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Autore: Najara    30/05/2017    5 recensioni
Un cappio si sta stringendo attorno al collo di Lena, il destino della Luthor Corporation, ora, è nelle sue mani, la sua libertà è finita, il suo destino tracciato. Kara sente quel cappio come se il collo fosse il suo, perché e com'è possibile?
Kara e Lena: due persone, due menti, due entità distinte, destinate, però, a vedere il loro destino intrecciarsi, così come a intrecciarsi sono le loro menti.
Un'avventura SuperCorp.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XV-439

 

 

Sensazioni

 

Supergirl sfrecciò nel cielo, ruotò su se stessa e tornò indietro, evitando con una rotazione le scaglie di metallo che l’alieno lanciava. Quando lo colpì il corpo del suo avversario risuonò come una campana e lei sentì un dolore sordo risalire come un fulmine dalle sue nocche fino alla spalla.

Strinse i denti e colpì una seconda volta, l’alieno fece un passo indietro, ma non sembrò risentire in altri modi della sua forza. Con un guizzo fu di nuovo in cielo. Se non poteva usare la forza allora doveva usare altre sue qualità, così concentrò il suo sguardo facendo appello alla vista calorifera.

L’essere non risuonava solo come il metallo, era anche di base metallica e infatti iniziò a urlare e, pochi istanti dopo, si arrese alzando le mani e chiedendole di smettere. Kara scese a terra con un sorriso soddisfatto e aiutò gli agenti DEO, accorsi sul posto, ad ammanettare l’ostile e a caricarlo su un camion che lo avrebbe portato in una zone di contenimento adatta a lui.

“Ottimo lavoro, Supergirl.” Gli disse il direttore nel suo auricolare.

“Grazie, J’onn.” Rispose, poi al cenno affermativo di Alex, a capo del gruppo di agenti DEO, spiccò il volo verso il cielo e sparì agli occhi di tutti.

In realtà si diresse verso casa dove atterrò qualche minuto dopo.

“Ciao, tesoro.” Sorrise alle parole di Mon-El che stava leggendo seduto sul divano, e si diresse in camera per indossare i suoi abiti da Kara Danvers. Avrebbe potuto usare la super-velocità, ma non lo fece. Sospirò mentre, lentamente, si toglieva il mantello, la gonna e gli stivali per sostituirli con pantaloni e camicia. Prima di indossare le scarpe si sedette sul letto e si massaggiò le nocche della mano destra.

Era strano, aveva una vita felice: come Supergirl riusciva sempre a vincere, come Kara aveva un lavoro che amava e nel quale si sentiva realizzata, aveva un fidanzato che l’amava e una sorella che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei… allora perché si sentiva così vuota? Perché si sentiva soffocare, come se attorno al suo collo si stesse stringendo un cappio?

Era da alcune settimane che quella sensazione la tormentava, ma oggi sembrava quasi toglierle il respiro.

Si alzò e si fissò allo specchio. Per un secondo, un brevissimo secondo, non fu il suo riflesso quello che vide, sbatté gli occhi e vi era solo lei, Kara Danvers. La donna dai bruni capelli era scomparsa.

Doveva essere stanca.

 

Lena Luthor si guardò nello specchio per l’ennesima volta. I capelli erano perfettamente in ordine, così come il trucco e il suo abito elegante. Era l’immagine della donna di successo, sicura di sé, forte e pronta a dominare il mondo. Quell’ultimo pensiero le fece storcere il naso, no, era una Luthor, era meglio se non esagerasse, lei voleva solo controllare la sua compagnia, quella era l’immagine giusta da dare in quel momento.

Tolse un invisibile granello di polvere dal suo polsino e poi si voltò con un sospiro, aveva ventiquattro anni e stava per prendere il controllo di una delle più ricche compagnie del paese, eppure non era felice, neppure un po’. Era così difficile credere che lei volesse solo tornare al suo laboratorio, ai suoi esperimenti, alla sua vita fatta di piccole sfide per cambiare il mondo? Da poco era riuscita a trovare qualcosa di promettente e…

“Miss Luthor?” Si voltò verso la segretaria, perché ora aveva una segretaria, e annuì.

Era pronta, doveva essere pronta. L’intero consiglio d’amministrazione la stava aspettando. Sapeva che volevano che prendesse le redini della compagnia ora che suo fratello era stato arrestato. Avrebbe dovuto condurre la Luthor Corporation oltre quel momento di grave crisi finanziaria e ridarle l’antico splendore. Era suo dovere, era una Luthor, l’ultima visto che sua madre era stata nel consiglio d’amministrazione di Lex e ora doveva tirarsene fuori se non voleva che la compagnia affondasse assieme al figlio.

“Signori.” Disse, entrando nella stanza e guardandosi attorno. Sentiva il cuore battere veloce, ma nulla nel suo aspetto indicava che era tesa.

Sorrise, annuì, strinse mani e dopo appena mezz’ora era la nuova CEO della Luthor Corporation.

Attorno al suo collo si era appena chiuso un cappio.

Prima ancora di accettare il nuovo ruolo aveva già preso numerose decisioni, una su tutte spostare la sede principale della compagnia. Aveva bisogno di un nuovo inizio.

Così, quel pomeriggio stesso, prese l’aereo e arrivò a National City. Una macchina la stava aspettando e la portò a casa. Lena osservò i grattacieli di quella nuova città con gli occhi persi, sentiva che avrebbe potuto solcare i cieli se solo avesse voluto. Scosse la testa a quel pensiero anomalo, lei odiava volare e per quel giorno aveva già fatto un volo di troppo.

Quando la macchina si fermò, scese, anticipando l’autista che voleva aprirle la porta, e salì gli scalini guardando la casa con un misto di piacere e dolore. Tra quelle mura aveva passato numerose vacanze, lì suo padre aveva saputo rilassarsi per qualche giorno, lontano dagli affari e da Metropolis, con Lex aveva potuto giocare, dimenticando la scuola e la rigida scaletta di impegni che entrambi avevano dovuto seguire, lì, persino sua madre era stata più morbida. Era la casa in cui l’avevano accolta per la prima volta a quattro anni e in cui aveva imparato a giocare a scacchi.

Una cameriera anziana, Catherine, ricordò, le aprì il ricco portone e la accolse con un sorriso.

“Bentornata a casa, miss. Ci è mancata.” Lena rimase sorpresa nel vedere il personale schierato nell’atrio, tutti con ampi sorrisi sulle labbra. Non si era aspettata una simile accoglienza.

“Grazie…” Riuscì a dire, leggermente commossa.

“La sua stanza è pronta, desidera qualcosa di speciale per cena?” Lena scosse la testa. “Il cuoco si chiedeva se le piacciono ancora…”

“Pizza.” Rispose. “Pizza hawaiana.”

“Pizza, miss?” Chiese il cuoco intervenendo, sorpreso. Lena sbatté le palpebre confusa, aveva avuto un intenso desiderio di pizza con l’ananas, ma era assurdo.

Rise e il personale la imitò, sorpreso dal fatto che avesse fatto loro uno scherzo.

“Qualsiasi cosa avete in mente andrà benissimo. Grazie.” Affermò alla fine.

Il meeting con il consiglio d’amministrazione e il viaggio dovevano averla stancata più di quanto immaginasse.

 

“Pizza!” Esclamò Kara entusiasta osservando Mon-El entrare con un cartone gigante.

“Mi sembravi un po’ giù, così ho pensato che questa avrebbe potuto ritirarti su.” Ammise con un sorriso, ruotando il pollice da giù in su e lei annuì afferrando lo scatolone e aprendolo, i suoi occhi confermarono ciò che il suo naso aveva già capito.

“La mia preferita.” Costatò.

“Non mi merito un bacio?” Chiese il ragazzo, ma lei si era già voltata verso la cucina per prendersi da bere e lasciò il ragazzo a stringersi nelle spalle.

“Mangi con me o devi andare?” Gli chiese, Kara, con una fetta già in bocca.

“Devo andare, mi aspettano al bar.”

“Buon lavoro e grazie per la pizza!” Le disse allora lei prendendo un altro boccone.

Rimasta sola Kara prese lo scatolone e il bicchiere di coca cola e si sedette alla finestra osservando il cielo e le stelle. Non lo aveva detto a Mon-El, ma aveva un profondo senso di nostalgia quella sera. Quel senso di oppressione non se n’era andato, anche se ora forse era mischiato a della rassegnazione, ma al tutto si era aggiunta la malinconia.

Finì la pizza e rimase, lì, immobile a pensare ai suoi genitori e al suo mondo, gli occhi puntati verso il cielo, verso Rao, la stella attorno alla quale aveva orbitato il suo pianeta.

Una lacrima scese lungo il suo viso e lei lasciò che le rigasse la gota.

 

Lena raccolse la lacrima e la osservò con sorpresa. Era nella stanza della sua gioventù, per tutta la serata non aveva potuto fare a meno di pensare a suo padre e a suo fratello, persino a Lillian che ogni tanto si era mostrata gentile verso di lei. Provava un’intensa nostalgia, come se essere di nuovo lì avesse acuito un sentimento che non pensava di provare. Era stata felice quando se n’era andata, perché ora si sentiva in quel modo?

Sfregò la lacrima tra i polpastrelli di pollice e indice, poi scelse uno dei pigiami dall’armadio, notando che le sue cose erano già state sistemate al loro posto, e si stese nel letto.

Per qualche ragione le nocche della mano destra le dolevano da un po’, le massaggiò per qualche minuto, poi chiuse gli occhi e si addormentò.

 

Kara aprì e chiuse la mano destra, Alex l’avrebbe uccisa se avesse scoperto che non le aveva detto quanto male si era fatta, ma il dolore stava lentamente passando ed era sicura che l’indomani sarebbe scomparso del tutto. Sperava che anche quella malinconia sarebbe scomparsa assieme al dolore. Si stese nel letto e chiuse gli occhi, pochi minuti e si addormentò.

 

Lena si guardò attorno con interesse.

“Ciao.” Mormorò una voce alle sue spalle e lei si voltò. C’era una bambina che guardava il paesaggio.

“Dove siamo?” Chiese. Ora anche lei era una bambina.

“Casa…” Disse soltanto la piccola. Aveva capelli lunghi e biondi e grandi occhi azzurri, tristi.

È bella.” Commentò, tornando a osservare la città. I grandi palazzi di vetro erano colorati di rosso dal sole, come al tramonto.

“Mi manca.” Bisbigliò la bambina e Lena si voltò osservando i lacrimoni scendere lungo quelle infantili guance.

“Lo so.” Ed era vero, sentiva un dolore sordo nel cuore. Era di nuovo grande quando prese tra le braccia la donna, perché ora anche la bambina era cresciuta.

La stretta sciolse il dolore nel suo petto e lei si sentì finalmente libera dall’oppressione che l’aveva condannata per settimane, da quando aveva saputo di Lex e di conseguenza del suo destino.

Sorrise e si sistemò meglio in quel tranquillo abbraccio.

 

Nel letto Kara si sistemò meglio, le lacrime si asciugarono sul suo volto, mentre il sogno sfumava e la sua mente si rilassava in un placido sonno.

 

Lena si spostò nel letto e le sue labbra sorrisero, mentre il sogno sfumava e la tensione della giornata spariva, lasciando spazio a un sonno ristoratore.

 

 

 

 

Note: Finalmente ho una nuova long pronta per voi. Ovviamente SuperCorp!

Non c’è molto da dire, questo primo capitolo introduce la situazione, come avrete notato gli eventi sono simili, ma non identici a quelli della serie. Sintetizzando vi è una traslazione negli eventi, Lena è appena arrivata a National City, ma Kara e Mon-El sono già una coppia e, vedremo, anche Alex e Maggie… detto questo, spero che questi primi accenni di trama vi abbiano intrigato a sufficienza da farvi desiderare un seguito.

 

Cosa ne pensate? Fatemi sapere!

 

La storia è completa, quindi, la velocità di pubblicazione dipende, come sempre, solo da voi! ;-)

  
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