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Autore: crazy lion    01/06/2017    4 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Ciao a tutti! Finalmente, ecco il nuovo capitolo. Mi dispiace di aver aggiornato così tardi, ma ho avuto alcuni problemi familiari e non sono riuscita a fare
altrimenti.
Vi avevo detto che sarebbe stato più corto degli ultimi, invece in realtà non è così. Pensavo sarebbe venuto di 10 pagine circa, ma i personaggi hanno voluto che fosse diversamente. Avevo anche detto che non ci sarebbe stato nessun colpo, nessuna mazzata, invece non sarà esattamente così.
Sapete, a volte penso di essere stupida. Insomma, i primi capitoli erano corti, di sei, al massimo dieci pagine, invece questi ultimi sono lunghissimi. Non so se sia normale cambiare così drasticamente il numero delle pagine dei capitoli, perché insomma, non hanno una lunghezza diciamo standard, sono tutti un po' irregolari. Ecco, mi sento stupida appunto per questa mia scelta, che comunque ho preso consapevolmente. Forse non dovrei nemmeno farmi tutte queste paranoie mentali, tuttavia ogni tanto mi chiedo se sto facendo la cosa giusta, se non sto scrivendo troppe pagine. Non lo so, voi che ne dite? Vi siete mai stancati di leggere capitoli così lunghi? Vi sembra sbagliato che io ne faccia alcuni del genere?
Parlando di questo, è ambientato in una notte; e ci sarà qualcuno che non starà affatto bene. Ho messo tantissime delle mie emozioni in questa storia e l'ho fatto anche nel capitolo che state per leggere. Scriverlo mi ha aiutata a sfogarmi.
Nel prossimo gli eventi si svolgeranno nel corso di una settimana.
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
Ti difenderò da incubi e tristezze
Ti riparerò da inganni e maldicenze
Ti darò certezze contro le paure
Per vedere il mondo oltre quelle alture
Non temere nulla io sarò al tuo fianco
Con il mio mantello asciugherò il tuo pianto.
 
E amore il mio grande amore che mi credi
Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi
E resterò al tuo fianco fino a che vorrai
Ti difenderò da tutto, non temere mai.
E amore il mio grande amore che mi credi
Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi
E resterò al tuo fianco fino a che vorrai
Ti difenderò da tutto, non temere mai.
 
Non temere il drago
Fermerò il suo fuoco
Niente può colpirti dietro questo scudo
Lotterò con forza contro tutto il male
E quando cadrò tu non disperare
Per te io mi rialzerò
Io sono un guerriero e troverò le forze
Lungo il tuo cammino
Sarò al tuo fianco mentre
Ti darò riparo contro le tempeste
E ti terrò per mano per scaldarti sempre
Attraverseremo insieme questo regno
E attenderò con te la fine dell'inverno
Dalla notte al giorno, da Occidente a Oriente
Io sarò con te e sarò il tuo guerriero.
(Marco Mengoni, Guerriero)
 
 
 
 
 
 
83. DOLORE E PAURA, AIUTO E CONFORTO
 
Nella vita ci sono dei momenti fantastici. Si passano giornate  meravigliose e si pensa che, da allora, tutto potrà andare bene, o comunque meglio. Ci si sente più forti e i fantasmi del passato sembrano essersi allontanati. Eppure, chissà perché, è proprio alla fine di quelle giornate che tutto cambia con una repentinità che lascia a bocca aperta per lo stupore chiunque si trovi in questa situazione. Subito dopo il dolore ritorna, più forte e violento di prima. È una sofferenza che si pensa di non riuscire a gestire. I pensieri più tristi ricominciano a farsi strada nella mente e non si può fare niente per fermarli; ed è allora che, con orrore e disperazione, ci si rende conto che tutto sta andando molto peggio e ci si domanda se questo avrà mai fine. La vita, in quelle sere, si prende gioco degli esseri umani. È spietata e fa di nuovo schifo.
Era notte fonda. In casa di Andrew regnava il silenzio più totale. Mentre lui cercava di riaddormentarsi dopo che si era svegliato, sussultando e non ricordandosene nemmeno il motivo, i suoi gatti, Jack e Chloe, erano raggomitolati sul suo letto, lei vicino ai suoi piedi e lui accanto al cuscino. Avevano cominciato a dormire con lui da quando Demi era tornata a casa.  Prima non l'avevano mai fatto. L'uomo si era chiesto più volte il perché di quel cambiamento. Chissà, forse percepivano che la sua sofferenza, nonostante stesse cercando di andare avanti, era ancora grandissima e quindi desideravano dargli una mano tramite quel contatto. Non capiva perché non l'avessero fatto prima, ma non gli importava. Era bello che stessero lì con lui e non nelle loro cucce, o sul divano. Dormiva meglio da quando c'erano loro. Aveva scritto dei messaggi per raccontarglielo e lei ne era stata felice. Anche Batman aveva dormito con lei quando era stata male, o comunque le era rimasto accanto. Gli animali capiscono sempre quando i padroni hanno qualcosa che non va.
Eppure, nonostante si sentisse meglio, Andrew non riusciva a stare tranquillo. Qualcosa era cambiato rispetto ad alcune ore prima, quando si era addormentato felice. Non sapeva cosa fosse. Forse, quella notte, sentiva ancora di più di avere paura di fare altri, maledetti incubi. Sì, perché Mackenzie non era la sola ad avere questo problema. Anzi, da quando Demi era tornata a casa, i brutti sogni si erano fatti più ricorrenti e anche più brutti e sconvolgenti. La psicologa gli diceva che erano un riflesso di ciò che provava, perché anche se stava andando avanti, soffriva. Del resto, come avrebbe potuto essere altrimenti? Carlie era morta solamente da sei mesi. Tuttavia, non erano solo i brutti sogni il problema. C'era qualcos'altro, qualcosa che aveva scoperto di avere da poco. Avrebbe dovuto parlarne con Demi. Non voleva farla preoccupare, ma le aveva promesso che non le avrebbe più nascosto nulla, quindi sentiva di doverglielo; e poi non voleva affatto mentirle.
Si alzò, andò in cucina e si scaldò una tazza di latte. Due sere prima, berlo con Demi aveva aiutato entrambi a calmarsi, quindi sperò che sarebbe successo di nuovo. Bevve lentamente, assaporando ogni singolo sorso di quella bevanda. Il latte è una delle cose più semplici, ma anche delle più buone. Si appoggiò la tazza sulla fronte sperando che il calore gli calmasse un po' il mal di testa, che cominciava a farsi sentire. Dopo qualche minuto la mise nel lavello. L'avrebbe lavata il giorno successivo. Tornò a letto, ma il sonno non arrivò. L'uomo continuava a girarsi e rigirarsi, mentre il materasso gli pareva sempre più scomodo e sentiva il lenzuolo e il copriletto pesanti come una montagna che lo sovrastava e lo schiacciava. Le lanciò via, spaventando i gatti, che scesero dal letto e corsero di sotto.
Fanculo a me e alla mia impulsività pensò.
A volte si lasciava andare e faceva, o diceva, cose delle quali si pentiva un momento dopo.
Provò un grande senso di vuoto. Senza i suoi gatti si sentiva solo, sperduto e il letto gli pareva troppo grande e freddo. Gli vennero i brividi. Scese in salotto e accarezzò un po' Jack e Chloe per calmarli.
"Scusatemi" disse loro e poi si accomodò accanto ai due mici che, seduti sul divano, guardavano un punto imprecisato della stanza. "Non volevo farvi paura. Vi voglio bene!"
Jack e Chloe iniziarono a fare le fusa, prima piano, poi sempre più forte, come se avessero voluto dirgli che anche loro lo
amavano.
Quando, dopo qualche minuto, si furono addormentati, Andrew andò in cucina e si avvicinò al microonde. Lì sopra teneva le pastiglie per l'epilessia, che aveva già preso, una la mattina e una la sera, come il medico gli aveva prescritto mesi prima; ma c'era anche un'altra scatola. Non l'aveva raccontato a nessuno, ma circa due settimane dopo essere uscito dall’ospedale era andato dal suo medico di base e gli aveva raccontato la verità, qualcosa che si teneva dentro da settimane e che nemmeno Demetria sapeva. Lei gli aveva detto di fare delle visite per il cuore, ma non era risultato nulla di anomalo. Aveva quindi fatto la sua diagnosi e gli aveva prescritto il Daparox. Prendeva due pastiglie la mattina e avrebbe dovuto farlo per tre mesi almeno, poi insieme avrebbero deciso come procedere. Gli aveva anche prescritto il Lexotan, un ansiolitico, da assumere al bisogno. Aveva aggiunto che ci sarebbero volute due settimane per sentire gli effetti benefici del Daparox e che avrebbe potuto sentirsi anche peggio, all'inizio. Era capitato, infatti, di giorno ma qualche volta anche la notte che, vista la recente morte di Carlie, per lui era il momento peggiore. C’era anche la possibilità che accadesse nonostante i farmaci. Stava forse succedendo questo? Beh, avrebbe potuto prendere una pastiglia di Lexotan. In fondo era un ansiolitico abbastanza blando. Almeno l'avrebbe aiutato a riposare.
"No," disse ad alta voce, "non lo voglio fare. Non ho intenzione di diventarne dipendente."
Già gli era costato molto accettare di avere un problema e di dover assumere il Daparox. Non aveva intenzione di abituarsi anche ad un altro farmaco.
Tornò a letto, mentre l'agitazione continuava a fargli battere il cuore all'impazzata.
 
 
 
Demi si era addormentata con la stessa, bellissima sensazione del suo fidanzato. Eppure, da qualche minuto, aveva cominciato a provare una strana ansia che proprio non si spiegava. Aveva la terribile sensazione che stesse per accadere qualcosa di brutto. Aveva mal di testa e le mancava il fiato. Forse qualcosa stava per succedere davvero… ma a chi? Mackenzie si sarebbe sentita di nuovo male? Oppure Andrew avrebbe avuto dei problemi? O magari Hope si sarebbe ammalata? Demi ripensò alle parole di Fatima, la cartomante da cui era stata tempo prima. Non aveva detto niente riguardo il futuro della piccola. Erano successe tante cose brutte, ma nulla che avesse riguardato direttamente Hope. A lei non sarebbe accaduto niente, dunque? Sentì un'improvvisa fitta di dolore al petto e un senso di pesantezza che, partendo dalla testa, scese lungo tutto il corpo.
"Forse è solo suggestione" si disse. "In fondo questo è un periodo complicato e, anche dopo aver passato una bella giornata, è più che normale avere dei crolli, ogni tanto."
Si tolse le coperte di dosso: aveva caldo. Per un po' rimase distesa a pancia in su cercando di dormire e, dopo alcuni minuti, il suo respiro divenne più regolare e il mal di testa iniziò a diminuire. Proprio quando si era appena appisolata, Hope cominciò a piangere.
"Che c'è, amore?" chiese, stancamente.
Da piccola si era svegliata, a volte, di notte, soprattutto quando le stavano crescendo i dentini, oppure a volte se aveva fame. Ora, però, non lo faceva praticamente più.
Demi si alzò, si chinò sul lettino e cominciò ad accarezzare la testolina della sua bimba.
"Mmmmmm" si lamentò la piccina, iniziando a piagnucolare.
La mamma la portò in bagno e controllò che non fosse bagnata o sporca. Non era così, quindi le chiese:
"Hai fame?"
Le pareva strano, non chiedeva più il latte di notte, ma non si poteva mai sapere.
"No" rispose Hope.
"Okay, allora proviamo a fare così" disse Demi, cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza.
La dondolava muovendosi lentamente a destra e a sinistra, le cantava qualche canzoncina che si inventava sul momento, o alcune ninnananne che ricordava e cercava di farla rilassare. Hope sembrava proprio apprezzare quelle coccole e i movimenti lenti della mamma. Cominciò a sorridere e, ben presto, iniziò a chiudere gli occhietti.
"Aveva solo bisogno di un po' di coccole" disse fra sé la ragazza.
Quando la bambina si fu riaddormentata Demi la riportò a letto, poi si rimise sotto le coperte. Il fatto che Hope si fosse tranquillizzata trasmise alla ragazza un senso di calma. L'ansia che fino a poco prima aveva provato stava lentamente scemando.
 
 
 
Andrew non ne poteva veramente più! L'ansia era troppa, Dio mio! Se fosse rimasto ancora in quella casa, pensava, sarebbe soffocato. Doveva uscire subito di lì. La sfortuna volle che da alcuni minuti avesse cominciato a sentire un temporale che si stava avvicinando.
"Non importa", si disse l'uomo.
Si alzò, rifece il letto e poi si diresse in camera della sorella. Da qualche tempo apriva molto più spesso quella porta. Lasciava entrare l'aria dalle finestre, la puliva e cercava, per quanto possibile, di non pensare a niente, di non farsi venire in mente lei, anche se era fottutamente difficile! Ci provava con tutto se stesso, ogni giorno; ma quella notte non ce la fece proprio. Il petto iniziò a dolergli troppo forte. Era come se stesse andando a fuoco! No, no, doveva andare via. Senza pensarci più, e sfiorando, mentre correva, uno dei suoi gatti che lo seguiva, si diresse in cucina, prese la scatola del Lexotan nel caso gli fosse servito, si infilò una giacca leggera e ci mise dentro il cellulare. Trasse qualche profondo respiro per cercare di tranquillizzarsi, ma siccome non ce la faceva, lasciò perdere. Arrivò alla porta, se la chiuse alle spalle, fece gli scalini a due a due, aprì la porta d'ingresso del condominio e il cancello e uscì nella
notte.
Fuori soffiava un vento piuttosto freddo, cosa strana per quella stagione, ma non così tanto. In fondo stava per arrivare un temporale, era normale che le temperature si abbassassero, a volte anche di molto.
No, ma che idiota sono? pensò.
Nella foga di uscire, si era scordato di prendere l'ombrello. Non sapeva dove sarebbe andato, ma avrebbe dovuto trovare un posto riparato in cui rifugiarsi. Sì, ma dove? Era tardissimo, quasi mezzanotte, nessun luogo sarebbe stato aperto a quell'ora, a parte forse alcuni pub o discoteche. Beh, poco importava. Andrew vide un lampo e, dopo un paio di secondi, udì il rombo di un tuono. Il temporale era vicinissimo. Il vento iniziò a soffiare più forte, facendolo rabbrividire ancora di più e poi cominciò a piovere. Dapprima le gocce caddero lentamente, l'una dopo l'altra, tanto che Andrew poté contarle.
"Una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci…"
Forse, se qualcuno l'avesse sentito e avesse compreso cosa stava contando, avrebbe pensato che quell'uomo era stupido, ma a lui faceva bene svolgere quella semplicissima attività. Lo distraeva e, per qualche momento, lo fece sentire persino meglio. Non se ne rendevan emmeno conto, ma stava respirando più regolarmente, ora; e non sentiva più né dolore, né pesantezza al petto. Poco dopo, però, la pioggia cominciò a cadere sempre più copiosa. Il vento la faceva scendere anche di traverso. Presto fu così tanta che Andrew sentiva solo lo scrosciare dell'acqua e non udiva quasi più il rumore dei suoi piedi sull'asfalto. Il panico tornò ad attanagliargli lo stomaco.
 
 
 
Demi, intanto, si stava godendo il temporale. Le piaceva ascoltarlo, sdraiata nel suo letto. La pioggia l'aveva sempre rilassata, fin da quando era bambina. Si sentiva più leggera mentre pioveva, ma non aveva mai saputo spiegarsi il perché. L'ultimo anno della scuola elementare, ricordò, aveva scritto un tema sul temporale, su tutte le sensazioni che le dava. Aveva raccontato che la pioggia le sembrava fatta di tanti campanelli che continuavano ad aumentare creando una bellissima e magica armonia. Era sempre stata molto brava a scrivere e per anni aveva tenuto un diario segreto, che aveva considerato quasi una persona, un amico fidato con il quale si era sfogata molto spesso. In quelle pagine, che ancora conservava e che aveva portato con se dalla casa dei suoi, aveva raccontato gli atti di bullismo che aveva subito, la prima volta che si era tagliata e quelle successive, quanto Andrew l'avesse aiutata e aveva buttato fuori, scrivendo, tutto il suo dolore, ma anche l'immenso sollievo che aveva provato nel constatare che almeno una persona sapeva e cercava di darle una mano. Aveva smesso di scrivere quando, dopo gli esami, si era concentrata solo sulla musica. Nemmeno in rehab l'aveva fatto. Non ne aveva avuto né la voglia né, soprattutto, la forza. Gli anni erano passati, erano accadute tante cose; ed ora, che era una mamma, anche se le sarebbe piaciuto, era convinta di non avere il tempo di ricominciare a scrivere.
"Un giorno, forse" si disse.
Quando Mackenzie e Hope sarebbero diventate più grandi, lei di certo avrebbe avuto più tempo da dedicare a se stessa e allora sì, avrebbe ricominciato, perché in passato si era ripromessa che non avrebbe mai abbandonato completamente la scrittura.
Hope riposava tranquilla. Aveva il sonno abbastanza leggero, di solito, ma ora stava dormendo della grossa. La ragazza si alzò e andò a controllare Mackenzie. Anche lei era calma. Il suo viso era rilassato e sembrava serena. Demetria ringraziò Dio: finalmente la sua bambina si sentiva meglio. Era stato straziante vederla soffrire a quel modo! Tornò a letto e cercò di riaddormentarsi.
 
 
 
La pioggia battente continuava a cadergli addosso; e ovviamente, più Andrew correva, più pareva che la forza dell'acqua aumentasse. Era come se il cielo stesse piangendo, pensò l'uomo, e riversando su di lui molte delle sue lacrime, facendo sì che il peso che sentiva gravargli nell'anima fosse ancora più difficile da sopportare. Dio, non aveva mai avuto quel genere di pensieri! Che gli stava succedendo?
"Sono quasi arrivato" si disse. "Devo solo farmi ancora un po' di forza."
Iniziò a correre più velocemente cercando di concentrarsi sul suo obiettivo: arrivare a casa di Demi il prima possibile. Non avrebbe voluto spaventarla, ma non sapeva da chi altro andare. Mancavano poche centinaia di metri, ormai ed Andrew, adesso, si sentiva più forte. Era sicuro che ce l'avrebbe fatta. Dopo si sarebbe sfogato, le avrebbe parlato e detto ogni cosa. Proprio mentre pensava a tutto questo, però, il corpo reagì in maniera completamente diversa rispetto alla sua mente. Sentì le gambe cedere mentre, pian piano, tutto intorno a lui si faceva confuso. Il rumore della pioggia gli sembrò assordante e insopportabile, la testa cominciò a dolergli più di prima. Allora l'uomo non ne poté più. Trasse un profondo respiro e urlò a pieni polmoni. Fu un urlo agghiacciante, fatto di dolore, di quella sofferenza che non passa mai e che, spesso, fa crollare chi ha perso una persona alla quale teneva più della sua stessa vita. Fu un urlo quasi disumano. Se ne rese conto subito dopo aver gridato, ma non gli importava. Almeno, così, in parte era riuscito a liberarsi. Ora non stava affatto meglio, ma per un solo, breve momento, si era sentito come se fosse riuscito a togliersi un pesantissimo macigno dal cuore.
"Ti prego, Signore, fammi arrivare vivo a quella porta!" esclamò poi.
Sapeva che cosa stava avendo: un attacco di panico. Provava la terribile sensazione che sarebbe potuto morire da un momento all'altro. Faceva sempre più fatica a respirare e tutto gli pareva così… strano! Non riusciva nemmeno a pensare lucidamente, né a capire che cosa stava provando. Si fermò e cercò di orientarsi. Dove diavolo si trovava? Non poteva essersi perso, maledizione! Si guardò intorno provando a mettere a fuoco il luogo. Si sforzò di ricordare e dopo qualche secondo ci riuscì: era nel parco, quello vicino a casa di Demi. Bene, mancava pochissimo! Una luce lo colpì in viso. Proveniva da un lampione. Ce n'erano molti accesi per strada e l'avevano aiutato ad orientarsi, ma quello aveva una luce più forte, che lo abbagliò e gli fece male agli
occhi.
"Ehi, fratello, ne vuoi un po'?"
Andrew si girò di scatto. Alle sue spalle c'era un ragazzo. Avrà avuto al massimo 25 anni. Era alto, magro e aveva qualcosa di strano: le sue braccia erano ricoperte di tatuaggi, così come il petto, lasciato scoperto dato che aveva la camicia sbottonata. Teneva in mano qualcosa. All'uomo non ci volle molto per capire che si trattava di qualche tipo di droga. Certa gente spacciava di notte, anche in quartieri pieni di famiglie benestanti come quello? Nessun posto era sicuro nelle ore notturne, ma lui non credeva che certe persone potessero venire fino a lì; e con la pioggia, poi.
"Noi spacciatori non ci facciamo fermare da niente, bello!" esclamò il ragazzo, come se avesse letto nella mente di Andrew.
"Non la voglio" rispose quest'ultimo, secco.
Aveva paura, negarlo sarebbe stato stupido, ma non poteva dimostrarsi debole o spaventato di fronte a quel tipo. Chissà cosa gli avrebbe fatto, se così fosse stato.
"Mi sembri abbastanza messo male" constatò l'altro. "Questa può calmare anche l'ansia, lo sai? Sei preoccupato per qualcosa, vero?"
"Non sono affari che ti riguardano."
Dove stava trovando tutto quel coraggio? E come mai non era ancora crollato, vista la paura che aveva e dato che si sentiva già male? Andrew se lo chiese più volte in quei secondi, ma non riuscì a trovare le risposte alle sue domande.
"Non avresti dovuto rivolgerti a me con questo tono" ruggì lo spacciatore, minaccioso.
Il suo tono di voce era così grave che ad Andrew sembrò una creatura ultraterrena, un demonio che era arrivato dall'inferno. Lo guardò, terrorizzato, con gli occhi sbarrati e il fiato sospeso. Si aspettava un pugno, o che quel tizio tirasse fuori un coltello, o che lo picchiasse. Immaginò le cose peggiori e per un momento gli sembrò di trovarsi in un film poliziesco. Quella, però, era la realtà. Forse sarebbe stato ferito, o peggio; ma non ebbe il tempo di riflettere bene su quell'agghiacciante constatazione, perché proprio allora arrivò un altro ragazzo che si rivolse al primo dicendo:
"Brad, andiamocene. Quest'uomo non riuscirà mai a tirare fuori le palle e a prendere la droga. Sono sicuro che non si è mai fumato nemmeno un cazzo di spinello, giusto fratello? Correggimi se sbaglio, ma non sembri il tipo che fa queste cose."
Lo stava chiaramente prendendo in giro, considerandolo un debole, ma Andrew non si lasciò abbattere da questa constatazione, anzi.
"Giusto e ne vado fiero" rispose; "e fratello un cazzo! Io non sarò mai come voi."
Detto ciò si allontanò il più in fretta possibile da quel luogo, che di giorno, pieno di mamme e bambini, era completamente diverso.
Dopo qualche minuto arrivò davanti alla casa di Demi, tirò un sospiro di sollievo e suonò il campanello.
"Bravo, idiota!" si disse. "Ora avrai svegliato anche le bambine. Non avresti potuto farle una telefonata?"
 
 
 
Demi si svegliò di soprassalto. Si era addormentata profondamente e sentire il campanello a quell'ora la spaventò. Pensò di lasciar perdere perché aveva paura che ci fosse un malintenzionato là fuori; poi però si ricordò della sua ansia di qualche tempo prima. In quel momento le arrivò un messaggio sul cellulare. Aprì il cassetto del comodino e vide che si trattava di Andrew. L'SMS diceva:
Amore, sono io. Aprimi per favore, sto male. Fai presto!
"Oh santo Dio!" esclamò la ragazza, precipitandosi fuori dalla camera.
Non si mise nemmeno le ciabatte e scese i gradini a due a due. Che gli era successo? Pensò che si fosse tagliato e ciò la fece rabbrividire, ma poi si ricordò che il fidanzato le aveva promesso che non l'avrebbe più fatto e che le avrebbe sempre chiesto aiuto. Quindi era un buon segno che si trovasse lì, benché a quell'ora, giusto? Demi lo sperò con tutto il cuore e pregò Dio e tutti i santi e gli angeli del Paradiso che non si trattasse di nulla di grave. Aprì la porta e il cancello e andò verso di lui, attraversando il giardino in gran fretta e fregandosene del fatto che la pioggia la stava già inzuppando. Andrew le sarebbe caduto addosso, se lei non avesse avuto la prontezza di afferrarlo. Gli cinse i fianchi con le mani.
"Ehi, che ti succede?" gli chiese, preoccupata.
Stava sudando tantissimo, si rese conto in quel momento e, come ogni volta in cui aveva paura, le sue mani erano fredde.
"Attacco di panico" riuscì a sussurrare l'uomo.
"Ti senti svenire?" gli domandò ancora Demi. Vedendo che non rispondeva glielo chiese di nuovo, ma più forte e aggiungendo: "Amore, ascolta, lo so che è difficile, ma devi dirmi quel cheti senti. Non posso aiutarti se non lo fai."
Lui annuì.
"Okay, sta' tranquillo. Ci sono qui io,ora. Non sei solo."
"Lo so" rispose lui, quasi senza fiato.
La ragazza lo sostenne e, camminando lentamente, riuscì a farlo entrare e sedere sul divano.
"Ti porto dell'acqua" disse.
"Aspetta."
La voce di Andrew fu più decisa e, dopo averle detto quell'unica parola, le strinse forte una mano.
"Andrew, che hai?"
Demi avrebbe voluto piangere, ma come aveva fatto mesi prima quando l'aveva trovato a terra e pieno di sangue, così anche stavolta si impose di non versare una singola lacrima. L'avrebbe solo fatto agitare di più e sentire in colpa.
"Non… non ce la faccio" cominciò Andrew. "Devo prendere i farmaci, subito."
Lei aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Da quando assumeva qualcosa per gli attacchi di panico? Avrebbe voluto domandarglielo, ma non lo fece, capendo che il fidanzato non era in condizione di rispondere.
"Dove li tieni?" gli domandò.
Lui le indicò la tasca dei pantaloni. Era così debole che non aveva nemmeno la forza di prendere da solo quella scatola.
"Quante te ne do?"
"Due."
"Sei sicuro?"
"Il medico ha detto che s-se sto t-tanto male, posso prenderne due."
"Okay. Ti porto dell'acqua. L'hai mai preso prima?"
"Sì, fa effetto subito, in pochi minuti."
"D'accordo."
Demetria lesse l'etichetta. Non conosceva quel farmaco, per cui non sapeva quanto potente fosse, né come si manifestassero i suoi effetti. Tuttavia, se il medico gliel'aveva prescritto, significava che Andrew ne aveva veramente bisogno. Gli portò l'acqua e gli diede in mano le pastiglie. Erano piccole, tonde e molto fine.
"Grazie" le rispose, quando ebbe mandato giù.
"Figurati. Posso fare altro per te?"
"So che ti chiedo tanto e m-mi vergogno a farlo, ma p-potresti portarmi dei vestiti asciutti, per favore? Mi sono dimenticato l'ombrello - che imbecille! - e sono fradicio, come puoi vedere."
Stava tremando come una foglia. Anche la sua voce non era ferma e sicura, un po' per il malessere, un po' per il freddo.
"Arrivo subito."
Demi fece il più in fretta possibile. Non voleva che Andrew si ammalasse e, nelle condizioni in cui era, avrebbe potuto prendersi una brutta influenza, o peggio, la polmonite. Prese uno dei suoi pigiami dall'armadio, sperando che al fidanzato sarebbe andato bene e glielo portò.
"Grazie! Vado in bagno a cambiarmi" disse l'uomo, cercando di sorridere.
Ci riuscì, anche se con fatica.
Demi stava per dirgli che non era necessario, che avrebbe potuto mettersi lì i vestiti asciutti. In fondo, quando erano stati al lago Tahoe si erano spogliati e vestiti l'uno vicino all'altra senza sentirsi imbarazzati. Si conoscevano così bene che quella situazione non avrebbe creato alcun problema, soprattutto ora che erano fidanzati. Tuttavia, senza darle il tempo di dire altro, e non accorgendosi nemmeno che Demi avrebbe voluto farlo, Andrew andò in bagno e chiuse la porta. La ragazza rimase sul divano ad aspettarlo, domandandosi il perché di quel comportamento. In ogni caso non era così importante. Lei stava solo cercando di pensare ad altro per  provare a placare la sua agitazione e anche le cose più semplici e stupide potevano servire. Sentì aprire l'acqua. L'uomo uscì dal bagno poco dopo.
"Non sono andato via perché mi vergognavo" le spiegò. "Volevo solo sciacquarmi la faccia e, dato che avrei comunque dovuto portare i vestiti bagnati in bagno, ho fatto entrambe le cose."
"L'avevo immaginato" gli rispose, calma.
"Li ho messi nel cesto dei panni sporchi."
"Va bene, grazie. Li laverò e te li ridarò il prima possibile. Posso fare altro?"
"Restami vicino" rispose, sedendosi accanto a lei. "So che hai tante domande, ma per ora non riesco a parlare molto. Scusa."
"No, non ti scusare. Non ne hai motivo."
Rimasero in silenzio. Gli unici rumori che si sentivano erano i loro respiri e la pioggia che cadeva con sempre maggiore violenza. Era bello stare lì ad ascoltarla. Demi stringeva dolcemente una mano di Andrew. Ogni tanto gli sorrideva, per dargli coraggio. Era stata molto ansiosa, in passato, ma non aveva sofferto di veri e propri attacchi di panico, non era mai stata tanto male. Non poteva quindi capire davvero ciò che il fidanzato provava, ma cercava di immaginarlo.
"Da quanto ti succede?" provò a chiedergli dopo qualche minuto.
"Va avanti da quando sono tornato a casa."
"Quindi da quasi due mesi."
"Esatto."
"Come mai io non me ne sono accorta? Stavo con te ogni giorno!" "All'inizio si trattava semplicemente di attacchi brevi e violenti. Mi venivano in casa, ne avevo uno o più al giorno, quando ero da solo però, e la sera anche se era rarissimo. Quando ho iniziato ad uscire mi capitava nel momento in cui mi trovavo in mezzo a troppe persone, per strada per esempio, o in qualche centro commerciale e allora erano più lunghi e forti, duravano anche mezzora; poi, una volta al lavoro, ho cominciato ad averli in ufficio. Quando succede sto pensando a qualcosa di brutto e da lì comincio a sudare, mi gira la testa, mi manca il respiro, mi sembra di soffocare e inizio a pensare che sto per morire o per diventare pazzo, che non c’è aria e cose simili. Ad ogni modo in seguito, quando sei tornata a casa tua, sono iniziati anche di notte, prima di addormentarmi e anche dopo aver fatto gli incubi. Da una settimana ho cominciato a sentirmi peggio, al lavoro. Non te l'ho detto, ma lunedì scorso, in bagno, ho rischiato di svenire. Il dottore mi aveva detto che ogni tanto sarebbero venuti lo stesso e di prendere un farmaco la mattina e questi al bisogno. Avevo preso il primo dopo colazione, ma evidentemente non è servito. Comunque, poco dopo essere tornato a casa a seguito del mio tentato suicidio, dopo i primi episodi isolati sono andato dal medico, perché mi sembrava di stare per impazzire. Da quando assumo i farmaci ne ho ancora, ma sono più rari per fortuna."
Mezzora in quelle condizioni? Demi non riusciva ad immaginarlo, doveva essere orribile.
"È colpa mia? È colpa del fatto che andavo al lavoro, che non stavo con te e che poi sono tornata a casa?"
Era stato lui a chiederle di farlo, ma Demi ora si pentiva amaramente di averlo ascoltato. Forse Andrew non aveva avuto il coraggio di domandarle di tornare, di aiutarlo, non l’aveva fatto nemmeno prima quando erano insieme, non aveva dato alcun segno di sentirsi tanto in ansia. Ci sono persone che riescono a tenersi tutto dentro e lui l’aveva fatto per molto tempo, in passato. Chissà, magari si era vergognato di stare così male. A volte capita di provare vergogna perché si soffre e si ha paura di ammettere le proprie debolezze davanti agli altri. Demi ne sapeva qualcosa. Anche con Andrew aveva fatto fatica ad aprirsi e a raccontargli quanto stava male. Farlo con i suoi genitori, però, era stato ancora più difficile.
"Non è colpa tua, Demi, te lo assicuro! Non lo dico per farti sentire meglio, ma perché lo penso veramente. Nessuno ha colpe, né tu, né io, né Carlie. A volte è la vita che va così. Ci mette davanti molte difficoltà quando abbiamo già parecchi problemi."
"Su questo hai ragione."
Andrew le parlò degli esami che aveva fatto e della diagnosi del dottore. "All'inizio ha voluto escludere che si trattasse di un problema fisico, per questo mi sono sottoposto a tutti quei controlli. Mi ha detto che soffro di attacchi di panico e che, dato che erano molto intensi, era necessario che io prendessi questi farmaci."
Le parlò dei dosaggi, dicendole quando assumeva i farmaci e per quanto avrebbe dovuto farlo.
"Perché il dottore ti ha prescritto il Daparox, se è un antidepressivo e tu non soffri di questa malattia?"
"Cura anche gli attacchi di panico, non solo la depressione. Può essere utile per entrambi, o per uno solo di questi disturbi. L'ha fatto perché sa quanto sono stato male e ha detto che era meglio che io prendessi qualcosa di forte, anche se non troppo. Ho iniziato con mezza pastiglia per cinque giorni in modo che il corpo si abituasse, poi ad una e sono passato a due quindici giorni fa. In realtà avrei dovuto prenderne una soltanto - sarebbe stata la dose minima -, ma stavo troppo male, così sono tornato da lei e abbiamo deciso di agire diversamente."
"E non me l’hai detto nemmeno quando stavamo in casa insieme. Perché? Ti vergognavi?”
“Sì. Non accettavo di avere questo problema.”
Demetria sospirò. Soffriva nel sapere che Andrew le aveva nascosto ancora delle cose importanti. Si chiese se si fidava completamente di lei o meno e si rispose di sì. Non si trattava di fiducia. A volte non parliamo dei nostri problemi nemmeno con chi ci è più vicino perché abbiamo troppa paura, o perché non li accettiamo.
“Non devi provare vergogna con me.” “Lo so e non voglio giustificarmi, ho sbagliato.”
Abbassò lo sguardo.
“Dove li tenevi?”
“Nello zaino che uso per andare al lavoro, dove metto il portafoglio e tutte le mie cose. Se sei arrabbiata lo capisco. Ci eravamo detti di non avere più segreti e invece io ti ho nascosto la mia problematica e…”
“Shhh, no. Non ti nascondo che ci sono rimasta male, avrei voluto che tu me lo dicessi subito; ma so quant’è difficile accettare di avere un problema, quindi in parte ti posso capire. Solo, non nascondermi più una cosa del genere, okay? Se dovessi cambiare famraci o dosaggi, fammelo sapere.” “Okay.”
“No, non dire solo:
“Okay”.
Promettimelo.”
“Lo prometto.”
“Giuramelo!”
“Te lo giuro, e stavolta davvero” disse, mettendosi una mano sul cuore.
La ragazza sperò che sarebbe stato così. Voleva fidarsi di quel giuramento.
“Sai che non sono contro i farmaci. Se qualcuno ne ha bisogno è giusto che li prenda, purché non ne abusi; ed io so che non lo fai, ma mi stavo domandando: hai mai provato con l'omeopatia?"
"Ti ricordi, anni fa, quando sono morti i miei genitori e dopo un po' ti avevo detto che avevo cominciato a prendere qualcosa di naturale? Erano i fiori di Bach, anche se non fanno parte dell'omeopatia, servivano a combattere l'ansia. Beh, non hanno funzionato un granché. Mi sono fatto forza per Carlie, al tempo, ma quando lei non c'è stata più e soprattutto ultimamente, nel momento in cui ho cominciato ad avere questi problemi e a sentirli molto più intensamente rispetto ad anni fa, non ho nemmeno pensato all'omeopatia, non perché non mi fidi di quei prodotti, ma perché credevo che stavolta non avrebbero funzionato. Anche il mio medico, dopo gli esami e la diagnosi, mi ha detto che assumere qualcosa di omeopatico non mi sarebbe servito. Gli attacchi che ho sono molto forti, ora, come quello che hai visto poco fa."
"Allora è una cosa davvero… seria, cioè, grave!" esclamò Demetria, allarmata.
Tremò impercettibilmente, ma Andrew lo notò comunque e le strinse la mano.
"Forse "grave" non è la parola giusta. Diciamo che è una situazione che va tenuta sotto controllo" le spiegò. "Demi, sembri star male più tu di me, adesso" constatò.
"Mi sa che hai ragione" disse lei, sospirando. "È solo che io non ne sapevo niente e mi sono agitata. Ti amo e penso sia normale preoccuparsi."
Andrew sembrava più calmo, da qualche minuto. Respirava meno affannosamente, era meno pallido e riusciva a parlare senza problemi, tutte cose che sollevarono molto la ragazza. Aveva temuto che sarebbe svenuto, che non ce l'avrebbe nemmeno fatta ad entrare in casa, invece ora, grazie a Dio, pareva sentirsi meglio.
"Sì certo, ma non devi…" Avrebbe voluto dirle che non avrebbe dovuto farlo, ma sapeva che non sarebbe servito a niente, per cui riformulò la frase. "Non sto più così male, ora. Mi sento meglio ed è solo merito tuo. Cerco di essere positivo e di pensare che pian piano migliorerò. Ci vorrà tempo, ma non significa che non potrò mai guarire."
"Lo so. Scusa. Dovrei pensare che quello che non sta molto bene sei tu."
"Fai benissimo a mostrare le tue emozioni, a dire ciò che senti, solo non voglio che tu ti preoccupi eccessivamente. Mi prometti che ci proverai?"
"Sì" gli rispose, sorridendo.
"Comunque, perché non me l'hai detto prima?" "Amore, te l'ho spiegato. All'inizio non pensavo fosse preoccupante. Venivano una volta ogni due o tre giorni e passavano subito. È stato dopo che hanno cominciato ad essere peggiori; e poi Mackenzie è stata male e questo mi ha fatto preoccupare. Di certo, anche i miei attacchi ne hanno risentito, per questo la dottoressa ha aumentato il dosaggio; ma non è colpa sua, né tua, né di nessuno! È la mia testa che non va. Insomma, Carlie non c'è più ed è come se il mio corpo e la mia mente cercassero di riempire il vuoto che la sua morte ha lasciato in me con questi attacchi; ed io provo a fermarli ma faccio veramente fatica, anche perché, in realtà, quando ne finisce uno mi sento ancora più svuotato di prima. È un circolo vizioso che sto provando con tutte le mie forze a spezzare, con l'aiuto dei farmaci, con la psicoterapia e con la mia forza di volontà, sempre che io ne abbia."
"Certo che ce l'hai!" sussurrò Demi abbracciandolo piano.
"Prima non accettavo il mio problema, e poi tu eri così preoccupata per Mac! Per questo non te l'ho detto; ma avrei voluto farlo proprio oggi. Ci pensavo stanotte e poi, beh, mi sono sentito male. Quell'appartamento era ed è troppo pieno di ricordi e non sono più riuscito a rimanerci. Sono corso via e sono arrivato qui."
“Come sai per me l’ansia è stato un grave problema durante l’adolescenza e anche per circa un anno dopo il ricovero. Per fortuna ne sono uscita, ma è stato molto difficile e ti capisco, perché ho provato anch’io molte sensazioni che hai descritto.”
Andrew le raccontò anche del suo terribile incontro con lo spacciatore sapendo bene che, probabilmente, dopo averlo ascoltato la fidanzata gli avrebbe impedito di uscire di casa, almeno di sera, per il resto dei suoi giorni.
"Cazzo! Ti rendi conto che hai rischiato la vita?" gli chiese, alzando la voce. "Avresti potuto chiamarmi! Sarei venuta io, in qualche modo. Avrei potuto telefonare a mia madre e…"
"Demi, calmati. So che ho corso un grave pericolo e forse sono stato stupido, ma in quel momento ho agito d'istinto. Non riuscivo a ragionare, non ho nemmeno pensato di chiamarti. Volevo solo scappare via."
"Non puoi denunciare quel bastardo?"
"Wow!"
"Cosa?"
"Non ti ho mai sentita dire tante parolacce in pochi minuti!"
"Non lo faccio, di solito, è vero. Dà fastidio anche a me comportarmi così e non vorrei essere un cattivo esempio per le bambine, ma non sono riuscita a trattenermi."
"Non sarai mai un cattivo esempio per loro. Anzi, Mackenzie e Hope sapranno di avere una mamma forte e ti prenderanno come modello, vedrai!"
"Lo pensi davvero?"
"Certamente! Altrimenti non te lo direi. Comunque non saprei nemmeno come fare. Potrei sporgere denuncia contro ignoti, ma in fondo non mi ha fatto niente se non minacciarmi, quindi davvero, non ne vale la pena. Ho già abbastanza problemi e probabilmente non rivedrò mai più quell'essere spregevole, ma ti prometto che, se dovesse farmi del male in qualsiasi modo, andrò immediatamente alla polizia."
Andrew sospirò stancamente.
"Vuoi che andiamo a dormire?"
"Mi piacerebbe. Ho sonno, finalmente."
"Lo immagino. È tardissimo e poi hai passato delle ore molto difficili. Ti domando solo un'altra cosa: Janet e i colleghi con i quali lavori sono a conoscenza dei tuoi attacchi di panico?"
"Sì, ne ho parlato sia con Janet che con Bill. Mi hanno detto che, se mai avrò bisogno, potrò  andare da loro, anche se dovessi sentirmi male."
"Te la senti di lavorare domani? Forse è il caso che tu ti prenda un giorno di ferie."
"Non posso. Martedì ho un processo e devo finire di preparare le ultime cose. Ho tutto quanto in ufficio."
"Facciamo così: ora dormiamo e domani mattina deciderai se andare o no in base a come ti sentirai. Va bene?"
"Sì. È già lunedì, comunque."
Lei scoppiò a ridere. Aveva perso la cognizione del tempo.
Si alzarono e, dopo essersi presi per mano, si diressero in camera da letto. Si infilarono sotto le coperte senza dire una parola, poi si abbracciarono e si addormentarono così, stretti l'uno all'altra.
 
 
 
Andrew non ricordava di trovarsi in quel luogo. Perché non era più in camera con Demi? Faceva un caldo infernale! Cercò di mettere a fuoco l'ambiente, per capire se lo conosceva oppure no. Era una grande stanza senza finestre. C'era una porta nera davanti a lui e anche il pavimento era dello stesso colore. In realtà sembrava fatto di terra indurita più che di pietre e, dall'odore che si respirava nell'aria, l'uomo riuscì a capire che il terriccio doveva essere bruciato. Il caldo opprimente aumentava sempre più e gli toglieva il respiro. Provò ad avvicinarsi alla porta. Avrebbe dovuto uscire da quella stanza, o altrimenti, pensava, non sarebbe sopravvissuto a lungo. Aveva paura che il troppo caldo l'avrebbe ucciso. Nonostante si sentisse sempre più debole, continuò a camminare facendo piccoli passi e cercando di concentrarsi sul rumore dei suoi piedi più che su tutte le altre, sgradevoli sensazioni che provava. Toccò la maniglia della porta e ritirò subito la mano. Era rovente!
"Perché a volte non penso alle cose prima di farle?" si chiese.
Stava per provare a riaprirla, quando sentì dei passi che si avvicinavano a lui. Era una camminata leggera e spedita. Avrebbe riconosciuto quel rumore tra mille! Tuttavia, non poteva essere lei. Era morta, come faceva a trovarsi lì? Lì dove, poi?
"Andrew?"
Era la voce dolce di Carlie, non c'era più alcun dubbio! L'uomo si sentì sopraffare da un'emozione fortissima, un misto di gioia, commozione e qualcos'altro che non avrebbe saputo definire.
"Sorellina!" esclamò, voltandosi di scatto per guardarla.
Non sentiva più il caldo, né il dolore alla mano provocato da quella maledetta maniglia. Tutto era stato cancellato in un istante, nel momento in cui aveva sentito, dopo tanti mesi, quella meravigliosa voce che non ricordava essere tanto bella e che era stato convinto non avrebbe riascoltato mai più. Aprì le  braccia e allungò le mani per toccare la sorella e stringerla a sé, ma lei si tirò indietro.
"No" sussurrò. "Purtroppo non mi puoi né abbracciare, né toccare; e nemmeno a me è concesso farlo con te."
Fu allora che Andrew si rese conto che c'era qualcosa di strano nella voce della ragazza. Era bellissima, ma al contempo diversa, più grave e profonda del solito, piena di un dolore così grande e terribile, che al solo pensarci gli tremarono le gambe.
"Perché?" domandò.
"Non so che posto sia questo, Andrew, né perché sono qui. Sono arrivata per salutarti, ma in realtà ci vengo spesso, ogni volta che tu mi sogni. Io sto male nel vederti soffrire così. So che è normale e non voglio certo obbligarti a non soffrire. Bisogna vivere fino in fondo il dolore e per tutto il tempo necessario a renderlo più sopportabile, ma questo non diminuisce la mia sofferenza. Si dice che in Paradiso le persone, o meglio, gli angeli sono sempre felici. Ce lo raccontava sempre la mamma quando le chiedevamo com'era secondo lei quel luogo, ti ricordi?"
"Certo! Ci diceva che c'era sempre il sole e che era pieno di bambini che correvano e giocavano e persone che camminavano, chiacchierando e ridendo. Non scorderò mai i racconti di nostra madre" ammise lui, con gli occhi pieni di lacrime e la voce rotta.
"Nemmeno io; comunque non è vero niente. Lei ci ha detto questa cosa solo per proteggerci, credo, per farci immaginare che in quel posto fosse tutto perfetto, e lo è! Solo che quando i nostri cari soffrono, qui sulla Terra, noi angeli non siamo comunque immuni da questo, anche se siamo nel Regno dei Cieli, capisci?"
"Quindi mi stai…"
L'uomo non riuscì a finire la frase. Avrebbe avuto così tante cose da chiederle e altrettante da dirle, ma purtroppo qualcosa glielo impedì. Non capì come accadde, ma improvvisamente nella stanza la temperatura cambiò. Divenne sempre più freddo e cominciò a piovere. L'acqua era gelata. Lo sbalzo termico fece tremare violentemente Andrew, mentre Carlie rimaneva lì, immobile, come se si aspettasse tutto ciò. Andrew provò ancora una volta a toccare la sorella, ma non ci riuscì. C'era una forza strana che lo respingeva indietro con violenza. L'uomo barcollò e cadde sul pavimento, riuscendo a proteggersi in tempo la testa. Quando si rialzò, Carlie si stava allontanando da lui.
"Aspetta! Ti prego, non te ne andare! Ti devo chiedere…"
"Non posso restare ancora qui. Forse tornerò, ma per il momento addio, Andrew. Mi manchi!"
L'ultima cosa che l'uomo notò fu che la sorella stava piangendo. Le sue lacrime si mescolavano alla pioggia che le bagnava il viso e i capelli, rendendo la sua espressione addolorata ancora più
triste.


Andrew si svegliò di soprassalto, tremando.
"Amore?" sussurrò Demi, confusa. "Stai ancora male?"
"Ho avuto un incubo. È stato orribile! Carlie era davanti a me e io non potevo toccarla, non potevo, non potevo!" continuava a ripetere, agitandosi sempre più.
"Shhh, tranquillo" sussurrò lei.
Non sapeva bene cosa dire in quel momento.
Ciò non aiutò per niente Andrew, che scoppiò in un pianto disperato.
"Tesoro, ci sono qui io, okay? Non ti lascio. Ora è tutto finito, è passato! Ti va di raccontarmi cos'è successo nel sogno?"
Lui glielo disse, tra le lacrime. Demi ne rimase molto colpita. Doveva essere stato spaventoso!
"Mi sento più sollevato, ora che te ne ho parlato" ammise Andrew.
"Ed io sono felice che tu l'abbia fatto. Sono sicura che tua sorella avrebbe voluto anche dirti che ti vuole bene."
"Non lo so. Sembrava preoccupata e stava male. Forse voleva farmelo capire meglio. Mi ha fatto male vederla così. Non avrei mai voluto essere la causa di una sua ulteriore sofferenza, proprio ora che dovrebbe sentirsi in pace."
"Amore, tu stai soffrendo tantissimo, ha detto anche lei che è normale! Carlie vorrebbe solo vederti felice e prima o poi lo sarai, te lo prometto. Ti aiuterò io, ti starò accanto."
Era complicato, per Demi, trovare le parole giuste. Temeva di ferirlo, o di dire qualcosa di banale o scontato. Andrew, però, non ci rimase male, anzi, le sorrise.
"Grazie" mormorò.
La ragazza cominciò ad accarezzarlo, a massaggiargli il collo e le spalle per quanto la posizione dell'uomo lo permettesse. Non voleva farlo mettere a pancia in giù perché, anche se sarebbe andata meglio a fargli il massaggio, sapeva che in quel modo gli avrebbe reso ancora più difficile respirare. Non gli diceva di non piangere, perché a volte farlo è importante e lei ne era consapevole. Lo lasciò sfogare, asciugandogli di tanto in tanto le lacrime con le mani. Gli passò anche un fazzoletto e poi andò in bagno a prendere un asciugamano per asciugargli il sudore che gli imperlava la fronte. Glielo passò anche sul collo e sul viso, poi gli disse di girarsi solo un momento in modo che potesse fare lo stesso anche sulla schiena.
"Hai ancora caldo, vero?" gli domandò.
"Sì, ma ora mi passa. Non è necessario che tu faccia altro!"
"Sì, invece; non mi costa nulla, davvero."
Rientrò in bagno, imbevve d'acqua una parte dell'asciugamano e glielo passò sul corpo in modo da rinfrescarlo, poi ne prese un altro e asciugò il suo fidanzato. Mentre faceva tutto questo, lui si stava calmando. Demi, invece, pensava alla frase che gli aveva sentito dire poco prima. Le sue parole le ricordarono quelle che lo stesso Andrew aveva pronunciato mesi prima, quando aveva saputo che la sorella era morta:
"Io non ero lì, Demi. Mia sorella è morta ed io non c'ero, non c'ero, non c'ero!" aveva continuato a ripetere.
"Andrà tutto bene, amore" gli disse, il più dolcemente possibile, quando finì di occuparsi di lui.
"Mi sento… male di nuovo" sussurrò l'uomo. Ormai era stremato, quella notte aveva provato troppa ansia e non ne poteva veramente più. Il cuore gli scoppiava e credeva sarebbe stato molto peggio di così. "Io… non so nemmeno di cosa ho bisogno."
Demi gli appoggiò una mano sul petto. Il cuore del fidanzato batteva troppo velocemente.
"Chiamo il 911" disse, risoluta.
"No." La mano di Andrew la bloccò con una stretta vigorosa. Demi se ne stupì: era debolissimo eppure riusciva ad avere così tanta forza fisica! "Tra un po' andrà meglio."
"Senti qualcosa? Intendo, dolore da qualche parte, al cuore o al braccio sinistro?"
L'uomo capì a cosa stava pensando la ragazza.
"No, non ho male da nessuna parte. Non mi sta venendo un infarto, Demi."
"Non puoi esserne sicuro" gli rispose, sull'orlo delle lacrime.
Trattenere il pianto e non fargli capire che era ansiosa stava diventando sempre più difficile.
"Stavo male anche quando…" si interruppe, prese un respiro profondo e continuò: "quando avevo gli incubi e tu eri con me."
"Non così tanto, però" ribatté lei. "Se tra dieci minuti sei ancora in questo stato, io ti porto in ospedale, che tu lo voglia o no."
Andrew riuscì a malapena a sorridere, ma non poté trattenersi dal farlo. Amava moltissimo Demetria e gli piaceva ancora  di più quando era così battagliera e decisa.
"Va bene, capo."
Demi sbuffò e si sedette.
"Tirati su" gli disse, brusca. Sembrava arrabbiata. "Da seduto, forse, riuscirai a respirare meglio."
"Demi? Che cos'hai? Ho detto qualcosa che non va?"
"Non importa. Respira" gli rispose, cercando di addolcire il suo tono di voce.
Forse era troppo dura. In un momento come quello non avrebbe dovuto esserlo, lo sapeva bene, ma era stato più forte di lei. La paura l'aveva fatta reagire in quel modo.
"Ho sbagliato. Sono una deficiente" si disse.
Andrew si sedette e prese qualche respiro profondo. Inspirava ed espirava lentamente, come la psicologa gli aveva insegnato. Dopo poco, il cuore cominciò a battergli regolarmente e si sentì di nuovo meglio.
"Scusami" ricominciò la ragazza. "Non sono arrabbiata. Il fatto è che, vedendoti in quelle condizioni, ho pensato a quando è stata male Selena. Anche lei diceva di non avere niente e invece, poi, ha avuto uno scompenso cardiaco. Ho temuto che a te sarebbe successo lo stesso, se non di peggio. Mi perdoni?"
"Tranquilla, non me la sono presa con te! Comunque sono un idiota" mormorò l'uomo.
"Perché dici così?"
Demi ora era confusa. Cosa c'entrava l'essere idiota con lo stare male? Andrew non lo era assolutamente!
"Ti sei presa così tanto cura di me in questi mesi; e proprio ora che mi sentivo meglio sono scoppiato in questo modo."
"L'altro giorno tu mi hai detto che avresti voluto ricambiare, che siccome io ti ero stata tanto vicina, desideravi fare lo stesso con me; e ci sei riuscito! Ora hai avuto un momento di sconforto, pieno di tristezza, dolore e paura. Va bene così! Se non stessi male per certe cose, non saresti nemmeno umano. Amore, io e te ci siamo sempre sostenuti a vicenda, perché è questo che fanno gli amici, o i fidanzati. Se ci comportiamo così, è perché ci amiamo con tutto il cuore!" concluse sorridendo.
La spiegazione di Demi era stata molto semplice, ma non per questo scontata, anzi! Andrew capì cos'aveva voluto dire: nessuno dei due aveva mai lasciato solo l'altro, soprattutto nei momenti di difficoltà. Avevano lottato entrambi contro la vita, che a volte è crudele e ingiusta. Forse non avevano vinto e ci sarebbero stati tanti altri problemi da affrontare, ma ciò che contava era che, anche se erano caduti, si erano sempre rialzati e che se uno di loro non ce l'aveva fatta, l'altro era sempre  stato lì pronto ad aiutarlo. Quella notte a Demi ed Andrew era sembrato di combattere una battaglia, una lotta continua contro le paure che ancora tormentavano lui e che, di conseguenza, facevano sentire male anche lei. Andrew aveva deciso di andare dalla fidanzata. Non si era chiuso nel suo dolore, non aveva affrontato l'attacco di panico da solo. No! Si era lasciato aiutare, come le aveva promesso tempo prima, in ospedale. Avevano affrontato tutto insieme e ce l'avevano fatta.
"Ti amo!" sussurrò Andrew a Demetria, baciandola su una guancia.
"Anch'io ti amo!" gli rispose e poi gli sorrise.
Avrebbe tanto voluto baciarlo, ma era troppo stanca persino per fare quello. Erano state ore molto dure ed entrambi si meritavano un po' di riposo. Si tennero per mano pensando che avrebbero voluto addormentarsi in quella posizione tutte le notti e svegliarsi la mattina con la persona che amavano di più al mondo accanto. Forse, un giorno, sarebbero andati a vivere insieme, realizzando così il loro sogno.
 
 
 
 
NOTE:
1. Ovviamente, la canzone iniziale si riferisce a tutto quello che Demi ed Andrew hanno passato e affrontato, non solo alla difficile notte che hanno vissuto; e si può sicuramente anche riferire a Mackenzie e all'amore che i genitori provano per lei. Tuttavia in questo capitolo non è presente il suo personaggio e questa è una scelta voluta, perché ho preferito darle più spazio nel capitolo successivo. La sua psicologia è stata approfondita in passato e lo sarà anche in futuro, quindi ho ritenuto più giusto parlare dei sentimenti di Andrew.
2. Il sogno che Andrew fa è molto simile ad alcuni incubi che ho io in questo periodo.
3. Io ho assunto il Daparox e prendo ancora il Lexotan. Questo farmaco è un antidepressivo, ma è usato anche nella cura degli attacchi di panico (come nel caso di Andrew) o di entrambi (come nel mio). L'ho aumentato a 40 mg dopo diverso tempo, sono partita con 20, mentre la situazione del mio personaggio è stata diversa. Un medico può aumentare il dosaggio anche dopo un mese o poco più, se lo ritiene necessario. Ho parlato della questione dei tre mesi perché dop un certo periodo se il paziente si sente meglio si può iniziare a diminuire il farmaco, anche se generalmente si deve prendere per sei mesi o più. Ricordo però che dopo qualche mese ero andata dalla mia dottoressa a dirle che mi sentivo meglio. Sarà lo stesso anche per Andrew? O magari non sarà il farmaco giusto e dovrà cambiarlo?
I disturbi d'ansia, tra i quali gli attacchi di panico, non vengono compresi da tutti e se non si vede qualcuno averne uno, non si può capire. I miei vedevano che ero ansiosa, ma non capivano fino a che punto perché, purtroppo, riuscivo a nasconderlo molto bene. Io assumevo il Daparox per la depressione, comunque, e non si è mai capito se i mieisiano davvero attacchi di panico o un'ansia molto forte.
Aggiornamento: la mia psichiatra, da cui vado dalla fine del 2018, li ha definiti tali, quindi posso dire di soffrirne, anche se meno di una volta.
Non ho parlato di altri farmaci perché non ne conosco e non volevo rischiare di dire cose sbagliate. Comunque, nel foglietto illustrativo del Daparox, che ho trovato sul sito www.mypersonaltrainer.it, si legge:
"Indicazioni
Perché si usa Daparox? A cosa serve?
La paroxetina appartiene al gruppo di farmaci noti come inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) che sono farmaci antidepressivi.
Daparox viene usato nel trattamento di:
• Depressione (episodio di depressione maggiore)
• Disturbo ossessivo compulsivo (pensieri o azioni ossessivo compulsivi)
• Disturbo da attacchi di panico con o senza agorafobia (p.e. forte paura nell' uscire di casa, entrare nei negozi, o paura dei luoghi pubblici)
• Disturbo d'ansia sociale/fobia sociale (forte paura o desiderio di evitare le situazioni di interazione sociale giornaliere)
• Disturbo d'ansia generalizzata (ansia sempre presente, con eccessiva tensione e preoccupazione cronica)
• Disturbo da stress post-traumatico (stato di ansia legato ad eventi traumatici)"
   
 
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