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Autore: Civaghina    28/05/2017    1 recensioni
Com'era la vita di Leo, prima della terribile scoperta della Bestia?
Com'è cambiata la sua vita quando si è trovato davanti ad una verità così devastante?
La storia di Leo prima di Braccialetti Rossi, ma anche durante e dopo: gioie, dolori, amori, amicizie, passioni, raccontate per lo più in prima persona, sotto forma di diario.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Stamattina mi tocca la sveglia presto: febbre, pressione, prelievo, pipì nel contenitore, integratore di ferro, solite cose noiose.

Dopo colazione mi preparo alla lunga attesa di Giulia: faccio una lunga doccia, mi lavo i denti, indosso jeans, calzini e scarpe, e la camicia nuova, quella a quadri coi toni del blu, arrotolandone le maniche. Mi guardo allo specchio e mi ritengo abbastanza soddisfatto di quello che vedo, testa a parte, ovviamente; non so che impressione potrò farle senza capelli, così preferisco mettere la cuffia, per darle il tempo di abituarsi all'idea.


"Buongiorno Leo! Ma come siamo belli, oggi!" esclama la Lisandri appena mi vede. "Mi sono persa qualcosa?"

"Ma come?! Non se lo ricorda?!" la prendo in giro io. "Ha detto che oggi mi manda a casa fino all'operazione!" affermo con aria molto seria.

"E quando avrei detto una cosa del genere?" mi domanda lei togliendosi gli occhiali.

"Ieri. Ha detto a Carlo di riferirmelo, no?!" rido mentre Carlo diventa paonazzo.

"Dottoressa, io non... non so di cosa lui stia parlando..."

"Ma come no?! Me l'ha detto ieri!" dico rivolto alla Lisandri. "Giuro!"

"Dottore?"

Vedo Carlo in seria difficoltà e decido di chiuderla qui: "E va bene! Sto scherzando! Però potrebbe mandarmi a casa almeno per il weekend!"

"Non è il caso, Leo. Meglio di no. Togli la camicia che ti visito."

"Ma cosa le costa?!" esclamo mentre sbottono i primi bottoni della camicia per poi sfilarla dalla testa. "Sono giorni che mi sento bene, perché non posso andarmene un po' a casa?!"

"Perché è meglio non rischiare" dice indossando il fonendoscopio. "Respira profondamente".

Io alzo gli occhi al cielo e obbedisco, ma termino il respiro sbuffando. "Andiamo, dottoressa! Le prometto che farò il bravo! Sono tornati i miei amici da Londra, ho bisogno di un po' di normalità!"

"Tossisci..."

"E' tutto a posto, no?" le domando quando mette via il fonendoscopio e prende la mia cartella clinica. "Non ho la febbre, ho la pressione buona..."

"Vuoi rubarmi il mestiere, adesso?"

"E gli esami del sangue? Sono buoni anche quelli, no? I miei globuli bianchi e rossi stanno benone, mi pare di capire: sono giorni che non mi fate niente, a parte farmi bere quelle fiale di ferro... Che mi tenete qua a fare?"

"Leo, te l'ha mai detto nessuno che sei sfiancante?!" sbotta lei.

"Oh, sì! Un sacco di gente!" esclamo sorridendo.

"Dottore, dia un'occhiata ai linfonodi".

Carlo mi controlla i linfonodi del collo e delle ascelle e sentenzia che va tutto bene. Ovviamente la Lisandri deve accertarsene personalmente e quindi li controlla di nuovo.

"E allora?! Sono in splendida forma, no?!" la incalzo io.

"Non esageriamo. Diciamo che, considerata la tua situazione, il tuo quadro clinico è buono".

Io faccio una smorfia di disappunto e mi rimetto la camicia. "Però mi tenete chiuso qui! Forse riuscirò a guarire dal tumore, ma perderò la sanità mentale! Per favore, dottoressa..."; noto che il suo sguardo imperturbabile comincia a vacillare, così rincaro la dose: "La prego... giuro che non mi stancherò, che non farò l'incosciente, l'irresponsabile eccetera eccetera! Voglio solo andarmene a casa per un paio di giorni, dormire nel mio letto, stare con la mia famiglia e con i miei amici, andare a cena fuori..."

"Va bene, d'accordo."

"Va bene?" chiedo sgranando gli occhi, ancora incredulo.

"Un giorno solo però. Domattina, se stai bene puoi andartene a casa, ma la sera ti voglio qua."

"E ti pareva che non c'era la fregatura!"

"Questo è quello che posso concederti: prendere o lasciare."

"Prendo..." sospiro io, rassegnato.

"Bene. Massimo per le nove devi rientrare."

"Le nove?! Come faccio ad uscire a cena, se devo rientrare alle nove?! Almeno alle undici!"

"Le dieci. Ultima offerta."

"Aggiudicato...".


Giulia è in ansia: da settimane aspetta questo giorno, ma adesso prova una strana sensazione che le fa tremare le gambe, peggio che al loro primo appuntamento; che poi, a pensarci bene, al loro primo appuntamento non è che fosse poi così in ansia: era solo impaziente e felice di uscire con quel ragazzo che la attraeva da morire e che inizialmente le era sembrato sfuggente e poco interessato a lei.

"Passo a prenderti tra un'ora, allora" le dice sua madre, nel parcheggio dell'ospedale, mentre lei apre lo sportello per scendere dall'auto.

"Fai pure un'ora e mezza!"

"Ma l'orario di visita non è fino all'una?"

"Sì, ma se gli infermieri non rompono riesco a stare un po' di più!" esclama dandole un bacio sulla guancia. "Ciao mamma, grazie!".

Sua madre la guarda allontanarsi verso l'imponente edificio, non senza una buona dose di apprensione; lei è una donna adulta eppure gli ospedali riescono a incuterle ancora un certo timore e, adesso, sua figlia cammina spedita per entrarci, impaziente di rivedere il suo ragazzo, come se stesse andando al cinema o al centro commerciale.

Ma perché, tra tutti i ragazzi del mondo, proprio quello di Giulia deve essere rinchiuso là dentro?

Si pente subito di questa sua riflessione egoistica: nessun ragazzo di sedici anni dovrebbe essere rinchiuso in un ospedale, nessun ragazzo di sedici anni dovrebbe conoscere una malattia così orribile come il cancro, nessuno; né il ragazzo di sua figlia, né nessun altro, ma, da madre, non può fare a meno di preoccuparsi per lei.

Era stato un sollievo quando Giulia le aveva detto che, alla fine, aveva deciso di partire per Londra, dopo avervi inizialmente rinunciato; era stato un sollievo sapere che non avrebbe passato tutta l'estate a fare la spola tra casa e l'ospedale, anziché godersi le vacanze, e che avrebbe trascorso tre settimane spensierate con i suoi amici.

In realtà, poi, le cose erano andate diversamente, perché spensierata, in quelle tre settimane, Giulia non lo era stata mica tanto: quante sere quando la chiamava al residence, scoppiava a piangere dal nulla perché Leo le mancava o perché aveva intuito che stava male, anche se lui non gliel'aveva detto, o perché erano due giorni che non si faceva sentire, lasciandola nell'angoscia più assoluta.

E adesso le tre settimane sono trascorse e Giulia non vede l'ora di riabbracciarlo: sta praticamente correndo da lui; la guarda scomparire dietro il grande portone di vetro e si decide ad andarsene, mentre spera che il cuore di sua figlia non vada in mille pezzi.


Se prende l'ascensore farà prima, perché è più vicino alla stanza di Leo rispetto alle scale, ma l'ascensore è occupato e Giulia non può aspettare oltre: prende le scale e le sale quasi di corsa, raggiungendo in pochi secondi il primo piano.

Il cuore le martella nel petto, come impazzito.

Le sembra quasi di sentirne il battito fino alle orecchie, mentre imbocca il corridoio.

E poi lo vede.

E' lì, ad aspettarla, pochi metri più in là, davanti alla porta della sua stanza e la sta guardando come se fosse più bella di ogni altra cosa al mondo.

E' lì, ad aspettarla e ha quel suo sorriso incredibile, che le fa contorcere qualcosa dentro.

E' lì, ad aspettarla e ha allargato le braccia per accoglierla.

E lei non ce la fa più.

Corre.

Corre, Giulia, per poterlo raggiungere il più in fretta possibile.

Per poter annegare nella tempesta dei suoi occhi.

Per poter ammirare da vicino quel suo sorriso meraviglioso.

Per poter ascoltare la sua voce e respirare il suo odore.

Per potersi perdere nel calore del suo corpo, delle sue braccia, della sua bocca.

E in un attimo è lì ad abbracciarlo e lascia cadere la borsa per terra, mentre lui la stringe così forte da toglierle quasi il respiro.

E non hanno bisogno di dirsi niente.

È abbastanza potersi guardare negli occhi.

È abbastanza potersi perdere in questo bacio.

Questo bacio che scatena infinite emozioni.

Queste bocche assetate.

Queste carezze che sembrano non bastare, che li fanno impazzire.

"A' Leo! Prendeteve 'na stanza!" esclama qualcuno mentre passa loro di fianco.

"Eddai Ulisse! Non rompere!" ride Leo, mentre Giulia, nell'imbarazzo più totale, arrossisce vistosamente. "Bentornata..." le sussurra nell'orecchio, facendola rabbrividire, mentre con infinita dolcezza le accarezza i capelli.

E poi entrano in camera.

E lui immerge le mani nei suoi capelli, mentre si china su di lei e affonda piano i denti nel suo labbro inferiore.

E la bacia.

La bacia.

La bacia.

La bacia ancora.

È come se volesse mangiargliele, quelle labbra.

È come se volesse divorargliela, quella bocca.

Con un sospiro, Giulia lascia che la sua lingua la invada di nuovo: la sente scivolare, umida ed eccitante e non può che rispondere ai suoi movimenti.

Le mani di Leo lasciano la presa sulla sua testa e scendono, impazienti, lungo il suo corpo, ansiose di toccarne ogni curva: il collo, la schiena, il sedere, i fianchi, le cosce, il seno.

Giulia geme, mentre comincia a toccarlo a sua volta.

E a quel tocco geme anche lui.

È come se fossero altrove.

Lei si abbandona alle sue mani forti che la stringono, alle sue dita che le affondano prepotenti nella carne, pur senza farle male; si gode questa sensazione estraniante, accarezzandogli, frenetica, il petto, le spalle, il collo, la testa.

Ed è proprio mentre gli accarezza la testa e sente, sotto le dita, la stoffa della cuffia che all'improvviso, Giulia, si ricorda dove sono.

E si sente improvvisamente fragile.

Indifesa.

Estremamente consapevole di come questo amore possa distruggerla.

Si stacca lentamente da lui, mentre riprende fiato e lo guarda in quegli occhi immensi, pervasi di un desiderio e di una dolcezza così grande da farle male.

"Non devi nasconderti da me. Non serve, lo sai?" gli dice accarezzandogli il viso e sfiorandogli le labbra con un bacio delicato.

Leo annuisce, pensieroso e tenta di accennare un sorriso, ma lei glielo legge in faccia che è preoccupato.

"Quante cose mi hai nascosto, in queste tre settimane?"; la voce di Giulia si incrina un attimo, un secondo soltanto ma a Leo basta per capire come dev'essersi sentita mentre era lontana da lui.

"Parecchie" ammette lui sospirando. "Non volevo angosciarti."

"E invece mi sono angosciata lo stesso! Non è facendo così che mi rendi tutto più facile, lo sai, vero?”

"Me ne rendo conto, ma penso sia inutile farti sapere tutti i dettagli, dal momento che tanto non puoi farci niente."

"E invece io li voglio sapere, i dettagli, anche se non posso farci niente! Voglio sapere quando stai male, voglio sapere tutte le cose più brutte. Poi basterà che tu mi abbracci e mi dica che andrà tutto bene e io starò meglio. Perché se me lo dici tu... io ci credo".

Leo sorride: "Andrà tutto bene" le dice abbracciandola.

E le sembra che lui ci creda davvero, a quelle parole.

E a lei questo basta.

Si fida.

Gli crede.

Gli deve credere.

Chiude gli occhi e, per pochi istanti soltanto, si concede d'immaginare come sarebbe poter essere da un'altra parte, insieme, da soli e spensierati, senza la Bestia, come la chiama lui, in mezzo a loro.

Poi li riapre, velati di lacrime, e lo guarda, prendendogli il viso tra le mani, che lentamente fa risalire, fino a che le punte delle dita si infilano sotto la cuffia, sfiorandogli la fronte.

Lui trattiene il respiro e poi deglutisce: "Giulia..., non..."

"Sssh... Lasciami fare..." sussurra lei e le dita salgono ancora. Si accorge che lui sta tremando e comincia a riempirgli il viso e la bocca di baci. "Ti amo..." mormora mentre le mani ormai si sono insinuate completamente sotto la cuffia e sono adesso a contatto con la pelle nuda della sua testa.

Leo ha le spalle rigide e le labbra strette e a lei si stringe il cuore, nel vederlo così indifeso. "Andrà tutto bene" gli dice sorridendo. "Adesso sei tu che devi credere a me".

Lui annuisce e a Giulia sembra di rivedere in fondo ai suoi occhi quella luce accecante che c'era prima.

Prima della Bestia.

Quella luce che gli accende lo sguardo e che la fa bruciare d'amore per lui.

"Ti credo" afferma, mettendole una mano sotto il mento e sfiorandole le labbra con il pollice.

E gli dispiace, quasi, di aver dubitato di lei.

E gli dispiace, quasi, di aver pensato che lei non sia abbastanza forte per restargli accanto.

E gli dispiace, quasi, di aver creduto che l'amore non sia abbastanza.

Quasi.

Perché una parte di lui dubita ancora; non perché non si fidi di lei, ma perché sa che la guerra è ancora lunga e difficile.

Ma adesso le sorride, con gli occhi lucidi e la lascia fare mentre gli toglie la cuffia.

La lascia fare mentre gli accarezza la testa nuda per la prima volta.

La lascia fare e mette da parte i dubbi e le paure mentre lei sposta le mani e lo osserva per qualche secondo, prima di abbracciarlo di slancio e di lasciarsi stringere in un abbraccio che non lascia spazio ad altro.

Giulia rimane abbandonata ad occhi chiusi sul petto di Leo, ad ascoltare il suo cuore battere.

Il suo cuore che batte ancora.

Leo è qui, vicino a lei.

Ed è vivo.

Il resto non ha importanza.

"Mi sei mancato così tanto!" esclama, e nella sua voce si avverte tutta, quella mancanza. "Ed io? Ti sono mancata?"

Leo le sfiora i capelli con le labbra e, lentamente, si stacca dall'abbraccio.

Lei si perde a guardare il suo viso, constatando, senza dubbio, che Leo è davvero bellissimo, anche senza capelli.

Sta per dirglielo, ma lui la bacia.

E' un bacio profondo e totale.

Un bacio che non lascia dubbi sulla sua risposta: sì, anche lei gli è mancata.


Siamo seduti sul letto e Giulia è abbandonata nelle mie braccia, col viso appoggiato sul mio petto. Le mie labbra accarezzano i suoi capelli, morbidi e profumati, schiudendosi, di tanto in tanto, in un bacio. È già passata quasi un'ora da quando è arrivata e tra poco dovrà andarsene.

Non mi va di lasciarla già andare via e all'improvviso sento il bisogno di sentirla più vicina: la sollevo e la adagio sulle mie gambe, mentre lei ride: "Ehi! Bastava che me lo chiedessi!"

"Mi sa che sei ingrassata a Londra" la prendo in giro io. "Ho faticato a tirarti su!"

"Ma sentilo! Non è affatto vero! Non sono ingrassata! E poi non mi sembra che tu abbia faticato!"

"Va bene..." le dico stringendola a me con forza. "Ti sto prendendo in giro!"

"Ah, ecco! Tu, piuttosto, sei dimagrito o sbaglio?"

"Non sbagli..." sospiro storcendo le labbra. "E pensa che in questi ultimi giorni sono anche riuscito a riprendere un chilo".

"Non si mangia un granché bene qui, eh?!"

"A parte questo..., diciamo che... ci sono stati dei giorni in cui ho faticato a mangiare o... a trattenere quello che mangiavo..."

"Colpa della chemio?"

"Sì, principalmente sì. Poi ci sono stati degli effetti collaterali poco gradevoli di robe che mi hanno dato per combattere gli effetti collaterali della chemio... un casino, insomma! Mi sistemavano una cosa e me ne scasinavano un'altra..."

"E in tutto ciò non mi dicevi un bel niente!" esclama con un'espressione contrariata sul viso. "Non ti crederò mai più quando mi dirai che va tutto bene!"

"Eddai Giulia, l'ho fatto in buona fede!"

"Mettila come ti pare, ma mi hai comunque detto una marea di cazzate!"

"Non arrabbiarti, su!" esclamo sfoderando il mio sorriso ammaliatore. "Ho anche una cosa per te!".

Mi allungo verso la parte bassa del comodino e prendo il palloncino a forma di cuore che mi ha dato Piera. "Tieni!"

Lei ci prova, a tenermi il broncio, ma non le riesce molto bene e si illumina come una bambina: "Che bello! Grazie!". Mi schiocca un bacio sulle labbra e poi si alza. "Anch'io ho qualcosa per te!" dice aprendo la sua borsa e tirandone fuori un sacchetto di plastica verde scuro di Harrods. Dentro c'è una maglietta bianca con stampate sopra la bandiera inglese, le immagini dei monumenti più importanti e la scritta My Girlfriend went to London and all I got was this lousy T-shirt.

"Grazie" le dico ridendo, mentre lei si risiede vicino a me.

"Guarda bene, c'è un'altra cosina!".

Apro meglio il sacchetto e trovo un portachiavi a forma di Big Ben.

"Questo è per la chiave della Vespa! L'ho preso pensando a quando avrai il patentino e potrai usarla. È un po' un augurio...".

Io trattengo un sorriso amaro pensando alla mia Vespa nuova fiammante ferma in garage per chissà quanto tempo.

"Sei stata molto dolce, grazie."

"La maglietta con il leone in questo momento dovrebbe essere in lavatrice. Te la restituisco appena sarà lavata, asciutta e stirata!"

"Puoi tenerla ancora, se vuoi."

"No..." dice lei scuotendo la testa. "Dopo averla usata per tre settimane, tutte le notti, non aveva più il tuo odore, ma il mio. E comunque lavandola, profumerà solo di detersivo!"

"Se vuoi puoi prenderne un'altra, allora..."

"No, non ce n'è bisogno! Adesso il tuo odore posso sentirlo direttamente sulla pelle... ed è decisamente meglio!" esclama sorridendo, prima di sprofondare il viso nell'incavo tra il mio collo e la spalla, facendomi rabbrividire di piacere.

Solo adesso mi rendo conto di quanto mi sia mancata realmente.

Queste ultime tre settimane sono state lunghe e pesanti e, di sicuro, altrettanto lo saranno le prossime tre e le altre tre dopo e quelle dopo, dopo ancora. E' impossibile prevedere quando potrò deporre le armi, perché la guerra è ancora troppo lunga per vederne la fine.

Però, in mezzo, ci sono dei momenti in cui posso rilassarmi e respirare, ed è di questi che devo imparare ad approfittare, per non arrivare in fondo stremato e senza fiato.

Questo è uno di quei momenti.

Respirare Giulia è uno di quei momenti.

   
 
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