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Autore: Ayr    02/06/2017    3 recensioni
"Ivory, a quanto pare sei riuscito a distinguerti per abilità, coraggio ed un pizzico di fortuna in mezzo a quella turba di guerrieri grandi il doppio di te, e sei anche riuscito a prevalere su di loro. Ciò significa che sei il migliore tra questi e che sei colui che è destinato a compiere la missione» il tono della sovrana si era fatto improvvisamente grave e serio, facendo preoccupare l'elfo, «Ciò che sto per chiederti è molto pericoloso e potrebbe anche essere considerato tradimento, se prima di questo non ne fosse già stato compiuto un altro: mia sorella, dopo l'ultima visita, mi ha sottratto una cosa a me molto cara, nella speranza che non mi accorgessi della sua assenza... Si tratta di uno specchio"
Quando Ivory sentì quelle parole uscire dalle labbra della Regina Rossa, pensò ad uno scherzo di cattivo gusto: come poteva uno specchio essere oggetto di una tale contesa?
Ma nulla è come sembra, e anche lo specchio non è una semplice superficie riflettente, bensì un oggetto pericoloso e affascinante, che ammalia e promette di realizzare i più profondi desideri di un uomo...a caro prezzo
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VII

Ivory si schermò con una mano: il riverbero del sole sulla neve lo accecava e gli impediva di vedere con chiarezza, sullo sfondo glauco del cielo gli pareva di cogliere i contorni sbiaditi di una costruzione imponente ma non avrebbe saputo dire con certezza se si trattasse del castello della Regina Bianca o di un'allucinazione. Stavano camminando da così tanto tempo che non si sarebbe sorpreso di avere le traveggole.
I rantolii di Brandbury si fecero sempre più vicini, segno che stava arrancando verso di lui.
Era stato capace di sorprenderlo: quel ragazzo calmo e riflessivo era sopravvissuto al viaggio, resistendo alle tempeste di neve, alle notti di gelo e ai leoni di montagna; aveva marciato per giorni senza emettere un lamento, aveva dormito all'addiaccio senza protestare e aveva mangiato pane raffermo e carne troppo salata senza fare troppo lo schizzinoso. Si era dimostrato molto più tenace, resistente ed elastico di molti suoi commilitoni.

L'elfo gettò uno sguardo al fratello: il volto era coperto da una spessa sciarpa di lana grezza e il capo era riparato da un cappuccio imbottito di pelliccia, di lui si riuscivano a vedere solo gli zigomi arrossati dal freddo e gli occhi, che parevano ancora più chiari e freddi nella luce sfumata della valle.
Brandbury si trascinò fino ad un albero gelato, dai rami lunghi e sottili, simili ad artigli, e si lascio cadere nella neve.

«Dimmi che siamo quasi arrivati, ti prego, anche se è una bugia» ansimò, stremato.
«Siamo quasi arrivati» lo accontentò l'elfo.
«Davvero?» replicò speranzoso l'altro.

«Se la vista non mi inganna quell'edificio che si intuisce sullo sfondo dovrebbe essere Ebana, la Fortezza di Ghiaccio.»
Brandbury tirò un sospiro di sollievo: non ne poteva più di camminare: l'avanzata si era fatta molto più difficile e faticosa dal momento che ad ogni passo affondava nella neve fino a metà coscia, e la paura di cadere nel burrone lo teneva sul lato interno, dove il manto nevoso era più alto e morbido.
Ivory estrasse la mappa e sul quadrante apparve chiara e lucente l'immagine di una costruzione possente, irta di torri sottili e acuminate, ricamate di guglie e pinnacoli, preceduta da un ponte sospeso sulla cascata che si gettava nello strapiombo: il Varco di Amias, l’ingresso alla maestosa Ebana. Prima di raggiungerlo, però, avrebbero dovuto superare i Guardiani: un altro ponte, sorretto da due mastodontiche statue di troll del gelo, scolpite nel granito e rivestite di una sottile e costante patina di ghiaccio e brina, che faceva somigliare i pilastri alle creature originali; l'impalcato era costituito dalle loro braccia muscolose che da un alto s’intrecciavano in una salda stretta fino a fondere le mani tra loro, e dall’altro affondavano le dita di pietra nelle pareti del burrone.
«Preferisci Ebana o Dalysium?» domandò l'elfo, mettendo a confronto i palazzi delle due Regine.

«Sono entrambe molto belle ma di una bellezza diversa: Dalysium è calda, accogliente e sovrabbondante per certi aspetti, interamente ricoperta d'oro e circondata da giardini magnifici; Ebana è fredda, distante, diafana ed effimera ma affascinante e incantevole, la paragonerei a quella contessa sdegnosa a cui hai cercato di fare la corte qualche mese fa.»
«Addirittura!» lo prese in giro Ivory, «Se non fossi diventato un erborista, saresti stato un ottimo poeta.»
Brandbury arrossì e non solo per il freddo: la poesia e la musica erano sempre state la sua passione e il suo diletto, nei momenti liberi o di noia si divertiva ad abbozzare qualche verso, ma nulla di troppo serio e nulla che gli sarebbe valso l'ingresso all'Accademia dei Bardi; sapeva strimpellare un liuto e conosceva a memoria tutte le ballate di Biancospino, un poeta delicato e sublime che narrava strazianti storie di amori tragici, ma non aveva mai preso seriamente in considerazione l’idea di diventare un cantastorie giramondo.
«Quella contessa non era niente di che, in realtà» riprese il discorso Ivory calciando un cumulo di neve che si dissolse in una pioggia di candidi fiocchi, «Aveva un collo troppo lungo e un naso troppo adunco»
«Ma gli sei corso dietro per ben due settimane!» gli fece notare l’altro.
«Solo perché era piuttosto ricca e potevo approfittarne per avere qualche regalo»
si difese l’elfo.
«Non ti facevo così opportunista!» lo prese in giro Brand.

«In guerra e in amore tutto è lecito!» citò Ivory, sebbene la frase non c’entrasse completamente con il contesto.
Ma la trovava tragicamente veritiera: quando in inverno la fame divorava lo stomaco e il freddo tranciava le dita dei piedi, solo la bontà di cuore di qualche dama, signora dei possedimenti che stava attraversando per tornare a casa, l’aveva salvato da morte certa. Aveva sfruttato il suo fascino e il suo carisma per affascinarle e farsi ospitare, in attesa che una giornata particolarmente fredda o piovosa terminasse e lasciasse il posto a condizioni più favorevoli per riprendere il viaggio.
Le campagne militari si snodavano per tutta Actosia e non sapeva mai dire con assoluta certezza dove sarebbe finito e quanto gli sarebbe occorso per tornare a casa dopo il congedo. Una volta aveva impiegato addirittura un anno per tornare, quanto avevano richiesto i suoi servigi all’estrema propaggine nord del regno, per sconfiggere una ciurma di pirati che minacciava la città di Samanar e i suoi fiorenti commerci.
Le dame si erano sempre dimostrare molto disponibili nei suoi confronti: mai avevano negato un pasto caldo e un letto comodo all’affascinante guerriero dagli occhi d’ambra e i capelli bianchi, e Ivory, sapendolo, non aveva perso occasione per dare sfoggio a tutto il suo fascino e la sua galanteria. Non li avrebbe lesinati nemmeno con la Regina Bianca e avrebbe sfruttato tutte le sue risorse per riuscire a ottenere il suo favore e la sua attenzione, sempre che la donna fosse attratta da guerrieri dalle orecchie a punta e la pelle diafana.
Giunsero ai Guardiani quando il sole stava declinando all'orizzonte, infiammando il cielo e insanguinando le due statue: due giganti di pietra terribili, minacciosi e bellissimi, uno scultore aveva plasmato la roccia in modo da conferire ai due troll un volto arcigno e per nulla amichevole, corredato di un paio di zanne di alabastro, che spuntavano dalle labbra sottili, mentre le braccia erano saldamente legate tra loro, in continuità. Sullo sfondo, Ebana aveva assunto una forma più chiara e distinta: si pavoneggiava nello splendore evanescente e arrossiva lievemente, sfiorata dai raggi dell'astro morente; Ivory poteva ritrovare le guglie e i pinnacoli che fino a quel momento aveva visto solo sulla mappa e Brandbury si mise a contare le torri, sormontate da cupole di vetro colorato che spandevano nell'aria vespertina un caleidoscopio di colori vivaci e sorprendenti.
«È immenso!» si lasciò sfuggire sorpreso, e l’elfo accolse quel commento con un sorriso amaro: più il palazzo si sarebbe rivelato vasto e labirintico, più sarebbe stato difficile scoprire dove tenesse custodito lo specchio.
Ivory iniziò a saggiare il terreno attorno ai piedi enormi dei troll, che facevano da base per i pilastri del ponte, e a scandagliarlo attentamente con il suo sguardo dorato: in quel punto il sentiero si riduceva ad una lingua larga un paio di metri che si intrufolava e si incuneava tra le gambe del troll e la parete di roccia; il terreno pareva cedevole e il passaggio stretto e difficoltoso, dovevano contorcersi per riuscire a percorrerla, stando attenti a non cadere nell’abisso che rasentava la pietra granitica del piede.
«Vuoi passarlo adesso?» domandò Brand notando i movimenti dell’altro.
«Volevo approfittare delle ultime ore di luce disponibili» rispose.

«A me sembra pericoloso» iniziò il giovane inarcando un sopracciglio, scettico. Ivory alzò gli occhi al cielo: ecco che iniziava a ribattere e criticare, come suo solito.
«Più andiamo avanti oggi, meno strada avremo da fare domani» replicò.
«Non potremmo attraversarlo con la luce del giorno?» non demorse l’erborista. Quel tratto gli sembrava poco stabile e alquanto infido, non che temesse che potesse crollare da un momento all’altro- aveva sostenuto quegli enormi troll per secoli- ma aveva paura che con la soffusa luce crepuscolare non avrebbero visto qualche insidia celata, magari un cumulo di neve meno resistente, o qualche buca o cedimento nascosti.
Ivory sospirò e ignorò le proteste dell’altro, sondò cautamente il terreno con uno stivale, accertatosi della sua stabilità, mosse un passo e invitò Brandbury a fare altrettanto.
Il ragazzo rimase fermo, a braccia conserte, deciso a non proseguire: era stanco che l’altro non prendesse mai in considerazione quello che diceva e persistesse nel fare di testa sua, era umiliante e frustrante e Brandbury non riusciva più a sopportarlo; che si arrangiasse da solo, dal momento che teneva in così gran conto le sue opinioni! Lo inchiodò con uno sguardo risentito, mentre l’elfo proseguiva senza preoccuparsi di accertarsi che lo stesse seguendo o meno: probabilmente aveva dato per scontato che Brandbury, come suo solito, gli sarebbe corso dietro, ricapitolando e rinunciando alle sue considerazioni. Ma questa volta, non gliel’avrebbe data vinta, e rimase fermo e saldo nella sua posizione, simile per immobilità alle statue del ponte.
Improvvisamente, Ivory mise un piede in fallo: la zolla si sbriciolò sotto il suo stivale, lasciandolo privo di appoggio, si sbilanciò e perse l’equilibrio, spalancò gli occhi, incredulo, mentre le sue mani iniziarono a mulinare in cerca di un appiglio, ma le dita scivolarono sullo strato di brina che ricopriva la pietra, senza riuscire ad agguantarla. Sotto lo sguardo stupefatto di Brandbury, l’elfo cadde e scomparve alla sua vista, inghiottito dall’abisso.

   
 
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