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Autore: ImperioMagicum    29/05/2017    1 recensioni
La leggenda di un antico albero magico che porto la gioia in un villaggio nordico grazie al dono della Ragazza Misteriosa. Una storia la cui origine si perde nei secoli: invenzione o realtà?
Storia ispirata dalle persecuzioni dei culti pagani nell'alto medioevo. Un Dio che porta a distruggere qualcosa di buono non è certo un buon Dio, anche se più che sua la colpa è di chi non comprende la differenza tra Dio e Diavolo.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'Albero Sacro

Per secoli e secoli l'Albero Sacro della tribù dei \ aveva offerto riparo ed aiuto al villaggio di senza chiedere nulla in cambio. Si diceva che le sue origini fossero molto antiche e misteriose. Una leggenda narrava che molto tempo prima quella regione, situata all'estremo nord fosse fredda e gelida per sei lune all'anno, con un vento che congelava ogni essere vivente stesse all'aperto la notte, uomini ed animale. Durante questo lungo inverno il terreno si impregnava di ghiaccio e non vi poteva crescere nulla se non qualche lichene o muschio, l'unico cibo che si poteva dare agli animali o, quando la situazione si faceva disperata, li si bolliva e ne si beveva il brodo amaro e puzzolente. Anche la carne delle bestie si impregnava di quel fetore e diventava stopposa e secca se macellata durante quel periodo.

Durante le altre sei lune invece tutta l'acqua sembrava sparire e vi era una tremenda siccità. L'erba si seccava e diventava sabbia, sabbia che il vento trasportava per tutto il villaggio e accecava gli abitanti. Per coltivare si doveva irrigare con acqua trasportata per decine di leghe, con l'ausilio di brocche pesanti ed asini dalla schiena curva. Vi erano improvvisi temporali durante quei sei mesi, dove i fulmini cadevano indiscriminatamente e l'acqua era torrenziale, ma solo per pochi minuti, poi si asciugava e lasciava tutti i detriti delle frane che aveva provocato ad essere spalate dai poveri abitanti del villaggio.

Ma nonostante tutto la tribù dei continuava imperterrita a lavorare, sudare, coltivare, far pascolare gli animali ed a sopravvivere. Con qualche accorgimento potevano riuscire a sfruttare il breve passaggio tra la stagione invernale e quella estiva, dove per pochi giorni quei luoghi erano abitabili, ma per quelle persone si trasformavano nel paradiso terrestre abituati com'erano a soffrire la sete e la fame. Per poco tempo godevano di erba verde, un terreno adatto ad essere coltivato, dell'acqua che non si congelava ne evaporava. E per poco tempo si riempivano di gioia: cantavano, ballavano, raccontavano storie, creavano disegni del paesaggio, ai loro occhi paradisiaco ed erano felici.

Fu proprio alla fine di questo periodo che arrivò lei. Una ragazza bellissima, di pelle lattea, capelli lunghi biondi e lo sguardo buono e gentile. Entrò nel villaggio, sotto lo sguardo di tutti che erano estasiati e sorpresi di vedere una ragazza comparsa li all'improvviso, in un paesino in mezzo al nulla, in un abito lungo fino a coprirle i piedi, di un azzurro e bianco. Come poteva essere arrivata laggiù con quegli abiti?

Ella percorse tutto il villaggio sino alla piazza principale, uno spiazzo di terra secca in cui di solito si raccoglievano a fare dei falò. Mise una mano tra le pieghe della sua veste e ne ricavò un minuscolo, piccolo, seme. Si piegò, fece un buchetto nel terreno, lo mise al suo interno e coprì con la terra. Si rialzò, e andò verso una pozzanghera che si fece improvvisamente limpida appena i suoi piedi la toccarono. Chiuse gli occhi e lentamente ne venne inghiottita lasciando tutti increduli. 

Pensarono inizialmente, quelli presenti, di essere stati vittime di una specie di allucinazione collettiva, magari dovuta a del cibo marcio, o a qualche alcolico, o a qualche polline portato dal vento. Ma si ricredettero immediatamente. Dal luogo dove era stato piantato il seme spuntò in poche ore un germoglio, che il giorno dopo aveva dato origine ad una piantina alta un metro con decine di foglie. In una settimana il fusto era diventato legnoso e dal diametro di quattro pollici, la pianta cresceva a vista d'occhio, senza nemmeno bisogno di acqua. E non solo l'albero sembrava stregato, ma anche tutto il paesaggio sembrava cambiato. Il sole non scaldava più come prima, era più delicato e non seccava il terreno. Le piogge non erano più torrenziali, ma lievi e permettevano di irrigare i campi senza bisogno di trasportare l'acqua dai territori vicini. Per la prima volta i raccolti furono abbondanti e tutto si riempì di fiori e di un buon odore di fieno, il fieno che finalmente gli animali poterono assaggiare. 

Arrivò poi l'inverno, con ormai l'Albero che si era trasformato in un gigante di almeno dieci metri, con un fusto robusto di un metro di diametro, una bella chioma rigogliosa ed una corteccia forte. Anche i mesi freddi non furono più un incubo: il terreno si congelò solo raramente, non vi furono più bufere ma solo nevicate e si poté nutrire se stessi e gli animali con le scorte dell'estate. E fu così quell'anno, e l'anno dopo, e quello dopo ancora. E tutti nel villaggio curavano quel colosso gentile, il dono divino che aveva portato la perpetua gioia nella loro terra, lo potavano, lo innaffiavano, lo liberavano dai parassiti. E passarono gli anni, i decenni, ed i secoli...

Ma arrivarono tempi in cui i territori dove era situato il villaggio venne sconvolto dalle guerre, dopo che un grande impero del sud venne sgretolato dall'avidità e dalla brama di potere dei suoi abitanti. Il villaggio riuscì a salvarsi da tutto questo grazie al luogo isolato in cui si trovava, ma un uomo lo scovò. Aveva un nome strano, probabilmente straniero, ed indossava un abito da sacerdote. Diceva di essere venuto, insieme ad alcuni altri uomini, per diffondere il messaggio di una religione strana e per un po' fu ben accolto assieme ai suoi.

Offriva aiuto a tutti, dava cibo gratuitamente ai più poveri del villaggio e leggeva delle cose scritte sul libro che aveva portato con se. I villici lo presero in simpatia per le sue azioni, sebbene non capissero bene ciò che veniva letto loro. Tuttavia quest'uomo si scoprì essere infastidito dall'Albero Sacro. Cominciò a dire che erano stati ingannati da qualche entità maligna, che quell'albero andava abbattuto e che bisognava costruire un tempio in onore delle divinità di cui parlava il suo libro. Era molto bravo a parlare e piano piano riuscì a convincere la maggior parte dei paesani a dargli la possibilità di abbattere il loro idolo. In verità tutti loro erano piuttosto scettici: non pensavano davvero che sarebbe stato in grado di distruggerlo e che in qualche modo sarebbe resistito.

L'uomo ordinò prima ai suoi uomini di prendere delle accette e di farlo a pezzi a partire dai rami più alti, per poi usare il legno per la costruzione del tempio. Ma ad ogni taglio di accetta la fatica era immane, il legno era durissimo e resistentissimo. Ci volle un'intera giornata di lavoro solo per rompere un ramoscello che, la mattina dopo, era misteriosamente ricomparso ancora più resistente di prima.

Non si diede per vinto: fece attaccare delle corde ai rami dell'albero ed ordinò ad i suoi uomini, con l'aiuto di alcuni muli, di tirare e cercare di sradicare l'albero, mentre lui tentava di disseppellire e rompere le radici. Ma fu tutto inutile, le radici erano fittissime e si espandevano per tutto il terreno del villaggio. Le corde si spezzarono e furono costretti a rinunciare persino a quello stratagemma.

Allora disperato e deciso a distruggere quel segno del Demonio una volta per tutte gli appiccò fuoco cospargendolo di paglia. Tutto l'Albero resistette per giorni alle fiamme ma alla fine, dopo una settimana, si era trasformato in cenere. Finalmente l'uomo poté costruire il tempio al posto di quell'albero satanico. Furono eretti i muri, il tetto, venne riempito tutto di panche e di un altare. La cosa particolare di quella costruzione Alla prima cerimonia erano presenti tutti gli abitanti del paese e l'uomo si accingeva a leggere come al solito il suo libro. 

Poi, improvvisamente, comparve dal nulla una ragazza bellissima, dallo sguardo buono ma in, quel momento, molto arrabbiato. Guardò negli occhi lo straniero e poi venne assorbita dal lucido pavimento di pietra. La terra iniziò a tremare sempre più forte e l'intonaco si staccava dalle pareti. Tutti accorsero fuori, tutti tranne lo straniero che restò a maledire quella ragazza con tutte le sue forze, dicendo che non poteva far crollare il suo tempio.

Ma aveva torto: dal terreno comparvero le radici dell'albero che presero foglie e fecero dei rami che spaccarono ogni muro, divelsero le panche e, quando entrarono in contatto con gli oggetti che lo avevano sostituito, fece loro prendere fuoco sino a diventare polvere. Così il tempio crollò sopra quell'uomo che capì solo prima di morire che il Diavolo a volte non è fuori ma dentro di noi. 

Le ceneri del tempio diedero nutrimento all'Albero che era tornato al suo posto, gli uomini dello straniero fuggirono e al villaggio tornò il sereno. Sulla corteccia vi si trovavano ora incisi delle parole in lingua antica: “Hecrs tex exi dur meo lineo” che tradotti vogliono dire più o meno: “Esistono teste e cuori più dure del mio legno”.

   
 
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