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Autore: annalisa93    29/05/2017    0 recensioni
Questa storia non è mia, ma di una mia amica, il suo profilo ufficiale lo trovate su wattpad : https://www.wattpad.com/user/ChiBa93
GENERE: sentimentale, thriller, mistero, psicologico, urbanfantasy.
Diciassette ragazzi.
Diciassette anime diverse, ognuna con il proprio passato, con le proprie fragilità e con le proprie aspettative per il futuro.
Diciassette cuori destinati ad incontrarsi e a scontrarsi.
Diciassette persone che si ritroveranno ad indagare su una serie di misteriose scomparse e sull'inquietante morte di una giovane liceale, avvenuta quarant'anni prima.
N.B: Questa storia è una light novel, ovvero un romanzo con illustrazioni in stile manga
Genere: Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Oslo, 9/12/08, ore 6.00

Non ce la faceva più, non era sicuro di poterla trattenere ancora. Doveva scendere dal letto e andare in bagno. Niente di più facile. Ma per lui, pigro come pochi, era come andare a scalare l'Everest. Non voleva abbandonare il calore che il suo corpo si era costruito sotto le coperte. Al tre mi alzo S'impose. Dopo aver contato fino a tre, in un lampo scostò le coperte, si mise a sedere, indossò le pantofole, si alzò in piedi e fece uno scatto fino alla porta. L'aprì. Non sono sicuro di essermi svegliato pensò non credendo a ciò che stava vedendo. Si tirò un pizzicotto sulla guancia e costatò di aver provato dolore. Quindi non si trattava di un sogno, però non riusciva a capire. Non era nel corridoio di casa sua, era nella stanza di una ragazza, ma non si trattava della camera di sua sorella. Era completamente buia. Dedusse che si trattava della camera di una ragazza dal profumo di pulito, di buono, che poté respirare , un profumo che camera sua non aveva mai conosciuto.

«Ti prego aiutami...» Quelle parole gli giunsero alle orecchie come un soffio.

«Chi è là?» Domandò lui.

«Ti prego...» Guidato dalla voce riuscì a muoversi, seppur con difficoltà, nel buio della stanza.

«Parlami. Ho bisogno di sentire la tua voce per venire da te!»

«Come ti chiami?» Gli domandò lei.

«Luke.» L'aveva già raggiunta. La stanza non doveva essere molto grande. «C'è buio qua. Come posso avere un po' di luce?»

«Alla tua destra c'è la mia scrivania, sopra ci sono una candela profumata e un accendino, accendi la candela e mettila pure qui per terra.» Il ragazzo obbedì, ma gli ci volle un po' per accendere la candela. Al buio non era facile. Quando finalmente ci riuscì appoggiò la candela per terra. Poi alzò lo sguardo. I suoi occhi si spalancarono dallo stupore. Di fronte a lui era seduta una ragazza bellissima, con indosso una camicia da notte bianca, di stoffa finissima, dalla quale trasparivano le forme sensuali e innocenti del suo corpo. I capelli lunghi, lisci e sottili erano di un lucente color nero, su cui la candela lanciava riflessi dorati. I suoi occhi brillanti e scuri trasmettevano timore, angoscia.

«Aiutami...» Ancora una volta dalle labbra rosse e carnose uscirono le stesse parole. Luke non capiva perché dovesse aiutarla. Continuava a guardarla, rapito dalla sua figura. Solo dopo alcuni minuti, abbassando lo sguardo, comprese. Vide delle catene stringerle le caviglie.

«Chi ti sta tenendo prigioniera?» Luke si piegò in avanti e le prese il piede, cercando di forzare le catene.

«Non lo so...» Il volto si velò di tristezza.

«Non ti preoccupare, ti libero io.» Questa volta ci mise più potenza. Nella sua voce c'era determinazione, ma niente da fare. Aveva bisogno di un qualche attrezzo, come quelli che aveva in camera sua. Forse riesco a tornare in camera mia a prendere i miei attrezzi; in fondo sono arrivato qua semplicemente aprendo la porta della mia stanza, magari funziona anche al contrario. Senza pensarci due volte si alzò in piedi con l'intenzione di raggiungere la porta, ma la ragazza lo prese per la mano.

«No, non te ne andare! Ti prego resta con me!» Lo tirò con tale forza da costringerlo a sedersi di nuovo. Poi si mise in ginocchio e con una mano andò ad accarezzargli la guancia. «Abbracciami, ne ho bisogno.» Gli sussurrò. Luke, che non si aspettava una richiesta del genere, in un primo momento sgranò gli occhi, ma poi comprendendo la solitudine che la ragazza doveva aver provato, decise di accontentarla. L'abbracciò. Lo fece con dolcezza, cercando di farla sentire al sicuro. Mentre con una mano la teneva stretta a sé, con l'altra iniziò ad accarezzarle i capelli. Lei strinse fra le mani la maglia del pigiama di Luke e si lasciò andare ad un pianto liberatorio.

«Non ti preoccupare, ti libererò.» Le assicurò Luke, gli occhi si incendiarono di determinazione.

«Promettimelo.» La ragazza alzò la testa mostrando gli occhi lucidi.

«Te lo prometto.» Più guardava quegli occhi più sentiva che avrebbe perso presto il controllo. Non riusciva più a resistere, quelle labbra sembravano chiamarlo. Messo alle strette dal suo istinto, prese fra le mani il viso della ragazza e la baciò. Lei non sembrò ritrarsi, anzi ricambiò. Il suo profumo lo inebriò, gli penetrò la pelle, gli perforò il cuore, in un attimo. Poi all'improvviso la luce si spense e come per magia tutto finì. Non sentiva più il corpo della ragazza sotto le sue mani, non percepiva più il suo profumo. Era nel suo letto.

Sentì lo stridio delle tende che venivano scostate, un rumore assordante alle 7.00 di mattina.

«Luke! Alzati!» La voce della sorella gli parve uno squillo di tromba

 

 

«Luke! Alzati!» La voce della sorella gli parve uno squillo di tromba.

«Ma che fai! Sei forse impazzita?» Domandò il ragazzo, ancora stordito.

«Tuo padre ti vuole parlare!»

«Arrivo...Dammi almeno il tempo di cambiarmi.» Luke fece uno sbadiglio profondissimo.

«Bene, fra cinque minuti vieni giù.»

«Sì, va bene Margareth...» Intanto si mise a sedere sul letto e si stropicciò gli occhi. «Mi dici perché hai scostato le tende se sai perfettamente che fuori è buio?» Domandò con la voce impastata dal sonno.

«Non ci posso fare niente, è la forza dell'abitudine.» Sorrise. «In fondo, sono appena tornata! Dammi il tempo di riabituarmi al caro vecchio clima norvegese!»

«Già, hai ragione...» Luke ricambiò con un pigro sorriso.

«Io vado giù. Tu fai presto, mi raccomando.» Aggiunse Margareth.

«Va bene...»

Quando Margareth se ne fu andata, chiudendo la porta, Luke tirò un lungo sospiro e ripensò al sogno che aveva fatto. «Chissà se la rivedrò... Era una ragazza così bella... Magari... Magari non è solo il frutto della mia mente... Magari esiste davvero. E devo liberarla». Ancora nel cuore e nella mente erano impresse le sensazioni che aveva provato in sogno.

«Ah! Perché papà mi ha svegliato così presto! Ho sempre sonno, io!» Luke era assonnato e, ancora con addosso il pigiama a righe nere e argento, i capelli biondo-dorati arruffati e gli occhi grigi semichiusi, stava percorrendo il corridoio dalle pareti in metallo fino a che non giunse di fronte a una porta in piombo. Poggiò la mano sul monitor a fianco.

«Buongiorno signor Skarsgård.» La porta si aprì, lasciandolo passare.

«Finalmente, Luke.»

«Buongiorno papà...Mi dici perché cavolo mi hai svegliato a quest'ora?» Domandò furioso il ragazzo, mentre prendeva posto accanto a Margareth.

«Devo affidarvi una missione a cui parteciperete entrambi.»

«Di che si tratta?» Chiesero i due incuriositi.

«Dovrete andare a Lucca.»

«In Italia?» I due non credettero alle loro orecchie.

«Proprio così.» Rispose lui secco. «Partirete stasera.» Il signor Skarsgård guardò i volti meravigliati dei figli. «So che avrei dovuto avvisarvi prima, ma è una faccenda improvvisa e piuttosto urgente.»

I due ragazzi diventarono seri. «E cosa dovremmo fare una volta arrivati là?» Domandò Luke.

Il padre estrasse delle foto dal cassetto sotto la scrivania e le allineò sul tavolo. «Dovrete rintracciare questi ragazzi, memorizzate bene i loro volti...»

«Ma sono tutti insieme?»

«No, ma lo saranno presto.»

«Come fai a dirlo con tanta sicurezza?»

«È inevitabile.» Disse, poi fece una pausa. «È nella loro natura, è il loro destino.» Spiegò, guardando Luke dritto negli occhi. «Ah...Per questa missione dovrete portare con voi anche la nonna.» Puntualizzò.

«Eh! Perché?» Luke e Margareth erano sorpresi. «Come potremmo portare a termine il nostro compito con lei fra i piedi? Sai che ha bisogno di essere tenuta sotto controllo.» I due ragazzi cercarono di far ragionare il padre.

«Lo so, ma fidatevi. Fate quello che vi dico.» Il suo tono era fermo e deciso, sapeva quello che faceva.

«Va bene.» A Luke non restava che fidarsi e obbedire.

«Mi raccomando, conto su di voi.»

Luke e Margareth annuirono. «Non te ne pentirai, vero Maggie?» Aggiunse il ragazzo rivolgendosi alla sorella.

«Certo... Ma non mi chiamare così!» Rispose lei, infastidita.

«Oh, scusami sorellina!» La canzonò lui.

Lei alzò la mano pronta a tirargli uno schiaffo, ma la voce del padre la trattenne. «Ragazzi! Smettetela.» Ordinò lui con tono autoritario. I ragazzi si ricomposero in silenzio.

«Un'ultima cosa...» Tirò fuori una busta dal cassetto della scrivania e la consegnò a Luke. «Aprila dopo con calma.» Estrasse poi un fermaglio-gioiello e un diadema da principessa e le porse rispettivamente a Margareth e a Luke.

«Questi oggetti sono vostri e non potete cederli a nessuno. E soprattutto non dovete gettarli nella spazzatura.» Alle orecchie dei ragazzi l'affermazione del padre suonava alquanto strana, bizzarra.

«Ma papà... E allora cosa dovremmo farci con queste? Giocarci?» Luke era perplesso. «Non siamo mica dei bambini!»

«Ha ragione, papy, questo fermaglio va bene per la bambina a cui faccio da baby-sitter!»

«Ma no, cara, guardala bene, qualunque colore diventi starebbe bene sui tuoi capelli belli neri: esiste o no il detto il nero sta bene con tutto?» Disse lui, cercando di sdrammatizzare, perdendo quel tocco di professionalità e rispettabilità che l'aveva contraddistinto fino ad allora.

«Papà, ma non dire scemenze!» Gli urlarono i due fratelli indignati.

«E io cosa ci dovrei fare con questa corona da principessa?» Chiese Luke.

«Se non la vuoi, puoi regalarla alla tua ragazza!»

«Papà... Io non ho una ragazza e anche se l'avessi di sicuro non avrebbe sei anni!» Luke si voltò in direzione della sorella in cerca di supporto. «Meg, aiutami...»

«Ora papà hai davvero superato il limite! Si può sapere a che gioco stai giocando?» Meg sentiva che avrebbe sbottato da un momento all'altro. Il padre non rispose e a quel punto i due ragazzi, presi da un'ira incontrollabile, fecero marcia indietro e uscirono dalla stanza, lasciando che la fredda porta di metallo si chiudesse alle loro spalle. Una volta che le voci adirate di Margareth e Luke furono un brutto ricordo per la quiete di quella stanza, il signor Skarsgård tornò ad essere l'uomo serio e responsabile di sempre. «Ragazzi, scoprirete presto a cosa serviranno quegli oggetti che voi considerate inutili... Neppure voi potrete sfuggire alla vostra natura e al vostro destino.» Affermò guardando il suo riflesso sulla superficie nera e liscia della scrivania.

Lucca, 12/12/08, ore 12.00

Era una fredda giornata d'inverno e il Sole splendeva pallido nel cielo azzurro, mentre le bianche e soffici nubi si muovevano lentamente. La città era ricoperta da un manto spesso di neve, una moltitudine di piccoli coriandoli di ghiaccio luccicavano colpiti dai raggi del Sole. Chiunque fosse passato di lì avrebbe avuto l'illusione di vedere una distesa ricoperta da morbido cotone bianco, investito da una pioggia di porporina dorata. Un buon profumino stava riempiendo l'aria. Proveniva da un ristorante.

Un uomo, Jenzaburo Akagi, stava cucinando del buon ramen, stava cucinando per un cliente invisibile. Il ristorante era vuoto, ma tanta era la voglia di lavorare che avrebbe cucinato per un esercito intero, senza guadagnare un euro.

«Uffa... Quanto vorrei che entrasse qualcuno! Mi sento così solo!» Esclamò sconsolato. «Oggi fa talmente freddo che nessuno ha voglia di uscire!» Osservò. «Speriamo che alla fine qualcuno riesca a mangiare questo ramen squisito!» Non fece in tempo a finire la frase che sentì la porta del locale aprirsi.

«E' permesso?» Il volto di Jenzaburo s'illuminò. Le sue preghiere erano state ascoltate. Un giovane ragazzo si avvicinò al bancone.

«Buongiorno, è lei il Signor Akagi?»

«Sì. Desidera?»

«Devo consegnarle un pacco e una lettera.»

«Ah...» Si poteva leggere chiaramente la delusione sul volto dell'uomo. Jenzaburo, però, tentò di camuffare questa delusione prendendo il pacco con fare indifferente. Per curiosità, poi, rigirò la busta fra le mani e fu colpito nel vedere che il francobollo era russo. La lettera era stata inviata da un certo Aleksej Bashmakov. In quel momento la contentezza e lo stupore si amalgamarono in un sentimento fortemente espresso dai suoi occhi sgranati.

«Non ci credo! Sono anni che non ho più sue notizie! Mi domando quale sia il motivo che l'ha spinto a scrivermi dopo tutto questo tempo.» Senza indugiare ulteriormente aprì la busta, con dita tremanti ne tirò fuori una lettera, la spiegò e la lesse. Rimase agghiacciato dal contenuto, il suo cuore si fermò per un millesimo di secondo. Dopo alcuni minuti passati in uno stato di trance, si riprese lentamente e sempre un po' scosso allungò la mano per aprire la scatola che aveva precedentemente appoggiato sul bancone. Il pacco era destinato alla signorina Emily Akagi. Una volta tolto lo scotch, alzate le alette superiori del contenitore marrone, vide che al suo interno c'era un astuccio di velluto azzurro. Jenzaburo, con il cuore che gli balzava in gola, l'aprì e rimase abbagliato da una luce accecante. Un collier di diamanti e zaffiri era sistemato sul cuscinetto di spugna, color argento. «Wow!»

Esclamò, e con lui anche il postino. Subito, però, Jenzaburo si fece cupo No... Non posso farlo... Se potessi lo rimanderei indietro... No... Non posso dirglielo ora e non posso darle questa collana di inestimabile valore. In fondo è solo una ragazza di diciassette anni... L'uomo si chiuse in un silenzio meditabondo, mentre il postino lo fissava con aria interrogativa. Poco dopo il signor Akagi riuscì ad uscire da quel turbine di pensieri e con voce sicura comunicò la sua decisione. «Ora so cosa devo fare. Le dirò tutto quando saranno insieme.

«Bene. Visto che qui il mio lavoro è terminato, io me ne vado. Buona giornata signor Akagi!» Il ragazzo stava per varcare la soglia, quando Jenzaburo lo fermò.

«Ragazzo ti andrebbe un bel ramen per riscaldarti corpo e anima in una fredda giornata d'inverno?»

«Veramente... E' proprio quello che mi ci vuole!»

«Allora che aspetti, siediti!» Gli disse il padrone del locale passandogli una scodella di brodo fumante.

Angolo annalisa93
Ciao a tutti! Speravo di aggiornare prima ma l'altra settimana sono stata impegnata con la fine dell'università :D Vi volevo avvisare che la prossima sarà l'ultima parte del prologo e poi iniziamo con i capitoli, ma state tranquilli ce ne sono già molti scritti! I disegni sono stati realizzati dall'autrice con una sua amica :)
Ricordo che il suo profilo ufficiale è su wattpad :
https://www.wattpad.com/user/ChiBa93
Ringraziamo tutti quelli che sono passati a dare un'occhiata, se vi va fateci sapere cosa ne pensate :)
Un bacio e a presto!
   
 
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