “Voi… siete un nobile, vero?”.
“Sì, e voi siete una fanciulla
estremamente attenta ed intelligente. Nonché devota e pia
donna di fede. Un
giorno sarete una bellissima e ideale sposa”.
Margherita arrossì.
“Sono certo…”
continuò il principe “…che
una dama come voi ha molti pretendenti e vostro padre è in
cerca di quello più
appropriato”.
“Sono certa che anche per voi
è lo stesso”
sorrise lei, ancora rossa in viso “Chissà quante
nobildonne aspirano a divenire
la vostra consorte”.
“Spero di no. Almeno la mia donna, vorrei
sceglierla senza l’intromissione della famiglia… un
giorno”.
“Anche voi sperate in un matrimonio
d’amore?”.
“Per voi è
così?”.
La ragazza annuì. E si udì
l’ultima
campana, quella che indicava il prossimo inizio della messa. Keros
porse il
braccio alla donna, invitandola ad entrare. Lei, dopo essersi fatta il
segno
della croce con l’acqua santa, lo osservò fare
altrettanto. Poi presero posto
ed iniziò la cerimonia. Keros si guardava attorno con
discrezione. Imitava quel
che Margherita faceva ed ascoltava i canti stonati delle persone. La
chiesa era
piccola ma era presente praticamente l’intero paese, e molti
erano curiosi di
sapere chi fosse quel giovane straniero. Keros però non
diede modo alla folla
di scoprire molto. Si offrì di riaccompagnare la ragazza a
casa, visto che nel
frattempo era sceso il buio.
“Continuo a chiedermi come mai un
gentiluomo come voi si accompagni a quello strano individuo”
riprese lei, camminando
piano.
“Intendete il mio maestro?”.
“Le scelte di famiglia spesso non si
comprendono”.
“Non dovete temere il mio maestro.
È stravagante
ma non vuole la vostra anima” ghignò Keros,
notando gli sguardi incuriosito di
alcuni passanti.
“Siete una persona piacevole. Non lo
avrei
mai detto…”.
“Visto? Le prime impressioni, a
volte… Per
non parlare delle malelingue!”.
“Capisco. Cercherò di non
ascoltare. E farò
notare a tutti che siete entrato in chiesa ed avete pregato accanto a
me. Un
uomo malvagio non farebbe mai una cosa simile, giusto?”.
“Giusto. E ora, giunti alla vostra
dimora,
vi auguro la buonanotte cercando di straparvi una promessa”.
“Dite…”.
“Promettetemi che non darete troppo peso
ai pettegolezzi. Il dottore è un uomo per bene. Un uomo
intelligente, di
scienza. Ricco e generoso. Ed in cerca di una donna come voi. Una donna
capace,
sveglia. E con un cuore buono”.
“Come sapete che ho un cuore
buono?”.
“Volete forse negarlo?”.
“E voi? Che cosa cercate?”.
Keros non rispose. Salutò Margherita con
un baciamano ed augurò la buonanotte. La ragazza,
leggermente stordita dal
potere del mezzodemone, rientrò in casa. E sorrise
all’idea che il dottore si
dichiarasse.
Per quello che aveva fatto quel giorno, il
principe ricevette le lodi del suo maestro. L’anima
dell’umano era ormai nelle
loro mani e, quando finalmente l’ebbero condotta agli inferi,
Mefistofele
invitò l’allievo a festeggiare. Non
passò molto tempo prima che il giovane
fosse in grado di procurarsi da solo un’anima, da portare al
re.
Lucifero era sempre più fiero di lui,
anche se con il passare del tempo le preoccupazioni iniziavano a farsi
sentire.
Entrare in chiesa non rientrava fra le capacità da demone.
Però il sorriso
orgoglioso che mostrò quando portò la prima anima
all’Inferno lo convinse che
probabilmente era quello il suo destino. Finalmente era il principe che
meritava di essere. Era sicuro di sé, curioso, entusiasta e,
soprattutto, con
un potere invidiabile. E rapidamente si stava avvicinando al compleanno
numero
mille…
p.s.
il “dottore” è ovviamente Faust e la
storia è quella di Marlowne (in cui l’anima
di Faust finisce all’inferno, a differenza della versione di
Goethe).
p.p.s.
visto che mi sono già giunti messaggi strani a riguardo, non
penso che la donna
ideale sia quella descritta nel capitolo. Ma era l’ideale
dell’epoca.
A
presto!