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Autore: EvrenAll    29/05/2017    1 recensioni
"Dove finiscono i sogni dimenticati?"
Sequel di Elizabeth.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1988
(Cyanide Sun - HIM)







31 maggio 1991



 

-Scusami-

Una parola a mezza voce per interrompere quell’insistente silenzio sceso tra noi dalla sera del concerto. Scossi la testa come per dire che non era nulla e presi quello che mi serviva appoggiandolo per un attimo sulle cosce.

Era arrivato il momento di parlare.

-Io l’ho rivisto-

Tirai indietro i capelli e mi concentrai sul tabacco che stavo cercando di sistemare sulla cartina.

-Quando hanno suonato al Ritz, qualche anno fa-

-Specifica il rivisto- cercava di non mostrarsi interessata, ma aveva capito.

Dopo tutto quel tempo, solo ora che riuscivo a far uscire quelle parole dalla mia bocca ammettevo a me quello che era successo. Lo assimilavo. Lo facevo mio per sempre.

Lo rendevo realtà ancora più vera.

-Notte superba… Quando mi sono svegliata però era già andato via-

Accesi ed inspirai.

-E poi in altre occasioni, ma Erin era vigile-

-...Il matrimonio?-

-Non ci sarei andata, nemmeno se avessi conosciuto la data.-

Alzai le spalle.

-Vai avanti-

Sbuffai incrociando le gambe mentre lei prendeva la mia cicca dalle labbra e la usava per accendere la sua.

-Per fortuna c’era Duff quando ho appreso la notizia; a fatto già avvenuto tra l’altro- raccolsi le braccia al petto e poi ne allungai una reclamando indietro la mia dose di nicotina.

La stavo prendendo larga. L’avevo presa larga.

Non ce l’avrei fatta a dirle tutto quello che avevo provato e pensato.

-L’hai scelto bene l’uomo da cui farti strappare il cuore, eh?-

-Ma ti dico che stavo bene, stavo benissimo fin quando non l’ho rivisto quella sera al Ritz-

Pochi miseri mesi di pace.

-È stato come se non se ne fosse mai andato-

Una parola alla volta, sillabate lentamente per evitare di crollare.

Anche quella volta era stato comunque un fare l’amore, rivivere quello che avevamo avuto e riaccenderlo.

-Ma a quanto pare non lo è stato per lui-

-Non voglio pensarci Mo’-

Stavo sbagliando a parlare.

A ricordare.

-Quanto male ti fa?-

-Troppo-

Le strappai la sigaretta dalle dita e mi rifugiai nel fumo, quasi sperando di confondermi nella nebbia grigia che usciva dalle mie labbra.

-Quindi esiste, ma non esiste-

-Esiste eccome, Elizabeth-

Mi puntò una mano sul petto arrivando a toccare con l’indice la pelle lasciata scoperta dalla camicia che portavo, vicino al cuore.

-Pum-

Mimò con la bocca il suono di una pistola.

Sembrò che una cascata di sangue iniziasse a sgorgarmi dal petto.

Tutto l’amore condiviso che ora era diventato solo mio e cercavo di nascondere ogni tanto usciva prepotente, e mi faceva male, mi faceva davvero male al cuore.

Finsi di non accorgermene, ma colava, colava.

Mi sommergeva.

-Non potevano rimanere insieme?-

Ignorai anche la sensazione di gonfiore agli occhi.

Li chiusi, tanto c’era solo Mo.

-Non potevano rimanere insieme e continuare a vivere la loro vita del cazzo?-

-Non poteva lasciarmi in pace?-

Eccoli. Goccioloni lungo le guance. Come se non avessi già pianto abbastanza.

-Ma no, in qualche modo deve sempre, sempre, sempre ritornare a tormentarmi-

-Elizabeth…-

La zittii con un gesto della mano.

-Lasciami piangere-

Mi alzai e feci cadere la sigaretta tra la sabbia.

-Tanto lo sappiamo perfettamente chi lo tiene tra le mani il mio dannato cuore!-

Urlai all’oceano.

Il mio cuore batteva troppo forte, stavo per esplodere, stavo per collassare.

-Axl Rose!-

Iniziai ad avanzare verso l’acqua.

-Il fottuto William Bruce Rose Bailey e checcazzo-

Sfilai le scarpe dai piedi e camminai ancora fino ad immergerli in acqua, fino a bagnarmi fino alle ginocchia.

Rabbrividii.

Stavo andando a fuoco.

-Non potevo amare qualcuno di più semplice?-

Iniziai a singhiozzare

-Qualcuno che fosse solo mio?-

Resami conto che le mani di Morgan erano sulle mie spalle, pronte a sostenermi, mi lasciai arrendere, scivolando contro il suo corpo, tenendo le dita strette sulla mia pelle, sulla sua pelle, sentendomi troppo vuota e rivivendo di nuovo quella dannata notte di illusione.

 

Mia Elizabeth.

 

Sua.

Sua.

Imprescindibilmente sua.

 

 

- - - - - - - - - - -




 

2 febbraio 1988


 

-Dannazione sei davvero qui-

Fui sorpresa dalla morsa delle sue braccia attorno al mio corpo sottile e risi.

-Ciao Axl-

Mi strinse ancora, più forte. Cedetti alla tentazione e lasciai che le mie mani scorressero sulla sua schiena e le dita affondassero nella sua pelle.

-Biancaneve- disse piano separandosi da me.

Allungò una mano verso il mio viso e spostò uno dei miei ciuffi neri fino a infilarlo dietro al mio orecchio.

Cercai di trattenere il mio cuore dal volarmi fuori dal petto, inutilmente.

-Axl-

Ripetei il suo nome e gli misi le braccia attorno al collo stringendolo di più.

-Sei tutto sudato-

-Ci siamo agitati, su quel palco- sentii le sue mani scorrere su di me mentre ascoltavo la sua voce, furba.

-Meravigliosi. Michelle, Michelle, e quelle parole da dove le hai tirate fuori, Will?-

Rise piano baciandomi la fronte, mentre lo guardavo come una bimba fa con il suo idolo.

Mi sentii arrossire.

Eravamo così uguali e così diversi da quando ci eravamo lasciati: la rockstar e la bambola.

Bambola con i capelli in parte raccolti ed una canotta chiara con maniche sottili, in modo che il mio tatuaggio fosse visibile a tutti.

-Sai da dove vengono- mi fece l’occhiolino e mi prese sottobraccio, iniziando a camminare verso gli altri.

Com’era possibile che in quei mesi l’elettricità non fosse scomparsa?

Steven mi addocchió prima degli altri, avvicinandomi immediatamente per coinvolgermi in uno dei suoi abbracci.

-Betty!-

Lo fermai.

-Come mi hai chiamato?-

Sorrise.

-Dai, è carino-

-Carino un paio di palle, ti rivedo dopo mesi e mi chiami come tua nonna?-

-Beh, mia nonna in realtà...-

-Moretta!-

Puntuale come un orologio, Slash piazzò la sua mano sulla mia testa.

-Sexy questa cosettina che hai addosso…- la portò subito sulla mia spalla e sollevò di qualche centimetro la spallina della canottiera.

-Tesoro, sono nuda sotto questa cosettina- lo scacciai battendogli un colpetto sul dorso e coprii il seno con un braccio.

McKagan si appoggiò all’altra spalla.

-Non ti facevo così ardita…-

-Michael- sorrisi.

-Chi è Michael?- Slash rise tra sè piazzandosi al fianco di Pop Corn ed osservandoci.

-Io, coglione-

-Ehm, ehm- Steven si schiarì la voce in sottile protesta.

Alzai gli occhi al cielo sentendoli battibeccare e controllai dietro di me: Axl era appoggiato alla parete e ci guardava con un lieve sorriso sulle labbra.

Era felice.

Mi veniva da piangere a vederlo stare così bene.

-Direi che possiamo andare a bere-

Izzy si avvicinò con la sua immancabile cicca tra le labbra.

-Elizabeth, ti vedo bene-

-Grazie- gli sorrisi e mi sporsi per abbracciarlo.

-Quando Bill ha saputo che saresti venuta è stato fin troppo contento- bisbiglió complice, approfittando della nostra vicinanza.

-Sono felice di essere qui… grazie dell’invito Jeff, e del biglietto, e...-

-Dovere- mi interruppe, facendomi un’occhiolino.

-Ci fai compagnia, ora che sei single?-

La domanda di Slash, fatta così sfrontatamente davanti a tutti loro e a voce alta fece abbassare le mie labbra per un attimo.

-Perchè sei single, vero?- rise.

Provai a tenergli testa.

-Che ne pensi, Slash, ti sembro incatenata?-

Vidi Izzy gettare un’occhiata loquace alle mie spalle.

Axl. C’era Axl lì.

-Ti porto a casa, allora-

Ammiccò.

-Perchè dovete sempre incondizionatamente provarci con me?- cercai di trovare il lato divertente della faccenda mentre Slash si riavvicinava ed Izzy scuoteva leggermente la testa all’indirizzo del rosso in modo dannatamente esplicativo per chi di noi conosceva il loro linguaggio.

-Sei fottutamente fatto, amico. Lasciala stare-

Si frappose tra il mio corpo e quello del riccio in maniera naturale, ma Slash lo scansò, mettendosi esattamente di fronte a me.

-Se è vero che quelle tette sono tutte tue vale decisamente la pena-

Storse le labbra e mi stampò un bacio pericolosamente vicino alla bocca.

-Per non parlare di questo…-

Prima che me ne potessi rendere conto aveva schiaffato un colpo sul mio sedere e lo aveva stretto con una mano.

-Slash!-

Arretrai scontrandomi per un attimo con Duff, che a dispetto del chitarrista, sembrava abbastanza preoccupato dalla reazione che avrebbe avuto il rosso. Mi allontanai subito anche da lui.

-Che cazzo credi di fare?-

Axl.

Axl ringhiava.

-Ho sempre voluto farlo- tirò indietro i capelli scoprendo per un attimo gli occhi. Era genuinamente ubriaco, ma mi aveva palpato abbastanza coscientemente.

Feci ancora qualche passo per evitare di respirare ancora quell’odore malsano di alcol e chissà cos’altro proveniente dal fiato e il corpo di Slash. Una mano sul fianco.

La sua.

Slash scosse la testa guardandolo.

-Non è single?- lo provocò, giocando.

La tensione che veniva da dietro alle mie spalle era palpabile e lo dimostravano anche gli sguardi di Steven e Izzy, pronti a farsi avanti se lo stallo si fosse in qualche modo sbloccato nel peggiore dei modi.

-Slash, vaffanculo, datti una calmata- sbottai piano.

Ero in mezzo.

-Era uno scherzo, Liz, ma se vuoi ti prendo in parola, sai? Però prima devo pisciare-

Se ne andò lasciando nella stanza un silenzio imbarazzante.

-Fuori forte, stasera- azzardò Steven provando a ridere.

-Facciamo che io e Pop Corn cerchiamo di arginare i suoi scherzi alla zona bar del locale, che ne dite?-

Duff, presa la situazione a due mani e Steven sottobraccio, iniziò ad ondeggiare nella direzione in cui era sparito il riccio che in pochi secondi aveva perso un migliaio di punti simpatia nonostante fosse stato solo uno scherzo.

-E questa è la ragione per cui tu sei rimasta ed io me ne sono andato-

Chiusi gli occhi e presi un respiro profondo.

Aveva tolto la mano dal mio fianco, ma potevo sentirlo, dietro di me.

Mio, rassicurante.

-Per un attimo vi ho visti a darvele sul pavimento- Jeff si avvicinò piano a noi ed appoggiò una mano sulla spalla del cantante che sorvolò attentamente l’argomento rissa e gelosia e si concentrò sul successivo.

-È andato a farsi una dose?-

-Non sarebbe capace di centrarsi una vena in questo momento- scosse la testa e mi guardò con aria preoccupata.

-Ho preso una paura fottuta- ammisi, nascondendo il viso tra le mani.

-Elizabeth, è uscito-

Riuscii a calmarmi solo sentendo le sue braccia serrarsi attorno al mio corpo ed annuii lentamente appoggiandomi addosso a lui.

-Stiamo degenerando- Izzy sbuffò.

-Non serve dirlo-

-State attenti voi due: vado a cambiarmi-

Inspirai sulla sua pelle, rassicurata dal semplice fatto che fosse Lui.

Le sue mani erano diverse da quelle di chiunque altro.

-Mmh, hai visto? Niente risse- ironizzò e mi strinse di più a sè.

Annuii lentamente respirando sul suo petto mentre scaricava la tensione in quel modo: assicurandosi che fossi in mano sua e gettando occhiate di morte nella direzione del suo collega.

-Stai bene?-

-Mi riprendo, sono forte-

Alzò un sopracciglio puntando gli occhi nei miei ed abbozzò un sorriso di scherno.

-Mh-

-Guai a te se osi prendermi in giro per quello che ho appena detto- puntualizzai ricambiando lo sguardo.

-Mio Dio, quanto mi sei mancata-

Mi limitai a posargli un bacio su quel petto nudo che avevo visto e sentito sotto la lingua tante, tante volte.

-Forse mi sarei divertita di più con una rissa-

-Ah si?-

Annuii.

Lo sentivo, stava ripercorrendo la strada che Saul aveva voluto testare: schiena, fianchi…

Si fermò infilando i pollici nel bordo dei miei pantaloni e lasciando che il palmo delle mani fosse appoggiato proprio lì, su di me.

-Vuoi attacare briga con me?- propose.

Giocava, cauto.

Dovevamo stare attenti ai confini.

-Uh, la lotta sono brava a farla solo con i cuscini-

Così diventava relativamente facile dimenticare lo scherzo di Slash.

-Lo so-

-Sfacciato- Mi morsi il labbro, cogliendo la sfumatura perversa che era riuscito a dare anche a questo.

Rise e mi baciò la fronte prima di staccarsi e prendere una camicia ed il suo chiodo.

-Immagino che tu non abbia molta voglia di rimanere qui a fare festa, vero?-

La infilò, chiudendo con precisione quasi tutti i bottoni.

-Diciamo che… no, non mi va, anche se infondo sono venuta qui per stare un po’ con voi-

-Ti accompagno-

Propose.

-Voi, non te- specificai mentre si metteva il chiodo.

-Non dire bugie, su… Ti voglio raccontare come sta andando, ti voglio raccontare tutto e voglio sentire quello che tu hai da dire a me-

La sua mano raggiunse la mia senza preavviso.

-Ci serve un po’ di tranquillità, non credi?-

-Sì-

Annuii e non aggiunsi altro, scombussolata dal fatto che stringere di nuovo quella presa fosse stato così facile.








 

Risi appoggiandomi al sedile.

-Oh si, tu ridi, ma è così davvero. Ci siamo portati quel serpente in giro per mezza America perchè quello scemo di Slash non voleva lasciarlo ad un negozio di animali-

-Hai paura dei serpenti Will?- mi avvicinai a lui ondeggiando appena. La macchina era stretta per questi giochetti, ma avevamo tirato i sedili indietro al massimo per avere più spazio per noi.

-Per carità, no, ma se ti svegli e te lo trovi attorcigliato ad una gamba non è divertente per niente-

Scosse la testa mentre ridacchiavo e gli appoggiavo una mano sulla coscia.

I vetri erano appena appannati a causa del nostro continuo chiacchierare. Non avevamo smesso un attimo di raccontare ed ormai da una o forse due ore eravamo posteggiati sotto l’hotel in cui avevo prenotato per quella notte.

-In realtà siete un branco di bambini con l’aspetto di venticinquenni. L’ho sempre sostenuto-

Alzai le spalle solleticando la sua gamba con le unghie.

-Sempre sostenuto, seh, hai visto che concerto serio stasera? Mtv censurerà sicuramente qualcosa… Teste di cazzo-

-Che sboccato Axl-

-Anche tu non scherzi, tesoro-

-Io sono beneducata, è il tuo chitarrista quello che palpa il culo alla gente a random-

-In genere palpa dei bei culi, devo concederglielo-

Scossi la testa mentre accarezzava ancora il dorso della mia mano, in un gesto che doveva sembrare casuale ma in cui leggevo la stessa volontà che avevo messo nello sciogliere il nodo al foulard ancora sul suo collo dallo spettacolo stando troppo vicina a lui. Tutte queste allusioni, lievi contatti, vicinanza, odori.

Eravamo elettrici.

Eravamo drogati in astinenza.

-...L’avevi fatto anche tu- realizzai la cosa improvvisamente e risi.

-Cosa?- non era bravo a fingere.

-Palparmi-

-Io?-

Che finto tonto.

-Ossì, bello mio- risi, ricordando.

-Perchè sapevo già che non mi avresti potuto resistere- mi guardò di sottecchi senza smettere di sorridere.

-Sei Axl Rose- specificai.

-Sono fottutamente magnifico, grazie- scherzò.

-Ma nemmeno tu hai resistito, ed Elizabeth Moore non è nemmeno famosa-

-Dettagli, anzi, meglio così- strinse la mano sulla mia e, confortata, mi appoggiai alla sua spalla facendo scorrere l’altra sul suo braccio.

-Sei stato con qualcuna?-

Senza preavviso, le parole uscirono dalla mia bocca in un sussurro.

-Ni-

Strinsi appena le labbra.

-Non vado matto per le groupie, ma ..me ne sono passate alcune per mani, devo ammetterlo-

Mi intristiva.

-Sesso triste come quello con Adriana- aggiunse tra sé e mi strinse reagendo appena al mio voltare la testa e al mio tentare di allontanarmi da lui.

-Tu?-

-Ho avuto altro a chi cui pensare-

Era vero.

-Sei sciocca se pensi che sia riuscito ad allacciarmi a qualcun'altra. Sei davvero sciocca-

Mi fece aderire a sé e mi spostai in braccio a lui, incastrandomi tra il suo corpo e il volante.

Ci scambiammo una lunga occhiata dopo che ebbi alzato lo sguardo per colpa del suo tono troppo serio e coinvolto. Mio Dio. C’era troppo.

-Siamo nei guai, Axl…- mormorai immergendo il viso sulla sua camicia.

-Lo siamo. Sì-

Sentii le sue labbra indugiare sul mio viso e mi beai di quel contatto.

Rimanemmo in silenzio per qualche attimo mentre giocavo con i suoi bracciali, mentre appoggiava il viso contro i miei capelli e respirava.

Stavamo bene. Fin troppo.

Ma mancava solo una cosuccia per rendere tutto un idillio.

-Mmh- sussurrai scansandomi e sollevando la borsa fino ad appoggiarla alle mie gambe.

Aprii la busta e sbuffai.

-Che palle-

-Finito il tabacco?-

-Si- mi lamentai, tornando ad appoggiarmi a lui e stringendomi al suo braccio.

-La tua solita fortuna... guarda un po’ cos’ho qui-

Sorrise togliendo dalla tasca dei pantaloni un pacchetto nuovo fiammante di Malboro Rosse.

Tentennai.

-Ci credi se ti dico che non ne ho più fumate?-

Non serviva specificare da quanto.

-Davvero?-

Annuii lentamente.

Lo infilò nella tasca della giacca lentamente e senza guardarmi fece una semplice domanda, che nascondeva però un mondo sotto di essa.

-E ti ricordi ancora il loro sapore?-

E ti ricordi ancora il mio sapore?

Tono inconfondibile. Non intendeva quello che diceva, pensava ad altro.

Era davvero possibile essere così eccitata ed atterrita insieme?

Scossi impercettibilmente la testa in senso di diniego raccontando una sciocca bugia.

Inclinò la testa avvicinandosi e prendendo una nuova sicurezza.

-Non ci credo…-

Abbassò la voce avvicinandosi ancora, ancora.

-Tu ricordi?- lo sfidai guardandolo.

La sua mano sfiorò le mie cosce, fermandosi su una di esse.

-Si-

Non parlavamo di sigarette.

Strinse la presa.

Mi sforzai di respirare.

Il suo profumo mi sommergeva, la sua presenza mi alienava, i nostri corpi sapevano già come muoversi l’uno insieme all’altro.

-Dovró fartelo ricordare- bisbiglió, concludendo la conversazione.

Non era più giocoso, era serio, e perso tanto quanto lo ero io.

Lui, solo Lui, sempre solo Lui.

Le nostre labbra non avevano dimenticato.

E nemmeno le nostre mani e le nostre lingue.

Il nostro bacio fu l’inizio della mia tempesta.

Un fulmine in un cielo in cui le nuvole non erano sembrate tanto aggressive.

Gli morsi il labbro, forte.

Volevo fargli male, volevo che sentisse che ero sempre io.

Elizabeth.

Mi allontanai per guardarlo.

Vigili, presenti, i suoi smeraldi parlavano la stessa lingua dei miei occhi.

Decretammo senza aprire bocca che la nostra notte sarebbe stata teatro di cruda verità e di passione mai sopita. Riemergeva dall’oblio con disperazione.

-Vieni di sopra?- sussurrai, il mio petto già scosso dal respiro accelerato.

-Sì-

Un altro bacio.

C’era così tanto da dirci, tanto di cui parlare: nulla che centrasse con le stupide chiacchiere di poco prima. Non avevamo detto una parola su di noi, sul saluto, sulla nostalgia, sul tuffo al cuore di quella sera e dovevamo sistemare queste cose.

Ci credevo. Volevo crederci.

Ma prima volevamo noi.

Noi e basta. Corpi e basta. Insieme e basta.

 







 

Chiusi la porta alle mie spalle ed il secondo dopo mi trovai già incastrata tra il legno ed il corpo del rosso.

Le sue labbra e la sua lingua su di me erano troppo per poter pretendere di pensare qualcosa di coerente. Sciolse il bottone dei miei pantaloni con fretta e riportò le mani sui miei fianchi.

Gliele feci staccare per togliergli il chiodo, che finì per terra con un tonfo sordo.

-Ehi- ghignò e strinse i denti con foga sulla pelle tra il collo e la spalla, avvicinandomi a sè di nuovo.

Cercai inutilmente di slacciare i bottoni della sua camicia, mentre ancora scopriva un po’ di me e mi faceva tremare.

Mi aggrappai al bavero della camicia tirandolo a me mentre mi baciava ancora, tirandolo così forte da far saltare il bottone.

Sì.

Sì.

Diedi un altro strattone e spalmai le mie mani addosso al suo petto.

Sì…

Cazzo.

Mi fermai a guardarlo facendo scorrere l’unghia dell’indice destro dallo sterno fino al suo ombelico, premendo abbastanza da lasciare una sottile striscia rossa.

-No-

Mi rimproverò come si fa con una bambina cattiva e catturò i miei polsi con una sola mano, impedendomi di toccarlo.

-Mmh- mi lamentai.

Quanta forza nella sua presa.

Mi incollò di nuovo alla parete, separando le mie mani, tenendole con le sue contro il muro alle mie spalle e premendo con tutto il suo corpo contro il mio.

Percorse le braccia, tenendo il naso immerso addosso a me.

Il mio profumo, ancora.

La mia eccitazione crescente.

Abbassò velocemente i miei pantaloni, le mutande? Chissenefrega.

Chissenefrega.

Animali.

Mi aggrappai a lui mentre mi sollevava ed entrava in me con foga.

Mugolai di piacere e sorpresa.

Non l’avevo visto spogliarsi.

Spinse, approfittando della gravità che mi portava inevitabilmente a scorrere su di lui.

Stavamo bruciando.

Rivolsi la testa verso l’alto, lasciando che il mio sospiro si confondesse con i suoi versi di piacere.

Oh, quanto era bello.

Mio Dio, il suo respiro spezzato dal piacere, proprio lì, sulla mia pelle.

-Mmh-

La sua voce, profonda, gonfia di soddisfazione.

Mi lasciai abbandonare addosso alla sua spalla prorompendo in un rantolo mentre mi sentivo stringere addosso a lui ed avvolgerlo. Tutto dentro di me, tutto.

Pochi secondi, riempiti dal nostro ansimare.

La nostra brama per un attimo colmata.

Intercettai per un attimo i suoi occhi prima che si sciogliesse in un bacio.

Più dolce.

Più mio.

Come poteva essere tutto in questo modo?

Mi lasciò scivolare lentamente fino a mettere i piedi a terra.

Feci qualche passo in avanti, appoggiandomi con una mano al muro di quel piccolo anticamera dove eravamo rimasti.

Ero malferma sulle gambe e lui affaticato dallo sforzo di tenermi alzata.

Risi piano, realizzando che quel pezzo di intimo era ancora lì, addosso a me ed estremamente bagnato.

-Troppa fretta?- mi abbracciò avvolgendo le mie spalle con le sue braccia.

Preoccupato, ma non troppo. Soprattutto malizioso.

-Aiutami ad arrivare in camera viva-

-Mi hai ucciso la camicia-

-Non si sbottonava…- mi lamentai e diedi un’occhiata dietro di me sentendolo staccarsi.

La abbandonò sul pavimento e mi lanciò uno sguardo pieno di parole.

Con una mano ravvivó i suoi capelli all’indietro, togliendo il sottile strato di sudore che gli imperlava la fronte.

Un respiro più profondo da parte mia; la mano sinistra, libera, corse veloce al mio seno e poi giù… stupidi slip.

Alzò piano uno degli angoli della bocca in un sorriso non meno esplicito della sua silenziosa soddisfazione.

-Bella scusa-

Mi morsi il labbro guardandolo ancora per qualche attimo e poi procedetti verso la camera da letto.

Non mi bastava.

Lo sentivo: dietro di me, mi seguiva rimanendo a pochi centimetri di distanza.

Il mio cacciatore, la sua preda.

Mi sorpassó appena ebbi varcato l’entrata di camera mia ed osservó l’ambiente.

-Questa?-

Afferró il portafoto che avevo lasciato nella stanza al mio arrivo: mamma, papà ed io, al mio sedicesimo compleanno con una stupida corona in testa. Avevo bisogno di portarli con me, sempre.

Sfilai dalle braccia il maglione che avevo indossato per uscire dal locale, ancora integro, nonostante le sue mani e le sue labbra fossero riuscite ad arrivare quasi ovunque e lo lasciai abbandonato sulla sedia.

Rise.

-Regina Elisabetta.. terza-

-No, no, no- scossi la testa.




 

Le spuntó uno strano sorriso in faccia mentre si avvicinava, avvolta in una striminzita canottiera azzurro chiaro e nascosta solo da quegli slip maltrattati.

Palesemente eccitata.

Come io avevo ritenuto inutile portare i boxer sotto alla seconda pelle nera, lei non aveva indossato il reggiseno: spiazzante come l’ombra delle due lievi punte dei capezzoli accendessero in me la voglia di atterrarla.

Di nuovo in lei. Di nuovo.

Immerso nel suo fuoco, diverso da tutti gli altri.

-Prima- precisó, artigliando il bordo dei miei pantaloni con una mano ed iniziando a lambirmi il petto con le labbra.

-Io sono la Prima-

Intrecció una mano con la mia e la portò alla bocca, baciando i miei anelli, catturando tra le labbra una delle mie dita.

Umida e calda.

Schifosamente provocante.

-Sdraiati- sussurrai.

Non lo fece subito.

Allungó le mani sul mio corpo, tra i miei capelli, sulle guance. I suoi occhi si erano sciolti già da un po’, ma ora sembrava che il ghiaccio fosse del tutto sparito e sostituito da mare caldo e profondo.

Avvolgente.

Dolce.

Chissà quanti avevano assistito a questa sua trasformazione.

Volevo credere di essere l’unico.

-Ciao William- bisbiglió.

Socchiusi gli occhi, lasciando che sulle mie labbra si formasse un sorriso.

William.

Neanche io potevo fingere davanti a lei.

Sei mesi non avevano cambiato le cose.

Noi. Noi. Noi.

Questa notte con lei sarebbe stato un tremendo sbaglio, ma.

C’era un Ma.

Perché la volevo, e non era un capriccio.

-Ciao Elizabeth-

Niente tutele per i nostri cuori.

Faccia a faccia.

Nudi.

La spinsi piano sul letto.

Elizabeth. William.

Elizabeth e William, William ed Elizabeth.

Senza niente di mezzo, senza che la vita rovinasse il nostro stare insieme.

Lei si lasciò guidare, appoggiando la schiena al copriletto lentamente.

Finii di spogliarmi velocemente: io non ero importante.

Per una notte.

Per una notte.

Una parentesi socchiusa, un cassetto che avrei fatto meglio a non aprire.

Le accarezzai i fianchi e le tolsi di dosso la canottiera. Senza fretta la lasciai cadere a terra e mi chinai su di lei, ripercorrendo il contorno delle braccia: spalle, gomiti, polsi, mani; del suo corpo: seno, costato, ombelico.

Faceva quasi male da quanto era familiare.

Il mio naso era contro la sua pelle. Bramavo il sentire il suo profumo: indemoniato, dopato dal suo odore continuavo a scorrere, nascondermi tra i suoi capelli, sul suo collo.

-Ti voglio troppo- la strinsi, lasciandomi scappare le parole dalla bocca.

Stare con lei, vivere con lei, con la mia vita di merda e i miei schifosi problemi..?

Non avrei potuto.

Bipolare. Echeccazzo.

Una notte e basta.

Dovevo proteggerla anche da me.

Dovevo farlo…

Mi accasciai sul suo ventre, nascondendo il viso.

No. Non pensare. Non adesso.

Mi accarezzó, lieve, i capelli.

Aspettava.

Amavo il modo in cui le sue mani riuscivano a darmi conforto.

Mi sollevai di nuovo su di lei e sorrise quando la immersi in un bacio, come se fosse tutto un gioco.

Il mio egoismo non aveva limiti.

Abbassai piano gli inutili slip, sfilandoglieli dalle gambe.

La accarezzai e le feci aprire le gambe con lentezza, ma non meno desiderio di quando l’avevo presa sulla porta.

Mi immersi in lei gustando ogni singolo centimetro. Infondo, fino a riempirla.

Strinse le gambe attorno a me per sentirmi ancora più vicino, ancora di più, di più.

Sembrava tutto così facile quando eravamo una persona sola.






 

Iniziò a muoversi piano.

Tutto così diverso da prima. Tutto tremendamente sbagliato perché nella lentezza stavamo trovando il tempo di pensare e sentire qualcosa oltre al piacere fisico.

Inarcai la schiena aprendo la bocca in un sospiro, sorpresa nel sentire l’ennesima scossa scuotermi.

Avvolsi le sue spalle con le braccia e lo strinsi ansimando sentendolo iniziare a spingere di più.

Mio Dio.

Era una corsa.

Eravamo cherosene che aveva preso fuoco.

Di più.

Di più.

Glielo dissi, pregando.

Godetti del suono roco e graffiante uscito dalle sue labbra mentre con un forte colpo di reni sembrava volesse trovare il mio fondo e stringeva il mio sedere con le mani perché fossi ancora più vicina.

Un colpo.

Due colpi.

Singoli. Ben definiti.

Ma che non fecero altro che incrementare ancora la nostra urgenza.

Ricominciò a correre abbracciandomi.

Veloce, veloci.

Gemetti rumorosamente chiudendo gli occhi, lasciandomi guidare dall’istinto per godere appieno di quell’amplesso.

Lo avvicinai ancora sperando che nel calore e nella forza riuscissimo a scioglierci e rimanere insieme per sempre.

I nostri movimenti diventarono scoordinati nella fretta di raggiungere il nostro essere tutto con l’altro e mentre sentivo il suo seme riversarsi in me lo strinsi ancora di più, saggiando con le labbra il sapore salato del suo, del nostro sudore, confuso con quello delle mie lacrime.

-Ti prego resta- lo implorai, travolta una volta per tutte dal sentimento che avevo provato a seppellire.

Lo amavo.

Non avrei mai smesso di farlo.

-Sono qui-

 

Si mosse ancora, più lentamente, come a voler confermare le sue parole.

-Oh, Will…-

 

Mi zittii baciandomi, impedendo che il mio tremore si tramutasse in serie di singhiozzi ininterrotta.

Perchè c’era, era lì, era qui, era dappertutto ora.

-Mia Elizabeth-

Solo un lieve sussurro addosso alle mie labbra.

-Mmh…-

Gemetti e strinsi ancora le mani sulla sua schiena, graffiandolo.

Cos’ero? Cosa stavo facendo? Perché?

Lo sentii inspirare tra i denti trattenendo una smorfia in risposta al dolore che gli stavo causando, ma niente di più. Solo qualche bacio, ancora, ovunque la sua bocca potesse raggiungermi senza che si sfilasse da me.

Ed un morso, sulla spalla, deciso.

Le mie labbra si distesero.

-Mh…- finalmente smisi la sua tortura ed appoggiai i palmi sulla sua schiena.

Leccó avidamente la mia pelle, lungo il segno lasciato dai suoi denti e quindi, facendosi forza sulle braccia si tolse da me e si stese al mio fianco.

Rimasi a guardarlo per qualche minuto e tracciai lentamente il profilo del suo corpo con le dita.

Mi avvicinai ed appoggiai la testa sul suo petto per riuscire ad ascoltare il suo cuore: quel battito era uno dei suoni più rassicuranti che avessi mai avuto l’opportunità di sentire.

 

-Ho voglia di te-

Rise piano.

-Insaziabile, dammi un attimo-

Mi guardò per un lungo istante come aveva già fatto prima, quindi si avvicinò al mio corpo con sicurezza.

-Anche tu lo sei…-

-Devo ancora cominciare a mangiarti, Elizabeth, come potrei essere sazio?-

Arricciai le labbra sentendolo giocare con le dita sull’osso della mia anca, appoggiare le labbra sul mio collo, stuzzicare il seno con i denti, infilarsi nel mio ombelico e quindi leccarmi con un’assurda precisione.

Mi trattenni dal portare una mano tra i suoi capelli.

Mi guardava godere: era il suo gioco preferito.

La sua lingua, la sua bocca… troppo, troppo.

Mi arresi con un mugolio di piacere ed immersi le dita nel rosso, in una silenziosa richiesta.

Passò le sue mani lungo le mie cosce sollevandomi appena verso di sè, ma si bloccò tenendomi in sospeso, facendomi impazzire.

-William…- Lo implorai.

Uno, due, tre secondi per tirarmi su e incontrare ancora le sue labbra e toccarlo e tentare di farlo diventare matto tanto quanto mi aveva fatto diventare lui.

 

Finimmo incastrati di nuovo, seduti, abbracciati, disperati.

Piansi ancora e mi strinse a sè consolandomi.

Perchè quel fare l’amore sembrava un addio ancora più di quello che ci eravamo già dati?

 

 


Volevo parlargli, ma non volevo farlo.

Volevo dirgli quello che sentivo, ma ero bloccata.

Avrei voluto fare tante cose, ma non riuscii a fare nulla nella paura che quella notte potesse finire.

Ci scambiammo un ultimo, lungo bacio, e ci addormentammo allacciati, provando ancora ad aggrapparci a quello che eravamo stati e raccontandoci in silenzio l’illusione di quello che avremmo potuto essere.

 

Avremmo parlato domani.

Sì. Domani, davanti ad uno buono e caldo cappuccino.







 

 

-Axl?-

Il letto era vuoto.

La luce della mattina non aveva pietà di me, illuminando tutto quello che non c’era.

-Will..?-

I suoi pantaloni.

-William?-

Il rumore di un’altra persona oltre a me in quella piccola stanza d’albergo.

La sua camicia in entrata.

La sua giacca di pelle nera.

Non c’era.

Nuda come un verme, mi chinai a raccogliere l’unica cosa capace di farmi credere che quella notte non fosse stata solo un sogno: il pacchetto nuovo che mi aveva mostrato la sera prima era scivolato dalla tasca della sua giacca mentre lo spogliavo, rimanendo inerte sul pavimento; ma Lui era sparito.

Chissà. Forse l'aveva dimenticato di proposito.

Lasciai che la gravità avesse la meglio su di me, facendomi cadere per terra.



 

Mi rimaneva il Vuoto.

Il Vuoto ed un pacchetto di Malboro Rosse.

 

 

- - - - - - - - - -


 

-Abbiamo fatto sesso, come mai prima. Abbiamo fatto sesso, arredendoci, provando a non pensare.. ma per me non funziona così. Sì, Mo’ vivo nel passato. Lo odio.

È sparito, ed io non riesco a lasciarlo andare-

Chiusi gli occhi.

Non potevo dirle tutto. Non potevo raccontarle dello sguardo di pietà lanciatomi dall’uomo della reception mentre senza quasi alzare gli occhi dal tavolo gli avevo chiesto di contattare l’aeroporto per prenotare il primo volo per Los Angele ed ero scappata da lì. Ennesima ragazza abbandonata da uno stupido uomo. Dei giorni in cui ero rimasta chiusa in appartamento a piangere e quindi a guardare il soffitto quando le lacrime erano finite. Della chiamata di Jeff, e quindi del silenzio assordante in cui avevo scelto di immergermi staccando il filo del telefono. Di quello che mi era successo.

-Tornerai da lui?-

-No-

Sibilai.

-No-


 

Che controsenso: il mio odio nascondeva tutt’altro sentimento.

 

Bugie? Bugie? Quante bugie?




Fermate il mondo, voglio scendere.








 


21 febbraio 1988


 

Erano passate quasi tre settimane.

-Sei a casa- inconfondibile, il tono sollevato della voce di Jeff si fermò nella mia testa.

Non risposi. Che cosa dovevo dire? Che cosa dovevo fare? Io non avevo scelto. Io non volevo scegliere.

-Hai voglia di parlare oggi?-

Axl non aveva detto ancora nulla, nemmeno al suo migliore amico, anche se Izzy gli aveva concesso tutto il tempo del mondo.

Cos’era successo?

-Così poi mi lascerai in pace?-

-Forse, Lizzie. Sono preoccupato. Non mi piacciono i vostri silenzi-

Sospirai arresa.

-Se n’è andato, tutto qui-

Andarsene. Che brutta parola.

Jeff poteva indovinare cosa ci fosse oltre a quella breve risposta, breve ma molto diversa dal “Non è successo niente” della settimana prima, o dal mio cercare di cambiare discorso e fare finta che andasse tutto bene.

Osservai la cucina in disordine, le coperte trascinate lungo il corridoio perchè mi dessero caldo anche dopo essere uscita dal letto.

Rimase in silenzio. Quel vuoto aveva il suono delle nostre speranze in frantumi.

-Mi dispiace-

Un singhiozzo troppo forte attraversò la linea fino ad arrivare a lui. Mi sembrava quasi di vederlo: appoggiato al muro della sua stanza con il telefono in mano, arreso, a labbra strette, con Axl seduto sul letto di fianco al suo. Ma non erano a casa, e forse non erano nemmeno insieme in quel momento.

-Elizabeh, lui sta-

-Ciao Jeff-

Interruppi la chiamata, e tirai con forza il cavo della linea fino a staccarlo dal muro. Beato silenzio.

Non avevo altro da dirgli, non c’era altro che quella parola. Non volevo sentirlo adesso, non volevo sentire nessuno.

Cosa avrei fatto, poi, se fosse stato Lui a chiamare? Se Lui si fosse presentato ancora alla mia porta?

Lui lui lui.

Mi rannicchiai sul pavimento, colta da un improvviso crampo al ventre.

Lui.

Trattenni un lamento, sorpresa dall’intensità di quel dolore così simile e così diverso dal solito.

Mi alzai lentamente, trascinandomi verso il bagno.

Di nuovo.

-Ti prego-

Non era bastato il dolore psichico: ora anche il mio corpo si opponeva a me.

Presi la borsa dell’acqua calda e corsi in cucina per prepararla.

Con penna alla mano mi avvicinai al calendario e piazzai una croce sul giorno corrente: 21 febbraio 1988. Ingenuamente proseguii l’automatico controllo a ritroso, mentre l’altra mano andava a massaggiare il ventre, colto dall’ennesimo crampo. Strinsi i denti e continuai a contare.

Arrivata al 22 gennaio i miei occhi slittarono subito alla ricerca della X di quel mese: 3 gennaio 1988.

49 giorni. 49.

-Devi essere un ritardo-

Contai ancora: perchè ero stata così poco attenta?

Quasi tre settimane.

Perchè ero rimasta tre settimane a trascinarmi come uno zombie tra casa e lavoro, provando a non pensare, scroccando shot, aiutando la notte con bianchi sonniferi.

Doveva essere solo un fottuto ritardo.

Per colpa Sua.

Doveva esserlo.

Ignorai l’ennesimo crampo nonostante l’intensità mi avesse fatta contercere su me stessa.

Un fottuto ritardo.

Scivolai sulla sedia più vicina, nascondendo il viso con una mano.

Elizabeth, non pensare.

Quel Se prese forma nonostante il rifiuto di dar forma alle parole nella mia stessa mente.

Piansi ancora.















- - - - - - - - - - - - 





Told ya.
Vado a nascondermi in un angolino.



 
  
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