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Autore: Kim WinterNight    28/05/2017    2 recensioni
[Sequel di 'Alive'.]
«Siamo giunti all'ultimo campo per Laura.
Stavolta però si ritrova ad avere qualcuno al suo fianco, qualcuno che però non è Marco.
Forse questa è la volta buona, forse la ragazza riuscirà a superare l'attrazione che da sempre la lega a qualcuno che non la ama.
Lei ci proverà, supportata da sua sorella Tamara, dall'immancabile e storica amica Viola e da tutti i loro compagni di avventura, sotto la supervisione di educatori e istruttori che non rinunceranno a mettere i ragazzi alla prova e a combinare un bel po' di casini.»
Come per le due storie precedente, troverete una colonna sonora diversa per ogni capitolo. Vi basterà cliccare sul collegamento presente sul titolo per essere rimandati direttamene al brano su YouTube.
Inoltre, come di consueto, il titolo della storia porta il nome di una canzone dei P.O.D. intitolata proprio 'Boom': vi consiglio di andarla a sentire! ;)
Buon ascolto e buona lettura e, come sempre, non esitate a farmi sapere il vostro parere ♥
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Youth Of The Nation'
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ReggaeFamily

Capitolo sette: Sono solo canzonette




Mi ricordo che anni fa

di sfuggita dentro un bar

ho sentito un juke-box che suonava

e nei sogni di bambino

la chitarra era una spada

e chi non ci credeva era un pirata!

[...]

E così e se vi pare

ma lasciatemi sfogare

non mettetemi alle strette

e con quanto fiato ho in gola

vi urlerò: non c'è paura!

ma che politica, che cultura,

sono solo canzonette!

non mettetemi alle strette

sono

sono

sono solo canzonette!


Mentre tutti eravamo a bordo di un pullman che ci stava trasportando verso il maneggio in cui avremmo trascorso la mattinata, Gabriella non faceva che ascoltare e “cantare” Sono solo canzonette di Edoardo Bennato. Non ne potevo più di sentirla, specialmente perché la ragazza non faceva che rovinare la canzone con il suo modo di interpretarla noioso e monotono.

Inoltre, erano giorni che non faceva che alternarla ossessivamente con #fuoriceilsole e Roma-Bangkok.

«Oddio, se la sento un'altra volta, giuro che vomito» brontolò Tamara.

Io, lei, Viola e Marco ci eravamo accaparrati gli ultimi quattro posti sul pullman e stavamo cercando di non ascoltare i deliri di Gabriella, la quale veniva incoraggiata da un divertito Nicolò e dal povero Giorgio: entrambi erano in fissa con le stesse canzoni e le chiedevano di ascoltarle a ripetizione.

Diedi di gomito a mia sorella. «Porto fuori le cuffie e ascoltiamo qualcos'altro?»

«Sarebbe bello, altrimenti porto fuori le mie. Non la sopporto più!»

«Dai, Gabriella, la rimetti Roma-Bangkok? È troppo bella!» strillò Nicolò in preda a chissà quale entusiasmo immotivato.

«Aspetta, prima voglio riascoltare Bennato!» Detto questo, gridò rivolta al suo cellulare: «Riproduci brano Sono solo canzonette».

Per l'ennesima volta le note di quella canzone si diffusero nel pullman e io alzai gli occhi al cielo.

«Giuro che mi piace questa canzone, ma lei me la sta facendo odiare» dissi.

«Che palle... io ascolto i Death adesso, devo anestetizzarmi» bofonchiò Marco, facendo partire una canzone metal a tutto volume, senza infilarsi le cuffie.

Viola subito si rivoltò: «Oddio, no, togli questa cosa! È terribile! Ma sta vomitando?».

«Vivi, sei assurda! Dai Marco, ma non puoi metterti gli auricolari?» lo rimbeccò Tamara.

Fortunatamente il viaggio non fu molto lungo; infatti, dopo aver condiviso per qualche canzone le cuffie con mia sorella, fummo costretti a scendere dal nostro mezzo e ci ritrovammo in un piccolo angolo di paradiso.

Eravamo quasi completamente immersi nella natura, circondati dalla macchia mediterranea, mentre in lontananza si potevano scorgere delle strutture non meglio identificate.

«Qui c'è un maneggio, ma anche un albergo» ci spiegò Marta, mentre si avvicinava a noi con Simona e Giorgio appesi alle braccia.

«Cioè? Un albergo a fianco a un maneggio? Che puzza» osservai mentre venivo già raggiunta da un sacco di mosche che si aggiravano intorno a noi. «No, io odio gli insetti! Mi sono già rotta!» aggiunsi, scacciando uno di quei maledetti animaletti.

«Andiamo ragazzi, avviciniamoci al punto d'incontro» ci incitò Giovanna, così tutti procedemmo al suo seguito.

Camminammo attraverso alcuni stretti sentieri e raggiungemmo in breve tempo uno spiazzo in cemento coperto da una tettoia. Dovemmo attendere alcuni minuti prima che qualcuno ci raggiungesse e ci spiegasse cosa avremmo fatto.

«Adesso andremo al coperto, nel capannone, dove vi insegneremo a strigliare e pulire i cavalli, poi ci potrete anche salire sopra per un breve giro al coperto. Dopodiché ci sarà la passeggiata verso la spiaggia, durante la quale ognuno di voi avrà un accompagnatore che camminerà accanto a lui e controllerà il cavallo. Quindi non preoccupatevi, andrà tutto bene e vi piacerà. Inoltre, i nostri cavalli sono addestrati e abituati a stare a contatto con un sacco di gente» spiegò con entusiasmo un uomo sulla quarantina.

«I ragazzi giovani come voi piacciono tanto ai nostri tesori» aggiunse una donna dalla voce dolce e rassicurante.

Venimmo condotti all'interno di un enorme capannone dal pavimento ricoperto di sabbia. Alcuni cavalli erano già pronti e ci aspettavano accanto a una parete su cui erano appesi, come apprendemmo poco dopo, vari strumenti che sarebbero serviti per pulirli e sistemarli.

«Oddio, che emozione, i cavalli mi piacciono un sacco» disse Viola. «Non vedo l'ora di salirci!»

Stranamente, anche io ero molto impaziente di vivere quell'esperienza, perché i cavalli non mi spaventavano come la maggior parte degli animali. Mi era capitato già in passato di salire su un cavallo e la cosa era stata di mio gradimento, perciò mi trovai in perfetto accordo con la mia amica.

«I cavalli a nostra disposizione sono solo due, quindi farete i turni. Avvicinatevi in coppia, prego» ci disse ancora l'uomo che ci aveva accolto; nonostante avesse detto il suo nome, io non riuscivo a ricordarlo.

Fu un'esperienza bellissima utilizzare le spazzole e sentire quei meravigliosi animali reagire positivamente, evidentemente contenti che qualcuno si prendesse cura di loro in quel modo.

«Devi compiere dei movimenti semicircolari con la spazzola, sì, brava, così! Ricordami il tuo nome» mi istruì pazientemente uno dei tanti aiutanti che si stavano occupando di noi.

«Laura.»

«Ecco, Laura. Sei mai andata a cavallo?» volle sapere.

«Sì, due o tre volte. Mi è piaciuto molto.»

Una volta ultimata l'operazione che stavamo compiendo, a qualcuno toccò l'arduo compito di pulire gli zoccoli ai nostri simpatici nuovi amici.

Fu divertente notare che Marco imprecava perché non riusciva a far sollevare la zampa al cavallo, mentre Giorgio si rivelò molto affine all'animale che gli era stato affidato e si divertì un sacco.

Dopodiché salimmo, sempre facendo i turni, in groppa; mi resi conto che montare a cavallo era molto più difficile di quanto ricordassi, forse perché quegli animali erano veramente alti e maestosi.

«Forse non sono mai salita su un cavallo così alto» bofonchiai, quando riuscii maldestramente ad ancorarmi alla sella.

«C'è sempre una prima volta, visto?» scherzò uno degli aiutanti.

Mi accompagnò per un paio di giri all'interno del capannone e, nonostante la cosa mi piacesse, sentivo anche delle proteste provenire dalla mia povera schiena. Tuttavia, cercai di ignorarle e pensai solo a divertirmi, riscoprendo la stupenda sensazione di essere trasportata da un essere vivente che si muoveva sotto di me e reagiva a ogni mio movimento. Riuscii a adattarmi a lui e lui in qualche modo si adattò a me, finché entrambi non ci rilassammo e la passeggiata proseguì tranquillamente.

Lo stesso accadde quando uscimmo all'aperto e ci recammo presso la stalla per raccattare degli altri cavalli. Prima che potessimo montare in groppa, ci furono consegnati dei caschetti da indossare per questioni di sicurezza.

Faceva un caldo pazzesco, le mosche ci aggredivano impietose e il sole era sempre più alto nel cielo.

«Questi così fanno sudare un sacco» mi lamentai, una volta che il mio casco fu allacciato a dovere.

«Cerca di resistere, dai» mi disse Giovanna, aiutando Gabriella a sistemarsi sul suo cavallo.

Per me fu più facile raggiungere la sella rispetto a quanto accaduto in precedenza. Una volta pronta, però, qualcosa andò storto.

«Oddio...» mormorai, sentendo la mia cavalla muoversi. In un attimo mi accorsi che stava avanzando a piccoli passi, dal momento che la mia aiutante si era allontanata un attimo per aiutare Simona.

«Qualcuno mi aiuti, sta camminando!» mi agitai in preda al panico, non sapendo minimamente come fermerlo. Improvvisamente avevo dimenticato come fare, sentivo solo l'ansia invadermi e avevo una fottuta paura di venir trascinata chissà dove.

«Lau! Come mai il tuo cavallo si è spostato? Devi avergli dato sbadatamente il comando per...» commentò Giovanna, in piedi accanto a Nicolò, già in sella da tempo.

«Non lo so, ma... aiutatemi!»

«Laura, tira le redini! Tutte e due insieme!» mi suggerì la mia aiutante, tornando con calma verso di me. Evidentemente sapeva che non c'era di che preoccuparsi, perciò mi tranquillizzai a mia volta e feci ciò che mi diceva, ma il cavallo non si fermò.

«Più forte, dai! Non gli farà male, la aiuterà a capire che deve fermarsi. Coraggio!»

Riprovai con più forza e stavolta l'animale su cui ero appollaiata si immobilizzò.

Tirai un sospiro di sollievo e mi rilassai completamente, rendendomi conto che avevo cominciato a sudare freddo. «Mio dio» mormorai.

Da quel momento la mia accompagnatrice non mi lasciò un attimo da sola, rimase accanto a me durante tutta la passeggiata verso la spiaggia e durante il tragitto di ritorno, così come fecero tutti gli altri aiutanti con i miei compagni d'avventura.

Fu molto bello stare a cavallo in mezzo alla natura, sfilare in mezzo agli alberi di pino, ritrovarsi a inciampare leggermente su qualche sasso disseminato qua e là e sentire il cavallo perdere per un attimo l'equilibrio, rendersi conto di essere sulla sabbia e notare alla propria destra il mare con le sue onde che si infrangevano sulla riva, guardare tutto dall'alto e sorridere perché era come essere liberi.

Educatori e istruttori scattarono un sacco di foto, tra cui una panoramica in cui ripresero tutti noi ragazzi uno accanto all'altro sui nostri cavalli, mentre alle nostre spalle si estendeva la spaiggia e più in fondo la distesa salmastra che portava con sé una brezza umida e invitante.

Tornammo nella zona delle stalle completamente sfiniti ma contenti, perché per tutti noi era stata una bellissima esperienza che avremmo ripetuto anche subito.


Eravamo tutti seduti attorno a due tavoli quadrati che avevamo accostato per poter stare più comodi. Avevamo raggiunto il bar presente nella piscina dell'albergo per il pranzo, dopo esserci congedati dai nostri aiutanti e dai meravigliosi animali che ci avevano allietato la mattinata.

Avevo un terribile mal di schiena e trovavo la sedia su cui mi ero accomodata tremendamente dura, ma cercai di non farci troppo caso e mi concentrai sulle conversazioni con i miei compagni.

Poco prima di lasciare il maneggio, avevo sentito Danilo al telefono e gli avevo raccontato ciò che mi era successo, quanto tutto questo mi fosse piaciuto e non avevo tuttavia omesso i dolori che avevo provato nel corso della mattinata.

Lui mi aveva consigliato di riposarmi una volta rientrata al residence, ma se non avevo capito male saremmo andati al mare nel pomeriggio.

Fui contenta di notare che il cielo si era oscurato e che delle nuvole grige non promettevano niente di buono, così educatori e istruttori furono costretti ad ammettere che non era il caso di andare al mare.

Mentre ripensavo a Danilo e al fatto che ancora non era riuscito a venire a trovarmi, una sensazione spiacevole si impossessò di me: davvero stava risultando così difficile per lui raggiungermi? In treno ci avrebbe impiegato al massimo quaranta minuti.

Fui distratta da mia sorella che imprecava: «No cazzo, è pieno di api!».

Mi allarmai subito e mi immobilizzai sulla sedia, guardandomi attorno in cerca di una qualche via di fuga; ci trovavamo su una sorta di veranda rialzata rispetto alla piscina, infatti eravamo saliti per una piccola gradinata prima di poter raggiungere il bar.

A quel punto si scatenò un po' il panico generale, ma Lorenzo e Samuele riuscirono a trovare un metodo per attirare le api in un unico punto lontano da noi. Non seppi come ci riuscirono, ma gliene fui estremamente grata, altrimenti non sarei stata in grado di mangiare il mio panino.

Avevamo da poco finito di mangiare, quando accadde qualcosa che non mi sarei mai aspettata.

Giovanna e Lucrezia arrivarono da noi in compagnia di un uomo a me sconosciuto, il quale indossava abiti semplici, non era tanto alto e doveva aver superato la cinquantina. Io comunque non ero brava a definire l'età delle persone, specialmente quando non potevo scorgerne bene i lineamenti, proprio come in quel caso.

«Ciao ragazzi» esordì lui in tono gentile.

«Indovinate chi è?» se ne uscì Lucrezia tutta contenta.

«Non saprei...» disse Gabriella.

Io ero perplessa. Chi poteva mai essere?

«Dai, lo conoscete bene, provate a indovinare!» rincarò Giovanna.

L'uomo sorrise appena e riprese a parlare: «Come state? Vi state divertendo in vacanza?».

«Dai, non riconoscete la sua voce? Non ci credo!» esclamò Marta.

Noi rimanemmo in silenzio. Io non avevo minimamente idea di chi potesse essere, la sua voce a primo impatto non mi sembrava familiare.

«Ditecelo, tanto non ci arriviamo!» tagliai corto.

«Dai... inizia con la b» ci suggerì Lorenzo.

«Con la b?» rifletté Nicolò confuso.

«Non lo so! Ce lo dite?» si stancò Gabriella.

«Va bene! Ragazzi, vi presento Edoardo Bennato!» annunciò infine Giovanna.

Calò il silenzio, durante il quale io cominciai a sentire una sensazione indescrivibile si impossessava di me; ero incredula, scioccata, basita, emozionata, imbarazzata... tutto insieme.

Non lo avevo riconosciuto, ma c'era da dire che non possedeva la stessa voce di quando lo si ascoltava cantare.

Gabriella diede subito voce a quel mio ultimo pensiero: «Hai la voce diversa!». Poi parve accorgersi di chi si trovava al nostro tavolo e cominciò a ridacchiare, imbarazzata, non riuscendo più a controllarsi.

A quel punto realizzai anche io cosa stava succedendo e mi premetti le mani sul viso. «Non è possibile! Non ci credo! Oddio!» continuava a ripetere.

Mi resi conto troppo tardi che probabilmente le nostre reazioni avevano messo in imbarazzo l'artista che si era gentilmente avvicinato a noi per un saluto e qualche foto.

Ci mettemmo più volte in posa e a un certo punto Gabriella e Nicolò presero a intonare:


Mi ricordo che anni fa

di sfuggita dentro un bar

ho sentito un juke-box che suonava

e nei sogni di bambino

la chitarra era una spada

e chi non ci credeva era un pirata!


Bennato canticchiò qualcosa con loro e io mi sentii imbarazzatissima per qualla scena piuttosto raccapricciante.

Poco dopo lui ci salutò e ci augurò buon proseguimento con la nostra vacanza, poi andò via.

«Oddio, ma davvero lo abbiamo conosciuto?» chiesi a mia sorella.

«Sì... credo...»

«La nostra infanzia, Tami!»

«Oddio...»

Dopodiché afferrai il cellulare e cominciai a inviare un sacco di messaggi ad amici e parenti, raccontando quanto mi era appena successo.

Ero seriamente senza parole.

  
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