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Autore: MissdontMissaWord    29/05/2017    1 recensioni
Questa è una storia d'amore. Ma non è soltanto una storia di fidanzati, è anche una storia di amici. È la storia di Emily, ma non solo. Un'estate all'insegna di novità per cinque adolescenti che hanno molto da imparare. L'amore. La sincerità. L'umiltà. Il perdono. La crescita.
Emily non ha mai vissuto più di quattro mesi nello stesso luogo, ma ora starà a Derry, Irlanda, per un anno intero! Le cose iniziano a cambiare quando incontra nuovi amici, e si rende conto di non aver mai vissuto davvero...
DAL TESTO: "Non era la prima volta che lo vedevi baciare un'altra." si rimprovera "Cosa ti è preso?" Spera solo che le labbra di quella ragazza l'abbiano distratto abbastanza da non vederla fuggire. Si alza silenziosamente dal letto e scende in cucina. È appena passata l'alba, ma è sabato mattina e se lo conosce abbastanza – e lo conosce abbastanza – non è ancora andato a dormire. Quindi scorre la rubrica e si ferma sul suo nome: ha decisamente bisogno di sentirlo. Sebastian.
TRAILER: https://www.youtube.com/watch?v=rkwaH9p0c8Q
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Enter: April 22nd, 2017 – Listening to: Home (Phillip Phillips)

Il regalo del padre, al suo ultimo compleanno, era stato un orologio. Un orologio da polso di quelli vecchi, vecchissimi, le cui lancette si muovono a scatti e andranno sempre indietro, anche regolandoli ogni giorno. Ma Emily a quell'orologio tiene molto: apparteneva a sua madre, quella sconosciuta. È morta mettendola al mondo, e di lei Emily può ravvisarne solo i lineamenti, grazie a qualche foto vista in giro. Ma Emily non è triste: non rimpiange una presenza mai esistita.
Tic. È sopravvissuta al primo minuto.
Emily ha questa convinzione: se non muore nel giro di un minuto da quando mette piede in una nuova città, non potrà accaderle nulla di brutto. O tragico, perlomeno. Ha sempre amato viaggiare, sin da piccola. Forse perché l'essere umano ha una natura abitudinaria, ed Emily ha l'impressione di non aver fatto mai nulla di diverso nella sua vita. Ma ora è stanca, ed ogni viaggio diventa più brutto del precedente. Appena diciassette anni di vita, e può tranquillamente affermare di aver visto le più grandi città d'America.
È nata ad Avondale, in Arizona, ma preferisce sempre dire Phoenix perché comunque sa che nessuno saprebbe dove si trova la sua città natale. Dopo di che, si è trasferita a Norfolk, in Virginia. E con dopo, si intenda un paio di mesi. E dopo ancora, Seattle, Madison in Wisconsin, Sacramento, ed un'altra infinità di città in cui Emily, a questo punto, preferirebbe non essere mai stata.
Poi è passata all'Europa, e questa è la prima tappa. Quanto durerà questa volta? Un paio di settimane? O addirittura qualche mese? Derry. Non l'ha nemmeno mai sentita nominare. Nord Irlanda, non troppo lontana dal mare.
Ma niente di ciò la interessa. Nulla renderebbe una città degna di nota. Non ha senso, pensa Emily, legarsi ad un posto: se ne andrà comunque. Ed è così che vive Emily, da sempre. Nessuna radice, amicizie effimere, pioggia sentita sulla pelle che si può fingere una lacrima.
Un altro minuto passa, ed è strano come in un aeroporto anonimo il tempo conti così tanto. Come in qualsiasi momento della vita il tempo conti così tanto. Ad Emily viene sempre in mente la vicenda di Romeo e Giulietta, che si sono persi per qualche minuto di incongruenza delle azioni. E poi pensa che sia strano come piccole porzioni di tempo, semplici momenti, possano essere l'attimo di respiro prima di un cambiamento enorme. O almeno, così dicono.
Ma, senza che ne abbia consapevolezza, è proprio questo l'ultimo momento prima che la vita di Emily cominci a cambiare. La ragazza sta lì, sola, in mezzo ad un aeroporto affollato. I jeans neri, una felpa grigia. Il cappuccio in testa a proteggerla dal mondo.
L'orologio continua a ticchettare, ancora e ancora. Sente la voce amata e familiare del padre urlare il suo nome. Si gira: l'uomo la sta raggiungendo con le valigie quando il suo cellulare suona. Tic. Sono le 12.12 . Emily sbuffa, si volta e coglie di sfuggita un ragazzo poco più alto di lei che corre come un pazzo verso lo sportello d'imbarco. Ha i capelli biondi spettinati dalla corsa, il volto rosso, il fiatone. Potrebbe aver corso per ore. Si ferma, osserva scattante i dintorni. Ed ecco il contatto di occhi: una ragazza dai capelli castani si volta, lui le corre incontro. Si baciano appassionatamente, tanto che Emily si sente in imbarazzo anche in quel luogo gremito di persone che vengono o vanno. Lei non ha mai avuto un ragazzo, ma in momenti così pensa che le piacerebbe. Avere qualcuno da amare, o perlomeno sapere cosa vuol dire. Camminare mano nella mano con qualcuno, magari per i corridoi della scuola, è sempre stato uno dei suoi desideri più intimi. Si sente sciocca perché probabilmente è l'unica persona al mondo a cui importi qualcosa. O a volte si sente male, in colpa, perché qualcuno potrebbe pensare che un ragazzo sia solo un mezzo per sentirsi apprezzata, o per sentirsi meno sola. Quindi lascia perdere i sogni che le fanno brillare gli occhi, ignora il groppo che si insinua nella gola e si comporta come se non le importi, “ah, sì, nella scorsa città ho avuto una storia finita male ed ora voglio prendermi una pausa”.
Perché è questo che Emily fa, mente. Su chi lei sia in realtà, perché non ne ha idea. Su sua madre – ad esempio – che è dottoressa a New York e salva persone da mattina a sera. All'inizio era una fantasia di come lei stessa avrebbe voluto diventare, e una scusante per non ammettere che sua madre era morta, cosa che l'avrebbe portata ad essere guardata con pietà, ma col tempo quella madre fantastica era diventata parte integrante dei suoi giorni e si era annullata ogni distanza tra finzione e realtà. Si inventa storie per immaginarsi una vita, per vivere almeno in qualche modo. Ma come fa per ogni primo minuto in un nuovo luogo, si è promessa di cambiare, questa volta. Di essere onesta perfino respirando. Cerca di non pensare che ha già fatto questo proposito troppe volte, senza rispettarlo.
Suo padre chiude la chiamata e riprende a camminare verso di lei.
Quando tutto sta per cambiare raramente si riceve un avvertimento. Sono quei secondi della vita quotidiana riguardo cui solo guardando indietro è possibile dire: “Ecco qui: quella è stata l'ultima volta che le cose erano come prima, perché l'attimo successivo tutta era già cambiato.”
Emily di avvertimenti ne riceve, ne riceve eccome. Suo padre cammina più frettolosamente, ma è una fretta serena, e se alzasse un attimo lo sguardo potrebbe vedere che sorride in un modo del quale non ha memoria. Poi si accorge dell'apatia che ormai caratterizza la figlia, e decide di attendere almeno il giudizio spinoso che darà alla nuova dimora.

Non è una di quelle abitazioni che hanno l'odore di casa. Non lo è mai. Emily abbandona la valigia a fianco di quello che sarà il suo letto, e aiuta il padre a sistemare l'oggettistica. Non che quella casa abbia qualcosa di male, pensa, ma è così impersonale. Lo è sempre. Un nuovo luogo in cui abitare, ma a cui nulla la lega. Non ha mai avuto quei ricordi da "questo è il luogo in cui..." perché nei luoghi in cui non ci è mai tornata. Distacco totale, apatia. Sono soltanto lei e John. Ma spesso l'amore di un padre si dà per scontato. Per Emily non c'è mai stato luogo, o persona, a cui si sentisse legata, in cui si sentisse sé stessa. Fingere sempre, una serie di menzogne innocenti per non ammettere la solitudine che in realtà le devasta l'animo. L'ex ragazzo, quello della storia importante, la migliore amica con cui ovviamente si tiene in contatto, la madre distante per lavoro che però la ama da impazzire. Nulla di ciò è reale. Ma queste illusioni ogni tanto le annebbiano la vista e il cuore, e pretende di crederci anche lei.
«Ascolta, Em...» l'apostrofa il padre «siediti, devo dirti una cosa.»
Quando il padre termina di spiegarle che sì, finalmente, potrà chiamare quel luogo casa per un anno e mezzo, fino al suo diploma, Emily non sa cosa pensare. È come se finalmente vedesse la luce. Quella luce verde di speranza, il prospetto di un futuro migliore. "Già," pensa "peccato che per Jay alla fine non sia finita molto bene." È inutile illudersi. Va bene, trascorrerà l'ultimo mese nella stessa scuola in cui si ritroverà l'anno dopo. Ma, riflette, ormai le cose possono davvero cambiare? A volte si sente troppo aggrovigliata nelle sue stesse bugie per tentare di vivere una vita vera. L'apatia che l'ha fatta chiudere a riccio – le è sempre piaciuto immaginare fosse una buona metafora per il suo spirito – non le permette di risvegliarsi. Non ritirerà gli aculei: se lo facesse, ci sarebbe soltanto sofferenza. È già successo troppe volte. Come quella volta che la sua... – amica? – Jane le regalò quel meraviglioso vestito per il suo compleanno. Avrebbe dovuto indossarlo al ballo di fine anno. A cui il fratello della ragazza avrebbe voluto assolutamente invitarla. C'era quasi arrivata, e si era illusa. Poi suo padre aveva firmato un nuovo contratto e l'inchiostro aveva annerito i suoi sogni. "Mai più" si era promessa.

  
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