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Autore: Alexis Laufeyson    01/06/2017    0 recensioni
Una volta ti dissero che chi balla -e ci crede- è un prototipo creato apposta per qualcosa di più grande, perché chi balla può esprimere tutto, può essere tutto, senza la necessità di cambiare se stesso.
Quando balli, sei tutto e niente: balli, e sei leggero… balli, e sei un principe, un corvo, un cigno… e menti.

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Quanto sei disposto a dare, per essere perfetto?
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Prototype1

 


 
Quando balli tutto è più facile, perché in un movimento puoi esprimerti in segreto, e nessuno capisce cosa celano le tue mani quando te le stringi al petto. È come parlare quando non hai la voce: un modo per sfogarti, per urlare al mondo la tua rabbia e la tua tristezza e al contempo essere l'emblema della grazia e della disciplina.

Quando balli, sei senza tempo: ti scivola sulla pelle, non lo calcoli, non lo senti… il tick tock dell'orologio non esiste, se le note del pianoforte risuonano nell'aria.

Ogni volta che ti perdi nella musica sei tutto, e sei niente: balli, e sei leggero… balli, e sei un principe, un corvo, un cigno.
La perfezione che agogni è nascosta negli occhi di una dea chiamata 'danza': occhi ingannevoli, che solo pochi riescono a guardare senza farsi male; tutti gli altri si lasciano abbagliare, credono di aver raggiunto il proprio obbiettivo, e quando capiscono di sbagliarsi, a volte è troppo tardi, e si arrendo.
Mollano.
Infrangono i propri sogni.

È la debolezza di chi non sa lottare, perché per ballare bisogna essere forti, bisogna fare di tutto pur di non cedere… a volte bisogna perfino farsi del male. L'importante è farcela. Non la pensi così anche tu?
Non la pensi così anche tu, quando la musica ti avvolge nel proprio dolce abbraccio? Farsi male è un rischio che si deve correre quando si danza, non importa che tipo di 'male' sia: fisico, psicologico, anche… non vi è differenza, no? Se riesci ad ottenere il ruolo principale, allora il 'male' è stato necessario.

Quando balli, sei tutto e niente: balli, e sei leggero… balli, e sei un principe, un corvo, un cigno… e menti.
Menti a tutto e a tutti, perfino a te stesso. La danza ti libera e ti rende perfetto, eppure continui a mentire, e a fingere di stare bene, di essere felice. Il dolore è un'abitudine, una droga dalla quale dipendi, e va di pari passo con quell'altra droga, la danza che tanto ami. Tutti e due ti portano alla rovina, ogni giorno ti trascinano sempre più verso il fondo, eppure non puoi farne a meno.
Perché, allora?
Perché, senza di loro, morirei.
Te lo ripeti ogni mattina, quando ti alzi e guardi il sole che sorge timido da dietro i tetti di Dresda: dalla finestra entra sempre un venticello fresco che sa di inverno, e che porta i colori di un'aurora che non ti stanchi mai di ammirare.

La sveglia è fissa; alle sette del mattino sei già in piedi, e guardi l'esterno, il cielo che si colora, e nel mentre tiri indietro la lunga frangia che ormai ti copre gli occhi. Devi tagliarla, e lo sai bene, ma ogni cosa a suo tempo… sarà per questa estate, quando tornerai a Colonia dai tuoi, e non avrai altro da fare se non riguardare qualche vecchio video e fare stretching in salone.
Adesso è novembre, ancora, e manca molto all'estate e al fatidico incontro col barbiere, perciò -al risveglio- non ti resta altro che guardare l'alba e sistemare le ciocche ribelli alla bell'e meglio. Fino a che non ti impediranno di ballare, d'altronde, non hai di che preoccuparti.
Alle otto e mezzo iniziano le lezioni -il mattino di materie ordinarie, il pomeriggio di danza- e non terminano che alle sette di sera, con in mezzo solo quell'ora e mezzo di pausa che basta per pranzare e prendere una boccata d'aria.
La prima parte della giornata è un inferno: passi gradualmente dall'essere assonnato all'avere fame, e la concentrazione viene a meno, perché non succede mai nulla di abbastanza stimolante da catturare la tua attenzione.
Il pranzo è un momento di pace, poi, e alla fine tutto si converte nell'adrenalina che sale, e ogni corridoio converge in una delle grandi sale dove la danza regna sovrana.
E, una volta lì, balli.

Balli ogni volta come se fosse la prima, perché la danza è un obiettivo e il tuo sogno. E tutto mira alla perfezione - l'ultimo stadio, il traguardo di una vita.
Quando balli, ti senti bene: non esisti, annulli te stesso, i tuoi problemi, solo per poter essere quel personaggio sempre differente che devi interpretare.
Ti piace cambiare maschera, aiuta a non pensare.

Svuoti la tua mente in attesa di riempirla con altro che non sia tu -io, me stesso- e che qualcuno sia un Siegfried, un Solor, un Philip qualsiasi… ha davvero importanza? Tu non credi, ammettilo.
Ti piace evadere dalla realtà, sin da quando eri bambino… la danza è un modo per farlo, è qualcosa che ti scorre nelle vene, pochi minuti che però sono abbastanza per farti assaggiare la felicità, quella vera.

Una volta ti dissero che chi balla -e ci crede- è un prototipo creato apposta per qualcosa di più grande, perché chi balla può esprimere tutto, può essere tutto, senza la necessità di cambiare se stesso.
Un guscio vuoto da riempire, appunto.
Non è malsano, come la gente può pensare -loro credono che l'eccessiva dedizione sia da evitare, ma non capiscono nulla, loro. Quello che fai, il tuo lavoro, il tuo futuro, è sperimentazione, sentimento, passione, soprattutto. La passione è ciò che muove l'intera giostra, che ti fa andare avanti e ti fa rialzare quando cadi.
Loro non riescono a vedere l'anima dietro ogni singolo passo.

Dimmi, mio ballerino… chi eri oggi?
Un Re.
Il sovrano di un illusione.
Matthew Bourne è un genio per aver creato un simile personaggio, così vivido e reale nel suo essere così finto. Un cigno dalle bianche ali la cui esistenza è solo frutto dell'immaginazione di un bambino cresciuto troppo e troppo in fretta. Un po' ti somiglia: è deciso, un vero leader, ma soccombe comunque.
La sua variazione
2 è semplice, quasi banale, ciò che conta è interpretarla, avere la grazia di qualcosa di etereo e surreale;. essere uomo e animale al tempo stesso… solo pochi ci riescono. Forse è per questo che oggi, a lezione, hai deciso di provarci, per far capire che sei molto più di ciò che si aspettano: tu puoi raggiungere la perfezione -tu sei la perfezione.
O, almeno, così pensavi fino a che quel dannatissimo pavimento di legno non ha rovinato tutto.

Sei scivolato sulla cera come un principiante, proprio quando stavi per terminare, proprio quando avresti dovuto dimostrare al principe che tu sei forte, proprio quando avresti dovuto lanciargli quello sguardo interrogativo che avrebbe dato inizio a tutto.
Sei caduto e ti sei rialzato che la musica era già finita. Nessun modo di rimediare… fa schivo, vero, sentirsi così impotenti?
L'insegnante non ti ha detto niente. È stata zitta, ti ha osservato con i suoi occhi penetranti e cinici, e, a fine lezione, solo due parole sono uscite dalle sue labbra: "potete andare".
Andare dove?
Dove puoi andare, se non c'è nessuna meta?

È difficile sentirsi al sicuro in un posto quando il ricordo dell'errore, la sensazione del piede che si storce, la stanza che ruota attorno a te ti perseguitano ovunque tu vada.
Non esiste un posto sicuro che possa cacciare quei pensieri che ti attanagliano e che ti bruciano il cervello come un fuoco inestinguibile.
È quasi un'ossessione, la tua. Una voce subdola che non cessa mai di parlare.

"Hai sbagliato, e ora che farai? Cosa diranno gli altri, quando vedranno che il tuo nome non figura nel ruolo principale? Diranno che, in fin dei conti, te lo meritavi, perché hai sbagliato, sei caduto, hai fallito. Diranno che la tua bravura era solo una bugia, lo sai? Diranno che sei debole, che sei falso, che il tuo obiettivo è solo una chimera, che non sei abbastanza.
Ti credi forte, ma sei debole.
Debole.
Sei debole."

Non sta zitta. Continua a sputare sentenze miste a veleno, e ti fa sentire più vulnerabile che mai.
Lasciami vorresti dirle, supplicandola di smettere, di andarsene, perché ormai ha già mangiato abbastanza. Ha banchettato nella tua mente troppo a lungo, ti ha logorato, eppure non accenna a sparire, come fosse un parassita.
La maniglia della stanza è fredda al tatto e si abbassa senza neanche mettere un suono, e quando spalanchi la porta, ad accoglierti c'è un letto che profuma di sapone e ammorbidente e un armadio dagli specchi che brillano.

Dalla finestra aperta entra una brezza gentile, ma non c'è l'alba ad illuminare l'interno: è notte, una notte buia e senza stelle, né luna. Una notte che sa di lacrime e solitudine, di parole non dette e, sì, anche di bile.
Quando ti avvolge, senti i peli sulla nuca che si drizzano e protestano, ma la tua pelle -il tuo cuore- sembrano quasi gioire di quel freddo venticello di un autunno ormai prossimo alla fine.
Nella stanza, non c'è molto che parla di te.

"Das Bildnis des Dorian Gray" è poggiato sul comodino, aperto ad una pagina a caso. A che punto sei arrivato? Non ricordi…
Sulla sedia, invece, una calzamaglia nera come la pece e un giacchetto bianco latte sono ammucchiati senza cura, e dalla loro aria sembra che non vedano la lavanderia da più di una settimana.
Ce li devi portare, prima che la donna delle pulizie inizi a pensare male.
Ma sarà per la prossima volta.
Ora no.
Ora… no.

Sei stanco, hai solo voglia di dormire, di non pensarci più, di scordare quella caduta, quel fallimento, la voce, tutto. Dimenticare e basta. Annullarti, rifugiarti in uno dei tuoi tanti personaggi… niente di più. Solo per scappare dal mondo reale, dalla tua mente che è anche la tua prigione.
Chiudi la porta del bagno con rabbia e frustrazione. Le lacrime iniziano a scenderti lungo le guance, bruciano, scavano nella pelle, e cadono sulle tue mani che stringono forte il bordo del lavandino.

Lo specchio ti rimanda l'immagine di un ragazzo a pezzi, un ragazzo che non riesce a sfuggire dal vortice della propria vita, dalle voci che gli urlano in testa.
Vorresti scappare come sei scappato l'ultima volta, ma ti senti in trappola, come se delle pesanti catene ti tenessero ancorato al buio. Per quanto tu possa urlare, poi, non c'è nessuno pronto a tendere la mano.

C'è stato un tempo in cui pensavi di avercela fatta. La voce non si faceva sentire da un pezzo, la danza era uno sfogo piacevole, i libri un passatempo rilassante, e tutto andava per il verso giusto.
I giorni erano leggeri, attivi, colorati, perfino se il cielo era grigio e la pioggia scendeva a fiotti e dalle finestre non si vedeva niente.
Sorridevi più spesso, sorridevi per davvero, e avevi persino una ragazza.

Lei era bella, simpatica, dolce… era tutto. Era la rugiada al mattino, e la prima stella della sera. "Abendstern", l'avevi soprannominata, e lei non capiva, perché il tedesco non è fatto per l'amore, ma ci rideva comunque su
Era di un anno più grande, ed era un bene: era più saggia, più sveglia, sapeva a cosa stessi andando incontro scegliendo la danza, e c'era sempre per te.
Ti amava, anche se per due adolescenti "amare" non è la parola esatta. Ci teneva a te, e tu tenevi a lei.
Ma quando sei precipitato di nuovo, l'hai lasciata, perché non hai avuto abbastanza coraggio per spiegarle il vero stato delle cose.
L'hai lasciata il giorno del diploma.
Oltre che problematico, anche stronzo.

Per quanto ha pianto, per il modo in cui se ne è andata dalla festa, ti aspettavi che, nel giro di qualche minuto, tutta la scuola ti avrebbe circondato, tuttavia, non è accaduto nulla.
La notizia è passata in sordina, nessuno ha detto niente se non qualche piccolo, insignificante commento, e l'estate è trascorsa tra giorni noiosi, pranzi in famiglia, e parenti decisamente troppo invadenti.

Ora, però, rimpiangi di non averle dato una spiegazione, perché la solitudine è più terribile di un rapporto incerto e instabile.
La solitudine è uno stomaco stretto in una morsa gelida che fa male quanto un pugno in faccia, e lacrime che scendono a fiotti, scorrono, scavano, bruciano, e appannano la vista.
"Solitudine" è il tuo riflesso che cade a pezzi.

Ti porti una mano alla bocca, nel tentativo di non far rumore, e indietreggi, incontrando le gelide mattonelle della parete. Le spalle ti tremano, scosse dai singhiozzi che cerchi di reprimere, e le tue orecchie sono occupate da uno strano ronzio che ti sta facendo impazzire.
Vorresti urlare, ma a che pro?
La vocina continua a grattare nella tua mente e, perfetta mafiosa, ti intima di fare silenzio, "tanto non ti ascolterebbe nessuno".
Ha davvero ragione?
Sì.
No.
Forse.
Chissà… è sempre meglio non rischiare.

Affondi la testa fra le ginocchia, ti rannicchi su te stesso come un bambino, e piangi. Piangere è per deboli, tuo padre lo dice sempre, ma tu sei debole, quindi piangere, dopotutto, è un tuo diritto.
È sale puro, quello che scende dai tuo occhi. Irrita le pupille, le labbra secche, ti rende impotente di fronte a tutta la fragilità che emerge dalla un'espressione distrutta.
«Basta…» un sussurro, per convincere te stesso: «Basta…»
Poi, arriva.

Senti il tuo nome riecheggiare nella stanza adiacente, qualcuno che ti chiama insistentemente; ripete il tuo nome come un mantra, e la sua voce è bella… o forse è solo il tuo disperato bisogno di qualcuno a farla sembrare tale.
Eppure, ti sembra di conoscerla.
È una voce che sa di mare, e sole.
E la ragazza che la porta ha un profumo di vaniglia, e la pelle calda.

Senti le sue mani sul volto e, alzando lo sguardo, incontri due pozzi neri come l'inchiostro.
«Bitte… bitte hilf mir…» Mormori, prima di affondare il naso nella sua spalla, alla ricerca di un po' di calore.
Per favore, aiutami.




1. Nome di una variazione presentata da Roberto Bolle qualche anno fa al Gran Gala della danza.
2. Link alla variazione, per chi volesse vederlo: 
https://www.youtube.com/watch?v=aAYsCIjwgGA
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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