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Autore: BabaYagaIsBack    28/05/2017    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo settimo
Una gabbia senza vie d'uscita

 

"I think it's finally sinking in

I am nothing but a product of your sins
Hoping for the best but now I steady watch the hands of time
Oh, moving like a guillotine and swiftly counting down my life
And it goes on and on and on"

-Broken (Falling in Reserve)


 

Akràv scosse nuovamente la testa, contrariato più che mai dall'insistenza quasi nauseante di Levi. Tutti avrebbero voluto rivedere Salomone, in fin dei conti si trattava pur sempre di una sorta di padre, fratello e amico, solo che bisognava essere onesti con se stessi: ogni cosa era destinata a finire - dettaglio che, forse, con l'immortalità avevano dimenticato. Ed esattamente come ogni altra situazione, anche la loro avventura doveva dirsi giunta al termine. Quel viaggio perpetuo tra terre, persone, alchimia e tempo stava appassendo come un fiore privato d'acqua e luce; non c'era più nulla a cui aggrapparsi e, amaramente, dovevano accettarlo. 
L'eternità aveva trovato il modo di spezzarli per sempre, lottare per evitarlo era inutile. Inoltre, anche se a nessuno sarebbe piaciuta quell'idea, avevano tutti vissuto abbastanza d'accettare l'epilogo della propria storia.

Visibilmente turbato, l'uomo si alzò dalla sedia su cui era rimasto seduto durante buona parte della mattina e, quasi girando su se stesso, si spostò dal viso alcuni dread sfuggiti dall'acconciatura. Ogni suo gesto faceva trasparire il nervosismo crescente, ogni pensiero stava diventando una piccola guerra tra le pareti della mente, incapace di prendere reale forma e raggiungere le labbra. Dal discorso della notte precedente non erano passate altro che una manciata di ore, eppure eccoli nuovamente riuniti in un salotto troppo stretto e poco illuminato per ospitarli senza generare un senso di claustrofobia, quasi fossero stati messi in gabbia. Alexandria, forse più lungimirante di lui, si era messa in disparte, accovacciandosi nuovamente nella nicchia dove una piccola finestra dava sulla calla. La sua bocca non si era schiusa nemmeno una volta, nessuna parola aveva fatto capolino dalla gola; dopotutto, quello che doveva dire lo aveva già detto: era stata chiara, probabilmente troppo per i gusti del fratello. Avrebbe seguito Levi e, per quanto infastidito, Zenas ne poté immaginare il motivo - e non la biasimò, non del tutto, quantomeno. Il passato che avevano condiviso era stato lungo e pieno di insidie, li aveva avvicinati e allontanati più volte, lasciando in sospeso fin troppe questioni. Conoscendo Z'év, quindi, sapeva che avrebbe cercato in tutti i modi di liberarsi di ciò che ancora le gravava sulle spalle - colpe, segreti e rimpianti. E il Generale d'Israele, con la sua folle richiesta, gliene stava in parte dando modo.
Loro fratello aveva scelto di cercare Salomone, di rimettere insieme i pezzi di una vita distrutta, di inseguire il fantasma di quello che erano stati e avevano avuto - e lei aveva scelto di dargli fiducia, di credere in quelle sensazioni che non aveva provato in prima persona ma che percepiva reali nelle parole di lui.

Akràv avrebbe voluto definirla sciocca, ma più l'aveva fissata, la notte prima, più si era reso conto che sua sorella era tutto tranne che quello. Nel suo sguardo aveva letto un dolore profondo, un senso di colpa che la stava mangiando viva - e la capiva, diamine se la capiva! Aveva vissuto quei trent'anni fingendosi chi non era, anelando una vita normale che, stranamente, aveva potuto saggiare solo con loro. Nonostante le fughe, i bracconaggi, le menzogne e il dam con cui si erano macchiati le mani e in cui avevano imbevuto le anime, c'era stata la felicità a riempire i suoi giorni, un sentimento che ora avrebbe detto quasi sconosciuto - e per questo si sentiva colpevole. Si sentiva un mostro nel desiderare segretamente di negare all'Ars di riprendersi il suo corpo, di concedergli ancora la sua famiglia, quel branco di abomini che avevano colmato i vuoti del suo cuore.

«Perché dovrei sprecare gli ultimi anni che mi restano cercando un fantasma?» sbottò infine, rinsavendo. Cedere era sbagliato, lo sapeva. Doveva pagare per i crimini compiuti, tornare dalla sua sposa e il loro bambino, non certo anelare altra vita; anche se era al fianco di quei due.

Nakhaš picchiettò i polpastrelli sul tavolo. Quel gesto tradiva con fin troppa ovvietà la calma che cercava di mantenere in un simile momento e Zenas lo conosceva abbastanza da saper leggere gran parte delle sue reazioni e, avrebbe osato insinuare, anche dei suoi pensieri. Sicuramente, nella mente del Generale, quel termine, sprecare, doveva starsi ripetendo all'infinito, con sempre più fastidio. Per lui, qualsiasi questione riguardante Salomone era tutto tranne che una perdita di tempo, se fosse stato altrimenti infatti non gli sarebbe restato accanto per tutti quei secoli. Non c'era cosa più importante, per Levi, del suo giuramento al Sovrano - e in passato, Akràv dovette ammetterlo, era stato così anche per lui; ma ora? Adesso era davvero disposto a chinare nuovamente il capo e adempiere alla promessa fatta? Era davvero disposto a rinunciare a tutto ciò che aveva costruito in quel breve lasso di libertà? A rispondere alle sue domande venne una stretta al cuore, una pressione fastidiosa che gli fece storcere le labbra.

«Perchè, stando qui a girarti i pollici cosa pensi di ottenere? Uh? Non puoi fare progetti a lungo termine akh, non puoi innamorarti, stringere legami. Non puoi circondarti di marmocchi o vivere come un fottuto adám. Non lo sei, nessuno di noi lo è» il tono di Nakhaš vibrò nell'aria al pari di una scossa elettrica, pizzicando le orecchie del fratello con molta più violenza di quanto si sarebbe mai aspettato. Quelle parole lo colpirono forte, facendolo tentennare ancora una volta. Levi aveva ragione: non c'era nulla per cui valesse la pena restare lì, eppure non poteva negare che vi fosse qualcosa che gl'impediva di acconsentire a cuor leggero alla partenza. Forse paura, oppure codardia.

Così, digrignando i denti, Zenas provò ancora una volta a tirarsi indietro: «Per duemila e centocinquantasette anni ho dovuto fingere di possedere vite non mie. Per più di duemila anni ho dovuto rinunciare a ogni cosa. Per ogni singolo giorno extra che ho vissuto, tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per il mio Re... e ora, fratello, ora che lui non c'è più, che possiamo davvero essere liberi, tu mi dici che devo cercare un morto per mantenere le mie promesse? Sei un fanatico, Levi, figlio di Yoel. La morte del nostro Re è stata solo la liberazione che forse stavamo tanto anelavando». L'asperità nel tono con cui si rivolse all'altro attirò persino Z'év. Dal modo in cui la sorella lo fissò fu chiaro che non potesse realmente credere alle proprie orecchie. Rinnegare Salomone a quel modo, credere che la sua morte fosse stata una benedizione era forse la peggiore delle dichiarazioni che una Chimera, una sua creatura, potesse fare - lo sapeva meglio di chiunque altro e, seppur stesse tentando di mantenere un certo contegno ed evitarsi altro dolore, si sentì ferito dalle sue stesse affermazioni.

«Lui ti ha donato la vita». Se Alexandria era parsa sconvolta, Levi si limitò semplicemente ad aggrottare le sopracciglia. Qualsiasi cosa gli stesse frullando nella testa poteva essere terribilmente pericolosa, o infinitamente demoralizzante.
«No akh, lui ce l'ha rubata. Pensaci! Pensa a quello che non siamo più. Tu saresti potuto diventare il più grande condottiero della storia! Io avrei potuto solcare i mari e diventare come Ulisse, un eroe indiscusso. Alex sarebbe potuta diventare una duchessa, una sposa e una madre» le iridi scure dell'uomo si posarono sui due ospiti: «Invece guardaci... siamo corpi immondi, esseri orribili celati sotto sembianze quasi innocenti. Siamo i peccati di un pazzo, i mostri che terrorizzano il mondo, ʁoʦeax!»
Ma a rispondergli, stavolta, non fu l'essere che aveva di fronte, bensì dalla nicchia in fondo alla stanza si levò come un tuono la voce della Contessa Varàdi«Siamo la storia del mondo Akràv. Siamo i resti delle nostre epoche, gli sbagli degli umani, gli innocenti ammazzati. Siamo i demoni che vivono tra gli umani e portano con sé i segreti più oscuri. Siamo haẕá̇lẇb şdym. Quando riuscirai ad accettarlo sarai libero, con o senza Salomone». Alle sue parole, nessuno seppe replicare: né Levi né Zenas, d'un tratto sorpreso di udire una simile rabbia e decisione scaturire da un corpo tanto esile. Dietro a tutte quelle definizioni c'era il dolore pungente di chi sapeva di aver perso tutto, ma che pur di andare avanti si era aggrappato alla convinzione di non essere frutto del male, piuttosto opera di una bellezza eretica. Lei conosceva il loro valore, lo accettava, ma soprattutto era disposta a non perderlo, esattamente come una reliquia tra le mani di un archeologo.

«Ora, a prescindere dal fatto che questo vostro inutile battibecco poteva concludersi benissimo ieri sera accettando di fare una dannatissima gita tutti insieme, c'è un modo per uscire di qui? A parte questo ingresso, ovvio» improvvisamente, nell'espressione di lei comparve una sorta di rigidità, un nervosismo che aveva sovrastato la rabbia a tal punto da fargli credere che ciò che la sorella aveva detto solo pochi istanti prima non fosse altro che un'allucinazione. Con la coda dell'occhio, allontanando appena lo sguardo, Zenas notò come la pelle di Levi avesse preso a riempirsi di squame. Nel fissare la sua mutazione, l'uomo si sentì confuso, incapace di spiegarsi il motivo di una simile reazione, ma poi, esattamente come fulmine a ciel sereno, una consapevolezza si fece strada in lui: il Cultus.
I membri di quella stupida setta erano lì, li avevano trovati. Gli alchimisti avevano infine scoperto il suo nascondiglio, forse pedinando Z'év e Nakhaš, e ora li stavano minacciando proprio come cacciatori con le loro prede.

Il Greco si morse la lingua, lo fece forte, ma senza provare alcun dolore. Erano stati così presi a combattersi tra di loro che non avevano notato come, pian piano, si erano tramutati proprio in animali in gabbia - e quella baracca era tutto, tranne che il luogo in cui restare.
 


 

dam: Sangue
adám : Umano
ʁoʦeax: Assassini
haẕá̇lẇb : Salvatori
şdym: Mostri


 
   
 
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