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Autore: Sarasvati    31/05/2017    5 recensioni
Vicenda realmente accaduta.
Questa storia è nata spontaneamente, dopo aver ascoltato, con un nodo in gola, i racconti di mia nonna. Mi ha raccontato molte vicende, una più straziante dell’altra.
Genere: Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Novecento/Dittature
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N.d.a.
Questa storia è nata spontaneamente, dopo aver ascoltato, con un nodo in gola, i racconti di mia nonna. Mi ha raccontato molte vicende, una più straziante dell’altra, ma questa è forse quella che mi ha colpito di più, perché seppure lontanamente, mi sono immaginata ogni loro sentimento, riuscendo un minimo a percepirne l’angoscia e lo strazio. I nomi chiaramente non sono reali e alcuni elementi sono stati liberamente aggiunti da me, non avendo la possibilità di avere un racconto esatto dettagliato.
Buona lettura.

 
Neve bianca, sangue rosso.
 
Urlavano come animali mentre camminavano nelle strade buie e lo facevano apposta per far sentire ad ognuno che stavano arrivando.
Le mamme si precipitavano giù dai loro letti e correvano nelle camere dei bambini, stringendoli in seno come cuccioli da proteggere, a qualcuna una lacrima rigava le guance pallide, altre tremavano, altre ancora venivano colte da una rabbia inesprimibile. Gli uomini, dal canto loro restavano in piedi davanti alla porta, oppure con l’orecchio ad essa appoggiato, per poter ascoltare la direzione dei passi dei bastardi.
Non era difficile sapere esattamente a quale famiglia sarebbe toccata la loro visita, erano talmente euforici e assetati di sangue, che le loro risate si insinuavano in ogni angolo della città, e l’udito, che ormai si era abituato, era in grado di percepire a quale distanza fossero.
Eppure ogni singola persona tratteneva il fiato finché la quiete tornava a fare da sfondo a quel paesino di provincia.
Il massacro poteva durare minuti, così come poteva durare ore, e sebbene un diffuso sospiro di sollievo accomunava chiunque non avesse dovuto subirlo, i pensieri erano sempre rivolti a chi non era stato così fortunato.
Un padre di famiglia, un giovane che a malapena si era affacciato alla vita, il vicino di casa che fino a poche ore prima si salutava… avrebbero potuto prendere chiunque, in nome di quel tanto acclamato Fascio. In nome del Fascio stroncavano vite innocenti, strappavano bambini alle loro famiglie, uomini alle loro donne.
In quel piccolo paesino di provincia, nel nord Italia, ai piedi delle montagne, quella sera d’inverno era buia e fredda. Un unico palazzo svettava verso il cielo, circondato dalla campagna e la gente del posto era solita chiamarlo “Il Casermone” proprio per il suo essere imponente e grigio.
Era il gennaio del 1943, la neve aveva ricoperto i tetti e le strade, ma non era abbastanza per fermare quei bastardi, abituati a condizioni ben peggiori.
Le loro grida provenivano dalla strada principale, rispetto alla quale il Casermone si trovava spostato in una viuzza sterrata laterale, il rumore dei loro anfibi era attutito dal soffice e candido manto bianco sul terreno e l’inconfondibile canzone che intonavano come una preghiera, risuonava come fosse la colonna sonora del massacro.
 
La legge nostra è schiavitù d'amore, 
il nostro motto è LIBERTÀ e DOVERE, 
vendicheremo noi CAMICIE NERE, 
Gli eroi caduti liberando te!

 
Angela trasalì non appena sentì le voci avvicinarsi al Casermone, strinse il piccolo Giovanni guardando suo marito con gli occhi colmi di terrore, mentre lui, paralizzato al centro del piccolo salotto, fissava in silenzio la porta, pregando Dio che non bussassero alla loro.
Pietro era certo di non aver dato loro alcun motivo per accusarlo, ma era altrettanto consapevole che loro non sempre attaccavano per una valida ragione, anzi, lo facevano per lo più per mero divertimento.
Giusto pochi mesi prima, in un altro piccolo paesino, confinante con il suo, avevano prelevato un giovane, sotto gli occhi disperati della madre e della sorella, e l’avevano ucciso a suon di botte.
Angela sbatteva i denti, tremava e il suo corpo esile continuava ad essere attraversato da migliaia di brividi, mentre Giovanni piangeva con il viso affondato contro al suo petto, non riuscendo a sopportare quell’orrore che nessun bambino di 4 anni dovrebbe mai provare.
Pietro si voltò verso la sua bellissima moglie, facendo il possibile per celare la paura che velava i suoi occhi celesti, le si avvicinò e abbracciandola le sussurrò: “Non verranno dai noi, vedrai… devi stare tranquilla, non fa bene al bambino questo trambusto.”
Al bambino.
Non a Giovanni, ma a quel pargolo che ancora non era venuto al mondo, che nonostante fosse ancora nella sua pancia, non era affatto al sicuro e chissà che già non avvertiva il senso di terrore che dominava lì attorno.
Il rumore dissonante degli anfibi riecheggiava sulle scale e non dava segno di fermarsi.
Il cuore martellava nel petto di entrambi, Angela era andata in iperventilazione, mentre gli occhi smeraldini le si erano riempiti di lacrime. I passi si fermarono sul loro pianerottolo ed attimi di silenzio che parvero infiniti seguirono. I battiti feroci contro alla porta li fecero dapprima chiudere gli occhi, aspettando che la fine giungesse da un momento all’altro, poi si resero conto che non era alla loro che avevano battuto.
Respirarono a lungo, sollevati, si abbracciarono e stettero ad ascoltare le urla provenienti dall’appartamento accanto. Angela istintivamente premette le mani sulle orecchie del figlioletto, tentando di alleviargli il dolore e lo strazio che risuonavano come un’eco tremendamente vicina.
Ascoltarono il piccolo Giulio -così si chiamava il bimbo dei vicini- piangere, urlando “Papà! Papà!”, vennero pervasi dalle urla indefinite di Margherita, che implorava i bastardi di lasciare andare suo marito e un secondo dopo inveiva loro contro, piena d’ira.
Ogni manganellata, ogni percossa, risuonava nell’aria, finché il poveretto venne trascinato a forza giù per le scale, sparendo poi insieme a tutti loro lungo la viuzza.
Accertatosi che se ne fossero andati, Pietro aprì la porta, ed il suo sguardo intercettò immediatamente quello di Margherita, ancora in ginocchio davanti all’uscio spalancato, con le lacrime che le scorrevano sul viso e gli occhi svuotati di ogni emozione.
In cuor suo sapeva che non avrebbe più riavuto con sé il padre di suo figlio, l’uomo che aveva amato, ma che aveva osato giocare con il fuoco.
Un’altra giovane vita sarebbe stata stroncata quella notte, il suo sangue avrebbe macchiato il candore della neve: il sangue di un uomo il cui unico peccato era stato quello di non urlare “Viva il Duce”.
 
 
ANGOLO AUTRICE: Spero vivamente di essere riuscita a trasmettere ciò che ho provato nell’ascoltare la voce di mia nonna che ricordava questi momenti d’orrore. Non è stata lei in prima persona a viverli, ma una sua zia (a cui ho scelto di dare il nome Angela). Qualche mese dopo è nata una bambina, affetta da disabilità: non so se ciò che successe quella notte ebbe una qualche responsabilità o se sarebbe nata così indipendentemente da quello, e non lo saprò mai, ma anche solo immaginare ciò che hanno vissuto quelle persone, è straziante, tremendamente straziante.
“Questo solo è negato a Dio: disfare il passato.”
(Aristotele)
   
 
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