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Autore: _ A r i a    28/05/2017    5 recensioni
{ IwaOi | hurt/comfort | 4000 parole | claustrofobia e attacchi di panico | dedicata ad Ayu }
Quelle montagne altissime gli infondevano una sensazione di oppressione tremenda e indicibile. Oikawa si sentiva così terribilmente piccolo, dinanzi ad una manifestazione della natura così maestosa; la cosa che più lo infastidiva – e lo terrorizzava al tempo stesso – non era tanto la percezione di essere un così microscopico puntino in movimento rispetto alla vastità del resto del mondo, no, quella era una sensazione che aveva provato anche in aereo e che non lo aveva per niente infastidito. Il suo irrazionale terrore nasceva nel momento in cui posava gli occhi su quelle creste così elevate: probabilmente, qualora qualcuno gliel’avesse chiesto, non avrebbe nemmeno saputo dire per quale motivo lo temesse, tuttavia la sola vista dell’imponente spettacolo che ora si trovava davanti a sé lo terrorizzava a tal punto da fargli credere che quelle montagne, il cielo e perfino l’universo intero avrebbero potuto crollargli addosso da un momento all’altro.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quando i genitori del suo ragazzo gli avevano proposto di seguirli, Oikawa non ci aveva pensato due volte prima di accettare, sul volto il solito sorriso raggiante.
Al tempo stesso, era altresì sorpreso che, in tutta quella vicenda, un ruolo principale l’avessero avuto proprio i suoi, di genitori: incredibile, ogni cosa era stata calcolata fin nel minimo dettaglio, così che, prima ancora di comunicare la notizia a Tooru, i biglietti aerei fossero già stati acquistati e l’albergo prenotato.
In fin dei conti, Oikawa sapeva che la sua risposta sarebbe stata pur sempre un sì: l’occasione di passare del tempo assieme ad Iwaizumi era fin troppo allettante per rifiutarla, inoltre si sarebbero trovati in uno dei posti più belli al mondo, perciò dove sarebbe stato il problema?
«Forse avrei solo preferito essere avvisato di tutto con un po’ più di anticipo…» valutò Oikawa, mentre richiudeva la zip del trolley, in vista del viaggio. In effetti, sapere di dover viaggiare per così tanti chilometri con solo una settimana di preavviso era stato piuttosto destabilizzante; d’altro canto, tuttavia, lui era Oikawa Tooru, per cui s’era quasi imposto di non perdere mai il sorriso, nonostante adesso, per la prima volta in vita sua, si ritrovasse ad essere attanagliato da mille dubbi e domande.
Oikawa sospirò lievemente, lo sguardo perso nel vuoto della sua camera da letto, dove in quel momento si trovavano solo lui e Hajime. In un’altra occasione non avrebbe esitato nemmeno un secondo nel definire quella situazione come perfetta, peccato che i pensieri che continuavano ad aleggiare nella sua mente da una settimana a quella parte non gli permettessero in alcun modo di farlo.
«E a cosa ti sarebbe servito? A cercare informazioni sulle nostre mete con un mese di anticipo?» gli domando Iwaizumi, inarcando un sopracciglio, le braccia conserte strette al petto «dovresti imparare a prendere la vita in maniera più rilassata, sai?»
«Ma no… non è per questo» Tooru distolse in fretta lo sguardo da quello del suo fidanzato, puntandolo verso il suolo «è solo che… mi dispiace essere stato fuori da tutto, come se quello che pensassi in merito a questa faccenda non fosse poi così importante…»
Hajime si avvicinò a lui di soppiatto, raggiungendolo da dietro. Lasciò scivolare le proprie braccia oltre le spalle di Oikawa, circondandogli il collo e parte del petto in un abbraccio, che voleva essere sia una rassicurazione che un incoraggiamento.
«Quella di non dirti niente è stata una mia idea, a dir la verità» gli confessò Hajime, le labbra che mentre parlava sfioravano l’orecchio di Oikawa, la voce ridotta ad un flebile mormorio «volevo farti una sorpresa: questo è stato un anno abbastanza intenso, la scuola, la sfida con la Karasuno… abbiamo bisogno entrambi di una vacanza, direi che ce la meritiamo. E poi avremo una nuova occasione per passare del tempo insieme. Io, fossi in te, la troverei una prospettiva piuttosto allettante.»
Oikawa ruotò appena la testa di lato, così da riuscire a guardare in volto il suo ragazzo. L’espressione di Iwaizumi era illeggibile, eppure il corvino continuava a fissarlo dritto negli occhi.
«Ah sì, eh?» lo provocò Oikawa, socchiudendo appena gli occhi, con fare allusivo «e in che modo trascorrere insieme un’intera estate, in una località lontana da tutte le persone che conosciamo, potrebbe essere, come dici tu, “allettante”?»
Iwaizumi roteò appena gli occhi, cercando di tenere a bada l’irritazione. Certo che, quando voleva, Oikawa riusciva proprio a tirare fuori il peggio di sé.
«Vuoi davvero che te lo mostri?» gli domandò allora Hajime, le mani che correvano a stringere i fianchi del suo fidanzato, aiutandolo a voltarsi verso di lui «Sei sicuro di non conoscere già la risposta?»
«Un ripasso non mi farà certo male» replicò Tooru, con quel sorriso speciale e solo suo con il quale sapeva bene di riuscire a stregare ogni volta Iwaizumi.
L’istante successivo, infatti, le labbra dell’altro furono sulle sue, fiere e combattive come sempre, pronte a strappargli quel sorriso vittorioso dalle labbra anche a suon di morsi, se fosse stato necessario. Oikawa, d’altro canto, non riuscì a non lasciar curvare gli angoli della propria bocca ancor più verso l’alto, nel percepire come il suo compagno non perdesse mai occasione per rubargli un nuovo bacio, mentre lasciava che Hajime lo inducesse a distendersi sul letto alle loro spalle.
Non appena le lenzuola si avvolsero attorno alle spalle di Oikawa, i corpi dei due giovani ancora a stretto contatto, una voce dal piano inferiore li richiamò alla realtà, sottraendoli da quel meraviglioso attimo di felicità.
«Tooru? La cena è pronta!» gli comunicò infatti sua madre, con tono squillante.
Iwaizumi non riuscì a trattenere un brontolio sommesso contro le labbra di Oikawa, le mani ancora premute contro il petto dell’altro, fermato da quella voce un attimo prima che potesse iniziare ad accarezzarlo. Tooru, al contrario, non riuscì a perdere nemmeno allora il suo proverbiale sorriso, come se tutta quella situazione non facesse altro che divertirlo ancor di più.
«Arriviamo, mamma!» annunciò allora, senza concedere una particolare inflessione alla sua voce.
«Niente ripasso» borbottò poco dopo Hajime, le labbra ancora a pochi centimetri di distanza da quelle dell’altro; per alcuni istanti, prima di quelle sue parole, si erano limitati a restare in silenzio, petto contro petto, ad ascoltare i propri respiri, mentre le dita dell’ace s’infilavano tra i capelli del setter.
Oikawa, alle parole di Iwaizumi, non riuscì più a trattenere una risata di sincero divertimento; non rifiutò, poco dopo, la mano che l’altro tese nella sua direzione, per aiutarlo a rialzarsi.
«Vedrai, avrai largamente modo di rifarti quando saremo arrivati a destinazione, Iwa-chan» commentò allora, con le lacrime agli occhi dalle risate, accettando di buon grado l’aiuto di Hajime.
Come aveva previsto, non riuscì a sottrarsi al colpo alla nuca che Iwaizumi gli rifilò di lì a poco con la mano, ciò tuttavia non fece altro che contribuire all’aumentare delle risa di Oikawa, mentre i due si avviavano verso le scale per raggiungere il pianoterra.

Il viaggio era andato in maniera sorprendentemente positiva. Il loro volo non aveva avuto alcun genere di ritardò, né s’erano verificate turbolenze durante la tratta aerea. Oikawa era riuscito a ottenere il posto accanto a quello di Iwaizumi senza neppure insistenza – la madre di Hajime glielo aveva ceduto spontaneamente e, almeno all’apparenza, con estrema gioia – e dormire con la testa poggiata contro la spalla del suo ragazzo era stata, perlomeno a detta di Tooru, una delle esperienze più coinvolgenti della sua vita. Riusciva a percepire il calore di Iwaizumi così vicino a sé, una presenza impossibile da negare e che aveva finito per invadere completamente il suo corpo, con estremo piacere di Oikawa. Aveva ceduto volentieri il posto finestrino a Hajime solo per il gusto di potersi trovare il più possibile a contatto con il suo corpo, tuttavia ogni qual volta gli si presentasse l’occasione non aveva mai fatto a meno di sporgersi in avanti, ammirando con vibrante stupore le nuvole tingersi di rosato al tramonto, negli occhi lo stesso luccichio di un bambino dinanzi al bancone dei dolciumi. Che poi, in quei momenti, il suo braccio sfiorasse inavvertitamente il petto di Iwaizumi era solo una coincidenza, o almeno questo era ciò che continuava a ripetersi Oikawa.
Una volta atterrati, una caotica Roma li aveva accolti a braccia aperte. Quella, lo sapevano bene, non era la loro meta finale, bensì – purtroppo – solo una tappa di passaggio nel loro viaggio verso la Puglia. Già, perché era in quel luogo che si sarebbe svolta la villeggiatura delle due famiglie.
I genitori di Oikawa li avevano preceduti, partendo con qualche giorno d’anticipo per constatare le condizioni della zona. Da Roma avevano deciso di proseguire in treno, sperando di raggiungere più in fretta la loro destinazione; peccato che, a causa dell’assenza di una linea diretta, i due coniugi erano stati costretti, con loro grande disappunto, a fare scalo in un’altra località, decisamente fuori mano rispetto alla meta prefissata.
In accordo con i genitori di Hajime, già prima della partenza era stato unanimemente deciso che il secondo gruppo avrebbe testato un metodo di spostamento diverso, così da poter decretare, una volta che fossero stati provati entrambi, quale fosse il più comodo e magari, chissà, optare per un ritorno assieme con un unico mezzo. Vista l’esperienza non propriamente positiva dei genitori di Tooru, la possibilità da parte dei coniugi Iwaizumi e dei due ragazzi di raggiungere la Puglia in auto era ora decisamente più realistica.
Li attendevano altre sei lunghe ore d’auto, tuttavia Oikawa era certo che sarebbe riuscito a tenere Iwaizumi impegnato, tra soste in autogrill e battute idiote.
Poi, però, i timori che lo avevano attanagliato già prima ancora della partenza, tornarono di colpo ad aleggiare, tetri e inquietanti, nella mente di Tooru.
«… e poi attraverseremo il traforo del Gran Sasso, lungo più di dieci chilometri…» stava giusto annunciando Iwaizumi, intento a fissare la cartina stretta tra le sue mani.
Per poco Oikawa non finì per strozzarsi con la bevanda energetica gassata che stava sorseggiando.
«Co-come hai detto?» domandò tra i colpi di tosse, la voce più alta di un’ottava rispetto al solito.
Immediatamente lo sguardo di Iwaizumi si puntò su di lui; il ragazzo lo fissò con un’espressione dubbiosa in volto, inarcando un sopracciglio; dai sedili anteriori del minivan, anche le due paia di occhi dei genitori di Hajime si volsero nella sua direzione, preoccupati dall’improvvisa reazione di quel ragazzo che avevano visto crescere accanto al proprio figlio fin dalla più tenera età.
«Tutto bene?» gli chiese Iwaizumi, incapace di tenere a bada quel cipiglio apprensivo che s’era impossessato prima della sua espressione, pervadendogli ora anche la voce.
«S-sì, certo…! Va tutto bene…» rispose Oikawa, cercando di sfoderare il suo sorriso migliore – con l’unico intento di rassicurare Iwaizumi e i suoi genitori.
I due adulti tornarono a voltarsi, lo sguardo puntato in avanti sulla strada. Hajime, invece, lasciò un’ultima, intensa occhiata al ragazzo, per poi rivolgere nuovamente tutta la sua attenzione alla mappa, dove aveva segnato con un pennarello colorato la strada che avrebbero dovuto percorrere.
«Iwaizumi?» lo chiamò Oikawa, con un filo di voce.
«Mh? Cosa c’è?» gli domandò di rimando Hajime, senza distogliere lo sguardo dalla cartina.
«Qua-quanto manca a quel… traforo?» gli chiese Tooru, lo sguardo inquieto che saettava da una parte all’altro dell’abitacolo, incapace di fissarsi in quello dell’altro; cercò di non fare caso al groppo in gola che aveva appena inghiottito – “non lasciare che Iwaizumi si accorga della tua agitazione” si ammonì mentalmente.
Hajime sollevò lo sguardo dalla mappa, di nuovo accigliato, e lo lasciò posarsi ancora una volta sul suo ragazzo. Ormai conosceva fin troppo bene Oikawa, sapeva accorgersi con assoluta certezza quando c’era in lui qualcosa che non andasse – e di certo adesso non c’era niente che fosse a posto, affatto.
«Una mezz’ora, all’incirca. Perché?» lo informò, con tono neutrale, senza tuttavia riuscire a ricacciare indietro tutte le domande che avevano iniziato a ronzargli per la testa.
«Oh, no, così… per curiosità» affermò Tooru, sperando che Hajime si accontentasse di quello; in realtà era lui stesso il primo a dubitare che ciò sarebbe avvenuto, visto che le parole che aveva appena pronunciato non erano risultate credibili neppure alle proprie orecchie.
Iwaizumi, tuttavia, si limitò ad abbassare ancora una volta gli occhi sulla cartina, senza aggiungere null’altro; Oikawa, invece, voltò subito lo sguardo verso il finestrino, rincorrendo con gli occhi i paesaggi che si susseguivano all’esterno dell’abitacolo: colline ricoperte da distese infinite di spighe dorate andavano via via diradandosi, lasciando sempre più posto a montagne, la cui altitudine non faceva altro che aumentare ad ogni chilometro che percorrevano. Quando erano partiti da Roma, quella mattina, la prospettiva di ritrovarsi già lì, poche ore dopo aver pranzato, gli era sembrata assolutamente irrealistica; ora che, invece, erano quasi arrivati, la realtà si era di colpo abbattuta su Oikawa.
Quelle montagne altissime gli infondevano una sensazione di oppressione tremenda e indicibile. Oikawa si sentiva così terribilmente piccolo, dinanzi ad una manifestazione della natura tanto maestosa; la cosa che più lo infastidiva – e lo terrorizzava al tempo stesso – non era tanto la percezione di essere un così microscopico puntino in movimento rispetto alla vastità del resto del mondo, no, quella era una sensazione che aveva provato anche in aereo e che non lo aveva per niente infastidito. Il suo irrazionale terrore nasceva nel momento in cui posava gli occhi su quelle creste così elevate: probabilmente, qualora qualcuno gliel’avesse chiesto, non avrebbe nemmeno saputo dire per quale motivo lo temesse, tuttavia la sola vista dell’imponente spettacolo che ora si trovava davanti a sé lo terrorizzava a tal punto da fargli credere che quelle montagne, il cielo e perfino l’universo intero avrebbero potuto crollargli addosso da un momento all’altro.
Forse avrebbe dovuto comunicare i propri timori ai genitori del suo ragazzo, o quantomeno a Hajime stesso, tuttavia, prima ancora che potesse pronunciare anche solo una parola, l’oscurità aveva avvolto ogni cosa intorno a loro.
Si aspettava che ci sarebbe stata più fila ad attenderli, prima di entrare lì dentro, invece il traffico era abbastanza scorrevole. Aveva, nella sua memoria, dei ricordi sfocati, probabilmente quando era molto piccolo doveva aver attraversato un simile tratto di strada, assieme ai suoi genitori: forse la sua paura risaliva proprio a quei tempi, perché continuava a vedere davanti agli occhi alcuni frammenti, una strada così buia e lunga da suscitare nell’inconscio di un bambino le peggiori proiezioni.
Oikawa, tuttavia, non aveva più paura dei mostri, bensì che l’intera struttura del traforo potesse di colpo non reggere più il peso della montagna, lasciando che il massiccio s’infrangesse sopra le loro teste. Era sciocco pensare una cosa del genere, lo sapeva perfettamente – d’altronde, se il tunnel era stato progettato in quel modo e aveva retto senza alcun problema tutto quel peso per così tanti anni non aveva niente di cui aver paura, no? – ma Oikawa era altrettanto consapevole che, per via della loro natura, le paure erano irrazionali, per cui non v’era alcun modo – o quasi – per porvi rimedio.
Iniziò a calcolare mentalmente quanto ci avrebbero messo, mantenendo la velocità dell’autovettura costante, a percorrere quei dieci chilometri; peccato che, nello stato emotivo in cui si trovava, perfino quei calcoli così razionali, che di solito gli riuscivano così facilmente, gli sembrassero di colpo impossibili. Il suo sguardo saettava da una parte all’altra, incapace di quietarsi, tuttavia, nonostante la galleria fosse perfettamente illuminata, non riusciva a vedere nient’altro che buio, intorno a sé.
Aveva cominciato perfino a sudare freddo – sentiva infatti gocce umide imperlargli la fronte, le mani e parte del volto – mentre quella sensazione di oppressione non voleva proprio saperne di abbandonare il suo corpo. Per un attimo alzò lo sguardo verso la volta del tunnel: errore madornale, se solo ci ripensava. Immaginò quanto dovesse pesare il carico montuoso che gravava sul cemento armato e si domandò come potesse essere possibile che una struttura come quella riuscisse a sostenere un carico tanto grande. “No, impossibile” mormorò tra sé, valutando che da un momento all’altro ogni cosa sarebbe franata addosso a lui e ai suoi compagni di viaggio, oltre che a tutti gli altri automobilisti che stavano attraversando quella strada assieme a loro.
Abbassò gli occhi di scatto, incapace di sostenere oltre una vista del genere; di riflesso aprì il finestrino, sperando che almeno il vento, che entrava nell’abitacolo ad una velocità tale che, quando lo colpiva in faccia, sembrava quasi che lo stesse prendendo a schiaffi, riuscisse in qualche modo a calmarlo. “Chissà” valutò senza nemmeno accorgersene, mentre le sue mani – che in quel momento erano incapaci di restare immobili ancor meno del solito – erano già partite alla spasmodica ricerca di una bottiglietta d’acqua “magari quest’aria vuole punirmi per la mia stupidità”.
Oikawa sapeva di non essere stupido, o quantomeno aveva la – seppur labile – percezione che essere terrorizzati al pensiero di attraversare un tunnel autostradale non era poi una cosa così sciocca, affatto, solo che, in cuor suo, non era per nulla fiero di nutrire una simile debolezza.
Una volta rimosso il tappo, si portò la bottiglietta d’acqua, che aveva appena trovato dopo un’affannosa ricerca all’interno della sua borsa da viaggio, alle labbra: riuscì a bere solo pochi sorsi tremanti, poiché non riusciva a tener ferma la mano a causa di quel terrore cieco che si era impossessato di lui, oltre al fatto che in quel momento la sua gola percepiva anche la bibita più fresca come nient’altro che lava incandescente. A quel nuovo pensiero, per poco Oikawa non rischiò di strozzarsi di nuovo, tossendo rumorosamente mentre il liquido gli andava di traverso.
Iwaizumi si voltò a guardarlo, istintivamente: in un primo momento, quando ancora non erano entrati all’interno del traforo, aveva creduto che quegli strani comportamenti che d’improvviso il suo fidanzato aveva cominciato ad assumere fossero causati dalla stanchezza del viaggio. D’altronde, non si erano fermati nemmeno un giorno a riposare, una volta arrivati a Roma – magari una bella dormita nel letto comodo di un qualsiasi hotel gli avrebbe giovato, chissà. Poi, però, aveva sentito il battito cardiaco e il respiro di Oikawa accelerare fin dal posto accanto: quello non era decisamente un comportamento giustificabile, affatto. Che fosse entusiasmo al pensiero di star passando là sotto, sempre più vicini alla loro meta finale, dopo tutte quelle stancanti ore di viaggio? Iwaizumi faticava a crederlo: conosceva fin troppo bene Tooru, per cui sapeva che il suo modo per manifestare l’eccitazione era ben diverso. Capitava spesso che si lanciasse in gesti d’esultanza, saltellando da una parte all’altra per la gioia, non certo che sbiancasse fino a diventare pallido quasi come un fantasma o che il suo volto s’imperlasse di sudore. A meno che non avesse cambiato modo di reagire dal giorno alla notte – e Hajime ne dubitava fortemente – c’era qualcosa di ben diverso, dietro a quelle sue reazioni.
«Ehi, Shittykawa, si può sapere che ti prende?» domandò di colpo, incapace di trattenersi, mentre si avvicinava un po’ di più al corpo del suo ragazzo.
Udire la voce di Iwaizumi, per Oikawa, fu come risvegliarsi di colpo da un incubo, tornando alla realtà: si guardò brevemente intorno, cercando di fare mente locale. Cominciava ad essere in uno stato talmente confusionale da non riuscire a percepire con nitidezza ciò che lo circondava.
Buio. Automobile. Hajime. I coniugi Iwaizumi.
Traforo.
Ah.
Gli occhi di Tooru si posarono pressoché immediatamente in quelli dell’altro ragazzo: sapeva che, in qualche modo, Hajime sarebbe stato la sua ancora di salvezza.
Come ogni altra volta, d’altronde.
«I-io… ecco…» cercò di mormorare Oikawa, senza tuttavia riuscire a trovare una conclusione che gli sembrasse riassumere completamente la sua situazione.
Già, che gli prendeva?
Nella penombra, Iwaizumi si accigliò, certo di non essere visibile a occhio umano.
«Hai paura, non è vero?» gli chiese, prima che il suo cervello riuscisse a rendersi conto delle parole che stava pronunciando.
Hajime si interrogò sul perché non ci fosse arrivato prima: dopotutto, quelli – l’improvviso pallore, il sudore freddo, le mani tremanti – erano tutti segnali evidenti di una sensazione di paura, o quantomeno di panico. Forse, la verità era che mai e poi mai, in vita sua, si sarebbe aspettato di vedere Oikawa così tanto spaventato.
Dal canto suo, Tooru esitò prima di rispondere: sì, aveva paura. Era davvero così evidente? In fin dei conti, quella era davvero la sua ultima preoccupazione: non avrebbe mai voluto allarmare il suo ragazzo, per nessuna ragione al mondo, per cui l’idea che questo fosse invece esattamente ciò che stava accadendo lo metteva in agitazione decisamente di più del pensiero del luogo che stavano attraversando.
Non si era nemmeno accorto delle piccole gocce salmastre che avevano cominciato a formarsi agli angoli del suo campo visivo, né tantomeno di aver conficcato le unghie nel bracciolo laterale dello sportello al suo fianco o nel proprio stesso palmo. Aprì per un momento le labbra, cercando di trarre un respiro più profondo degli altri e ignorando il più possibile la frequenza del suo battito cardiaco, che ora gli martellava nel petto ad una velocità insostenibile.
Oikawa si disse che no, nelle condizioni in cui al momento versava il suo corpo, negare una simile evenienza sarebbe stato pressoché impossibile.
«Sì» sospirò infine, raccolta la dose di coraggio necessaria e approfittando del fischio del vento che scivolava all’interno dell’abitacolo attraverso il finestrino socchiuso – che avrebbe certamente impedito ai genitori di Iwaizumi di intercettare la loro conversazione.
Lo sguardo di Hajime si addolcì, mentre un lieve sorriso comprensivo compariva sul suo volto. Subito si mosse in maniera composta sul proprio sedile, avvicinandosi impercettibilmente a Oikawa.
Tooru sentì il suo ragazzo stringergli un braccio attorno alle spalle, così da poter avvicinare il suo corpo a sé, mentre sul volto di quest’ultimo tornava a formarsi la solita espressione seria.
«Perché non me l’hai detto prima?» gli domandò ancora Hajime, intrecciando le dita tra i capelli dell’altro.
«Credevo che sarei riuscito a sopportarlo» mormorò di rimando Oikawa, sospirando nuovamente – questa volta di sollievo «non volevo che ti preoccupassi per me, o che scoprissi di questa mia stupida debolezza.»
L’altro scosse la testa, accompagnando il gesto con un lieve sbuffo di disapprovazione.
«Ehi… siamo insieme, ricordi?» gli rammentò Iwaizumi, inarcando contemporaneamente entrambe le sopracciglia «Per cui ogni volta che ci troveremo in difficoltà non dovremo temere di confidarci con l’altro, perché ci siamo ripromessi che affronteremo assieme tutti gli ostacoli che ci si presenteranno davanti, lungo il nostro cammino, d’accordo?»
Oikawa si limitò ad annuire lievemente, negli occhi ancora le tracce ben evidenti di quelle lacrime infauste; Iwaizumi adesso aveva spostato lo sguardo nuovamente davanti a sé, sulla strada buia che stavano percorrendo, così Tooru lo imitò.
«Facciamo così» propose Hajime, senza smettere di massaggiare lievemente la nuca del suo ragazzo «se riesci a resistere in questa posizione fino a quando saremo usciti da qui, ti guadagnerai un bacio. Che ne dici?»
Oikawa sorrise debolmente, cercando l’altra mano di Iwaizumi per potergliela carezzare lievemente.
«Beh, sai che a queste condizioni potrebbe quasi rivelarsi una sfida più facile del previsto?» commentò poco dopo, quel lieve sorriso che Iwaizumi era riuscito a fargli riacquistare che adesso proprio non ne voleva sapere di andarsene dal suo volto.
Hajime sbuffò, rifilandogli uno schiaffo sul collo – questa volta però più lieve rispetto al solito.
«E se perdo?» gli domandò Oikawa, che a quel gesto si lasciò sfuggire una breve risata.
«Ti beccherai un altro schiaffo – solo che più forte di questo» decretò Iwaizumi, con un’espressione seria piuttosto contrastante col clima giocoso che ora aveva pervaso i sedili posteriori.
«Ce la posso fare» commentò allora Tooru, continuando a ridacchiare appena.
Poggiò la testa sulla spalla di Iwaizumi, chiudendo gli occhi. No, non avrebbe tenuto conto dei secondi che passavano; si sarebbe limitato a godersi la sensazione estatica delle dita di Hajime che tracciavano sentieri invisibili sulla sua nuca, rilassandosi e cercando di non pensare più al loro tragitto, almeno per un po’. Il vento continuava a entrare dal finestrino socchiuso, mentre alla radio un cantante iberico intonava, con voce calda e seducente, il ritornello del nuovo tormentone estivo. Sarebbe stata una vacanza fantastica, non ne aveva dubbi.

Stava quasi per assopirsi, quando avvertì quei lievi colpetti contro la spalla.
Oikawa aprì di scatto gli occhi, per poco non restando ferito dall’intensità della luce del giorno, che di colpo era tornata ad avvolgere ogni cosa.
Ci mise qualche secondo per realizzare che, finalmente, erano sbucati dalla parte opposta del tunnel. Oikawa sorrise, ancora un po’ intorpidito: il calore piacevole del corpo di Iwaizumi, che d’un tratto s’era fatto così vicino a lui, l’aveva rassicurato a tal punto che, per poco, non aveva finito per addormentarsi.
«Beh, ti ci vuole così poco per addormentarti?» gli domandò Hajime, rammentandogli per l’ennesima volta dell’assenza di centimetri che intercorreva tra loro.
Oikawa si voltò subito verso di lui, rivolgendogli il suo sorriso migliore.
«Che posso farci se ho un fidanzato così rassicurante?» replicò, gli occhi color nocciola splendenti come stelle.
Iwaizumi sbuffò, trattenendosi a stento dal non malmenarlo per l’ennesima volta.
«A volte, quando fai così mi fai passare la voglia di mantenere le promesse che ti faccio» commentò Hajime, trattenendogli il mento tra pollice e indice «poi però mi ricordo di quanto io ti ami e tutto passa.»
Ciò detto, posò le sue labbra su quelle di Oikawa, carezzando queste ultime con inaspettata delicatezza.
Nell’istante esatto in cui si separarono, il sorriso beato che si era formato sulle labbra di Oikawa non abbandonò le labbra del setter.
«Per quello che vale, ti amo anch’io» mormorò Tooru, le guance leggermente arrossate, mentre entrambi tornavano a voltarsi in avanti, assumendo nuovamente una posizione seduta corretta.
Attorno a loro le montagne stavano tornando a diradarsi, per lasciare il posto alle colline dai campi dorati. Oikawa sorrise, ancora stretto tra le braccia di Iwaizumi.
Avevano superato anche quell’incubo insieme.



Angolo autrice
Okay. Ci ho messo tre giorni a finire questa fanfiction, tuttavia spero almeno che ne sia valsa la pena.
Anzitutto, buon pomeriggio! Questa è la terza storia che pubblico qui e devo dire che ormai potrei anche averci quasi preso gusto. Oltretutto, come ho già avuto modo di dire in altre occasioni, l’IwaOi è la mia OTP del fandom di Haikyuu!!, per cui ogni volta poter tornare a scrivere su di loro è per me sempre motivo di immensa gioia.
Partiamo dal motivo per cui questa storia è nata: qualche settimana fa è capitato anche a me, così come ad Oikawa e Iwaizumi, di imbarcarmi in un lungo viaggio, che mi ha portato alla scoperta di nuovi paesi. Durante quest’ultimo, mi è capitato di dover attraversare lunghi trafori autostradali, raggiungibili solo attraverso percorsi pieni di curve che s’inoltravano sempre di più attraverso montagne altissime. Ecco, non so perché, tuttavia in quei momenti mi sono sentita invadere da una sensazione di oppressione orrenda. In quei momenti ti senti terribilmente piccola e insignificante, però io credo che non sia questo – come accennavo nella storia – il problema principale. Quell’oppressione sfocia ben presto in panico, che ti fa temere perfino le cose più assurde, ad esempio che un’intera galleria con tanto di montagna possa di colpo crollarti addosso, così, senza nessun motivo apparente. E questo è ciò che avviene all’interno della mia fanfiction, o che quantomeno ho cercato di ripercorrere attraverso le reazioni di Oikawa.
Stando alle mie ricerche, la paura di attraversare le gallerie o i trafori autostradali rientra comunque nella claustrofobia, il terrore degli spazi chiusi o troppo angusti e si manifesta sotto forma di attacco di panico, ossia attraverso sudorazione eccessiva, aumento della frequenza respiratoria e del battito cardiaco, difficoltà a deglutire, mancanza d’aria e altri sintomi, ad esempio vertigini o vampate di calore. È un quadro riconducibile ad uno stato ansioso acuto, tuttavia non sono un dottore né studio medicina, per cui non vorrei sbilanciarmi troppo in dettagli tecnici del genere; tuttavia, avendo io stessa sofferto spesso di attacchi di panico, in galleria o meno che fosse, diciamo che descrivere questo particolare stato emotivo non sia stato poi così difficile. Spero di aver mantenuto un certo rigore medico, tuttavia qualora non dovesse essere così non esitate a farmelo notare!
La shot nasce principalmente come motivo di sfogo personale dopo aver vissuto un’esperienza del genere, che per me è stata una vera e propria fonte di stress. Tendo spesso a ripercorrere delle vicende spiacevoli che mi sono accadute attraverso i miei scritti, una volta ho perfino parlato di depressione – ma questa è un’altra storia. Ad ogni modo, adesso penso di stare decisamente meglio; mi spiace solo di aver fatto patire questo strazio a quei poveri patati di Oikawa e Iwaizumi. Poverini, loro non se lo meritavano di certo, soprattutto Tooru, però se volete potete vederla così: almeno lui al suo fianco aveva Iwa-chan, io invece ero da sola e in un paese sconosciuto, pensa un po’ te che fortuna. Non lo dico per fare la vittima, però sul serio, in quei momenti sono stata parecchio male.
Boh, questa fanfiction mi ha prosciugata di tutte le mie energie, per cui penso che la finirò qui. Ringrazio chiunque leggerà la storia, chi arriverà fino a qui e gli impavidi che decideranno di inserirla tra le ricordate o le preferite, con un particolare occhio di riguardo verso coloro che decideranno di recensire – sempre che esistano delle persone a cui questo scritto possa essere interessato sul serio, certo. Volevo infine dedicare la storia alla mia amica Ayumu, grande fan di questa coppia, che non perde mai occasione di tirarmi su di morale nei miei momenti di sconforto. Sei veramente un tesoro, chissà come farei se non ci fossi tu ♥
E niente, con questo è davvero tutto. Vi saluto, sperando di poter tornare presto a scrivere su questo meraviglioso fandom, che mi ha accolta a braccia aperte e in cui finalmente, dopo tanto tempo, mi sento a casa.

Aria
   
 
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