Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh! Arc-V
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Autore: tbhhczerwony    01/06/2017    0 recensioni
【sì, mi piacciono i backstage | yuya's pov】
dal prologo:
Appoggio le mie braccia sul banco e ci poggio sopra la testa, fissando la lavagna multimediale che stava sul muro davanti a me. Non riesco proprio a tenere gli occhi ben aperti, stanotte sono stato sveglio la notte a guardare Psycho-Pass e Terror in Resonance, quelle serie mi prendono fin troppo.
Chiudo gli occhi per qualche secondo e, dopo aver sentito dei passi, li riapro, vedendo dei miei compagni entrare.
«Yuya, già dormi?» ridacchia uno dei ragazzi.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Yuya Sakaki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Backstage'
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sì, lo so che ho già in corso due ff su due backstage (entrambi su bsd tra l'altro) ma io vorrei fare backstage un po' su tutto, capitemi. (tranne Pokémon, Pokémon è un caso a parte) in ogni caso spero che da questo prologhino (?) la ff vi possa piacere e che continuiate a seguirla! buona lettura e... cose.
 


00 - L'inizio di tutto

 
Mi chiamo Yuya Sakaki, ho tredici anni e frequento la prima media.
I miei genitori sono degli attori, e grazie a loro mi sono molto appassionato al teatro. Molti miei compagni di classe però, pensano che io sia strano; a volte mi dicono “ma sembri un punk! Ai punk non piace il teatro!”.
Quando dicono così non so mai se sorridere o sospirare dalla disperazione e, nel dubbio, faccio entrambi. Mi chiamano “punk” perché ho i capelli verdi e rossi, e porto dei vestiti abbastanza particolari – beh, non parlo di quando sono a scuola, anche perché abbiamo tutti la divisa scolastica – anche se in effetti, di solito mi apro la giacca in inverno mettendo in mostra la camicia che sta sotto – ma solo dalla divisa scolastica si può vedere il choker – o almeno, così lo chiamano le ragazze, io lo chiamo semplicemente “collare” – che porto al collo, che è nero e in pelle.
Sono sempre stato fan di serie TV e videogiochi, in particolare mi piace molto Yu-Gi-Oh. Mi ha intrattenuto molto dalla prima serie, quando c’erano i primi storici attori. Compravo le carte, ci giocavo con i miei amici, e spesso e volentieri recitavo la parte del protagonista quando giocavo.
Tutt’ora ho la passione per questo gioco, e molti miei compagni dicono che si vede perché “porti i capelli in modo strano”. Ma è semplicemente il mio stile, tutto qui.
Oh, e a parte Yu-Gi-Oh, adoro anche scattare foto. Ho una fotocamera digitale e una polaroid, ma quest’ultima la uso un po’ di più rispetto alla digitale.
Ora che ho finito di parlare di me, direi che posso raccontarvi la mia vita tramite… la mia mente. Sì, di solito mi piace fare così, anche se so che nessuno mi può “ascoltare” – se lo facessi ad alta voce, mi prenderebbero per pazzo.
 
Caspita, sono in ritardo per scuola!
Al solito, devo fare la solita corsa per la cucina, fare colazione in bagno mentre mi lavo e mi vesto, preparare la borsa mettendo roba a caso e fuggire fuori di casa correndo come un forsennato verso il tragitto per andare a scuola.
E, come di consueto, le ragazze che passano mi guardano strano… perché in realtà sono in anticipo. Guardo il mio telefono e vedo che sono solo le sette e mezza, così comincio a rallentare un po’ il mio passo.
Sospiro, pensando che magari può accadere qualcosa di bello, o qualcosa di avventuroso, come ad esempio consegnare un foglio al vice preside, tornare in classe, chiedere se posso andare in bagno – e ovviamente invece vado a fare una passeggiata o vado in palestra a vedere se ci sono altre classi – e avventurarmi per la scuola a vedere se succedono alcune cose.
Appena arrivato a scuola mi siedo nel muretto basso, poggiando la schiena sulla recinzione argentata, e sento anche dei ragazzi parlare tra loro.
«Hai sentito? Pare che Tateyama Yukio della 2-M abbia ricominciato ad attaccare briga con un ragazzo che cercava di difendere la sua amica».
«Davvero? Certo che è proprio uno che rompe molto…».
Sospiro nuovamente. Conosco quel ragazzo, spesso veniva anche da me accusandomi di cose che non avevo fatto. Fortunatamente dopo qualche minuto l’attesa finisce, e riesco ad entrare in classe – stranamente per primo – e mettermi comodo al mio posto, al terzo banco a fianco al muro.
Appoggio le mie braccia sul banco e ci poggio sopra la testa, fissando la lavagna multimediale che stava sul muro davanti a me. Non riesco proprio a tenere gli occhi ben aperti, stanotte sono stato sveglio la notte a guardare Psycho-Pass e Terror in Resonance, quelle serie mi prendono fin troppo.
Chiudo gli occhi per qualche secondo e, dopo aver sentito dei passi, li riapro, vedendo dei miei compagni entrare.
«Yuya, già dormi?» ridacchia uno dei ragazzi.
«Eh, stanotte maratona…» rispondo con tono assonnato e tirando un sorriso.
«E stai perdendo» mi dice di nuovo, avvicinandosi a me, «Di’, ma tu hai fatto i compiti di matematica?».
Io, ricordandomi che c’erano compiti, decido di mettere in atto la mia abilità di recitazione domandando un confuso «C’erano compiti?» e il compagno mi risponde, «Sì, ma non li ho saputi fare, magari me li faccio rispiegare».
Arrivati tutti i miei compagni, dopo pochi minuti arriva la nostra professoressa, dicendoci che tra un po’ ci sarà un’assemblea straordinaria, ma durerà un po’.
Dalle sue informazioni, sembra che un gruppo di recitazione debba venire qui a scuola per fare delle selezioni. Magnifico!, penso, cercando di trattenere il mio entusiasmo. Ma non ce la faccio, di conseguenza scarico tutto il mio entusiasmo trattenuto sulla mia compagna di banco, torturandole il braccio destro e sussurrandole «Devo esserci, devo esserci, devo esserci» e lei ridacchiando cerca di levare le mie mani dal suo braccio.
 
A dirla tutta, arrivati in sala comune per l’assemblea, non sembra proprio un gruppo di recitazione – in realtà sono in tre, tra cui uno mi fissa in continuazione e non capisco nemmeno il perché. Dato che non so dove andare, preferisco seguire il piccolo gruppetto da quattro insieme alla mia compagna di banco, sedendomi vicino a loro.
Sentiamo tutti il fischio del microfono, che ci ha praticamente perforato le orecchie – tutte le classi che sono con noi si coprono le orecchie con le mani.
Il microfono prima lo prende il vice preside, e non capisco nemmeno cosa sta dicendo, perché non ne ho proprio voglia di ascoltare tutto ciò che dice.
Pochi secondi dopo aver parlato, passa il microfono a uno del gruppo da tre, che sembra quasi essere il leader. In pratica questo dice che vuole cercare dei buoni candidati per la sua scuola di recitazione, ma a quanto vedo nessuno sembra interessato, dato che molti li vedo o con il cellulare in mano o che sussurrano alcune cose a chi gli sta vicino.
Decido di alzare la mano e poi alzarmi in piedi, voglio qualche informazione in più su questa scuola, visto che sono un appassionato di recitazione grazie ai miei genitori.
L’uomo mi indica, invitandomi a parlare.
«Vorrei sapere di più su questa scuola» comincio a dire, «Mi chiamo Yuya Sakaki, e mi piacerebbe molto frequentare la sua scuola, dato che sembra interessante e può far crescere la mia passione per il teatro».
Vedo che gli altri due che stanno dietro si sussurrano qualcosa all’orecchio, mentre quello con il microfono in mano mi sorride.
«Questa scuola è adatta a te, Yuya» mi dice, «Da cosa è nata questa passione?».
«I miei genitori sono degli attori, me l’hanno trasmessa loro».
«Possiamo riparlarne dopo, quando finisce l’assemblea?».
Io annuisco, rimettendomi seduto sul mio posto, ricevendo un “bravo” dalla mia compagna di banco, e ci battiamo il cinque con la mano.
Finita l’assemblea, mi incontro con l’uomo che mi aveva parlato tramite il microfono, e mi ha detto che devo andare alla sua scuola alle cinque di oggi per parlarne meglio. Mi sembra abbastanza strano, dato che aveva detto pochi minuti fa che voleva parlarmi dopo l’assemblea.
Scrollo le spalle ed esco da scuola, tornando a casa – tutta la giornata scolastica era abbastanza positiva: la professoressa non aveva scoperto che non avevo fatto i compiti, e poi ho avuto la grande opportunità di frequentare una scuola di teatro.
Non appena torno a casa comunico tutto a mia madre, inutile dire che è fiera di me.
«Sai come si dice, mamma: carpe diem!».
 
Arrivo alla scuola di teatro un po’ in ritardo – dato che non avevo ancora capito bene le coordinate che mi aveva dato il signore, tantomeno mi aveva detto il suo nome – e di conseguenza chiedo scusa al gruppo che era venuto stamattina a scuola.
«Non ti preoccupare, in un certo senso lo immaginavamo» mi dice uno dei due, per poi allontanarsi.
Beh, ovvio che lo immaginavano, in questo posto io non ci sono mai stato.
Oltretutto, da come la vedo, non sembra neanche una scuola di teatro. Seguo l’ultimo che è rimasto, che mi sta guidando verso… una stanza, credo.
Ho troppa ansia di sapere di che cosa mi vorrà parlare quell’uomo, voglio sapere tutto e, soprattutto, perché sono stato scelto proprio io – togliamo il fatto che nessuno era disponibile, ma mi stava fissando per tutta l’assemblea, di conseguenza un motivo c’era!
Non appena arriviamo, vedo il team leader in piedi al centro della sala che mi aspetta. Più che al centro della sala, è al centro del palco, e ci sono un sacco di posti a sedere, è un teatro molto grande. Mi avvicino a lui, mentre scendeva dal palco e si avvicina a me e, non appena siamo nella distanza giusta, comincia a parlarmi.
«Ora ti spiego perché ti stavo fissando tutto il tempo».
E finalmente, mi dico, anche perché non solo mi sta mettendo ansia adesso, ma mi metteva ansia anche a scuola quando mi fissava. «Mi dica, allora» lo invito a continuare.
«Vedi… il mio amico regista cerca un protagonista nuovo per la sua serie» mi spiega, «è molto famosa, dovresti conoscerla anche tu, no?».
«Mh… non la seguo».
«Beh, è una serie che ormai va avanti da anni».
Io ridacchio, abbastanza nervoso, «Scusi se mi permetto, ma adesso non sono in vena di fare indovinelli, sono un po’ in ansia al momento».
«Ti capisco, dev’essere la prima volta che ti propongono qualcosa del genere, vero?».
Sospiro, «Altroché».
«Ho voluto scegliere te perché mi sembri il più adatto, in più hai detto che i tuoi genitori sono attori e grazie a loro ti sei appassionato al teatro», annuisco, invitandolo poi a continuare, «Immagino che tu sappia anche recitare bene».
«A dire la verità non mi sono esercitato bene sulla pratica…» ammetto, grattandomi la testa imbarazzato.
«Leggimi questo» mi dice, porgendomi un foglio con scritto una frase celebre di Banana Yoshimoto, così comincio a recitare ciò che c’era scritto: «Non che odiassi particolarmente la vita, eppure la visuale che si rifletteva nei miei occhi era sempre lontana e sfumata come in un sogno. Percepivo le cose in modo innaturale, estremamente vicine o remote. In quel periodo, l'unica persona che nel mio mondo riuscisse a vedere a colori, l'unica che parlasse una lingua che le mie orecchie erano in grado di decifrare senza fatica, era Hachi. Pertanto, i momenti che trascorrevo in sua compagnia nell'arco della giornata erano anche gli unici in cui riuscivo a stare con me stessa».
Mentre recito, mi guardo un po’ intorno, vedendo le reazioni dei tre uomini. Annuiscono continuamente e si dicono delle cose sussurrandosi alle orecchie. Ma insomma, io sono presente e si permettono di sussurrare cose che io non sento?
Dopo aver finito di recitare, porgo nuovamente il foglio al team leader, che mi sorride e mi stringe la mano destra. Io naturalmente ricambio il gesto – l’avrei fatto anche intuitivamente, dato che quando uno stringe la mano, di solito si ricambia e poi ci si prende anche l’abitudine di farlo – e ridacchio un po’ nervoso.
«Sei assunto» mi dice, con sguardo fiero.
«Io cosa?» domando, abbastanza scioccato e quasi a rischio di cadere a terra.
«Ti chiameremo domani, tu intanto avvisa i tuoi genitori che domani non andrai a scuola».
«No, no, no, aspettate un attimo, per che cosa sarei stato assunto?».
I tre si guardano sorridenti, poi si voltano nuovamente verso di me e, il team leader, mi risponde «Sarai il nuovo protagonista di Yu-Gi-Oh».
 
 
E poi fine, ho perso i sensi.


«Fa la prima media?! Ti avevo detto di prenderne uno quattordicenne!».
«Lo so, ma fidati di me, dimostra molto più di quello che ha… sembra quasi un diciassettenne, altro che quattordicenne…».
«Voglio proprio vedere».
 
   
 
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