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Autore: DreamerGiada_emip    28/05/2017    0 recensioni
Seguitemi, lettori dal cuore colmo di fantasia.
Avventuratevi e perdetevi all'interno di queste righe.
Vi racconterò una storia antica, nata da una leggenda e tramandata di generazione in generazione.
Accadde in un'epoca ormai lontana e dimenticata, così distante rispetto a quella in cui viviamo noi oggi.
Gli uomini hanno dimenticato ciò che accadde in tempi così addietro. Siamo cresciuti nell'illusione e viviamo nell'ignoranza.
Questa storia comincia tra i boschi, al sicuro da occhi indiscreti.
Di ciò che avvenne rimane solo una piccola e misera traccia. In quanti di voi conoscono la canzone "Figlio della Luna" di Mecano?
Vi è solo un piccolo errore, probabilmente la storia venne modificata di bocca in bocca.
Non era un bambino, ma una bellissima bambina dagli occhi d'argento.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 1


«Storm, aspetta!» urlai ridendo mentre rincorrevo il giovane lupo. Era uno splendido pomeriggio di sole e, nonostante preferissi di gran lunga la Luna, mi piaceva notare i cambiamenti del giorno rispetto alla notte. Le foglie degli alberi assumevano uno splendido verde brillante, i fiori sbocciavano, molti animali uscivano dalle loro tane. Purtroppo non potevo bearmi del calore dei raggi solari troppo a lungo, la mia pelle chiarissima non lo permetteva, rischiavo di bruciarmi.

Continuavo a ricorrere il mio amico lupo, consapevole del fatto che non lo avrei mai acchiappato. Quattro ruote motrici danno molta più velocità che due. Dopo qualche altro secondo di corsa, dove diedi fondo a tutte le mie forze, mi venne un'idea. Cominciai a rallentare per poi fermarmi completamente per simulare un mancamento.

«Oh... il caldo...» dissi ad alta voce per farmi sentire dal lupo, subito dopo mi accasciai sul manto morbido dell'erba chiudendo gli occhi. Speravo che sentirmi "svenire" o comunque non sentirmi più alle sue spalle lo avrebbe indotto a tornare indietro. Rimasi immobile in quella posizione, con il respiro lieve che quasi non si sentiva, all'ombra delle fronde di un albero. Passarono svariati secondi prima che un muso umido si appoggiasse sulla mia guancia annusandomi, non riuscii a trattenere un sorriso e prima che riuscisse a scapparmi gli strinsi le braccia intorno al collo, affondando nella pelliccia, in una morsa giocosa.

«Ti ho acchiappato, furbastro» risi soave, lui in tutta risposta grugnì e cercò di liberarsi dalla mia stretta, senza successo. Mi misi in ginocchio e lo riuscii a tirare per terra ribaltato con le zampe all'aria, smise di ribellarsi e mi leccò una guancia amorevolmente. Rimasi qualche attimo a bearmi dei soffici peli sul suo collo.

«Non pensare di intenerirmi adesso!» affermai risoluta senza lasciarlo. Storm allora tirò indietro le orecchie e avvicinò le zampe anteriori a muso, i suoi occhioni scuri da cucciolo si fissarono nei miei chiari, per completare l'opera emise dei piccoli versi acuti, gli stessi che produceva quando veniva ferito.

«Non vale! Uffa, smettila, lo sai che odio quando fai quei versetti. Mi fai credere che tu stia soffrendo» gli spinsi il muso da una parte per far distogliere i suoi occhi dai miei. All'improvviso sentimmo un ululato provenire dal profondo della foresta, entrambi tendemmo le orecchie: l'Alpha stava riunendo il branco. Lanciai un occhiata a Storm e lui subito rispose al richiamo.

«Pronto per un'altra corsa?» sorrisi e scattai in avanti. Amavo correre tra gli alberi, veloce e silenziosa. I miei piedi poggiavano leggeri sul manto d'erba e foglie, mi aggrappavo agli alberi e saltavo ruscelli e radici troppo sporgenti. Se non avevo una meta, seguivo il vento per scoprire nuovi territori. Mi piaceva il profumo di libertà che la corsa nei boschi mi donava. Al mio fianco, il giovane lupo mi guidava, lui sapeva dove il branco ci stava aspettando. Alzai lo sguardo e tra le fronde degli alberi intravidi il cielo rosso del tramonto, fra non molto avremmo dovuto iniziare la caccia.

Corremmo per qualche altro minuto, inspirai profondamente il profumo che mi portava il vento: terra bagnata, legno in decomposizione, l'odore dei miei compagni. Tesi le orecchie: artigli che graffivano il terreno, lo scrosciare delle acque, uccelli che volavano via frenetici, animali che rientravano nelle loro tane. Individuai attentamente la provenienza di quegli odori e rumori. Il punto d'incontro era vicino al fiume. I miei sensi erano particolarmente sviluppati, probabilmente per la lunga convivenza con i lupi e quand'ero sufficientemente vicina riuscivo a percepire alcuni dettagli in più. Ovviamente non ero neanche lontanamente paragonabile ai miei amici a quattro zampe, ma mi davo da fare.

Quando finalmente giungemmo nel luogo stabilito, notammo di essere gli ultimi arrivati. Guardai negli occhi ognuno dei miei fidati compagni, all'inizio quando ero ancora una bambina non ero ben accetta nel branco. Un'umana non poteva stare tra i lupi, lentamente però mi guadagnai la loro fiducia: aiutandoli, cacciando con loro, liberandoli dalle trappole piazzate dagli umani, curando le loro ferite. Mi sono fatta un posto tra di loro e ora ci rispettiamo e siamo tutti uniti da un profondo legame che in pochi possono comprendere.

Incontrai il vecchio sguardo colmo di saggezza della lupa bianca, colei che mi aveva accudito per lunghi anni, la compagna dell'Alpha. «Alpha. Madre» abbassai un attimo il capo in segno di rispetto, la Madre ricambiò il gesto. Non ero solo io a considerare quella lupa come mia madre, ma ormai tutti noi del branco ci rivolgevamo a lei in quel modo. Per noi era sia nostra madre che la Madre di questo bosco.

L'Alpha mi osservò negli occhi solo per qualche secondo. Non chinò il capo, come aveva fatto la Madre, non lo avrebbe mai fatto ed era giusto così. Era uno splendido lupo nero come la notte, con una profonda cicatrice che gli attraversava l'occhio sinistro: il gallone d'onore per aver sconfitto l'Alpha precedente ed aver preso il suo posto, il distintivo di sopravvivenza e di vittoria.

L'Alpha controllò un'ultima volta che ci fossimo tutti e sollevò il muso al cielo per fiutare una preda, imitato dal resto del gruppo. Io nel frattempo controllai l'affilatura dei miei pugnali e delle mie frecce, mi appoggiai sul l'arco per testarne l'elasticità. Era tutto perfetto, pronto per ghermire la preda. L'Alpha ululò e partì in corsa, con me e gli altri lupi alle costole. Avevano trovato una traccia, la caccia era finalmente iniziata.

🌕🌖🌗🌘🌑🌒🌓🌔🌕

Ci fermammo poco distanti da un piccolo spiazzo d'erba dove un cucciolo di cerbiatto stava brucando gli ultimi ciuffi d'erbetta tenera prima di far ritorno nella sua tana. Non poteva sapere che quello sarebbe stato l'ultimo pasto della sua vita. Ci acquattammo nascosti dietro ai cespugli, favoriti dalla poca luminosità, i lupi si disposero i un semicerchio intorno a al cervo, molto lentamente per non fare rumore. Io incoccai una freccia, pronta a scoccare. Presi la mira e puntai al suo collo. Volevo ucciderlo con un colpo solo, senza farlo soffrire troppo.

Probabilmente io o uno dei due giovani lupi inesperti, facemmo scricchiolare delle foglie o qualche legnetto, poiché la nostra preda sollevò il muso dal terreno e con uno scatto fulmineo iniziò a correre. Sentii l'Alpha ringhiare, non ero sicura se per l'inseguimento o per il nervosismo di averlo spaventato. In ogni caso tutto il branco si mosse: subito dietro il cervo c'erano l'Alpha e la Madre, io cercavo di individuare dove si stesse dirigendo per anticiparne gli spostamenti, mentre i restanti cinque lupi cercavano di stringerlo ai lati.

Mi guardai attentamente attorno, conoscevo quella parte di boscaglia, la preda si dirigeva verso il tramonto, dove il sole era ormai completamente scomparso. All'incirca ovest/nord-ovest. Usare l'arco in corsa era praticamente impossibile, quindi mi destreggia con i pugnali. Presi la mira per beccarlo, non potevo puntare esattamente a una parte del corpo, i troppi movimenti me lo impedivano. Socchiusi gli occhi e lanciai. Il pugnale volò per una cinquina di metri e poi si conficcò nel tronco di un albero dietro il quale era passato il cervo all'ultimo secondo. Aggrottai le sopracciglia e digrignai i denti, passando accanto all'albero strattonai l'arma per riuscire a riappropriarmene.

Probabilmente il cervo inesperto ci stava conducendo dritti dritti alla sua tana, brutta mossa. Mai far conoscere ai predatori la collocazione del proprio nascondiglio. Il cervo spiccò un salto per evitare un fiumicciattolo, era scoperto. Lanciai decisa il mio pugnale per la seconda volta, esso partì con un sibilo e roteando si andò a conficcare nel fianco dell'animale.

Colpito.

La preda cadde rovinosamente a terra, parte del corpo immerso nell'acqua fredda. Il fiume si tinse di rosso, perdeva molto sangue. Cercò di rialzarsi, ma le ferita non gli permetteva di muovere la gamba sinistra, perciò cadde nuovamente. Lo raggiunsi insieme agli altri, vidi l'Alpha osservare la sua preda. Nel branco vigeva una regola, se ferivi la preda, ma non la uccidevi, il colpo di grazia spettava all'Alpha. Sperai che non lo facesse soffrire troppo, odiavo vedere qualsiasi bestia in preda al dolore. Il cerbiatto stava lì, respirava affannosamente, conscio del suo destino. Il grande lupo nero gli si avvicinò con passo silenzioso e si fermò a meno di mezzo metro da lui per guardarlo negli occhi. Sapevo che rispettava la sua preda, ma sapevo altrettanto bene che questa era la legge della natura. I predatori cacciavano e gli erbivori soccombevano. Se le prede fossero finite, anche noi avremmo visto la nostra fine.

L'Alpha con un salto fu sopra all'animale e, appena risollevò il capo, stringeva tra le zanne il collo del cervo morto.

   
 
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